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Autore: Elayne_1812    28/09/2016    4 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
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- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Questo capitolo è abbastanza lungo, probabilmente la prima parte sarà un po' noiosa, la seconda è un punto cruciale per il seguito della storia. Ciò non significa che potete ignorare la prima parte e balzare direttamente a quella dopo >.<
Come sempre chiedo scusa se troverete ancora qualche errore in giro.
Ricordo che commenti e opinioni sono sempre graditi. Potete anche dirmi che fa schifo, tanto il problema di come nascondere i vostri cadaveri sarà mio, non vostro u.u
Buona lettura!
 

Capitolo 9
L’universo nei tuoi occhi
 
 

“There’s a universe
There’s a universe in your eyes
The moment our eyes electrically meet
The tip of my ears felt a zap, the stars have twinkled (…)

There are too many stars revolving around you (…)”
Jonghyun, Orbit
 
 
 
Il villaggio di Chemulpo[1]  era un centro fiorente, un’importante crocevia commerciale sorto sull’estuario del fiume Han. Negli ultimi anni aveva assistito ad un rapido sviluppo, trasformandosi da modesto villaggio di pescatori a porto fluviale ben organizzato, che grazie al prodigarsi dei suoi amministratori era riuscito a convogliare su di sé i traffici dei piccoli commerciati del regno di Ming[2]  e quelli di Chosun che risalivano la strada Sud.
 In breve, i suoi abitanti avevano abbandonato ami e reti per gettarsi a capofitto nei commerci, arricchendo le loro casse in modo non indifferente. Le botteghe lungo la strada principale, perfettamente lastricata da un acciottolato di pietre fluviali dai toni bianchi e grigi, offrivano le merci più svariate: dalle sete d’importazione Ming, alle ceramiche e ai mobili d’ebano provenienti dalla capitale, destinati ai commercianti esteri e ai più raffinati e facoltosi del luogo.
Di giorno, la via principale ed il porto erano in continuo fermento, offrendo agli abitanti e alla gente di passaggio la visione di merci e profumi esotici e locali. Qualcuno meno ardito aveva deciso di continuare l’attività di pesca, ma facendo dei piccoli banchi di pescato dei veri empori. Nessuno, dal primo all’ultimo, desiderava perdere l’opportunità di cavalcare l’onda di quel prodigioso sviluppo.
Quando i cinque raggiunsero Chemulpo non videro nulla di tutto ciò. Il tramonto rosseggiante era già stato inghiottito da cupe nubi temporalesche gravide di pioggia e grandine. Un vento sferzante giungeva da ovest facendo sbattere gli scafi delle navi contro la banchina. Le strade erano deserte, le luci delle botteghe spente e silenti. La pioggia cadeva incessante formando grandi pozzanghere sull’acciottolato, scivolava lungo i tetti spioventi dalle tegole in ardesia e gocciolava dalle grondaie lignee laccate con colori sgargianti.
 L’unico luogo da cui provenivano luce e schiamazzi era la locanda principale di Chemulpo, L’Orchidea Blu. Delle lanterne ondeggiavano sotto lo stretto portico che precedeva l’ingresso a porte scorrevoli del locale, al cui interno sembrava vi si fosse riversata buona parte della popolazione locale e non. Era possibile incontrare i volti di uomini e donne di Ming, gente di Chosun e qualche raro commerciante di Nihon[3]. Il fatto che si trattasse di un locale rinomato e non di una bettola di porto non precludeva il fatto che buona parte dei suoi avventori fosse ubriaca di soju e saké. Tavolini bassi erano regolarmente collocati nella grande sala rettangolare, in parte isolati l’uno dall’altro grazie a paraventi dipinti a mano. La luce era soffusa e proveniva dalle lanterne appese al soffitto. Il suono dei kayagum[4] si mescolava alle voci dei presenti.
Taemin roteò gli occhi. Che mortorio, pensò facendo scorrere gli occhi sugli altri.
 Il più piccolo aveva l’impressione che il loro tavolo fosse isolato da una bolla di sapone rispetto al resto de L’Orchidea Blu. Appoggiò i gomiti sulle gambe incrociate e sbuffò.
Dopo un’intera giornata di viaggio erano finalmente riusciti a trovare una locanda decente in cui passare la notte, ma l’atmosfera era tutt’altro che idilliaca.
Suo fratello si era ritirato in stanza non appena aveva messo qualcosa di caldo nello stomaco. Quello passerebbe l’intera esistenza dormire se potesse! Si disse.
In quanto agli altri tre…bhe degli zombie avrebbero avuto più gioia di vivere.
Che noia! Che cos’hanno tutti oggi?  Si chiese.
In realtà aveva una mezza idea. Bhe, Minho era vigile come un lupo a caccia e taciturno, nulla di nuovo, insomma. Ma come spiegare il nervosismo degli altri due? Jonghyun aveva la fronte aggrottata e teneva lo sguardo fisso sulla sua tazza soju, nonostante il nervosismo era fin troppo tranquillo per i suoi standard. In quanto a Key sembrava un gatto irritato pronto a soffiare e rizzare la schiena, teneva la mano posata sul mento leggermente alzato, gli occhi assottigliati rivolti chissà dove, le dita che tamburellavano sul tavolino. Taemin dubitava che fosse realmente interessato agli schiamazzi della locanda e agli uomini semi ubriachi affollati intorno ai tavoli. Non era normale, quei due stavano sempre a fissarsi o a battibeccare, perché sembravano così su di giri?
Hanno sicuramente litigato, pensò, poco ma sicuro! E’ sicuramente colpa di quello scemo di Jonghyun. Annuì tra sé.
Taemin emise un sonoro sbadiglio.
-Dovresti andare a dormire se hai sonno – disse Key con il suo consueto tono premuroso che usava nei suoi confronti.
-Certo, umma – rispose sorridendo.
Finalmente un po' di normalità.
-Ehi no, aspetta un attimo – fece Minho, -tu stai facendo quello che qualcuno ti dice? –
-Bhe, non ci vedo niente di strano. Cosa vorresti insinuare? – chiese il più piccolo, le mani ai fianchi.
-Perché noi altri non ci ascolti mai e appena lui apre bocca schizzi sull’attenti? –
-Perché – iniziò Taemin picchiettando un dito sul capo dell’altro, - tu sei una balia pedante. – Gli diede un pugno in testa lasciando l’altro a bocca aperta.
-Mentre tu – disse facendo la stessa cosa sul capo di Jonghyun, – mi fai fare quello che mi pare, sempre. –
Jonghyun non ebbe alcuna reazione, se non quella di ingollare un sorso di soju a velocità sorprendente, rischiando di strozzarsi. Tossicò.  
Che visione patetica, pensò Taemin. La situazione era decisamente grave se quello scemo non reagiva.
-Key, invece, è una bravissima umma. –
Il maggiore gli sorrise, tornando però poi a tamburellare le dita sul tavolo.
-Me ne andrò a letto – annunciò Taemin come se stessi dichiarando guerra a qualcuno. – Tu accompagnami sino in stanza – disse costringendo Minho ad alzarsi.
-Perché mai? –
Taemin alzò gli occhi al cielo. – Non vorrai lasciarmi andare da solo con tutti questi ubriachi in giro? Sai cosa farà Jinki se mi succedesse qualcosa? –
Il più piccolo si passò il dito indice sulla gola. Minho deglutì.
-Va bene, va bene, ti accompagno. –
Taemin lanciò un’occhiata agli altri due. Chissà se si sarebbero decisi a spiccicare parola. Sospirò. Poteva solo contare sulla materia grigia di Key, ma considerando l’irritazione del principe nutriva parecchi dubbi.


 
Jonghyun sbuffò. Key non l’aveva degnato di uno sguardo, anzi, sembrava persistere nell’ignorarlo. Era certo che se il più piccolo avesse avuto una coda l’avrebbe vista arricciarsi e volteggiare irritata. Che diavolo era quell’espressione di sdegno, non poteva avercela ancora con lui, no?
Si schiarì la gola. Se l’altro intendeva persistere con quell’atteggiamento non aveva altra scelta che iniziare lui ad intavolare una conversazione.
-Sei ancora arrabbiato? – chiese a bruciapelo, sorpreso che la sua voce risultasse titubante.
Finalmente l’altro si voltò, lo sguardo serio e distaccato. –No – rispose semplicemente.
-Senti, non volevo…dirti cose devi fare.–
-Ma lo hai fatto. –
La voce di Key era simile ad una lastra di ghiaccio prossima alla rottura.
-Non volevo traumatizzarti – proseguì.
Doveva impedire che quel ghiaccio si spezzasse o lui sarebbe sprofondato in acque gelide e vi sarebbe di sicuro affogato.
-Pensi davvero di avermi traumatizzato? – chiese Kibum, alzando un sopracciglio.
Perché aveva quel dannato caratterino? Come poteva essere imbarazzato sino a pochi secondi prima e poi diventare così intrattabile, soffriva forse di doppia personalità? Era in quei momenti che Jonghyun avvertiva la grande differenza che c’era tra loro. Key era un nobile e lui non era niente. In quel momento le parole di Minho gli riecheggiarono nella testa. Eppure Jonghyun sapeva che il più piccolo era diverso, tuttavia quel muro tra loro lo spaventava e, in quel momento, Key aveva deciso di renderlo invalicabile.
Jonghyun sospirò, poi prese la mano dell’altro. – Voglio solo farti capire che può essere pericoloso per te andartene in giro da solo. –
-Ti ringrazio per il consiglio, ma so badare a me stesso. –
-Non essere ridicolo– sbottò alla fine Jonghyun, - tu sei…-
-Cosa? – chiese Kibum, irrigidendosi ulteriormente. –Sciocco? – chiese provocatorio, gli occhi magnetici puntati sull’altro.
Jonghyun si ritrovò a pregare per l’indifferenza di poco prima. Voleva fare pace ma stava solo peggiorando la situazione e la cosa lo spaventava, non erano mai arrivati a dei veri litigi, non aveva idea di come comportarsi.
-Ingenuo?  Incapace di stare al mondo, forse? – Disse incalzandolo.
Jonghyun deglutì. Per la miseria, non aveva detto nulla di tutto ciò!
-Non l’ho detto! –
-Lo pensi o non diresti queste cose. –
-Sono solo preoccupato per te. –
Key si alzò, stizzito. –Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti per me! – sbottò.
Jonghyun avrebbe voluto mettersi le mani tra i capelli, che diavolo aveva quel ragazzo?
Key si voltò e zigzagando tra gli avventori si diresse fuori dalla locanda, al maggiore non restò altra scelta che seguirlo a ruota.
Fuori era scoppiato l’ennesimo temporale estivo. La pioggia scrosciava sul selciato producendo un rumore simile a tanti sassolini gettati in acqua. La strada era deserta e le poche botteghe che vi si affacciavano avevano i battenti chiusi, le grondaie gocciolanti di pioggia. Un tuono riecheggiò lontano.
Seguendo il porticato, Key raggiunse le stalle. Non aveva una motivazione precisa per recarsi lì, solo erano più calde ed asciutte e per quanto detestasse gli odori pungenti aveva bisogno di uscire dal caos della locanda. Il principe incrociò le braccia al petto, sospirando. Una lanterna appesa al soffitto di legno oscillava leggermente, disperdendo petali dorati all’intorno. Si strinse nelle spalle, aveva freddo; poi udì i passi dell’altro dietro di lui. Non si voltò, non aveva nessuna voglia di proseguire quella conversazione.
-Si può sapere che cosa ti prende? Aish, voglio solo proteggerti! –
Kibum s’impose calma. Perché quello sciocco insisteva? Che cosa aveva fatto di male per subire quel tormento? Non erano sufficienti le assurde emozioni che provava, il caos che regnava nella sua testa, no, Jonghyun doveva insistere come il cane che afferra l’osso e non ha alcuna intenzione di mollarlo. Piuttosto si sarebbe strappato le zanne da solo! Guardò l’altro.
-Non ho bisogno della tua protezione e soprattutto non te l’ho chiesta. –
- Allora è questo il punto. Senti così tanto il bisogno di dimostrare di sapertela cavare da solo da mettere a rischio la tua vita, è così? –
Era così? Certo che no! Allora perché Kibum avvertiva una strana pressione al petto?
-Tu non sai niente di me, della mia vita. –
Kibum era esasperato. Si sentiva soffocare, la testa in subbuglio. Si voltò dall’altra parte affondando le dita nei capelli, ormai prossimi a tornare del loro colore naturale.
-Tu non sai cosa significa sentirsi dire ogni singolo giorno cosa devi fare, dire, come comportarti, sottostare a miriadi di stupide regole. Essere ignorato e allo stesso tempo vedersi progettare ogni singolo momento della propria vita, imponendoti anche un fidanzato. –
-F-fidanzato? T-tu lo ami? – fece Jonghyun sbarrando gli occhi.
-Kim Jonghyun sei forse idiota? Sto scappando da casa, ricordi?! – urlò.
Ansimò. Non si era reso conto di aver urlato così tanto.
-Mi dispiace –, fece la voce contrita del più grande.
Kibum sospirò e abbassò gli occhi. Non era colpa di Jonghyun, in fondo era solo preoccupato, ma non riusciva a starlo a sentire. Tutto ciò che diceva lo portava inevitabilmente indietro e rivedeva lo sguardo divertito e derisorio di Heechul; anche lui gli aveva fatto intendere chiaramente che scappando si sarebbe reciso la gola con le sue stesse mani. Non poteva e non voleva che la sua mente associasse il sorriso derisorio di quella serpe alla preoccupazione genuina di Jonghyun.
-Lo so. Non voglio discutere con te. –
Jonghyun lo guardò negli occhi. – Potrei venire con te. –
Key sbatté le palpebre, sorpreso. Aveva capito bene? Era assurdo! Non poteva di certo permetterglielo. L’ultima immagine che aveva di Siwon gli balenò nella mente. Scosse il capo, no, non lui!
-Una persona è già morta per proteggermi. Non ti permetterò di venire con me. –
-Ma –
Alzò una mano per zittirlo. –Tu hai la tua vita, la tua strada e non è la mia. –
-Pensi di trovarla andando a Nihon? –
Jonghyun avvertiva un groppo in gola. Lo stava perdendo, alla fine? Forse davvero l’altro non sentiva nulla, dopotutto l’aveva detto chiaramente. La tua strada, la tua vita non sono le mie. Quindi non era niente? Come poteva? Per lui era diverso. Era lui, ormai, la sua vita. Per qualche strano scherzo del destino sentiva che le loro strade erano indissolubilmente intrecciate insieme.
-Non lo so. –
Jonghuyn chinò il capo. Non c’era nulla che potesse fare. Devo lasciarlo andare, pensò.
 Il volto dell’altro era teso, stanco, delle profonde occhiaie segnavano ombre scure sotto i suoi occhi.
-Dovresti seguire l’esempio di Taemin ed andare a dormire -, disse Jonghyun.
Key annuì, l’altro gli diede un leggero bacio sullo zigomo e se ne andò. Si appoggiò alla parete di legno. Si sentiva in mezzo alla strada, bhe, lo era letteralmente; davanti a lui c’era il vuoto, dietro pareti soffocanti e un destino segnato.
-Non avrei mai pensato di incontrarvi qui, vostra altezza. –
Kibum sobbalzò, abbandonando il filo dei propri pensieri. Kyuhyun? La seconda testa della serpe, pensò, come diavolo mi ha trovato?
Il principe lo squadrò. Il cavaliere aveva il volto leggermente arrossato, doveva aver bevuto, probabilmente era stato nella locanda tutto quel tempo in attesa che si allontanasse da solo.
 Strinse i pugni e la rabbia lo invase. Aveva davanti quello che probabilmente era l’assassino si Siwon! Iniziò ad accumulare energia, l’avrebbe fatto saltare in aria come un petardo del regno di Ming! L’aria sfrigolò intorno a lui, tentacoli blu e neri volteggiarono all’intorno. Mai come in quel momento, aveva provato un desiderio di vendetta e ne era quasi spaventato. Nella sua vita non aveva mai desiderato fare del male a nessuno, figurarsi uccidere! Ebbe paura di sé stesso, il mondo lo stava forse trasformando? Se sì, in meglio o in peggio?
Kyuhyun non parve curarsi di quanto accadeva, al contrario osservò il principe con uno strano sorrisino sulle labbra.
-Non mi sembra una scelta molto saggia –
Kibum soffiò irritato. Aveva ragione, rischiava di attirare troppo l’attenzione. Rilasciò l’energia, doveva stare calmo. Sarà un’impresa dato che voglio ucciderlo!
Kyuhyun avanzò. –Mi offendete, non penserete che sia mia intenzione farvi del male? –
-Che cos’hai fatto a Siwon? –
L’altro fece spallucce. –Gli ho solo dato una lezione. Vi ha rapito, dopotutto. –
-E’ questo che raccontate in giro? Vattene o giuro che ti ucciderò! –
Kibum portò una mano all’elsa della spada, ma non la trovò, l’aveva lasciata in stanza. Si morse il labbro.
-Aish – fece Kyuhyun massaggiandosi le tempie.
Era da settimane che vagava per le strade del sud in cerca del principe, un lavoro decisamente gramo per il miglior cavaliere del regno! Non ne poteva più. Dare la caccia ad un ragazzino non era un lavoro serio. Proprio non riusciva a capire perché Heechul non si limitasse a disfarsi del principe. Insomma, ormai aveva il potere a portata di mano, la storia che Kibum rappresentava una garanzia al suo accesso al trono era ridicola! Il suo padrone era abbastanza scaltro da trovare soluzioni alternative, non aveva già un piano in mente, forse? Perché non liberarsi del principe e dargli il ben servito, fuggendo non gli aveva semplificato il lavoro? Davvero con capiva l’ossessione di Heechul per quel moccioso viziato. Certo, aveva il suo fascino e forse il suo padrone era masochista se pensava di mettere un freno a quella lingua tagliente, ma per Kyuhyun il gioco non valeva la candela. Tanto meno se era lui a dover sbrigare l’intera faccenda.
Il cavaliere infilò la mano sotto il mantello e tastò la fiala che gli aveva dato Heechul, probabilmente gli sarebbe servita molto presto.
-Vi prego, voglio solo riportarvi a palazzo, al vostro posto. Non voglio di certo mancarvi di rispetto ma vi state comportando come un bambino viziato. Il mio padrone è seriamente preoccupato per voi. –
-Certo, scommetto che non mangia e non dorme da più di un mese. Mi hai già rifilato questa storia, risparmia fiato. –
Kyuhyun si avvicinò. Avrebbe dovuto passare alle maniere forti. Afferrò il braccio dell’altro che iniziò a dimenarsi e a scalciare. Il cavaliere estrasse la fialetta cercando di far ingurgitare il contenuto al principe.
Kibum gli pestò un piede, gli diede una gomitata e gli morse la mano. Se pensava di avere vita facile con lui si sbagliava di grosso.
Kyuhyun emise un verso di dolore. Fosse stato per lui avrebbe affogato il principe nell’Han seduta stante!
Kibum avvertì tutto il peso dell’altro su di lui, perché aveva l’impressione che improvvisamente Kyuhyun si stesse afflosciando a terra come un peso morto? La presa del cavaliere diminuì, riuscì a scansarsi di lato prima di essere investito del peso morto di Kyuhyun. Barcollò all’indietro, mentre l’altro rovinava a terra tra la paglia.
-Minho – disse Kibum  con un filo di voce.
Il ragazzo era come sempre apparentemente imperturbabile, la spada in mano. Kibum ebbe un sussulto. Che avesse sentito qualcosa?
-Tutto bene? – chiese Minho.
Key annuì, poi guardò il corpo esanime del cavaliere. Non c’era sangue intorno a lui.
-L’ho colpito con l’elsa della spada, dormirà per un po' –, spiegò Minho rispondendo alle sue domande inespresse. –E’ uno degli uomini che ti seguivano? –
-Sì. Fortuna che sei arrivato in tempo. –
-Volevo controllare i cavalli. -
Minho si chinò ad esaminare l’altro, annusando l’aria intorno. –Considerando che era ubriaco e il colpo che gli ho rifilato dormirà parecchio. –
-Lo lasciamo così? –
-Tranquillo, lo faccio sparire io. –

***

Dopo quanto era accaduto la notte precedente, Jinki aveva optato per prendere una strada poco frequentata che costeggiava il fiume. Kibum ne era stato ben felice, l’idea di rivedere Kyuhyun lo preoccupava, anche perché significava rischiare di rivelare la sua identità. Tuttavia, il sollievo l’aveva abbandonato quando, dopo aver percorso un tratto di strada accuratamente acciottolato, avevano deviato lungo un sentiero fangoso e infestato da sterpaglie. Il temporale della notte precedente era stato inclemente, in alcuni punti il pantano era tale che i suoi stivali affondavano sino alle caviglie. A coronare il tutto un cielo uggioso creava una cappa umida e irrespirabile, nuvoloni grigi nascondevano il sole, che con timidi raggi cercava di aprirsi un varco. Non c’era aria all’intorno, i fili d’erba pendevano flosci, animati solo dalla corrente dell’Han. Procedevano a piedi tenendo le briglie dei cavalli.
Uno spuzzo di fango sollevato dallo zoccolo del cavallo centrò in pieno il volto di Kibum. Si avvicinò al fiume per ripulirsi quando qualcuno lo tirò indietro.
-Stai indietro – disse la voce ferma di Minho.
Kibum si voltò a guardarlo, perché c’era una nota d’urgenza nella voce dell’altro? Lo guardò interrogativo e Minho gli indicò qualcosa che galleggiava sulla superficie del fiume, trasportato dalla corrente. Kibum assottigliò gli occhi guardando nella direzione indicata. Che cos’era? Barcollò all’indietro e si portò una mano alla bocca costringendosi a non vomitare quando capì. Era un cadavere, verde e gonfio e non era il solo, ne notò altri, alcuni erano troppo piccoli per essere quelli di persone adulte. Bambini, altrettanto gonfi e verdi.
-Perché ci sono dei morti nel fiume? –  
Lo sguardo di Minho si fece duro e Kibum fu certo di percepire rabbia sotto quello strato di ghiaccio.
-Perché vi siete fermati? – chiese la voce squillante di Taemin.
Il più piccolo si bloccò di colpo quando notò cosa aveva attirato l’attenzione dei due. Soffocò un singulto, poi si avvicinò a Minho.
-Minho? –
L’altro aveva lo sguardo perso, se vedesse realmente o no i cadaveri che galleggiavano non si poteva dire. Poi tornò al cavallo e riprese la marcia. Taemin sospirò seguendo il suo stesso esempio.
Anche Kibum avrebbe voluto farlo ma qualcosa lo bloccava, temeva che se avesse mosso un solo passo le sue gambe si sarebbero sciolte come cera. La mano calda di Jonghyun s’intreccio alla sua.
-Kaja, non è un posto per te questo – gli sussurrò dolcemente.
Kibum lasciò che l’altro lo guidasse nuovamente sul sentiero, senza staccare la mano dalla sua.
-Che cos’è? – chiese con un filo di voce.
-Vengono dalla miniera. –
Jonghyun indicò un punto indistinto tra le alture che s’ergevano a strapiombo sul fiume, appena dietro di loro.
-Prigionieri che lavoravano alle miniere. –
Kibum aggrottò la fronte. – Prigionieri? Ma…-
-I bambini sono più adatti a lavorare in miniera – rispose l’altro, il tono indurito. –Li rapiscono e li portano lì. –
Kibum sgranò gli occhi. Non stava dicendo sul serio, vero? Perché mai qualcuno avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Era orribile anche solo pensarlo!
-Maledetti Kim – sussurrò Jonghyun con astio, stringendo più forte la mano dell’altro. –Un re dovrebbe proteggere il suo popolo. –
L’odio trasparì chiaramente dalle parole di Jonghyun.
Kibum era certo di non averlo mai visto così arrabbiato, così spaventoso. Sì, perché gli occhi del più grande si erano accessi come bracieri ardenti. Kibum ebbe paura e fremette.
Jonghyun alzò lo sguardo su di lui. -Non devi avere paura, a te non accadrà nulla di simile. – Disse soffiandogli sul collo.
Kibum annuì trattenendo un brivido. Ma non era quello a spaventarlo, era l’odio dell’altro a mettergli paura, più di qualunque altra cosa al mondo. Se avesse conosciuto la sua identità, Jonghyun l’avrebbe odiato, quei sorrisi sarebbero spariti sostituiti da quello sguardo ardente. Il solo pensiero gli faceva accartocciare il cuore in petto. Non l’avrebbe mai sopportato.
Era scoppiato un tramonto rosso e triste quando raggiunsero il territorio di Gwangmyeong[5]. Avevano dovuto attraversare il fiume percorrendo un ponte dissestato, sembrava che quella zona fosse disabitata da tempo. Una volta sull’altra sponda, Kibum aveva contemplato dei ruderi che s’ergevano come minacciosi cenotafi tra l’erba appena sferzata da un’aria che sapeva di cenere. Le pietre, un tempo biancheggianti, erano annerite dalle tracce di un grosso incendio, simili a profonde cicatrici. Sembravano i resti di un’antica dimora abbandonata posta a controllo del territorio circostante, sorgeva su un dolce declivio e a un passo dal guado del fiume. A giudicare dai resti, benché irrisori rispetto allo splendore di un tempo, doveva trattarsi un grosso palazzo a base quadrata articolato su più piani evidenziati da tetti e grondaie spioventi finemente decorati.
-Ci accampiamo qui – annunciò Jinki.
-Perché? – sbottò Taemin.
-E’ tardi per proseguire. –
-Ma perché qui? –
Il più piccolo sembrava sull’orlo di una crisi di pianto, ma il maggiore lo ignorò. Kibum osservò perplesso. Cosa turbava il più piccolo e perché Jinki era stato così freddo? Adorava suo fratello, dopotutto.
-Minnie, stai bene? - Gli chiese seguendolo tra le rovine.
Taemin annuì, lo sguardo basso.
-E’ solo aria negli occhi. Lasciami solo per favore, hyung. – Disse evitando lo sguardo del maggiore.
Taemin si allontanò si allontano tra le rovine e Kibum lo guardò sparire.
-Lascialo stare. –
Jinki spuntò alle sue spalle e Kibum gli rivolse uno sguardo interrogativo.
-Che posto è questo? –
-Era casa nostra. –
Casa loro. Ecco il perché della reazione di Taemin.  
-Cos’è successo? – Chiese con un filo di voce. Purtroppo temeva già di conoscere la risposta.
Gli occhi di Jinki erano persi tra i ruderi di quello che un tempo era stato un lussuoso palazzo, casa sua. Rammentava molto bene il fuoco che aveva consumato l’intero ricordo di una delle famiglie più antiche del regno. Lingue rosse e gialle che avevano lambito ogni centimetro del suo mondo, urla disperate tra le fiamme.
-E’ stato un ordine imperiale, vero? –
Jinki si riscosse e annuì. Lui e Taemin erano stati gli unici a salvarsi da quell’inferno.
-Che cos’ha fatto la tua famiglia per meritarsi questo? –
Il più grande lo fisso, serio, poi rivolse di nuovo lo sguardo a ciò che restava del palazzo, seguendo il capo biondiccio del fratello che si aggirava tra le pareti crollate.
-Mio padre vedeva troppo e ciò che vedeva non gli piaceva. –
Vedeva, si ripeté nella mente Kibum. Settimane addietro non avrebbe mai compreso le implicazioni di quella semplice parola.
Jinki sorrise, fissando il terreno. – Sfortunatamente mio padre non era abbastanza accorto da capire che stava parlando troppo e in modo sbagliato. –
Sospirò. –Poco più di dieci anni ed è come se non fossimo mai esistiti. –
Kibum strinse i pungi. Anche sua madre era morta, la legittima imperatrice di Chosun, lui aveva solo otto anni all’epoca eppure la ricordava bene, il suo sorriso dolce, i modi delicati, eppure sembrava che nessun’altro al mondo si rammentasse di lei. Solo i ritratti nei palazzi ricordavano che il principe, dopotutto, aveva avuto una madre. Non era giusto. Nulla di ciò che aveva visto negli ultimi giorni era giusto. L’immagine di quella stanza buia tornò a bussare alla sua porta, la scacciò, tornando al presente.
Il principe non sapeva se provare imbarazzo, consapevole che era stato suo padre ad ordinare quel massacro, o rabbia nei confronti del Leader dei Ribelli. Non aveva mai viaggiato molto e quando l’aveva fatto non era stato un suo problema decidere che strada prendere, ma non era un’idiota. Conosceva bene sulla carta la geografia del regno. Stavano facendo un giro dell’oca assurdo, e non intendeva bersi la scusa che Jinki stava cerando strade alternativa per tenerlo al sicuro. Lo conosceva da poco più di un mese, ma Kibum sapeva bene che tutto ciò che Lee Jinki faceva non era mai lasciato al caso. C’era sempre la fregatura, il secondo fine. Il principe sapeva che era lui la causa di quelle scelte, sino ad ora era stato un sospetto latente, ma ormai ne aveva la certezza. Aveva una mezza idea di quelle che erano le intenzioni del Leader e, in tutta sincerità, ancora non sapeva come considerare l’intera faccenda. Era solo confuso. Molto confuso. Ma questo era troppo.
-Quello che stai facendo, Jinki, fallo pure: distruggimi, fammi a pezzi, non m’importa, ma quello che hai fatto ora a tuo fratello è terribile. Io non valgo le sue lacrime. –
Lo lasciò solo. Non aveva altro da dirgli per quel giorno.
 

***

Era notte fonda ormai, gli altri dormivano beatamente, apparentemente tranquilli nonostante il loro sonno fosse accolto da ruderi simili ad ossa annerite che spuntavano bieche dal terreno. Ma Kibum non riusciva a chiudere occhio, nonostante delle profonde occhiaie oscurassero il candore della sua pelle. Sapeva che il viaggio non sarebbe stato facile, ma mai avrebbe immaginato lo provasse sino a quel punto. Gli bastava abbassare le palpebre per vedere i volti scavati dalla fame, la povertà dei villaggi periferici che strideva tristemente con il profilo lussureggiante delle grandi città che fluttuavano all’orizzonte come miraggi. Il principe desiderava allontanare l’immagine opulenta di Soul, era come perdersi a contemplare un sorriso beffardo, impietosamente incombente su tutto ciò che strisciava ai suoi piedi. E i cadaveri gonfi e verdi che galleggiavo sul fiume, sospinti da una placida corrente. Lì, i resti di vite gloriose bruciate dal fuoco e dal tempo, dimenticate come se non fossero mai esistite.
Avvertiva un groppo allo stomaco, un masso pesante che non accennava a spostarsi. La sua fronte era madida di sudore. Non voleva guardare, non voleva sapere, solo lasciare tutto dietro di sé come fosse un terribile incubo.
Codardo, codardo, gli sussurrò una vocina fin troppo simile alla sua.  Kibum si prese il capo tra le mani, la cicatrice sulla tempia pulsava.
Sprazzi di ombre avevano messo in scena un macabro teatrino nella sua mente, simili ad un dramma kabuki. Cercò di ricacciarle indietro con tutte le forze, ma quelle stesse ombre lo risucchiavano. La sua mente era allo stremo.
Quella porta sigillata era stata chiusa troppo a lungo e ora, inevitabilmente, si era aperta fagocitando tutti i mostri che custodiva.
Perché non vuoi vedere? Domandò la vocina.
Era sveglio eppure udiva quei passi, quel bicchiere che s’infrangeva.
No! Vattene!
Non puoi tenere quella porta chiusa in eterno.
Si alzò di scatto e corse verso il fiume in cerca di un’aria che non c’era. Anche l’Han era immobile, silente come il cupo sentiero per l’Ade.
Udì un urlo come quello che anni prima aveva infranto la quiete del palazzo reale di Soul. L’urlo di una donna.
Umma! Singhiozzò.
Come allora avrebbe voluto stringersi in un angolo, le orecchie tappate, gli occhi strizzati.  Ma quei passi che rimbombava all’intorno l’avevano raggiunto e si erano fermati lì, innanzi a lui, portatori di un’ombra imponente e squadrata, simile ad una montagna che nemmeno le correnti più impetuose potevano scalfire. Occhi d’acciaio fissi su di lui. Quella era l’ultima volta in cui aveva incontrato gli occhi dell’imperatore.
Kibum ansimò e s’accasciò a terra, l’erba era umida e fredda sotto di lui. Si strinse nelle spalle mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale.
 Una leggera brezza s’alzò all’intorno, le canne di bambù lungo la riva frinirono nella notte.
 Quanto aveva desiderato che quella porta rimanesse chiusa per sempre?
Stava per rigettare, sentiva chiaramente le viscere contorcersi. Gattonò sino alla riva del fiume reggendosi a stento. Vomitò tutto ciò che aveva in corpo, finché non restarono che i succhi gastrici. Forse avrebbe rigettato anche la sua stessa anima.
Se lo faccio non proverò più dolore, poi?
L’immagine di quella stanza avvolta nell’ombra sparì, spazzata via come cenere al vento, ma ormai impressa a fuoco dentro di lui. Il velo che l’aveva celata aveva iniziato a strapparsi da quando i flutti dell’Han l’avevano stretto in un freddo abbraccio.
Puoi davvero andartene? Riecheggiò la vocina. Non esiste nave capace di veleggiare così rapida da strapparti i ricordi.
Kibum aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Poteva vedere la fame, la morte, il corpo esanime di sua madre sul pavimento di marmo. E quegli occhi d’acciaio, gelidi, che erano la causa di tutto.
Che senso ha fuggire?
Non è mia responsabilità, pensò.
Davvero? Rise la vocina, bieca.
Singhiozzò.
Sei il principe.
Kibum scosse il capo. No se significa essere figlio di quell’uomo. Non voglio esserlo.
Resta!
Sbarrò gli occhi.
Perché improvvisamente la voce sembrava quella di Jognhyun? Calda, morbida, avvolgente. L’odore dell’erba e del fiume si tramutò in quello dolce e sensuale dei fiori di pesco. I palpiti del suo cuore aumentarono il ritmo, simili al riecheggiare di un tamburo lontano.
Se resto, cosa posso fare?
Lo sai. Porta luce.
-Key, Key!-
Kibum si riscosse, quella era davvero la voce di Jonghyun, arrivava forte a chiara scuotendo i meandri più cupi della sua mente. Sbatté le palpebre. Il ragazzo era chino su di lui e lo teneva per le spalle, una presa calda e ferma.
Da quanto tempo era lì? 
-Da quanto sei qui? – La sua voce uscì gracchiante dalle labbra a cuore.
-Abbastanza da sapere che non stai bene. Mi sono svegliato e non c’eri. –
Il volto del più grande era preoccupato, i suoi occhi lo scrutavano come in cerca di qualcosa.
-Key! – Jonghyun lo chiamò di nuovo, notando che l’altro stava ripiombando nel baratro di prima.
Key alzò gli occhi, intrecciando lo sguardo con quello di Jonghyun. Un sospirò uscì dalle labbra del più piccolo, come un ansito dopo una lunga corsa. Gli occhi dell’altro, grandi, conservavano il tepore del fuoco in inverno e i colori delle foglie in autunno. Key ne fu risucchiato e si perse nei riflessi dorati delle iridi di Jonghyun; erano come luci infuocate che ruotavano intorno a lui, stordendolo. Si sentiva scoperto, tutti i suoi segreti inevitabilmente a nudo. Distolse lo sguardo da quegli occhi che gli bruciavano anima e corpo. Aveva paura, no, anzi, il terrore che quel fuoco rassicurante si tramutasse in un incendio astioso consumato dall’odio.
Si strinse al più grande abbassando il capo sul suo petto. Non voleva guardare ma non poteva fare a meno di lui. L’unico appiglio in un pozzo senza fondo.
-Che cos’hai? – sussurrò Jonghyun tra i suoi capelli corvini.
- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Kibum si sentiva proprio così: vuoto. Nient’altro che un ricettacolo di carne e sangue.
Jonghyun gli prese il volto tra le mani, costringendolo a sollevarlo. Lo guardò sconcertato. Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
-Perché dici questo? –
-Io non vedevo niente. Come ho potuto vivere senza vedere nulla? –
Jonghyun sospirò. Non c’era bisogno che facesse domande, sapeva a cosa si riferiva, l’aveva visto sul volto dell’altro in quei giorni. Chiuso nei giardini immacolati che dovevano circondare la sua lussuosa dimora, cosa poteva aver visto quel fiore innocente? Nulla. Ma ciò non lo rendeva vuoto. Per Jonghyun quel volto, ora provato, era colmo di bellezza, di sogni, di luce. Avrebbe dato qualunque cosa per fondersi in quella bellezza, in quell’innocenza che voleva fare sue.
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key – disse Jonghyun, - io vedo l’universo nei tuoi occhi. –
-Come puoi vedere questo? –
-Ci sono mille luci intorno a te, sono quelle che ti accecano. La loro luce e la tua.–
Key sorrise, mentre l’altro gli asciugava una lacrima solitaria che gli solcava la guancia candida. Lo aiutò a rialzarsi, conducendolo di nuovo tra le rovine. Si sedettero uno di fianco all’altro, le schiene appoggiate alle pareti incrostate di cenere.
-Posso stare con te? – chiese Key, posando il capo sulla spalla dell’altro.
Stai con me per sempre, pensò Jonghyun. Gli cinse le spalle con un braccio.
-Sì – rispose, la voce leggermente roca.
Key si accoccolò tra le sue braccia e il maggiore respirò il profumo dolce che aleggiava intorno a lui.
-Resto. –
-Certo. –
Key sorrise, alzando lo sguardo. –Non qui, ora. Resto. Non prenderò quella nave. –
Tornò ad affondare il volto sotto il collo dell’altro e abbassò le palpebre. Per quanto poche ore restassero prima dell’alba, lui avrebbe dormito. Non potevano esserci incubi a turbare il suo sonno.
Jonghyun avrebbe voluto piangere o ridere. Quel filo che lo tirava, quello strano magnetismo, lo percepiva nell’aria che respirava e tra la chioma corvina di Key. Lo strinse più forte. Non sarebbe volato via. Non quella notte.

***

Sorse un’alba rosata che infranse il grigiore del giorno e della notte precedenti. La rugiada bagnava l’erba verdeggiante adornandola di luci. Kibum si liberò dell’abbraccio di un Jonghyun ancora dormiente. Anche gli altri dormivano, accarezzati dalla leggera brezza mattutina. Raggiunse Jinki, addormentato sulla sua sacca da viaggio e seppellito sotto il mantello; gli picchietto il dito su quella che doveva essere la sua spalla. Il volto assonato del Leader fece capolino emettendo un sonoro sbadiglio. Si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi incrostati dal sonno.
-Riportami indietro – disse Key.
Lo sguardo di Jinki si fece vigile e abbandonando ogni traccia di stanchezza s’alzò, fronteggiando l’altro, scrutandolo palmo a palmo.
-Riportami al Rifugio – insistette l’altro.
-Perché? – chiese Jinki, trattenendo un leggero sorriso compiaciuto.
-Lo sai perché. Era il tuo piano fin dall’inizio, vero? –
Era vero. Il Leader dei Ribelli voleva quello, era il suo piano. Semplice e lacerante.
-Non hai mai voluto lasciarmi andare, volevi che cedessi, che sentissi il bisogno di restare. Hai vinto Jinki, ma non lo sto facendo per te, per il Leader dei Ribelli. Io voglio combattere per Chosun, non essere usato da te. -
Key fece spaziare lo sguardo all’intorno. Le colline silenti, le pietre accatastate dal profilo sconnesso appena delineato dalla luce rosa e oro del mattino. In lontananza il villaggio abbandonato di Gwangmyeong, dimora di fantasmi dimenticati. E poi a nord, dove Jonghyun aveva indicato la miniera un giorno addietro, giù verso il fiume dove scorrevano cadaveri senza nome e senza voce. Le cupole dorate di Soul erano lontane, ormai, ma lui aveva l’impressione d’intravedere il loro riverbero al sole.
–Mi chiedi perché? Perché non voglio tutto questo, non voglio ciò che mi hai costretto a guardare.  E perché ha ucciso mia madre. –
Jinki corrugò la fronte. Questo non se lo aspettava e la cosa lo turbava non poco. Il Leader dei Ribelli voleva un principe consapevole del mondo, non un ragazzino in cerca di vendetta. Incrociò le braccia.
-E’ vendetta? – chiese.
Key rise, sprezzante. – Non ho odio o vendetta da sprecare per quell’uomo. Lascia che sia solo Key, che diventi un Ribelle. –
Jinki sorrise. Qualunque nome avesse usato sarebbe rimasto l’erede al trono di Chosun e lui non voleva cambiarlo, era per quello che il Leader lo desiderava con tutto sé stesso. Che scegliesse il nome che preferiva, lui, Lee Jinki, avrebbe avuto la chiave per vincere la sua battaglia.
-E’ quello che vuoi? –
Jinki doveva saperlo. Poteva leggerlo negli occhi sottili dell’altro: Kibum non era più il peso morto di soli pochi giorni prima, il bambino spaventato che aveva accolto al di là di ogni buon senso. Delle ombre che sino ad allora avevano aleggiato cupe intorno a lui non c’era più traccia. Si erano dissolte, fuggite come la notte al sorgere del giorno. Ma doveva saperlo, dove udire quelle parole con le sue stesse orecchie.
-E’ quello che desidero. –
Parole ferme, sicure, di chi ormai sa cosa vuole. Di chi si è lasciato le ombre alle spalle, le ha combattute ed ha vinto. Solo una incombeva ancora ambigua sul suo capo, ma sarebbe giunto il momento opportuno per affrontarla.
Key si voltò verso le colline verdeggianti baciate dall’alba. Il fiume, che il giorno prima gli era parso così tetro, ora luccicava al sole, simile ad un drago dorato evocato da antichi canti accompagnati da note acute.
 – Voglio più luce. –
Jinki sorrise, l’alba era davvero luminosa quel giorno. Finalmente aveva la regina per fare scacco matto al re.


 
 
Spero che il capitolo sia piaciuto e soprattutto che sia stato comprensibile nella parte più introspettiva. Se avete bisogno di chiarimenti sono disponibile!
Preannuncio che i prossimi capitoli saranno interamente incentrati sulla JongKey <3
Alla prossima!
 
 
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[1] Antico nome di Incheon all’epoca della sua fondazione, 1888. Per fare chiarezza ricordo che ci troviamo in una Corea alternativa: nomi e caratteristiche delle città nominate sono ripresi dalla realtà, altri modificati per necessità di trama.
[2] Corrisponde alla Cina.
[3] Corrisponde al Giappone.
[4] Strumento tradizionale coreano a più corde simile ad un’arpa.
[5] Territorio governato dalla famiglia Lee. Dopo la distruzione ad opera dell’imperatore il palazzo è stato abbandonato. A sud di Soul. 
   
 
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