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Autore: Vago    30/09/2016    1 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Vista dal cielo, la distesa del mare pareva una tavola piatta.
Le ali dei compagni si gonfiavano, riempite dal vento che pareva volerli sospingere verso le Terre.

Bastarono quattro ore ai sei assassini per raggiungere il porto di Norua, la città dalla quale si erano imbarcati per finire in trappola. Accanto alla banchina riposava, ondeggiando dolcemente, un’enorme nave dallo scafo scintillante, persino dall’altezza a cui si trovava, Hile poté riconoscere tre alte ciminiere ergersi dal ponte superiore.
Poco oltre, si stupirono nel veder sollevarsi da terra una struttura ovale. Giunto a un centinaio di metri dal suolo, il pallone si fermò, ancorato al terreno da poche funi tese.
Nessuno parve notare le tre figure sorvolare la città fortificata.
Avevano deciso di tornare alla setta. In quel momento non avevano idea di quanto tempo fosse passato, di quante cose fossero cambiate e di cosa, adesso, dovessero fare.

Da quando l’Ordine è morto non avrei mai pensato di avere di nuovo l’onore di alloggiare tra le squame di un drago. Quasi mi mancava il senso di oppressione che provoca.
Ma non credo che questo vi interessi.
Piuttosto, mentre questi ragazzini sono rimasti rinchiusi in una caverna, il mondo qui fuori ha fatto passi da gigante, seriamente. Per me hanno puntato un po’ troppo sul vapore, ma questa è una scelta loro.

Le tre ombre sorvolarono la distesa della piana umana, toccando le colline coperte dai grappoli d’uva non ancora maturi, per infine posarsi sul profilo frastagliato dei Monti Muraglia.
Nonostante, giunta l’ottava ora di volo ininterrotto, le velocità dell’aquila e del drago cominciarono a scemare, i due compagni non accennarono neppure al volersi fermare, continuando il loro viaggio in direzione della cima mozza del Flentu Gar.

Le zampe si posarono pesantemente sul terreno sassoso.
Nulla era cambiato da quando se ne erano andati. Il Palazzo del Mezzogiorno continuava ad essere il fantasma di quello che fu, sotto il peso della sua storia e della cupola dorata che con il tempo si era opacizzata, mentre la struttura gemella si innalza verso il cielo protetta dalle mura scure che ne delimitavano il confine. Opposti a questi, riposavano solo i ruderi delle poche case costruite in quel posto inospitale e, dietro a queste, come un gigantesco scheletro bianco, i resti candidi del palazzo che ospitò il governo di quella terra centrale.
I sei compagni si accucciarono tra le macerie delle case, lontani dagli sguardi di chiunque, e da lì non vollero muoversi.
Hile guardò con un moto di ribrezzo l’alto portone che rappresentava l’unico accesso, in quelle mura impenetrabili. Non avrebbe mai creduto possibile di volere di proposito entrare di nuovo in quella struttura.
Il gruppo si avvicinò a quell'ingresso lentamente.
La sicurezza che li aveva accompagnati nei cieli fino a quel momento sembrò essere svanita nell’aria non appena quel gigante scuro tornò a gettare la sua ombra sul loro cammino.
Mea si fece largo tra i suoi compagni senza aprir bocca, piazzandosi dritta davanti al legno scuro e consumato dagli anni del portone e fissandolo con aria di sfida. Le nocche della mezzelfa si posarono quattro volte su quella superficie, si presero quindi una pausa per poi tornare a battere per sei volte.
Un silenzio teso fu l’unica cosa che seguì quel gesto.
Hile spostò il peso sulla gamba destra, per poi passarlo alla sinistra, mentre il suo sguardo restava fisso sulla scena di fronte a lui.
Quello era il codice per il rientro di una squadra, lo era sempre stato da quando la setta fu costruita, dall’altra parte delle mura due assassini di guardia avrebbero dovuto rispondere e aprire il passaggio.
Il Corvo riprovò nuovamente, questa volta battendo più forte sulla superficie rovinata.
Quattro, pausa, sei.
Ancora nessuna risposta dall’interno.
Hile si mise istintivamente sull’attenti, mentre il suo udito sondava l’ambiente circostante. Un fruscio sulle pietre attirò la sua attenzione, per poi essere seguito da un sibilo.
Il Lupo si volto di scatto, mettendo in allerta i suoi compagni.
Gli occhi del lanciatore di coltelli videro appena uno scintilli metallico proveniente da una delle piccole finestre di un rudere poco distante, prima che la falce argentea tracciata da una delle spade di Nirghe si frapponesse tra il suo sguardo e una lama che si stava avvicinando velocemente.
Il coltello cadde sul terreno brullo tintinnando.
- Deve essere un problema di tutti i Lupi, quello di lanciare coltelli contro il portone quando c’è qualcuno davanti. – disse ironico il Gatto abbassando la spada.
- Passami un attimo quella lama. – gli rispose Hile ignorando la provocazione.
Il lanciatore di coltelli si rigirò la lama tra le mani, saggiandone il filo e le forme. Non ne aveva mai visto uno forgiato in quella maniera. La base era la stessa che utilizzava lui, ma il materiale era talmente leggero da sembrare legno. Il polpastrello dell’assassino passò più volte sul filo, facendone cantare l’affilatura, soffermandosi sull’incisione che riportava una zampa artigliata rinchiusa in un esagono regolare, il segno dei suoi fratelli.
Con un movimento repentino lanciò il coltello in direzione della finestra dalla quale aveva visto lo scintillio.
Non ne seguì nessun rumore, nessun tintinnio, nessun clangore di ferro contro pietra.
Passarono due secondi, poi la lama di nuovo tornò a volare in direzione di Hile.
Il Lupo lo riafferrò tra le dita sicure.
Non poteva passare il pomeriggio a giocare con un altro lanciatore.
Rispedì al mittente il coltello, facendone seguire uno dei propri.
Di nuovo nessun rumore giunse il risposta.
Hile ritornò sull’attenti, sondando l’aria con l’udito in attesa di un segnale.
Dei tonfi leggeri, accompagnati dal rotolare del pietrisco sulla terra, si mossero, avvicinandosi al gruppo.
Un uomo comparve da dietro il muro in pietra diroccato, addosso portava la pelliccia sintetica grigia, simbolo della setta del lupo, il capo era coperto dal cappuccio, mentre nelle mani guantate stringeva i due coltelli.
- È il momento di capire qualcosa in più. – disse Mea camminando verso l’assassino che le veniva incontro.
- Renèz. – borbottò Hile.
Il coltello lasciò la mano sinistra del Lupo, tornando dal suo proprietario.
- C’è un mago tra di voi? – chiese l’uomo raggiungendo Mea. – O, meglio, chi siete? Tutti voi. Non sono molte le parsone che vengono in questa Terra, specialmente portandosi dietro un mago e un lanciatore di coltelli. –
- Siamo assassini. – gli rispose Mea guardandolo freddamente con gli occhi viola – No, siamo adepti della setta. Vorremmo sapere perché nessuno ha intenzione di aprirci il portone. –
- Non credo che voi siate davvero assassini. – gli rispose il Lupo mettendo via la lama che ancora stingeva tra le dita.
- Perché non lo dovremmo essere? – gli chiese Mea con aria di sfida.
- Perché non ci sono missioni attualmente in corso. E perché non c’è più nessuno ad aprire quel portone dall’interno da almeno quattro anni. –
- Come potremmo entrare, allora? – continuò la maga.
- Sentite, non vi ho ancora ucciso perché mi incuriosite, ma non crediate che vi dirò come accedere al palazzo… o come lasciare questa vetta da vivi. –
Hile si spazientì a quelle parole.
- Ascolta, fratello. Noi siamo adepti, te lo giuro sul mio tatuaggio. – Il lanciatore di coltelli si arrotolò la manica per mettere in mostra il proprio marchio.
- Splendida copia, è fatta proprio bene, te lo concedo. Ma non posso credervi comunque. La setta tiene nota di tutti gli assassini in uscita, e al momento non ce ne sono. Già mi stupisce che siate venuti a conoscenza della nostra esistenza e dell’esistenza di questo posto, ma vi consiglio di non mettere a prova la mia pazienza. -
- Ascoltami, farò qualsiasi cosa per provarti che non ti stiamo mentendo. – riprese Hile esasperato. Fiutava nei suoi compagni un profondo disagio, per un attimo anche Nirghe parve abbandonare il suo stato dormiente, facendo accelerare il battito del suo cuore e permettendo a una goccia di sudore di comparire sul suo collo.
- Ditemi quando siete partiti. – lo sfidò il Lupo.
- Noi… maledizione! Non lo so. Abbiamo avuto dei problemi durante… -
- Basta. – lo interruppe l’uomo estraendo tre coltelli dalle tasche. – Smetti di parlare. E non mi interessa se sei stato addestrato da un Lupo o da cos’altro. Io sto solo eseguendo il mio compito. –
La spada di Nirghe si frappose tra le lame e il volto di Mea, che era sbiancata improvvisamente.
- Renèz. Maledizione, Renèz. Quando ero ragazzo, c’era una ragazza di nome Renèz tra i Lupi. È grazie al suo sangue che trovarono la cura alla sua malattia! –
La pressione dei coltelli sul piatto della spada si allentò, per poi sparire.
- Come fai a conoscere quel nome? –
- Lo conosco perché sono un Lupo! Il mio nome è Hile e sono stato iniziato alla dea Oscurità quando avevo otto anni. –
- Non è possibile. Non c’è nessun Hile nella setta. –
- C’è stato un Hile. Sono dovuto partire, a quanto pare, più di quattro anni fa, ma sono ancora un Lupo. –
- Però non puoi essere tu quell’Hile. –
- Perché non dovrei essere io? –
- Perché lo conoscevo. E tu non puoi essere lui. – l’uomo si tolse il cappuccio, rivelando i capelli chiari.
Il cuore del Lupo perse un colpo.
- Sei Rayn, vero? Hai una cicatrice su un polpastrello della mano destra. –
L’uomo rimase per un momento allibito, incapace di proferire parola. Poi gettò le braccia al collo dell’assassino, stringendolo in un abbraccio.
- Non credevo che ti avrei ancora rivisto. – gli disse l’uomo senza sciogliere quel contatto.
Hile restituì la stretta, poi si scostò un poco.
- Potremo parlare, più avanti. Ma ora abbiamo bisogno di parlare con l’Alfa. –
- Si, capisco. Scusatemi tutti per prima. – Rayn si fece largo nel gruppo, dirigendosi a passo deciso verso il portone.
La mano guantata si posò su una delle pietre che costituivano il montante della porta, spingendola all’interno della muraglia.
Con un clangore metallico il pesante battente si aprì a sufficienza per far passare una persona.
- Vai. - Disse il Lupo ad Hile. - L’Alfa non si è spostato. Tra un’ora finirò il mio turno di guardia, potremmo vederci, dopo. –
- Si, certo. – gli rispose l’assassino, per poi fermarsi su quella soglia. – Solo una cosa, Rayn. Tu ora sei un… Ringhiante, vero? –
- Si. Ma mancano solamente quattro anni perché diventi un Beta. –
- Quindi sono stato via otto anni. Più o meno. – bofonchiò Hile attraversando quel portale.
Due imponenti cilindri metallici chiusero il battente alle loro spalle.
All’interno di quelle mura nulla sembrava essere cambiato. Né il piazzale, né l’ingresso scuro sul quale svettava la chiave di volta gialla che aveva sancito il loro destino.
Gli scalini si susseguivano uno dopo l’altro, infiniti.
Ritmicamente, nelle pareti, comparivano gli ingressi per le diverse ali del palazzo.
Ad Hile, per un momento, parve di essere tornato indietro nel tempo, quando ancora era uno Spellicciato come gli altri, dentro quella struttura.
Il gruppo salì in silenzio fino all’ultimo piano, dove li accolse il grande specchio a muro che aveva visto passare decine di assassini di fronte a lui.
Il Lupo guardò per un attimo il suo riflesso, stentando a riconoscersi. In quella cornice dorata, a guardarlo, c’era un volto abbronzato e magro, incorniciato da una chioma di neri capelli sporchi e da corta barba incolta. La cicatrice sotto l’occhio desto quasi non si riusciva a riconoscere.
I pensieri del ragazzo vennero interrotti da due colpi secchi sulla porta che si apriva sul muro di fronte.
- Abbiamo venticinque anni, ora. – ragionò Hile ad alta voce.
I suoi compagni non dissero nulla, ma un velo di inquietudine coprì gli assassini.
La porta dell’ufficio si aprì, rivelando l’uomo che vi stava dietro. Il direttore della setta indossava un completo scuro. I corti capelli neri si erano ingrigiti, ma gli occhi grigi erano rimasti immutati su quel volto.
Il direttore rimase per un momento interdetto.
- Voi… siete i sei prescelti, vero? –
- Si. – gli rispose seccamente Mea. – Siamo noi. –
- Entrate, per favore. Ne avrete di cose da dire. –

Che posto opprimente questo palazzo. È come se queste mura avessero assorbito tutto il male di questi ultimi anni e ora ne fossero sature.
So che per voi, esseri tridimensionali, è difficile capire cosa ho appena detto. Provo a farvela semplice. Immaginate queste pareti fatte di spugna. Bene, voi potete rovesciarci dentro dell’acqua, e per un po’ le pareti saranno in grado di assorbirne, poi, ad un certo punto, non potranno più contenerne e l’interno della struttura si allagherà di acqua stagnante.
Più o meno è così che funziona, solo trasportato in cinque dimensioni e un pezzo della sesta.

Keria raccontò per filo e per segno ogni passo che avevano compiuto nel loro viaggio.
Il direttore, finita la spiegazione, rimase in silenzio, guardando con uno sguardo nuovo i sei assassini che si trovava di fronte.
- Quindi siete rimasti rinchiusi in una grotta per circa sei anni… - il direttore interruppe il suo discorso per un momento. – Sarà il caso che vi aggiorni su cosa è successo negli ultimi tempi. Nelle Chiritai hanno prodotto una polvere esplosiva, ma finora non siamo ancora riusciti a produrne qualcosa di utilizzabile in maniera sicura. In compenso, le macchine a vapore stanno facendo passi da gigante. Ma questo non penso vi interessi. Immagino non sappiate della grande migrazione. –
La risposta fu una scossa di capo.
- Vedete, cinque anni fa, inspiegabilmente, il Gran Visir dell’Oasi ha deciso di spostare la popolazione, andando ad edificare una nuova città sotto il Gorgo del Leviatano. Da allora non abbiamo notizia della razza dei Budnear. Poco più di sei mesi dopo le fate abbandonarono i loro nidi, preferendo trasferirsi all’ombra della Grande Vivente. Bande di nani e umani si sono fatte sempre più pericolose e presenti, costringendo anche noi ad adottare misure di sicurezza più serrate. Infine, tre anni fa, la lega dei piccoli popoli ha abbandonato la Piana Infinita per spostarsi nel pianoro a ovest, quindi ora il versante orientale delle Terre è disabitato, per quanto ne sappiamo. –
- Perché c’è stato tutto questo movimento? – chiese Mea corrucciando la fronte.
- Non lo sappiamo con esattezza, ma, secondo quello che ci hanno riferito, una specie di cappa oppressiva si sta spandendo dal Deserto Rosso. –
- Quindi è lì che il demone si sta nascondendo. – disse Nirghe.
- Forse. Però questo ci porta a una nostra scoperta interessante. Tra i rapporti degli incontri governativi nella Terra degli Eroi e tra alcuni scritti dei Sei che siamo riusciti a recuperare delle informazioni. I draghi e l’Ordina lavorarono per un periodo assieme per creare un’arma contro un’eventuale ritorno del demone. Il problema è che non ho trovato altro su questo progetto se non il nome che gli diedero: Progetto Giara. Ho avuto modo di discuterne con i draghi, ma ultimamente non ricevo più notizie da loro. –
- Quindi dovremmo tornare sull’Isola dei Draghi? – chiese Keria dubbiosa.
- Non saprei dove altro indirizzarvi, in questo momento. Se voi siete d’accordo, posso provare a chiedere un passaggio per voi. Ovviamente fino ad allora potrete usufruire delle stanze di questo palazzo e vi fornirò degli abiti nuovi, credo che questi abbiano fatto strada a sufficienza. –
Il direttore prese una bacchetta dalla sua scrivania e la batté contro un piccolo gong dorato, riempiendo la stanza del suo suono.
- Avanti, permettetemi di mostrarvi dove potrete dormire questa notte. Sono sicuro che un letto vi farà piacere, dopo tanto viaggiare. –

Ho capito. Mi metto in viaggio.
Questo sarà un altro dei capitoli della mia vita da piazzare nel grande raccoglitore “Cose che detesto fare”.
Prima o poi me la pagheranno, tutti Loro. Quella sarà la prima volta che mi sporcherò le mani di sangue di mia volontà.

Hile uscì dalla struttura un’ora dopo, guardando il sole morire oltre il bordo del muro che si allungava tutto intorno a lui.
Una figura lo raggiunse, affiancandolo.
- Hai voglia di raccontarmi qualcosa del tuo viaggio? – gli chiese Rayn guardandolo con un sorriso accennato sulle labbra.
- Certo. Possiamo intanto incamminarci verso il cimitero? –
- Va bene. Senz’altro. –

Hile si fermò davanti a una piccola lapide in pietra, interrompendo il suo racconto al loro ritorno dal continente.
- Vuoi che ti lasci un attimo solo? – chiese Rayn serio.
- No. Non voglio starci molto. –
L’ombra si materializzò su una lapide vicina, guardando in disparte la scena.
Il Lupo passò un dito sulle incisioni che solcavano la pietra, pulendole dalla vegetazione e dallo sporco che si era sedimentato.
Il simbolo dei Lupi copriva la maggior parte della superficie, poco sopra di questo, in lettere semplici, era stata inciso il nome “Renèz”.
Hile passò un ultima volta le dita su quel nome, cercando di riportare alla mente quei pochi ricordi che possedeva della ragazza che giaceva sotto di lui.
Il Lupo estrasse il coltello che gli era stato regalato, guardando il riflesso dei propri occhi nel metallo.
- Sai. – disse infine rompendo il silenzio. – Ultimamente ci ho pensato parecchio e… credo sia arrivato il momento di lasciarla andare. –
Hile scavò un piccolo buco nel terreno alla base della lapide, seppellendoci dentro il coltello.
- Bene, andiamo? – chiese infine il lanciatore di coltelli all’amico d’infanzia, rimettendosi in piedi e voltandosi verso quel viso familiare.

   
 
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