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Autore: nikita82roma    30/09/2016    2 recensioni
La storia ricomincia qualche giorno dopo la fine degli eventi di The Memory Remains. Sembrava che l'azione congiunta di Gibbs e di Noah avesse portato tranquillità nella vita di Ziva e Tony ed invece non sarà così. Qualcuno, ancora una volta, tornerà dal passato perchè vuole una cosa che Ziva conosce molto bene: Vendetta. Si salveranno da soli o avranno bisogno di un aiuto inaspettato? Ma nel loro passato ci sono altre cose ancora rimaste in sospeso e arriveranno tutte a turbare una serenità che si illudevano di aver raggiunto, aprendo vecchie ferite e procurandole nuove, ma soprattutto obbligandoli a fare i conti con se stessi e le proprie paure e con la propria capacità di sopportare il dolore fisico e mentale. Long TIVA
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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I've walked and I've crawled on six crooked highways,
I've stepped in the middle of seven sad forests,
I've been out in front of a dozen dead oceans,
I've been ten thousand miles in the mouth of a graveyard,

 

 

Non ricordavo nulla di quello che era successo dopo aver visto quel video in quella stanza. Avevo solo la testa che mi faceva molto male e mi sentivo sobbalzare. Era tutto buio, respiravo a fatica con quel pesante cappuccio sulla testa, le mani ed i piedi legati. Provai ad ascoltare i rumori e a tastare per quel che potevo l’ambiente circostante appena fui più lucido. Ero su un furgone o qualcosa di simile e percorrevamo una strada sicuramente non asfaltata, isolata. Non stavamo procedendo molto velocemente e non si sentivano rumori di altre vetture. Potevamo essere in campagna, su una strada di montagna o non so dove. Mi sentii scivolare verso il retro del veicolo, segno che la strada cominciava a salire e continuammo così per un po’, ma ormai dopo giorni e giorni avevo cominciato a perdere la reale cognizione del tempo. Ci fermammo e dopo poco sentii una porta scorrevole aprirsi, due uomini salire e prendermi uno per braccio tirandomi fuori da lì con pochi riguardi. Mi trascinarono per qualche metro, poi mi lasciarono a terra. Sentii uno avvicinarsi a me ed un rumore difficile da dimenticare, il sibilo di un pugnale estratto dal suo fodero. Mi tolse il cappuccio, per guardarmi negli occhi che continuai a tenere chiusi temendo la luce che però non c’era. Era notte e c’era la luna piena. Eravamo sulla sommità di un bosco, in una radura che probabilmente nella bella stagione serviva per gli escursionisti per piantare le tede ed accamparsi. Era un bel posto, con gli alberi alti rischiarati dal bagliore della luna e si sentiva non troppo lontano lo scorrere di un ruscello. L’uomo aveva il pugnale in mano e mi fissava: cercai i suoi occhi, l’unica cosa visibile del suo volto e lo guardai anche io. Non pensavo più a niente. Non volevo pensare a niente, volevo solo che lo facesse il più velocemente possibile per non darmi modo di pensare più. Alzò il pugnale in aria e poi lo conficcò a terra a poca distanza da me.
Lo guardai perplesso, lui rise di gusto.
- Agente DiNozzo, gliel’ho detto. Non vogliamo farle del male.
Fece un cenno agli altri due che erano con lui e risalirono sul furgone lasciandomi lì. 

 

—————————

 

- Signore il prigioniero è stato liberato.
- Degas, eravamo d’accordo. Doveva morire.
- Non è stato possibile, signore. Non è dipeso dalla nostra volontà. È libero adesso.
- Questo è un problema e cambia tutti i nostri piani. È stato tutto inutile. Ti avevo detto che era l’unica soluzione, maledizione!
Sbattei i pugni sul tavolo. Frustrazione e senso di impotenza si impossessarono di me. Era un piano che credevo perfetto. Con il minimo sacrificio avrei risolto un problema molto più grande, ma non avevo valutato i fattori esterni che potevano intervenire. Avevo sbagliato ad aver lasciato tutto in mano ad altri, a mettere in mezzo altre organizzazioni. Queste erano cose che dovevano essere risolte rapidamente ed in silenzio. Avevamo perso la nostra occasione senza sapere quando se ne sarebbe presentata un’altra.

 

—————————

 

 

Tel Aviv - Due giorni dopo

 

Tre colpi alla porta interruppero la mia visione, per l’ennesima volta, di Arlo con Nathan. L’unica cosa che trovavo positiva in quella situazione era il tempo che potevo passare con lui. Come ai vecchi tempi, appunto. Lui ne sembrava altrettanto entusiasta, anche se non capiva ancora come mai non potessi giocare con lui come lui voleva e provavo a spiegargli che era perché dentro la mia pancia c’era la sua sorellina, ma lui non sembrava molto felice della spiegazione, si limitava a dire, allora, che doveva sbrigarsi ad uscire, così noi potevamo di nuovo giocare insieme come avevamo sempre fatto. Lo diceva così serio che mi strappava sempre una risata, però gli dicevo che non dovevamo avere fretta, perché la sua sorellina aveva bisogno di tempo per crescere e stare bene, ma lui comunque non era molto convinto.
Lo lasciai sul divano davanti alla tv mentre continuava a seguire le avventure del dinosauro e del suo amico ed andai ad aprire alla porta.
- Shalom Ziva…
- Ciao Davi, come mai sei qui a quest’ora? - Gli chiesi senza nascondere un certo fastidio poi gli lasciai spazio e lui spinse la sua carrozzina dentro casa.
- Dove possiamo parlare? - Non sembrava particolarmente preoccupato, ma di certo era serio. Guardai Nathan preso dalla tv e gli dissi di seguirmi in cucina.
Mi appoggiai al tavolo osservandolo dall’alto in basso. Non volevo metterlo a disagio ma non riuscivo a stare seduta a conversare come se nulla fosse, la sua non era una visita di cortesia e sicuramente doveva comunicarmi qualcosa di importante.
- Abbiamo catturato Rivkin due giorni fa.
La notizia doveva essere rassicurante, ma il suo sguardo diceva altro.
- Perché me lo dici solo adesso?
- Perché non tutto è andato come doveva. - Davi muoveva nervosamente le mani lungo le ruote della sua sedia e guardava verso il basso. Era a disagio, era palese.
- Cosa vuol dire questo Davi? Cosa è successo?
- Quando il governo ha saputo della sua cattura lo ha preso in custodia.
- Da quando il Mossad si fa sfilare prigionieri dalle mani? - Chiesi sarcastica
- Da quando è il Capo di Stato Maggiore Generale che lo chiede. Hanno fatto un accordo. Rivkin gli ha dato i nomi delle organizzazioni che stava aiutando con la compravendita delle armi ed in cambio lo hanno lasciato libero.
- Come fanno a sapere che non mentiva?
- Perché ieri mattina due gruppi speciali hanno seguito le sue indicazioni ed hanno annientato due gruppi che stavano progettando degli attentati contro Israele. Hanno ritenuto le sue informazioni valide. Abbiamo le mani legate Ziva. Non possiamo fare altro contro di lui a meno che non farà un’altra mossa. Sai questo cosa significa, vero?
- Che non ha più senso che io stia qui.
- No, che qui sei al sicuro. Perché Rivkin è già tornato negli USA.
- Allora lo seguirò. Non posso vivere così per sempre, prigioniera nel mio paese, senza sapere cosa ne è di mio marito. Organizza per il mio ritorno a Washington Davi, almeno questo lo puoi fare?
- Certo, Ziva, ma ne sei sicura?
- Sicurissima.
- Come vuoi. Dammi un paio di giorni.

 

—————————

 

Washington

 

- Non dovresti essere qui Di Nozzo.
- Stare in quella casa non mi fa stare meglio, ha detto anche il medico che sto bene, quindi non vedo perché non poter stare a lavoro.

Ed in effetti era così, stavo bene, almeno fisicamente, a parte qualche taglio sui polsi che mi ero fatto per cercare di tagliare le corde con quel pugnale. Non ci avevo messo molto a liberarmi e poi a correre via, per quel sentiero nemmeno troppo impervio. Raggiunta la strada principale camminai per un po’, fino a raggiungere una stazione di servizio dove convinsi un troppo reticente guardiano notturno a farmi telefonare a Gibbs. Gli spiegò la mia posizione e dopo qualche ora vennero a prendermi. Non ero lontano da Washington ma non potevo dire se ero stato nei paraggi tutto il tempo oppure solo nelle ultime ore. Guardai il calendario cercando di capire che giorno fosse e quanto tempo era passato da quando mi avevano rapito. 4 novembre. Chiesi se quel calendario era giusto e l’uomo mi disse che in realtà era indietro di un paio di giorni. Era il 6 novembre. Era più di quanto pensassi. 
Gibbs venne di persona, insieme a Vance e agli altri. Insistettero per portarmi in ospedale per farmi controllare le ferite, niente che non sarebbe guarito con qualche fasciatura e un paio di punti. Volevano tenermi in osservazione, ma firmai e mi feci accompagnare a casa da Gibbs, avevo bisogno di parlare da solo con lui, per un po’. Gli chiesi di Ziva e lui mi disse di quanto aveva fatto per cercare di scoprire qualcosa, fino a quando non si era lasciata convincere, per la sua sicurezza, ad andare in Israele. Gli raccontai del video che mi avevano fatto vedere e questo stupì molto Gibbs, così come il trattamento ricevuto ed il fatto che nessuno aveva fatto niente per arrivare alla mia liberazione, loro non avevano idea di dove fossi, quindi non erano state le loro indagini a favorire il mio rilascio. “È un bene che Ziva sia in Israele, adesso. Credo che per lei sia più sicuro così” Dissi a Gibbs prima che mi lasciasse davanti al portone. “Non le dire nulla, per adesso. È meglio se rimane lì”. Gibbs annuì, anche lui la pensava come me. Non potevo essere egoista, non adesso, non ancora.

Gibbs mi fece segno di seguirlo in un’altra stanza. Dopo tutto quello che era successo leggevo chiaramente nella sua faccia una mancanza di fiducia nelle persone che erano intorno a noi e sapevo quanto faceva male tutta quella situazione a Gibbs, per lui non potersi fidare dei suoi uomini era la peggiore delle cose possibili. C’erano state troppe novità in concomitanza con quanto accaduto e sapevo che lui non credeva alle coincidenze. Si assicurò che nessuno potesse sentirci, poi mi fece sedere da una parte del tavolo e si mise dall’altra parte.
- Se qualcuno entra, ti sto chiedendo del tuo rapimento.
- Ok Capo.
- Ho parlato con Fornell, nemmeno loro ne sanno nulla. Non gli risulta alcun tipo di indagine che possa in qualche modo condurre al tuo sequestro.
- Non ne dubitavo. Con Cooleman hai parlato?
- Dice che non ne sa niente, non si è accorto di quanto è accaduto, stessa versione di Glover.
- Non J.D. Cooleman. L’altra persona.
- Perché dici questo Tony? Hai qualche idea?
- Ho pensato molto capo in questi giorni, non che avessi molto altro da fare. E tutto è cominciato da lì. Le sue richieste, le sue indagini, i suoi suggerimenti.
- Ci ha manovrati! - Sbottò Gibbs sbattendo violentemente le mani sul tavolo facendolo tremare. - Perché non ci ho pensato prima
- Perché forse era troppo facile. Lo dici anche tu che le cose che sono sotto i nostri occhi sono quelle che notiamo di meno. Non sarebbe la prima volta che ci usano come burattini…
- Maledizione! - Imprecò ancora.
- Sai che se ho ragione non lo sapremo mai. Piuttosto capo, non ti pare strano che J.D. ha casualmente lo stesso cognome? Non potrebbe essere…
- Ho controllato Tony, e… ha controllato anche Ziva. Non ci sono riscontri di nessun tipo. Abby mi ha detto che Ziva gli ha segretamente portato anche un campione di DNA per vedere se avesse collegamenti con qualcuno, non si fidava di lui. Non ha trovato nessun legame, quindi no, lo escludo.
- Ok… però è una strana coincidenza…
- Lo è, ma a quanto pare è solo quello.

 

—————————

 

Fu difficile spiegare a Nathan di dover andare via di nuovo, cambiare ancora città. Tornare a casa. Non ne voleva sapere, casa era quella per lui, non Washington.
Non riuscii a fare molto per alleviare la sua disperazione nel dover fare un’altra traversata oceanica e ritornare in quella città che per lui era diventata fredda e ostile. Aveva urlato che non c’era niente che gli piaceva e in un momento di particolare frustrazione svelò anche il motivo per cui non gli piaceva più stare lì: non c’era più papà. Nathan aveva associato Washington a Tony, era stato quello, fin dall’inizio il motivo per il quale gli avevo spiegato che stavamo lì, perché eravamo una famiglia, io lui ed il suo papà e lui aveva accettato la cosa alla fine con relativa facilità e dopo un momento di iniziale difficoltà con Tony era andato tutto fin troppo bene: adorava suo padre e lui adorava Nathan. Poi tutto era precipitato così velocemente da non accorgermi fino in fondo quanto lui soffrisse la sua mancanza, quanto avesse perso i punti di riferimento e si sentisse sballottato da una parte all’altra del mondo, solo secondo le nostre necessità, pensando di fare il meglio per lui, ma in realtà ignorando il suo bisogno primario di stabilità che nell’ultimo anno non aveva mai avuto. Così man mano si era fatto una sorta di negazione, come se quell’anno non fosse mai esistito, come se fossimo sempre io e lui, come un anno prima ed ora tornare a Washington gli stava riportando alla mente tutto quello che aveva passato: la nostra separazione, la conoscenza e poi la separazione di nuovo dal padre, l’arrivo di una sorella prima voluta ed ora vista quasi come una nemica che gli toglie già da prima della sua nascita le mie attenzioni. Era troppo per un bambino così piccolo che era stato sovraesposto ad un carico emotivo troppo grande da sopportare. 
Lo abbracciai tenendolo stretto, avrei voluto promettergli tante cose, che non ci saremmo mai separati, che suo padre sarebbe tornato presto, che sarebbe stato felice. Non riuscii a dirgli nulla, perché non sapevo nemmeno io cosa sarebbe successo. Salimmo in aereo, quel volo privato, promisi a me stessa, sarebbe stato l’ultimo regalo che avrei mai accettato dal Mossad. Nathan si addormentò esausto per quanto aveva pianto e solo allora mi lasciai andare anche io.

Il freddo i Washington era pungente già in quei primi giorni di novembre e l’aria fredda appena scese le scalette dell’aereo mi investì risvegliando i sensi dopo il lungo volo. Nathan non disse una parola fino a quando non arrivammo a casa. Vidi la sua delusione nel trovarla ancora vuota e si trascinò fino alla sua camera mettendosi a giocare sul tappeto con le sue costruzioni, lì dove tante volte passava le serate con Tony, ma lo vidi entrare poco dopo nella mia stanza, mentre ancora stavo aprendo i nostri bagagli: aveva gli occhi lucidi e tirava dietro di se uno degli enormi peluche dei dinosauri che Tony gli aveva preso in quei mesi. Lasciai stare le valige, presi mio figlio e ci mettemmo nel mio letto insieme. Si addormentò non senza fatica, mentre io passai tutta la notte sveglia, colpa del jet lag, ma soprattutto della paura di non sapere, realmente, cosa fare. E intanto fuori la pioggia scendeva a coprire il rumore delle lacrime.

 

 

NOTA: Un altro capitolo un po’ interlocutorio. Però siamo ritornati ad una situazione quasi normale. Tony è stato rilasciato, anche se non si sa perché nè da chi era stato preso. Lo scopriremo più avanti? Chissà.
Ziva dopo gli sviluppi sul caso Rivkin decide di tornare a Washington ma nessuno le ha detto niente di Tony! Sarà definitiva la cosa? Chissà…
Intanto il piccolo Nathan comincia a risentire di tutto quello che gli è capitato ultimamente, e ne ha anche ragione, povero piccolo!
Piccolo Spoiler, nel prossimo Ziva e Tony si incontreranno di nuovo, era ora, no?

   
 
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