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Autore: Dahu    01/10/2016    0 recensioni
Umberto Sgarri, ecco un nome che potete sentire nelle locande o attorno ai fuochi da campo, dall'Ostland a Sartosa, forse anche oltre, c'è chi ha una storia da raccontare su di lui.
Qualcuno sostiene che sia un eroe dell'Impero, qualcuno dice che sia uno spadaccino in affitto.
Ho sentito storie delle sue gesta in questa o quella campagna contro il chaos, molti uomini mi hanno giurato di essere stati al suo fianco in un muro di scudi, o nella stessa cella in qualche fetida prigione.
C'è chi racconta di averlo visto portare fuori dall'osteria dentro una carriola, ubriaco oltre ogni dire, chi sostiene addirittura di avere incrociato la propria spada con quella del tileano in cambio di improbabili premi in denaro.
Potete trovare chi lo dipinge come un eroe, chi lo crede un brigante di strada e un vagabondo, perfino chi crede che sia un personaggio nato dalla credenza popolare.
Credete a me, io ho conosciuto Umberto Sgarri ad Altdorf, e non era nulla di tutto ciò.
O forse era tutte queste cose, ma di certo non solo quelle.
-Franz L'Alto, archibugiere imperiale-
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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I mazzafrusti si abbatterono con violenza, mozzando lance ed arti e frantumando ossa e scudi. 
La prima linea cedette di schianto e la seconda si aprì lasciando passare alcuni nemici.
 –Fuoco!- Diversi norsmanni armati di mazzafrusto caddero centrati dal micidiale tiro a breve distanza. 
Il capitano Tharnem roteò il pesante archibugio come una clava e mandò un nemico a ruzzolare nel falò.
 Le urla del barbaro si persero nel fragore della battaglia. Sgarri si abbassò fulmineo, schivando un mazzafrusto ed infilzò il nemico che lo maneggiava. 
Sentì l’altro fremere, ma lui, da esperto soldato qual’era, aveva già addocchiato un altro avversario. 
Sfilò l’arma dal cadavere e si preparò ad affrontare il nemico seguente. Solo quando l’ascia dell’altro parò il suo fendente Sgarri si accorse che aveva reagito come un soldato e non come un comandante. 
Arretrò di due passi, lasciando che fosse un altro a battersi con il norsmanno. 
La linea aveva ceduto su tutti i lati e la battaglia si era frammentata in decine di duelli, dove la forza fisica e la schiacciante superiorità numerica del nemico non lasciavano scampo ai soldati. 
–Riformate i ranghi!- Umberto aveva l’impressione di urlare al vento –Nei ranghi maledetti bastardi, tornate in riga stupidi buffoni!- 
Era stata come un’illuminazione, il tileano si era improvvisamente ricordato che, negli scontri più cruenti, a spronarlo non erano gli ordini ma gli insulti dei sergenti. 
Confermando l’intuizione del tileano, i soldati si raggrupparono, formando un rozzo quadrato.
 –Rimanete…- Ansimò Sgarri mentre evitava di scarsa misura una spada. –…In linea!- Gridò mentre mozzava la mano che reggeva l’arma.
Il tileano schivò ancora un’ascia; era circondato da nerborute maschere d’odio barbute. 
Si chinò a raccogliere lo scudo di un morto, ma sapeva che non sarebbe bastato. 
Sin dai suoi primi scontri con i briganti sui monti tileani, il giovane Sgarri aveva appreso che, se si doveva combattere con più avversari, era fondamentale colpire per primo. 
Così si gettò verso il nemico di fronte a lui. 
Parò la spada del norsmanno con lo scudo ed affondò la sua arma, ma fallì il colpo. Imprecò tra i denti aspettandosi un colpo mortale, ma uno dei nemici alle sue spalle crollò al suolo e gli altri si voltarono per affrontare la nuova minaccia. 
Sgarri sentì un violento colpo sulla corazza e cadde al suolo. Il grosso barbaro lo sovrastava, ma lui parò con lo scudo ed affondò la lama nella coscia nuda, recidendo l’arteria femorale. 
–Per Ulric!!- Gridò a pieni polmoni, esattamente come aveva fatto due anni prima uccidendo un Troll assieme al suo reggimento di spadaccini del Middenland. 
In realtà Sgarri non credeva in Urlic come suo dio, ma per lui era un punto di contatto col suo amato gruppo di spadaccini, con i quali aveva combattuto per sei anni e con i quali aveva diviso punizioni e medaglie in centinaia di scontri. 
–Signore!- L’urlo di Tharnem riscosse il tileano. 
Il capitano era scosso e gli occhialini storti sul naso adunco. Tuttavia le mani dell’ufficiale erano occupate da una coppia di pistole fumanti, per cui fu con il polso che tentò di raddrizzarli. 
–Signore, non possiamo farcela, sono troppi- 
-Grazie di avermi reso partecipe dei tuoi ottimistici ragionamenti- Rispose seccato lo spadaccino.
–Quello che intendevo…- Riprese imperterrito l’ufficiale, col tono di un insegnante di scuola elementare che spiega l’alfabeto, quasi non si accorgesse degli arti mozzati che volavano tutto attorno.
-…è che credo dovreste sfidare il loro capo. Vedete, i norsmanni hanno l’abitudine di ritirarsi per eleggere un nuovo capo quando uno cade in battaglia. Si tratta di un rituale piuttosto lungo che passa attraverso combattimenti rituali e gare di lotta… Per cui potremmo avere la possibilità di allontanarci- 
Sgarri sbuffò, un po’ seccato da quella lezione e un po’ preoccupato per i guerrieri che si stavano facendo largo verso di lui. 
–Signor genio saprebbe anche dirmi come cavolo faccio a riconoscerlo in mezzo a questa marmaglia di topi di fogna?- Chiese sprezzante. 
–Basterebbe chiamare una sfida, lui l’accetterà di certo- Fu la timida risposta. 
Sgarri rise, poi si arrestò sconcertato.
–Non mi dite che conoscete la loro lingua…- L’altro gongolò e lui bestemmiò Sigmar. 
Quant’era saccente questo dannato capitano. 
Seguendo le istruzioni dell’archibugiere, Sgarri prese la spada per la lama e la sollevò sopra la testa urlando a squarcia gola la parola nordica per “sfida”. 
Con sua stessa sorpresa i nemici non lo attaccarono e, anzi, il combattimento ridusse la sua intensità fino a placarsi del tutto, perché tutti potessero vedere. 
Senza perdere tempo, il capitano approfittò della tregua per formare una nuova linea di difesa e per permettere ai feriti di medicarsi. 
Dai ranghi dei norsmanni emerse una specie di gigante barbuto, alto una spanna più di Umberto, che già svettava tra gli uomini, e largo oltre il doppio. 
Il mostruoso individuo maneggiava un’ascia ed una inquietante mazza ferrata con fare sicuro. 
Sgarri comprese improvvisamente le conseguente del suo gesto. 
I norsmanni lo avevano circondato, rendendo vano il piano del capitano che prevedeva di uccidere con un colpo di archibugio il nemico. 
Se l’avesse saputo, il tileano sarebbe stato contrario, era pur sempre uno spadaccino imperiale, anche se distaccato presso i lancieri. Tuttavia battersi contro quell’orso armato fino ai denti non era esattamente un’opzione allettante.
Purtroppo non ne aveva altre. Con orrore, il tileano si accorse che gli tremavano le gambe, e non era colpa del freddo pungente. 
Sospirò. C’era una sola cosa da fare, ma dubitava che lo avrebbe aiutato. 
Con gesto automatico lo spadaccino batté l’arma sullo scudo ed urlò 
–Ulric!- 
Improvvisamente si sentì spalleggiato dai suoi compagni ed un coraggio folle si impadronì di lui. 
Il mondo ora era un sogno di sangue, un unico indistinto desiderio di morte, come quella volta nelle pianure di Kislev. 
Stava ancora inseguendo visioni lontane quando vide, come in un sogno, l’ascia del nemico passargli a pochi centimetri dalla testa, che si era scansata in automatico. 
Rispose, e poi ancora e ancora, fino a passare in vantaggio. L’altro colpì con la temibile mazza, ma Sgarri sfruttò la potenza del colpo, che gli frantumò lo scudo, per ruotare su se stesso ed imprimere più potenza nel colpo di spada che arrivò alla nuca del nemico. 
Il colpo fu così forte da mozzare di netto la grossa testa pelosa, che rotolò nella neve. 
Prima ancora che il corpo smettesse di fremere, Sgarri aveva già sollevato al cielo il macabro trofeo, urlando per l’ultima volta il nome del dio lupo. 
I predoni si guardarono l’un l’altro per alcuni istanti, indecisi sul da farsi, poi si ritirarono in silenzio, lasciando a terra decine di morti e feriti di entrambe le fazioni. 
Dalla linea imperiale Osvald Tharnem guardò esterrefatto il tileano che avanzava verso di lui reggendo una testa mozzata. 
Durante la colluttazione, un ciondolo che Sgarri portava al collo con un laccio di cuoio era uscito da sotto la giubba e tintinnava sulla corazza ammaccata ed insanguinata. L’archibugiere si avvicinò e lo prese tra le dita. 
Era un piccolo teschio d’argento, non più grande di una moneta, ma si distinguevano due lettere, KH. 
–Non saranno quelle che penso- disse con tono ammirato. 
–Era il ciondolo di Kurt Helborg, me lo diede dopo una battaglia a Kislev- Rispose asciutto lo spadaccino 
–Sarebbe un grande onore per un cavaliere, per uno come me è solo il ricordo di una grande sudata con un freddo maledetto- Sgarri si allontanò verso il suo mantello e gettò via la testa. 
–Muoversi!- Gridò 
–Potrebbero tornare, andiamo ad arroccarci sulla collina- 
I soldati scattarono in tutte le direzioni per eseguire l’ordine, e Osvald sorrise. 
Se fosse stato solo quello, Sgarri l’avrebbe venduto da tempo.
Forse ci si poteva aspettare più di un mediocre servizio da un ubriacone tileano con il vizio del gioco.

Il gruppo di soldati imperiali aveva raziato stivali e pellicce ai cadaveri, gli abiti dei norsmanni, infatti, erano molto più adatti a difendersi dal freddo. 
Ora, stretti nei loro nuovi abiti, lavoravano alacremente per liberare la cima della collina dalla neve che poi usavano per costruire un parapetto. 
Sgarri lavorava con gli altri, in teoria non sarebbe stato necessario visto che era il comandante del gruppo, ma lui non si era neppure posto il problema, abituato com’era a sudare tra gli insulti dei sergenti. 
Si fermò solo quando Tharnem gli picchiettò gentilmente sulla spalla. Il capitano sembrava una vecchia signora per via del mantello di pelliccia. Sgarri vide che il capitano gli stava porgendo qualcosa, con un tuffo al cuore riconobbe gli stivali che stava per rubare al norsmanno morto. 
–Credo che questi potrebbero farvi comodo- Gli disse timidamente. Sgarri lo squadrò stupito, poi prese gli stivali e sorrise. 
–Grazie capitano- Sgarri si levò a fatica i vecchi calzari 
–maledetta guerra!- inveì come suo solito. 
Gli uomini parevano galvanizzati dal fatto di essere ancora vivi ma, non appena ebbero finito di liberare la sommità della collina, si accasciarono sui mantelli, esausti e cominciarono i mormorii. Qualcuno ringraziava Sigmar di averlo risparmiato, altri commentavano che, anche se erano ancora vivi, non lo sarebbero rimasti per molto. 
A peggiorare la situazione, non avevano nulla da mangiare. 
Il tileano guardava quella banda di disperati in silenzio, seduto sul parapetto di neve. 
Qualche soldato era riuscito ad accendere un piccolo falò, ma non bastava a scacciare il freddo della sera che avanzava. 
L’idea era di mandare qualcuno a recuperare la carcassa di un cavallo per sfamare tutti ma un gruppo di norsmanni era apparso ed un cordone di nemici si teneva a debita distanza per non essere colpito dai moschetti, ma abbastanza vicino da impedire un’azione come il recupero di un cavallo. 
Sgarri sospirò. 
Per qualche istante aveva davvero creduto che la sua vita sarebbe finita in quella landa desolata. 
Forse era il suo destino andare a crepare in qualche schifoso angolo di mondo, il suo amico del Reickland lo diceva sempre che prima o dopo i soldati muoiono in battaglia. 
Sgarri si passò le mani sui quadricipiti ancora tesi e rivolse mentalmente una preghiera alla memoria dell’amico, ma s’interruppe a metà.
A che serviva pregare per lui? Oramai era morto. 
Sospirò e promise che, se mai fosse riuscito a portare a casa la pelle, sarebbe andato al villaggio di Sternim a porgere personalmente le condoglianze alla famiglia dell’amico. 
Pensò alla rubiconda moglie del soldato, che un giorno di primavera gli aveva offerto un pasticcio di carne. 
Gli sembrava quasi di poterne sentire l’aroma, e di udire le urla dei due figli dell’amico. 
Si sforzò di ricordare il nome almeno della figlia maggiore, che ormai doveva essere in età da marito, ma non era mai stato bravo a ricordare i nomi. 
In realtà non ricordava nemmeno dove si trovasse esattamente il villaggio, ma probabilmente le sue ossa sarebbero rimaste a congelarsi su quella collina, per cui non era un problema. 
Maledetta guerra, maledetto paese, perché accidenti doveva fare così freddo? 
Ormai la neve aveva assunto un colorito bluastro, mentre le ombre calavano sul mondo. 
Sgarri si accorse che diversi soldati stavano nervosamente osservando il gruppo di predoni che li accerchiava. 
–Non verranno avanti- cercò di rassicurarli, ma tutto ciò che ottenne fu il grugnito di un paio di soldati. 
Tharnem gli apparve al fianco e Sgarri si chiese se quel dannato capitano avesse per caso dei parenti maghi per come appariva sempre dal nulla, poi si rispose che era dovuto alla sua minuta figura ed alla modesta statura. 
–Signore, posso provare a stenderne uno?- Il tileano guardò severamente l’ufficiale. 
In effetti i norsmanni erano decisamente fuori gittata per i moschetti, ma il capitano brandiva un moschetto Hockland. 
Sgarri meditò un istante, ma si rispose che la distanza era decisamente troppa anche per quell’arma. 
Per quanto il proiettile potesse arrivare, era impossibile per il tiratore decretare dove sarebbe arrivato e un tiro fallito avrebbe ridotto ulteriormente il morale già scarso. 
Ma il capitano interpretò il suo silenzio come un assenso e cominciò a darsi da fare sull’arma. 
Sgarri voleva impedirgli di tirare, ma si sentiva la testa vuota e non aveva voglia neppure di parlare, così si sedette ad osservare il piccolo archibugiere. 
Tharnem tolse il panno che copriva il meccanismo d’innesco dell’archibugio e poi la copertura di cuoio che proteggeva il cannocchiale montato sull’arma. 
Quindi usò un fazzoletto bianco per pulire le lenti di vetro, sia quelle del cannocchiale sia quelle degli occhialini, gesto che strappò un sorriso a tutti i presenti. 
Invece di usare le cartucce preparate che teneva nella cartucciera, il capitano riempì lo scodellino con una polvere di migliore qualità che teneva in un corno, quindi ne versò una ragionevole quantità nella canna. 
Sgarri notò che il viso dell’uomo pareva quasi sognante mentre saggiava con le dita le palle di piombo che teneva nella bisaccia, alla ricerca della più perfetta. 
L’operazione durò più di un minuto, ma alla fine il capitano parve particolarmente soddisfatto da un proiettile e lo inserì nella canna. Usò il calcatoio per assicurarsi che la polvere fosse ben compressa, quindi poggiò l’arma a terra sul suo mantello e si diresse al falò più vicino, che usò per dare fuoco ad una corda che poi fissò al meccanismo di scatto del moschetto Hockland.
Il capitano scavò nel parapetto una specie di forcella per tenere ferma la pesante arma, quindi si sedette a gambe incrociate, portandosi il calcio nell’incavo della spalla. 
Il tiratore si portò la mano sinistra al petto, in modo da tenere il calcio tra il pollice e l’indice, sostenendolo. La guancia del capitano si posizionò alla perfezione sul calcio dell’arma mentre la mano destra si muoveva lenta avvicinandosi alla leva di sparo. Le dita affusolate carezzavano il legno di Darkwald come avrebbero sfiorato la pelle di una donna, poi si arrestarono sulla leva. 
Sgarri rimase stupito dalla dolcezza con cui Tharnem tirò la leva di sparo. 
La corda incendiata si abbatté sullo scodellino facendo esplodere la polvere che conteneva ed innescando l’esplosione della polvere nella canna. 

Un boato lacerò l’aria ed il fumo nascose il bersaglio agli occhi del tiratore, ma un grido lancinante confermò la validità del tiro. 
Sgarri vide distintamente un norsmanno che si trascinava con una mano stretta alla coscia sinistra e si concesse un sorriso, mentre i soldati urlavano di giubilo e si complimentavano con il tiratore che era stato quasi gettato supino dal rinculo dell’arma. 
I norsmanni si allontanarono di alcune decine di metri, inseguiti dagli sfottò dei soldati, mentre Tharnem si alzava e subito si affaccendava attorno al suo amato moschetto. 
Sgarri diede una lieve pacca sulla spalla del tiratore, quindi si diresse verso il lato opposto della postazione; le risate dei soldati e la loro baldanzosa sicurezza lo urtavano, aver piantato una palla nella gamba di un nemico non cambiava per nulla la loro triste situazione e lui cominciava seriamente a preoccuparsi, non che morire lo spaventasse, aveva sempre saputo che sarebbe successo un giorno, ma gli dava fastidio morire a stomaco vuoto. 
Ormai era scuro, per cui gli uomini si prepararono per la notte e lui dovette disporre le sentinelle, adesso anche la borraccia del liquore era vuota. 
Maledetta guerra.
   
 
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