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Autore: Mad_Dragon    01/10/2016    0 recensioni
La storia di un Cavaliere di Berk e del suo drago tra battaglie, giuramenti, amori e la vera conoscenza di sé e dei suoi compagni di squadra, fino alla scoperta di un terribile segreto e ciò che ne conseguirà.
Aggiornamenti irregolari, spiegazioni all'interno del capitolo XXV
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dagur 'Lo Squilibrato', Hiccup Horrendous Haddock III, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A dragon and a Trainer's path'
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Capitolo XXVI
- Futuri Incerti -

Ritornare ad Uppsala dopo così tanto tempo fu per Willow un'esperienza indecifrabile che riuscì a comprendere solo dopo diverso tempo: era come tornare alle proprie origini ma allo stesso tempo era come trovarsi in un posto completamente estraneo. Pensare al luogo che era stato per tutta la sua breve vita casa come un qualcosa di estraneo al suo essere la frastornava parecchio, arrivando a chiedersi se non si fosse legata così tanto a Berk in quei pochi mesi a Berk da definirla "casa". Si lasciò sfuggire un sorriso e scartò subito quel pensiero, conscia del fatto che fosse immensamente sciocco: quell'isola non era il luogo in cui era nata, in cui aveva fatto i primi passi, in cui era diventata la giovane donna che era. Al massimo poteva essere paragonata alla casa di un parente che si visita spesso, ma che comunque non è la propria e che non lo sarai mai. Eppure, una piccola parte dentro di lei si ostinava a dirle che si sbagliava, che era molto di più, altrimenti non avrebbe accettato di rimanere così a lungo laggiù senza Gothi a suo fianco.  All'improvviso le tornò in mente una delle tante serate che aveva passato in compagnia del gruppo di Karl e fu investita, come un fiume in piena, dalle sensazioni ad esso legate: gioia, felicità, divertimento. La sensazione di far parte di una grande, forse problematica, famiglia allargata. Aveva vissuto sensazioni simili prima di allora, ma nessuna l'aveva fatta sentire così... completa. Come se fosse stata un ingranaggio perfettamente inserito in un macchinario. Cancellò quei pensieri dalla testa, sentendosi quasi in colpa nei confronti della gente che era la sua famiglia per tutta la vita anche solo per aver dubitato di loro.

Il drago di Caleb prima di atterrare si lanciò in una planata, provocando una corrente d'aria che scompigliò i capelli alla ragazza. In quel momento, Willow sembrò risvegliarsi dalla trance in cui i suoi pensieri l'avevano indotta, quasi euforica. Sciolse l'acconciatura che aveva intrecciato lei stessa prima di partire e lasciò che il vento scorresse libero tra di essi, danzando ad una musica che solo esso conosceva ma che la ragazza quasi intuiva. Caleb si voltò verso di lei e le rifilò uno sguardo strano, a metà tra la curiosità e l'incredulità. Probabilmente, pensò la bionda, si stava chiedendo cosa avesse provocato in lei un tale comportamento. In tutta risposta, la bionda aprì le braccia e chiuse gli occhi, lasciando che tutto il suo corpo fosse toccato dalla brezza forte generata dalla manovra del drago su cui stava volando. Era pericoloso comportarsi in quel modo, il cavaliere di draghi glielo aveva ripetuto fino alla nausea, eppure sentiva che era la cosa migliore da fare in quel momento. Immaginò per un momento di lasciarsi cadere nel vuoto: sentì una morsa di paura e di eccitazione chiuderla la gola e, per un breve ma potente attimo,  fu tentata di farlo veramente. L'unica cosa che la fermò fu il senso di dovere che provava verso la sua gente. Ma chi era la sua gente: gli abitanti di Berk o quelli di Uppsala? Nella sua mente, queste due categorie andarono pian piano a fondersi e, solo allora, Willow realizzò che entrambe erano diventate la sua famiglia. Riaprii gli occhi e si strinse nuovamente al suo compagno di viaggio, mormorando una frase appena udibile. Sotto le sue dita, la ragazza sentì la gabbia toracica dell'altro abbassarsi, come se avesse emesso un sospiro di sollievo dovuto probabilmente al comportamento che lei stessa aveva assunto durante quella fase del volo. Negli ultimi giorni di viaggio il rapporto tra loro due era notevolmente cambiato: un silenzio pesante come una cappa di piombo cadeva spesso e volentieri su di loro, e nessuno di loro sembrava in grado di spezzarla, tant'è che il loro dialogo si era ridotto alle solo questioni di importanza rilevante. Caleb non aveva più estratto il taccuino, e di questo la bionda si rammaricava: le mancava quella concentrazione febbrile nello sguardo del ragazzo, le mancava il movimento rapido ma accurato delle sue mani, decisamente più grandi di quelle della ragazza ma così delicate nell'impugnare il pezzo di carboncino, le mancavano le improvvisate scuse di Caleb nel momento in cui si accorgeva che aveva sporcato qualcosa con le mani imbrattate di carboncino. Le mancava vederlo sorridere, felice di quel momento in cui poteva essere Caleb l'essere umano e non Caleb il cavaliere dei draghi. Willow si sentiva responsabile della rottura di quel perfetto momento: si era resa conto dopo alcuni giorni che la domanda che gli aveva posto aveva provocato nel ragazzo un mutamento. Un mutamento che la confondeva ancora di più. era palese che il ragazzo provava qualcosa per lei ma, nonostante tutti i suo segnali, non aveva fatto ancora un passo. Probabilmente aveva forzato troppo la mano. Aveva rovinato tutto, come era solita fare.

"Tra poco atterriamo. Tieniti forte!" esclamò il cavaliere dei draghi pochi secondi prima che il suo Scladerone iniziasse a scendere di quota, compiendo una discesa a spirale che li riportò a terra ad una velocità normale. Atterrarono in una piccola radura lontana dal villaggio, la stessa che avevano utilizzato tempo prima quando visitarono quel luogo per la prima volta, e Caleb scese per primo, poi aiutò Willow a smontare. Sotto consiglio del ragazzo, aveva adottato uno stile più pratico sostituendo la lunga veste a cui era abituata con una tunica azzurra stretta in vita da un cinturone, un paio di brache e degli stivali di pelle di yak. Non era abituata a quel tipo di abbigliamento, anche se doveva ammettere che era molto più comodo, e faticava a riconoscersi quando si guardava negli specchi d'acqua che manipolava coi suoi poteri. In quei momenti interveniva il suo compagno di viaggio a ricordarle che non era una veste ricca di ornamenti a renderla bella, ma il suo carattere e il suo modo di fare. La prima volta che gli sfuggirono di bocca quelle parole arrossirono entrambi. Sorrise a quel ricordo, poi si voltò verso Caleb per trovarsi davanti ad una scena a cui non aveva mai avuto l'occasione di partecipare: la fronte del drago era appoggiata contro quella del suo cavaliere, gli occhi di entrambi chiusi come se volessero comunicare solo attraverso quel contatto fisico. Dopo un paio di minuti il ragazzo mormorò una frase che Willow non riuscì a carpire per via della distanza e lo Scalderone si staccò dal cavaliere per poi alzarsi in volo, generando un forte vento che sollevò a sua volta un enorme polvere. Rimasero soli, i due ragazzi. Prima di guardare la sua compagna di viaggio, Caleb frugò nel sacchetto che gli pendeva dalla cintura e ne tirò fuori la benda. Fece per indossarla ma Willow lo fermò.

"Permetti di farlo" disse poco prima di prendere dalle mani del ragazzo la benda. La sistemò sull'occhio che lei stessa aveva risanato, dopodiché accarezzò lo zigomo di Caleb e la guancia. Sentì il volto del ragazzo irrigidirsi, come se quel tocco gli provocasse del male. Sorrisero entrambi poco dopo, poco prima che Willow sigillasse la pace che si era stabilita tra di loro con un abbraccio che prese alla sprovvista l'altro ragazzo, che ricambiò dopo pochi secondi di tentennamento. Rimasero in quella posizione, dimentichi del motivo per cui si trovavano lì ed il mondo intero, consci che bastava quel contatto tra i loro corpi a definire il loro mondo. In quel momento, Caleb bastava a Willow e Willow bastava a Caleb, tutto il resto non contava. Ben presto, però, si resero conto che quella non era la realtà, che prolungare quella loro unione non era possibile ed il muro che li aveva separati durante l'ultima parte del loro viaggio tornò a farsi presente, forse ancora più forte di prima. Nessuno seppe dire, nemmeno a distanza di molto tempo, chi si mosse per primo dopo aver essere giunti a quella, fatale, conclusione: i due ragazzi potevano aspettare, il mondo aveva i giorni contati. Sciolsero l'abbraccio, allontanandosi l'uno dall'altro come se i loro corpi fossero stati respinti da una forza conosciuta, o come se la forza che li aveva spinti prima ad unirsi ora li avesse obbligati a separarsi. Willow abbozzò un sorriso che non fece altro che peggiorare la situazione. Senza dire niente, i due s'incamminarono verso il tempio, la casa della sacerdotessa. Mentre camminavano nel bosco rinato, Willow si chiese se avesse mai trovato il coraggio di smettere di seguire gli ordini e di prendere in mano la sua vita.  

***

Si è soliti, all'interno di una piccola comunità, diffondere a velocità quasi sovraumane le più succulenti notizie, soprattutto quando quest'ultime sono legate ad un personaggio piuttosto influente della sopracitata comunità. Non c'è dubbio che l'arresto del padre di Arcadia, avvenuto quando sia Hiccup sia la figlia dell'arrestato erano ancora lontani di Berk, rientrava a pieno titolo in quella categoria di notizie che si diffondevano a macchia d'olio, in maniera esponenziale ad ogni secondo passato. Fortunatamente, il vero motivo per cui stato incatenato ai ceppi della prigione dell'isola non trapelò e ciò risparmiò la povera madre di Arcadia dalla gogna pubblica: eppure, la gente mormorava comunque e lanciava sguardi che laceravano la carne in cerca di risposte. Risposte che non furono mai trovate, e che coloro che le conoscevano si portarono nella tomba. Il tempo fu clemente con questa faccenda e, quando la squadra di Karl tornò dalla loro missione, la faccenda era già stata archiviata da tempo, anche se ci furono comunque diverse occhiate sospettose nei confronti della figlia dell'arrestato, cosa che lei stessa notò immediatamente. Karl le cinse le spalle con il suo abbraccio e lanciò uno sguardo di sfida a quelle persone che avevano osato dubitare della sua fidanzata. Era diventato molto più protettivo nei suoi confronti, e alcune volte rasentava l'ossessione nei suoi confronti. Non voleva perderla nuovamente e quello era l'unico modo che conosceva per farlo, e l'impossibilità di poter confessare quell'enorme fardello a qualcuno lo condizionava pesantemente nelle sue scelte. Ma come poteva dire ai suoi amici che Arcadia era tornata in vita, e che quindi raccontare che era anche morta, per intercessione di uno spirito che solo lui aveva visto e quando lui stesso ci credeva appena? Karl realizzò, proprio durante il volo di ritorno, che la sua vita era precipitata, dopo la scoperta dei Sigilli, in un vortice di eventi a dir poco incredibili: gli era caduto addosso un tempio, aveva affrontato un licantropo uscendone vivo, era guarito miracolosamente da delle ferite che avrebbero dovuto ucciderlo e chissà cos'altro gli riservavano i giorni successivi. Probabilmente, concluse più avanti, la sua vita era precipitata in caduta libera dal momento esatto in cui aveva domato Rubyn. Probabilmente, c'era più di un momento in cui la sua vita era cambiata e cercare di elencarli tutti era un'immane, ed inutile, perdita di tempo. Tempo che  non avevano più.

Dopo che fecero rapporto a Stoick, i cinque ragazzi furono congedati: né Hiccup né Willow e Caleb erano ancora tornati dai loro rispettivi incarichi, perciò, a parere del capo-villaggio, era inutile provvedere ad un piano alternativo senza avere le informazioni che le altre due squadre erano riuscite a racimolare. Il gruppo si disperse, ognuno intento nei propri pensieri: Karl, per un paio di giorni, passò la maggior parte del suo tempo accanto ad Arcadia, cercando di sostenerla nella "lotta" contro le possibili insinuazioni della gente. Cosa che non accadde, visto che le poche persone che si erano mostrate diffidenti nei suoi confronti cambiarono idea in poco tempo e la vita della ragazza prese una piega normale. L'unica cosa che cambiò fu il suo regime di allenamento: passava sempre più tempo con una o più frecce tra le dita, esercitandosi a colpire bersagli sempre più piccoli a distanze impressionanti, e ad allenarsi nel combattimento ravvicinato con la sua accetta. Una volta chiese a Melanie e a Karl stesso di affrontarla in uno scontro impari, sostenendo che non avremmo dovuto contare troppo sul comportamento dei nostri avversari. Li mise in difficoltà, arrivando a disarmare Melanie e quasi a piantarle l'ascia in testa. Lo avrebbe di certo fatto se non fosse intervenuto Karl, bloccando l'arma della sua amata con la propria: in quel momento, il ragazzo vide negli occhi della sua avversaria una furia cieca, quasi innaturale, che sparì nel momento esatto in cui gli occhi dei due ragazzi si fissarono gli uni negli altri. Arcadia, il respiro corto per via della fatica e forse anche per la paura, staccò lo sguardo dal suo amato e rifoderò l'arma, allungando poi un braccio in direzione dell'amica invitandola implicitamente a rialzarsi. In quel momento, Karl si rese conto che né lui né Melanie erano le persone adatte ad aiutare Arcadia a combattere in quel modo: entrambi erano troppo legati a lei per poter le tenere testa quando quella furia prendeva il sopravvento. Tuttavia, aveva già in mente con chi poteva scontrarsi. Le si avvicinò e le sussurrò all'orecchio una frase di poche e semplici parole che provocarono in lei uno sguardo pieno di interrogatori. Le rispose di fidarsi di lui e che tutto sarebbe andato per il verso giusto. A quelle parole non ci credeva nemmeno lui stesso.

Dopo quell'avvenimento diventarono due le domande che affliggevano la mente di Karl: la prima riguardava l'origine di quella strana aura che l'aveva avvolto durante lo scontro con Bjorn, la seconda riguardava l'atteggiamento che Arcadia aveva avuto durante la battaglia. Per la seconda l'unica risposta che gli sembrava plausibile è che fosse dovuto alla sua rinascita: secondo i ragionamenti piuttosto contorti del ragazzo, qualcosa nella mente della ragazza si era spezzato nel momento di transizione tra i mondo dei morti e quello dei vivi. Tuttavia, visto che non era un esperto di resurrezioni, si limitò a quell'ipotesi, evitando di indagare più a fondo per non far venire allo scoperto tutta quella faccenda. Già aveva fatto fatica a convincere Melanie che la sua migliore amica non volesse veramente ammazzarla ma che si era fatta prendere dalla foga della battaglia. Probabilmente non gli avrebbe creduto, così come il resto della sua squadra, se le avesse confessato tutto quello che era successo nella stanza di quel tempio. Si chiese, per un momento, se ne fosse valsa veramente la pena di accettare la proposta di quello spirito.  Cancellò quel pensiero immediatamente: avevano diritto ad amarsi, a vivere quel loro sentimento così precocemente interrotto dalla mano impietosa di Boadicea e avevano tutto il diritto di avere una seconda possibilità. Dopo tutto quello che avevano passato, il destino era in debito con quei ragazzi. Per l'altra domanda, invece, Karl non sapeva darsi una risposta: quell'evento, per lui, era assolutamente privo di qualsiasi logica, come se quello che era successo dipendesse da un elemento estraneo al suo mondo, al mondo degli uomini. Il che, dopo tutti quei mesi a contatto con delle faccende tutt'altro che normali, non avrebbe dovuto stupirlo più di tanto. Si ritrovò a riflettere su quell'argomento cinque giorni dopo il suo ritorno dalla terra ghiacciata in cui avevano subito la prima, vera sconfitta da parte dei Rinnegati mentre osservava Rubyn sorvolare l'isola compiendo una serie di voli circolari intorno ad essa. Aveva deciso di lasciarlo libero di svagarsi un po' per alcune ore, con come unico divieto quello di infastidire in qualsiasi modo gli abitanti di Berk: per almeno un'oretta il suo drago era rimasto a terra, divertendosi a bruciare qualche stelo d'erba qua e là senza fare troppi danni, poi si era alzato in volo nel momento esatto in cui aveva visto passare oltre il piccolo boschetto che circondava la radura in cui drago e Cavaliere si erano rifugiati uno stormo di uccelli non meglio identificati. Era scattato con l'obbiettivo di creare confusione nello stormo e ci riuscì gettandosi proprio nel mezzo di esso, poi compì una serie di rotazioni su sé stesso per sparpagliare i vari volatili. Lo stormo si divise in tanti piccoli gruppetti che presero direzioni diverse, cercando di allontanarsi da quello che per loro era un mostro. Molte persone la pensavano ancora come quegli uccelli. Karl si sdraiò sul tappeto d'erba che era sopravvissuto ai giochi annoiati del suo drago e si lasciò accarezzare dai piccoli fili di un verde stinto, ancora acerbo. Osservò le nuvole muoversi lente nel cielo cercando di fare ordine nei suoi pensieri. Non ce la faceva più a sopportare tutto quello, non era Hiccup, non sapeva come fare fronte a tutto quello che quella dannata vita gli tirava contro. Ogni tragedia lo colpiva dritto il faccia con la furia e la potenza di un toro, mandandolo a terra e, quando riusciva a rialzarsi, il secondo colpo era già lì, pronto a prendersi la sua parte di gloria. Eppure, non poteva lasciar perdere tutto: sentiva che era il suo dovere salvare il mondo o almeno provarci, anche se probabilmente sarebbe toccato a qualcun'altro farlo. Karl si sarebbe accontentato di far saltare un paio di teste, o anche solo farle divorare dal suo drago. E, stranamente, Bjorn non era tra le persone che avrebbe voluto uccidere: era fermamente convinto che quel ragazzo era stato plagiato da qualcuno, che le parole che gli aveva detto non avevano nessun significato per lui e che gli erano state inculcate da colui che gli era stato accanto durante la sua vita. Per via della sua condizione, pensò il vichingo, il biondo era sempre stato emarginato dalla gente normale e l'odio si era fatto strada nel suo cuore. In quel momento una figura negativa gli si era affiancata, instillando nel suo cuore quella sete sconsiderata di potere. "Se solo ci fosse un modo per dimostrargli che si sbaglia..." mormorò Karl, la voce pregna di sconforto. Era verosimile che, alla fine di tutta quella storia, solo uno dei due avrebbe continuato a vivere.

Si mise seduto e iniziò a guardare la sua mano, cercando di dimostrare una sua intuizione. Si concentrò al massimo, cercando di far uscire nuovamente quella strana energia. E ci riuscì: per un attimo, il contorno della sua mano fu circondato da un alone rosso, lo stesso colore che aveva avvolto il suo corpo durante l'ultimo scontro con Bjorn, ma poi sparì diradandosi nell'aria circostante. Karl si chiese se quella fosse una specie di magia arcana che gli era stata conferita per il suo coraggio, ma poi scartò quel pensiero perché era troppo infantile. Karl non era coraggioso, compiva solamente il suo presunto dovere. D'un tratto si ricordò che da lì ad appena qualche giorno ci sarebbe stata la Luna nuova. Fu questione di pochi millisecondi prendere la decisione di interrogare lo spirito sulla natura di quello che gli era successo. Richiamò con un lungo ed acuto fischio Rubyn ed iniziò ad incamminarsi verso casa, archiviando definitivamente tutti quei pensieri in un angolo remoto della sua mente. Sperava che non riapparissero mai più, che sparissero per sempre dalla sua vita. E, almeno quella volta, il destino lo accontentò.

***

"Tu mi stai prendendo per il culo..."
Quella fu l'unica frase che venne naturale a Matt nel momento in cui Arcadia finì di riferirgli che Karl le aveva suggerito di allenarsi con lui. Certo, più di una volta Karl si era complimentato con lui per i suoi miglioramenti, ma non poteva davvero pensare che fosse il maestro migliore per Arcadia. Chiese alla corvina di spiegargli cosa intendesse veramente il suo ragazzo con quelle parole e se, per caso, non si fosse inventata il tutto solo per tirargli un tiro mancino. Merric avrebbe avuto di sicuro molto più successo visto che era dotato di molta più pazienza e di un'inclinazione naturale allo spiegare in maniera semplice dove una persona doveva lavorare per affinarsi.
"Ha detto che tu, visto che combatti con un'ascia, sei la persona migliore per aiutarmi" disse Arcadia poco prima di incrociare. Evidentemente, quella conversazione la stava annoiando.
"Ci sono molte altre persone molto più brave di me. Astrid, tanto per dirne una..."
"Astrid ha poco tempo da dedicare ad Hiccup, figuriamoci se accetta di prendermi sotto la sua ala protettiva"
Matt sbuffò e poi annuì, accentando controvoglia quell'incarico. Si alzò dalla sedia di legno su cui si era seduto e ordinò ad Arcadia di seguirlo fuori dalla casa di Karl. Nonostante le visite quasi giornaliere di suo padre, il ragazzo non si era ancora deciso a fare pace con i suoi genitori. E la cosa lo distruggeva, ma vederli continuamente litigare faceva ancora più male: non gli rimaneva altra soluzione se non dar loro abbastanza tempo e spazio per tentare di trovare un compromesso che li aiutasse a ritrovare il sentimento che li univa. Ci sperava fortemente, anche se era ormai quasi innegabile che uno dei due, prima o poi, se ne sarebbe andato da quella casa e non avrebbe fatto più ritorno. La sua famiglia stava per crollare, e il suo mondo anche. E nonostante tutto quello che gli aveva detto Melanie, nonostante tutte le volte che gli aveva praticamente ordinato di provare a riappacificarsi con i suoi, Matt non lo aveva ancora fatto poiché credeva ancora ciecamente nel fatto che le cose sarebbero andate a posto da sole col tempo. Lo scontro contro quella strana creatura, tuttavia, gli aveva fatto comprendere una cosa: il tempo non riparava nulla, complicava solamente le cose. Aveva rischiato seriamente di morire quella volta: non che negli incontri precedenti non avesse tenuto conto di quella possibilità, anzi, era solo che si era veramente accorto, mentre la mano di quel mostro si stringeva inesorabile intorno al suo collo, di quanto fosse probabile perire sul campo di battaglia e che, le volte precedenti, era stato molto fortunato a cavarsela con solo qualche graffio o ferita poco profonda. Non voleva morire con dei rimpianti, non voleva morire senza aver fatto capire a Melanie quanto fosse importante averla affianco a sé, senza aver chiesto scusa ai suoi genitori. Realizzò solo in quel momento di esser stato un stronzo egoista fin dal primo momento in cui tutta quella storia era iniziata e che doveva ancora fare ammenda per le sue colpe. Guidò Arcadia verso un piccolo capanno in legno traballante costruito nella parte posteriore della casa di Karl: aprì la porta di quel casotto e ne tirò fuori un barile in cui erano state poste diverse asce e lo posò proprio davanti alla ragazza, la quale gli rivolse un'occhiata interrogativa. Probabilmente si stava chiedendo perché tenesse così tante armi in un barile e perché glielo aveva messo davanti agli occhi.

"Per cominciare, direi che devi abbandonare quell'accetta: è utile per tagliare la legna, ma in combattimento non ti sarà di alcun aiuto" spiegò il ragazzo mentre recuperava un'ascia dal manico lungo quanto il suo braccio. Saggiò il filo della lama col dito poi, visibilmente soddisfatto del risultato, la impugnò con entrambe le mani e tagliò l'aria intorno a sé con un paio di fendenti. La folata d'aria provocata dall'arma smosse una ciocca dei capelli di Arcadia, la quale indietreggiò di un paio di passi portandosi così ad una distanza di sicurezza. "Tranquilla, questa bellezza è solo mia" disse allora Matt nel tentativo, mal riuscito, di tranquillizzare l'amica. Essendosi accorto di aver commesso un errore, il vichingo piantò l'ascia nel terreno e invitò con un gesto della mano la ragazza ad avvicinarsi, promettendole nel mentre che non si sarebbe più vantato di quello che sapeva fare. "Quello che dobbiamo fare ora è scegliere un'arma nuova per te: secondo me, dovresti evitare l'ascia doppia, non si addice al tuo stile di combattimento, mentre una scure andrebbe molto meglio. Ma anche una..." attaccò nuovamente il ragazzo per poi essere bruscamente interrotto da un improvviso gesto della corvina, la quale aveva infilato entrambe le braccia nel barile e ne tirò fuori una coppia di scuri particolari: erano poco più grandi dell'accetta che usava prima, e forse le aveva scelte proprio per quel motivo, ma, a differenza della sua arma precedente, erano u paio di asce bipenni dalla lama d'acciaio e dal manico in legno arricchito da alcuni cerchi di metallo. Erano delle armi gemelle che si adattavano benissimo allo stile di combattimento della ragazza e inoltre le avrebbero permesso di portare con sé anche l'arco. Ora toccava a Matt insegnarle come utilizzarle entrambe al meglio e insieme, in modo tale che non finisse uccisa al suo primo scontro contro uno dei loro nemici o altrimenti Karl lo avrebbe ucciso, riportato in vita e ammazzato nuovamente. Si chiese se una cosa del genere fosse possibile ma scarto subito l'idea poiché la considerava troppo assurda perfino per gli standard a cui si erano abituati.
"Quando incominciamo?" chiese Arcadia, una strana irrequietudine nella voce.
"Anche subito" replicò il vichingo mentre estraeva dal terreno la sua arma. Quello fu il primo passo sul sentiero della vendetta di Arcadia, ma nessuno dei due se ne sarebbe accorto per molto tempo.

***

Infiltrarsi tra i Rinnegati senza farsi scoprire non fu affatto facile per Heather, eppure ella sapeva che era di vitale importanza affinché il piano che lei e Hiccup avevano escogitato funzionasse. Ci era voluto diverso tempo per creare una nuova identità da utilizzare sull'isola dei Rinnegati e, anche se non ci andava da molto tempo, era sicura che qualcuno l'avrebbe riconosciuta: si era tagliata i capelli corti, ora le coprivano a malapena le orecchie, e se li era tinti di un rosso scuro che era riuscita a procurarsi da un mercante. Nel viaggio d'andata si era procurata una cicatrice sul volto che le aveva deformato lo zigomo, aiutandola così nella sua missione. Aveva deciso di fare la maggior parte del viaggio su Fendivento, il suo Ali di lama, per poi procurarsi una barca e raggiungere l'isola senza attirare troppi sospetti. Ci volle un po' di tempo prima che riuscisse ad entrare nel gruppo chiuso degli abitanti dell'isola e, non appena ci riuscì, si prodigò per acquisire qualsiasi informazione che fosse degna di nota. Scoprì, dopo un paio di mesi dal suo arrivo, che le truppe della tribù alleata dei Rinnegati erano state uccise in un agguato e che il loro capo, Dagur, era stato catturato e rinchiuso nelle prigioni dell'isola con l'accusa di cospirazione ai danni dei suoi alleati. Si era prodigata affinché la notizia arrivasse anche ad Hiccup, e solamente a lui, e poi aspettò sue notizie. In cuor suo, Heather aveva già deciso cosa avrebbe fatto a prescindere dagli ordini del Berkiano: doveva trovare Bjorn, prenderlo in disparte e svelargli chi era veramente e cosa aveva fatto Alvin alla loro famiglia. Lo avrebbe portato via da quell'isola, volente o nolente, e non le importava obbligarlo a venire con lei: d'altronde, l'unico vero motivo per cui aveva accettato di viaggiare verso quell'isola era liberare suo fratello. Non lo vedeva da tanto di quel tempo che, quasi sicuramente, egli si era dimenticato di lei. Avrebbe tentato di avvicinarlo, nonostante fosse sempre in compagnia di una donna più grande che incuteva timore ad Heather e sempre impegnato ad allenarsi. Arrivò molto vicina a farlo, quando arrivò un falco messaggero direttamente da Berk. Si morse il labbro, pensando di mandare via il volatile ma poi prese il messaggio e lo lesse. Per poco non le cadde il foglio di pergamena dalle mani: non poteva chiederle una cosa simile, non quando sapeva che era così vicina a realizzare il suo scopo. Hiccup non poteva chiederle di liberare Dagur e di trasportarlo a Berk nelle migliori condizioni possibili. Tralasciando per un attimo il fatto che quella fosse una richiesta particolarmente egoista da parte di Hiccup, liberare un prigioniero di tale importanza, da sola per giunta, era un compito praticamente impossibile. Eppure si vide costretta ad accettare, conscia del fatto che lei non era altro che una pedina in quella grande partita a scacchi che era la guerra in corso: non era poi così importante, si rese conto poi, la sua sopravvivenza, visto che le stesse informazioni che aveva passato al futuro capo villaggio potevano essere reperite in mille altri modi meno pericolosi. E poi, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza: probabilmente solo Hiccup ed Astrid. Si era lasciata dietro un mare di polvere, nessun legame che non potesse essere facilmente spezzato al momento utile le era rimasto, fatta eccezione per quei due ragazzi. Si ripromise che, se ne avesse avuto la possibilità, dopo quella guerra avrebbe provato a vivere una vita normale. Una vita lontana da suo fratello, probabilmente. Scrisse una risposta di due righe in cui accettava la missione e fece ripartire il falco, in modo tale che arrivasse il prima possibile all'isola. Non avrebbe avuto modo di comunicare ai suoi alleati - o avrebbe dovuto dire clienti?- l'esito della sua missione in tempi accettabili.

Lasciò passare un paio di giorni e poi iniziò a chiedere di essere aggiunta al gruppo di donne che preparava il pranzo per le guardie carcerarie. Ascoltava prudentemente tutti i discorsi che erano alla portata dei suoi orecchi e, pian piano, riuscì a comprendere dove fosse localizzato il suo obiettivo. Una volta acquisita questa informazione ci mise poco ad elaborare un piano abbastanza semplice ma fattibile e sicuro: avrebbe rubato alcune erbe soporifere dalla dispensa dello speziale e le avrebbe aggiunte, sotto forma di polvere e di nascosto, al rancio delle guardie in modo tale da metterle fuori combattimento. Dopodiché avrebbe recuperato le chiavi della cella di Dagur e lo avrebbe liberato. La parte della fuga era ancora piuttosto vaga ma avrebbe improvvisato sul momento, anche se sapeva già che l'unico modo per fuggire dall'isola e mettere una buona distanza tra loro due e gli inseguitori era cavalcare Fendivento ma avrebbe preferito non coinvolgere il suo drago in tutto quello. O,per meglio dire, non avrebbe voluto far sapere a Dagur che anche lei ora possedeva un drago. Si mosse una notte, un mese esatto dall'arrivo della lettera fatale: aveva perpetuato il furto un paio di settimane prima, in modo tale da non creare sospetti e sperando che nessuno si accorgesse della sparizione di una manciata di foglie, e, dopo averle sminuzzate, le aggiunse alla brodaglia destinate alle guardie. Prelevare abbastanza valeriana, l'unica pianta che conosceva abbastanza bene, da far addormentare più di tre guardie avrebbe provocato un polverone che non era in grado di gestire, quindi scelse di addormentare solo quelle guardie che sorvegliavano il livello delle segrete scavate nel ventre di quell'isola maledetta in cui si trovava il suo obiettivo e poi sperare di non trovarne altre mentre risalivano in superficie. Si assicurò personalmente che il suo piano andasse in porto, chiedendo di avere la possibilità di andare fino alle segrete per portare il cibo alle guardie. La donna che era a capo delle cucine la guardò in modo strano ma alla fine acconsentì, forse perché aveva scambiato quella proposta volontaria per uno slancio di buona volontà. Nulla di più lontano dalla verità.

Le segrete erano un posto umido, illuminato a malapena dalle lanterne appese ad intervalli regolari alle pareti dei corridoi. Le era stato spiegato che le ragazze che servivano da mangiare alle guardie erano accompagnate all'andata da una delle guardie di superficie, la quale aveva il compito di mostrarle la strada e di tenere a bada i detenuti che sbraitavano da dietro le celle. Tuttavia, erano costrette a tornare da sole al livello più superficiale delle segrete, poiché la guardia accompagnante non poteva lasciare per troppo tempo da solo il suo collega. Heather arrivò davanti alle tre guardie a cui avrebbe dovuto servire la cena, tre uomini enormi e dal viso deturpato da cicatrici, e ringraziò la sua sfortuna sfacciata: la valeriana che aveva rubato bastava, infatti, per mettere fuori combattimento tre guardie. Allungò ad ognuno degli uomini un piatto ricolmo di minestra e aspettò che terminassero il loro pasto: uno ad uno caddero in un sonno profondo. Sfilò dalla tasca di uno dei tre un mazzo di chiavi e, poco prima di dirigersi verso la cella di Dagur, lanciò un'occhiata verso le armi delle guardie: uno di loro possedeva un'ascia, di ferro ad una prima occhiata, che aveva attirato la sua attenzione. Si avvicinò e, anche se non brandiva un'arma da molto tempo, decise di portarsela dietro, per potersi difendere nel caso in cui la situazione fosse degenerata.
"Con il suo permesso..." sussurrò alla guardia mentre sfilava l'ascia dalla sua cintura. Dopodiché si incamminò verso la cella, un ghigno di soddisfazione sul volto. Ce l'aveva quasi fatta.

***

La brezza gentile di quella notte di primavera inoltrata accarezzava dolcemente il volto di Karl, scompigliandogli i capelli. Gli alberi che circondavano la casa del ragazzo s'inchinavo leggermente al passaggio di quel venticello che cambiava direzione ad intervalli regolari, obbligando le cime delle piante a danzare in maniera scoordinata, completamente abbandonati a quella forza a loro estranea. Era difficile orientarsi in quello spazio senza la luce del satellite terrestre ma il vichingo aveva compiuto, nei giorni precedenti, tante di quelle volte quella strada che oramai la sapeva a memoria, procedendo a passo sicuro verso il piccolo tempio votivo dell'isola. Le poche persone che lo avevano visto aggirarsi in quella zona, tra cui Merric, gli avevano chiesto se fosse diventato religioso all'improvviso. Rispose a tutti con la stessa frase, magari aggiungendo una parola o togliendone un'altra per evitare che s'insospettissero, ovvero dicendo che ad un guerriero il favore degli déi faceva sempre comodo. Il che, in fondo, non era troppo lontano da quello che pensava davvero, in particolar modo in una situazione al limite del paradossale come la sua. Si assicurò che nessuno lo avesse visto uscire e che gli altri abitanti dormissero un po' più a lungo: non aveva idea di quanto sarebbe durato l'incontro con lo spirito e non aveva voglia di inventare una scusa decente. Aprì con cautela la porta, cercando di evitare che i cardini della porta cigolassero troppo rumorosamente. Avrebbe dovuto oliarli. Si mise a camminare, percorrendo il sentiero sterrato che collegava la sua casa al villaggio. Arrivato a qualche metro dalle prime case svoltò a destra e s'introdusse nel bosco, evitando di percorrere la strada principale almeno per un tratto. Dopo diversi tentativi riuscì a sbucare nella strada che portava al santuario. Dopo pochissimo tempo sentì il rumore della piccola cascata che si trovava nell'entroterra dell'isola, segno che oramai mancavano pochi passi alla sua meta.

Nel momento esatto in cui arrivò di fronte al tempietto, un lampo di luce bianca accecò Karl, il quale si vide costretto a coprirsi gli occhi con una mano per evitare che subissero danni permanenti. Dopo pochi istanti la luce s'affievolì e il ragazzo si tolse la mano, riuscendo ad ammirare i bagliori che la luce gettava sull'acqua della cascata. Era davvero uno spettacolo al limite della natura, anzi, era una rappresentazione della natura nella sua forma più estrema, quella stessa natura che molti secoli dopo sarebbe stata definita sublime. Dal bagliore emerse una figura indefinita che andò ad assumere caratteristiche sempre più definite man mano che la luce innaturale andava ad affievolirsi. Lo spirito che aveva parlato a Karl nel tempio dell'isola di ghiaccio gli apparve davanti, il corpo circondato da un bagliore che illuminava la radura in modo tale che il ragazzo potesse vederla senza affaticare gli occhi. Mosse alcuni passi incerti, lo spirito, come se stesse procedendo in un territorio pericoloso per la sua vita. Guardava gli alberi, la cascata, l'intero ambiente con una certa nostalgia come se risvegliassero in lei dei ricordi sopiti che, probabilmente, sarebbero dovuti rimanere tali. Solo dopo alcuni minuti si accorse della presenza di Karl e lo salutò con un cenno svogliato del capo, come se non volesse distogliere la sua attenzione dal flusso di coscienza in cui era finita per sua stessa volontà.
"Umano, questo posto è molto bello, non trovi?" chiese dopo poco, rivolgendo uno sguardo assente al vichingo.
"Di giorno lo è ancora di più" replicò il ragazzo, sentendosi ancora meno a suo agio.
"Non lo metto in dubbio. Quando eravamo ancora mortali, venivo spesso in un posto del genere con..." Si fermò improvvisamente, come se non sapesse più come proseguire la frase. "Ho dimenticato persino il suo nome, umano. Mi ricordo che aveva un suono dolcissimo alle mie orecchie, ma rimane comunque indefinibile per me. D'altronde, se mi chiedessero come mi chiamo non saprei rispondere..." aggiunse poi mentre distoglieva lo sguardo, forse per la vergogna. Karl non riuscì a comprendere come si sentiva: per lui, dimenticare il nome della propria amata era il più grave dei peccati. Tuttavia, ancora non sapeva cosa comportasse trascendere l'esistenza umana e diventare uno spirito effettivamente: dimenticare la propria vita forse era ciò che quella donna, nella sua vita passata, aveva dovuto pagare. No, non l'aveva dimenticata: tutto era diventato solamente confuso, tutto meno quel sentimento verso l'altro spirito. "Ti starai chiedendo se io abbia fatto la scelta giusta, tanti secoli fa: per me lo era, proprio come resuscitare la tua amata lo era per te. Se mi vorrai giudicare, potrai farlo ma ti chiedo solamente di aspettare fino a quando non avrai ascoltato la mia storia" disse dopo pochi istanti lo spirito, un tono deciso caratterizzava la sua voce.
"Raccontami, spirito, la tua storia"
"No, umano, non ti narrerò la mia storia. Nessuna parola in nessuna lingua può esprimere appieno tutto quello che abbiamo vissuto io e la mia compagnia" replicò lo spirito.
"Allora come farai...?"
"Semplice." Lo spirito scomparve dalla vista di Karl per poi apparire nuovamente davanti a lui, a pochi centimetri di distanza. Toccò con un dito la fronte del ragazzo e poi disse:"La vivrai in prima persona!"
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+ Angolo dello scrittore in erba +
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui e spero vivamente che le vicende di questi personaggi continuino ad appassionarvi. Nel prossimo capitolo verranno aggiunti dei tasselli del quadro. Ci vediamo presto, spero.
Un saluto \0_0/
Rovo 
  
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