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Autore: alessandroago_94    03/10/2016    12 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 28

CAPITOLO 28

 

 

 

 

 

Dopo il caloroso abbraccio ricambiato da mia madre, ricordo perfettamente che salii in camera mia.

Troppe le novità che erano state gettate su di me, e troppe anche le sberle subite durante quella giornata lunghissima, che pareva proprio non volere finire più. Sia il mio corpo che la mia anima erano letteralmente a pezzi.

Avevo lasciato mia madre in cucina, ancora triste e perplessa per poco prima, e mio padre rintanato nella mia saletta, come suo solito, quel codardo prepotente e violento. Avevo scoperto di lui un altro aspetto che non conoscevo, e che davvero non volevo vedere riaffiorare mai più.

Speravo solo che, ora che era stato rintracciato e che noi sapevamo tutto quello che ci stava nascondendo, se ne andasse prendendo su le sue poche cose, tornando così alla sua vita precedente. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto se fosse andato via, per sempre quella volta.

Mia madre non aveva il coraggio di far nulla contro di lui, me ne stavo rendendo conto, e non potevo darle tutti i torti. Se fossero intervenuti i carabinieri a cacciarlo, quello magari si sarebbe ripresentato, prima o poi, anche solo per picchiarci. Era meglio non scherzare con un mostro del genere.

Il mio caro Roberto non l’avevo più rivisto, e questo mi faceva molto male. Sperai solo che non se la fosse presa con me, per avergli taciuto tante cose, e molto probabilmente doveva essere rinchiuso in camera sua.

L’aristocratica e il figlio non erano ancora tornati a casa, e pensai che fosse preoccupato per loro, anche se potevo capire facilmente che ciò non era vero, altrimenti non li avrebbe lasciati soli là in caserma.

Con il magone in gola, che mi costringeva anche a tossire di tanto in tanto, rientrai nella mia stanza da letto e mi fiondai di nuovo verso il letto, ma un oggetto colpì la mia attenzione. Infatti, notando il mio cellulare abbandonato sul comodino, mi affrettai a recuperarlo, dato che mi era tornato in mente che quella mattina l’avevo spento senza leggere il messaggio di Melissa. Inoltre, temevo che Jasmine mi avesse cercato durante quel pomeriggio, nel quale ero stato irrintracciabile.

Mi sedetti sul letto ed attesi pazientemente che il mio telefono si accendesse, per poi sentirlo subito produrre quel classico suono che avvisava dell’arrivo dei messaggi. Ero curioso, poiché quello di Melissa mi era già giunto, e quindi qualcun altro doveva avermi scritto.

Guardando nel display, riconobbi che i miei timori di poco prima erano fondati, e che Jasmine, la mia amatissima Jasmine, mi aveva scritto qualche ora prima, ed aveva tentato di telefonarmi più volte. Sapevo che non era una ragazza insistente, e che se aveva cercato di contattarmi incessantemente doveva essere accaduto qualcosa d’importante, forse a riguardo delle ricerche che stava portando avanti su Alice, e di cui io mi ero totalmente dimostrato disinteressato.

Sapendo quindi che con ogni probabilità la mia Jasmine voleva parlarmi di lei ed aveva qualcosa da narrarmi, preferii leggere prima ciò che mi aveva scritto Melissa quella mattina, anche perché ciò m’incuriosiva, ed inoltre era da un’infinità di tempo che attendeva una mia ipotetica risposta.

Mi ritrovai di fronte ad un messaggio di poche righe, scarno ma cortese, in cui la giovane mi invitava ardentemente ad andare a casa sua al più presto, poiché aveva bisogno di vedermi.

Perplesso, lì per lì non seppi che rispondere, tutto ammaccato com’ero, ma poi le scrissi che se tutto fosse andato bene, sarei andato da lei già il pomeriggio successivo, visto che era l’unico che avevo vuoto e senza impegni. Molto probabilmente, l’indomani mattina non sarei andato a scuola, e prendermi un pomeriggio di svago non sarebbe stato male. Inoltre, avevo davvero voglia di tornare a rincontrare la ragazza e quel branco di ochette chiassose, che a quanto pareva, a rigore di logica, dovevano essere le mie cugine.

Un brivido mi percosse dalla testa ai piedi, pensando che tutte quelle ragazze avevano lo stesso sangue di mio padre nelle vene, ma poi mi tranquillizzai comprendendo che pure io l’avevo, eppure non ero un mostro prepotente ed ottuso come lui. E poi ero curioso di scoprire cosa volesse da me, e il perché del fatto che avesse bisogno di vedermi.

Forse, mi dissi, aveva scoperto la mia identità. E il fatto che eravamo parenti.

Mi tolsi subito quell’idea dalla testa, e decisi di non pensarci su oltre, poiché mi giunse in quell’istante anche la puntuale risposta di Melissa, che mi diceva solo che mi aspettava l’indomani pomeriggio.

Con un profondo sospiro, dopo aver sistemato quella faccenda lì, mi accinsi ad affrontare il messaggio di Jasmine, ovvero quello che si preannunciava un po’ più duro da leggere, probabilmente.

Lo aprii senza tanti altri tentennamenti, e anche lì mi trovai di fronte ad un altro messaggio molto scarno, ovvero due parole in croce in cui la ragazza mi diceva che era riuscita ad avere notizie su Alice, e che quando esse avrebbero trovato conferma me le avrebbe dette, oltre che in quel momento era in viaggio coi suoi, siccome si stava facendo portare dall’amica, che a quanto pareva era riuscita pure a rintracciare.

Con inerzia, le risposi solo con un bene e buon viaggio, quasi una risposta non da me, ma io con Alice me l’ero egoisticamente presa e non riuscivo più a vederla come una buona amica, dopo ciò che era accaduto dopo il nostro ultimo incontro a casa sua. Tutto tra noi due pareva essersi guastato, e non avevo intenzione di perdere del mio tempo per cercarla, come stava facendo Jasmine con disperazione.

Più tardi, compresi che la mia Jasmine si stava comportando come una vera e leale amica, io un po’ meno, e di questo a suo tempo me ne pentii.

Insonnolito, spensi di nuovo il cellulare e spensi la luce, dopo aver chiuso a chiave la porta della mia stanza, ed andai a dormire così, addirittura senza mettermi sotto le coperte e lasciandomi andare semplicemente sul letto. Per fortuna, in casa c’era il riscaldamento acceso.

 

 

La mattina successiva, dormii fino a tardi.

Nessuno mi disturbò, e mia madre andò al lavoro senza svegliarmi. Voleva davvero che riposassi per bene, dopo tutto quello che era accaduto durante il giorno precedente.

Quando mi svegliai, erano all’incirca le dieci, se non ricordo male, e nel momento in cui cercai baldanzosamente di alzarmi dal letto, scoprii che tutte le botte che mi erano state rifilate il giorno prima stavano facendo sentire tutto il loro peso, considerando che mi sentivo tutto indolenzito e dolorante, più della sera precedente. Le mie articolazioni erano a pezzi più delle parti che avevano ricevuto le percosse più violente, ed avevo un bel po’ di lividi che facevano capolino ovunque. Ma ero vivo e stavo relativamente bene, e quello era l’importante.

Mi vestii in fretta e scesi al piano inferiore, pronto per fare la prima colazione.

Come al solito, una discreta ansia mi pervase mentre scendevo le scale, ma quella volta l’accantonai, consapevole che il giorno precedente doveva aver lasciato il suo indelebile segno su tutto. Erano finite le violenze di Federico su di me, e se avesse cercato di nuovo di farmi del male o di ricattarmi per qualcosa, non mi sarei fatto problemi a far scoppiare un altro casino, sfruttando l’onda d’urto da me generata meno di ventiquattr’ore prima.

Ero vagamente consapevole del fatto che il prepotente fosse tornato a casa, in tarda serata ed assieme alla madre, poiché il trambusto provocato dal loro rientro mi aveva fatto svegliare per un attimo, ma poi ero tornato subito a dormire profondamente. Poco male, la questione non m’importava più.

Quella mattina la casa giaceva in una tranquillità assoluta, di quelle quasi oppressive e strane, e mentre mi dirigevo in cucina lanciai un’occhiata alla porta della mia saletta, che era chiusa. Non mi chiesi se quel fellone di mio padre si stesse nascondendo al suo interno, ed entrai in cucina.

Scorsi la sagoma di qualcuno, in controluce, e per un attimo pregai che si trattasse di Roberto, con il quale non avevo più avuto modo di scambiare neppure una parola, ma invece mi trovai improvvisamente davanti a Livia, che, appoggiata al davanzale della finestra, mi stava guardando.

Quando misi a fuoco per bene il suo viso, dopo un attimo di smarrimento, poiché ero sempre abituato a non incrociarla quasi mai durante la mia vita quotidiana, notai che mi stava fissando quasi come se volesse incenerirmi.

Non ci fu bisogno che io provassi a fare una qualsiasi mossa, giacché ero rimasto lì impietrito per un attimo senza sapere come dovevo comportarmi, ed effettivamente con un moto di mediocrità ero stato quasi sul punto di salutare, come mio solito, ma i saluti non avevano più alcun valore tra quelle mura, sempre se ne avevano avuto in precedenza.

Livia infatti si smosse dalla sua postazione, e lasciando trapelare il suo disgusto per avermi incontrato, arricciando il suo nasino aristocratico e dedicandomi una smorfia tutta sua e snob, si accinse a lasciare la cucina.

Passandomi a fianco, diede due delicati colpi di tosse, senza mai smettere d’indossare quella sua aria schifosamente disgustata.

‘’Sarai contento ora, che sei riuscito a mettere fuori dai giochi mio figlio. Sappiamo che sei stato tu ad entrare anche nella sua stanza, mentre gli avevi tirato quel brutto scherzetto. Ma devi anche sapere che se hai vinto una battaglia, ne perderai altre, poiché noi entro un paio di giorni ce ne andiamo, e addio ai nostri soldi! Tu e quella buona a nulla di tua madre andrete assieme a sturare e a pulire dei gabinetti pubblici, pur di poter tirare avanti’’, mi disse la signora, tutto ad un tratto, quando ormai non mi aspettavo più un suo attacco.

Mi volsi lentamente verso di lei, visto che mi aveva già superato e le stavo volgendo le spalle, e fui io a guardarla in modo schifato, quella volta.

‘’Meglio sturare dei cessi che avere in casa propria degli spacciatori e dei bulli ricattatori e violenti’’, le sputai in faccia, ormai snervato da quella situazione.

La donna mi fulminò di nuovo con lo sguardo, ma non ribatté nulla e si volatilizzò in corridoio, dirigendosi verso le scale.

Logicamente, non la seguii, e non seppi neppure come ebbi fatto sul momento ad affrontare la mia timidezza e a tentare un affondo. Non ci riflettei su, ma mi soffermai solo a riconoscere che la signora di certo doveva sapere dell’esistenza della piantagione illegale in camera di suo figlio, e ne ero sempre più convinto, soprattutto dopo aver udito ciò che mi aveva appena detto.

Provai un brivido nel comprendere che forse quella donna voleva cercare di colpirmi lei stessa, ora che suo figlio navigava in cattive acque. Certo, non avevo immaginato che se ne sarebbero voluti andare da casa mia ma avrei dovuto, poiché ero già a conoscenza del fatto che la signora voleva andarsene già tempo addietro, ed in più la nostra convivenza forzata e basata solo su esigenze personali ormai non aveva più senso.

Era finita, alla fine, e anche molto prima del tempo. Non seppi mai perché avessero rilasciato il ragazzo, anzi, un secondo prima di addormentarmi, la sera prima, l’avevo immaginato in carcere, ma evidentemente non era andata così.

In ogni caso, in quel momento temevo Livia, che mi aveva quasi lasciato intendere, col suo sguardo schifosamente penetrante, che di certo prima di andarsene mi avrebbe tirato un brutto scherzetto. Avrei forse dovuto affrontare anche la donna, ma chissà come, siccome immaginavo che non mi avrebbe menato come invece avrebbe fatto il figlio. Mi attendevo un qualche attacco subdolo, magari rivolto verso mia madre.

Scossi la testa, cominciando a stare male solo a sfiorare quei pensieri, e mi rassicurai, comunque certo di aver vinto buona parte degli scontri finali. Se poi la donna voleva cercare un suo premio di consolazione, sarei sempre stato all’erta, e se mi fosse stata concessa l’occasione, avrei potuto di certo sconfiggere anche lei, così come avevo battuto il male, rappresentato da suo figlio.

Senza agitarmi o preoccuparmi oltre, mi misi a far colazione, sapendo che a breve avrei dovuto cominciare a prepararmi ad uscire poiché poi nel primo pomeriggio ero già atteso da Melissa, e chissà poi perché, dato che la ragazza dalle sue parole aveva lasciato trapelare quasi un secondo scopo. Mi chiesi di nuovo se fosse possibile che avessero scoperto chi fossi, ma poi ancora cercai di non farmi problemi, capendo che in ogni caso dovevo affrontare la realtà, così come avevo fatto con Federico, e solo in quel modo avrei potuto avere delle risposte.

Con risoluzione, quindi, completai il mio pasto e tornai di nuovo in camera mia, vestendomi a dovere e raccattando i soldi che mi servivano per acquistare i due biglietti del treno.

 

In quel giorno di fine novembre, uscii da casa mia e mi lasciai avvolgere dall’abbraccio gelido e umido della nebbia, l’unica presenza quasi costante del tardo autunno del mio paesino.

Avevo detto a mia madre che sarei uscito, chiamandola poco prima, e lei era parsa sospettosa, forse troppo, ed immaginavo che prima o poi le avrei dovuto dire esplicitamente e con sincerità dove mi recavo in treno. Di dirlo con mio padre, neanche a pensarlo; quell’essere volevo proprio tenerlo lontano dalla mia vita. E a lui, d’altronde, non importava davvero nulla.

Mentre mi muovevo lentamente verso la stazione, fui costretto a riconoscere che, durante quella mattinata, non avevo visto nessuno della famiglia Arriga, se non sporadicamente quell’antipatica della signora Livia, e questo era stato davvero strano, ma pensai che quasi di certo Federico doveva esser stato richiamato in caserma, e Roberto… beh, riguardo a lui non seppi darmi una risposta precisa.

Mi faceva male sentirlo distante da me, perché ormai lo era veramente, in fondo. Credevo fermamente che cercasse di evitarmi, o di stare chiuso in camera il più possibile per non incontrarmi, e questo stava rovinando il nostro rapporto. A rovinarlo ero stato io, coi miei silenzi, e con tutte le situazioni che sono stato bravo a creare, e questa consapevolezza mi faceva doppiamente male.

A Roberto mi ci ero affezionato, e sapevo che quando se ne sarebbe andato molto probabilmente avrei sofferto a causa della sua assenza. M’immaginai la vita in casa mia senza la sua figura positiva, in balìa di un padre tornato dopo anni d’assenza ed imbestialito e pericoloso, che si era pure involontariamente trascinato dietro una ragazza incinta di un figlio suo, e una madre sempre assente per via del lavoro, e totalmente incapace di condurre la nostra vita famigliare con risolutezza.

Quella non era una vita dignitosa, e riconobbi che l’Arriga forse era stato per me una sorta di salvezza. Era sempre stato a mio fianco nei recenti momenti di sconforto, e non volevo perderlo per un mio errore. Si era rivelato come una figura adulta di riferimento. Avrei dovuto parlargli, quindi, perché ci tenevo davvero tanto a farlo, e non me ne importava se non ero bravo con le parole, almeno ci avrei provato a riappacificarmi con lui.

Un'altra vicenda che mi preoccupava leggermente era Jasmine; quella ragazza selvatica e indomabile pareva aver perso la testa nella ricerca di Alice. Quel giorno non si era fatta sentire, ed io avevo provato a telefonarle poco prima ma il suo cellulare risultava irraggiungibile.

L’unico che si era fatto sentire ed era allegro era stato proprio Giacomo, ancora fiero della sua azione del giorno precedente, e mi ero affrettato a rassicurarlo sul mio stato di salute.

Con un sospiro, volli allontanare tutto quel miscuglio di pensieri dalla mia mente, poiché ero quasi giunto a destinazione, ed in perfetto orario. Acquistai due biglietti, uno per l’andata e l’altro per il ritorno, e non dovetti neppure attendere qualche minuto, poiché il mio treno giunse subito, stranamente puntuale.

Inutile dire che per tutto il viaggio fui tormentato dai pensieri, ma non dagli stessi di poco prima, bensì da quelli riguardanti Melissa, la mia parentela con lei e il suo pianoforte. Riconobbi che a spingermi fin lì non era la voglia di conoscerla meglio o altro, ma di suonare un po’ con quello strumento che a casa mia ormai era diventato intoccabile, poiché posizionato in territorio nemico, ed ero in piena crisi d’astinenza in quel momento.

Mi chiesi nuovamente il perché di quell’invito lampo e di quel bisogno di vedermi al più presto, ma ancora non volli concentrami su quelle domande, preferendo fantasticare ed immaginare le mie mani che si posavano di nuovo su quello splendido pianoforte che troneggiava in quella casa immensa, all’interno di quel villone di campagna davvero molto sfarzoso. E così il tempo del viaggio trascorse in un batter d’occhio.

Quando giunse il momento di scendere, il mio cuore batteva forte, e non appena vidi Melissa che mi veniva incontro, tutta sorridente, mi soffermai sui suoi lineamenti, quasi a voler cercare una qualche somiglianza con mio padre, che in effetti c’era, soprattutto nella fisionomia del volto, ma non aveva alcuna parvenza cattiva e stupida come quella del mio genitore. Non mi lasciai inquietare e smisi di tormentarmi con quei pensieri, cercando di rilassarmi un po’.

‘’Ciao, Antonio! Grazie per essere venuto’’, mi disse subito la ragazza, cordialissima, cominciando ad avviarsi verso la sua auto.

Io ricambia timidamente il suo sorriso, riconoscendo che non doveva aver di certo scoperto nulla sul mio conto e sulla mia identità, data la sua tranquillità, e mi approssimai solo a chiedermi se avessi dovuto sopravvivere anche quella volta a quel viaggio sul mezzo della mia amica e parente.

Già mi tremavano le gambe solo a pensarlo, ed ero certo che, se fossi stato sottoposto per l’ennesima volta a una guida così tesa, non sarei riuscito a stare zitto. Ma preferii mordermi la lingua, proprio mentre stavo salendo sull’utilitaria, poiché sapevo che io molto probabilmente al volante sarei stato ancor più pericoloso, anche perché non sapevo neppure guidare, e quindi la mia ragione mi riportò alla pazienza.

Allacciai per bene la cintura, e Melissa fu pronta a partire.

‘’Allora? Che mi racconti di bello?’’, mi chiese la mia interlocutrice, concentrandosi fin da subito sulla strada che stava placidamente affrontando.

‘’Niente di che. Tu?’’, mi limitai a risponderle, senza sbilanciarmi in alcun discorso. Non mi conveniva e non ne avevo voglia, attento com’ero alle mosse della guidatrice stessa.

‘’Oh, tutto come al solito, a parte qualche vicenda riguardante le mie cugine. Ah, sono sempre le solite, e questa volta si sono proprio messe nei guai. L’ho detto loro che frequentano troppi ragazzi! Sapessi… se ti va ti racconto’’.

‘’Ma certo’’.

‘’Sicuro che non ti annoio?’’, tornò a chiedermi Melissa, titubante.

‘’Assolutamente no, raccontami pure tutto quello che vuoi’’, le risposi nuovamente, cercando di mantenere un tono di voce possibilmente interessato.

La ragazza effettivamente partì subito col narrare le vicende delle cugine, e dato che a me proprio non me ne importava un fico secco, anche se sapevo che erano mie parenti, preferii lasciarmi scivolare passivamente addosso tutti quei racconti di adolescenti un po’ pazze e vittime dello scoppio ormonale, tentando di restare concentrato su me stesso, e scoprendo che non ero felice di essere lì.

Non mi chiesi allora cosa mi avesse spinto a tornare di nuovo in quel posto, poiché sapevo la risposta parziale, ma d’altro canto l’altra parte di risposta aveva un retrogusto troppo amaro per essere accettata. Ero spaventato dal fatto di dover riaffrontare quei visi ostili che mi ricordavano tanto mio padre, e quelle persone che avevano il mio stesso sangue.

Comunque, ormai ero lì in quel momento e dovevo essere contento della mia scelta, al di là di tutto, e ne presi atto.

Il viaggio che ci portò a casa della ragazza durò meno del primo, oppure ciò parse solo a me, come probabilmente accadde, dato che ormai mi ero abituato un po’ a quel percorso, e per fortuna giungemmo illesi e senza aver subìto particolari spaventi. Tutto regolare.

Giunti nel giardino della grande villa di campagna, ripresi a sentirmi come un pesce fuor d’acqua, ma per fortuna i calorosi sorrisi che mi rivolgeva Melissa erano in grado di tranquillizzarmi.

Subito, come la precedente volta, le cugine ci piombarono addosso come avvoltoi, curiose e chiacchierone come sempre, e a fatica riuscii a salutarle dignitosamente, sommerso dalle loro chiacchiere. Non ci capii molto, dato che come al solito le ragazze si parlavano l’una sopra l’altra, ed assieme sembravano una banda di pazze.

Fu Melissa a togliermi dai pasticci, come sempre ultimamente.

‘’Ragazze, non dovevate andare ad una festa questo pomeriggio?’’, chiese loro, titubante.

Mi sfuggì un sorriso, riconoscendo che anche lei forse voleva sbarazzarsi momentaneamente di quella banda scalmanata.

‘’E’ vero!’’, urlò Martina, dopo aver riflettuto per un attimo e battendosi una mano sulla fronte. Le altre tre, ricordando, sfoggiarono un’espressione stupita e quasi incredula.

‘’E’ tutta colpa tua, Giorgia! Ci fai sempre perdere tempo e poi alla fine dimentichiamo la metà delle cose che dobbiamo fare!’’, tornò a dire Martina, prendendosela con la sorella, che doveva avere un annetto in meno di lei.

Da quel momento scoppiò un putiferio, poiché presero a litigare lì davanti a me, e Melissa dovette metterci di nuovo lo zampino per riuscire a mettere tutto a posto.

‘’Se continuate a litigare, sarete ancora più in ritardo. È meglio che andiate a prepararvi’’, fece loro saggiamente notare.

‘’Macché preparare, siamo già pronte così!’’, si lasciò sfuggire con un singulto Martina.

‘’Ha ragione Mel, dobbiamo proprio andare. Ci attendevano mezz’ora fa, credo’’, fece notare Francesca.

‘’Andiamo, allora, che stiamo aspettando?! Papà! Papà!’’, prese a gridare Claudia, la più piccola del gruppetto, che dimostrava sì e no una quindicina d’anni.

Le cugine si allontanarono quindi in un batter d’occhio, continuando a battibeccare e a litigare, quella volta infuriate contro Claudia che voleva che fosse loro padre a portarle alla festa, mentre tutte le altre preferivano essere accompagnate dalla madre.

Lanciai un’occhiatina sarcastica a Melissa, che la ricambiò con imbarazzo, dopo aver distolto i suoi occhi dal gruppetto delle chiassose cugine che si stavano allontanando, girandosi di tanto in tanto per gridarmi un ciao e salutarmi.

‘’Ti ho già detto di non far loro troppo caso, si comportano sempre così quando sono insieme. Sono sorelle e sono molto legate tra loro, e dato che qui non abbiamo vicini di casa o altri coetanei, sono sempre cresciute assieme ed hanno avuto modo di instaurare un bellissimo rapporto. Però, a volte sono una vera scocciatura, quando si impegnano’’, ammise la ragazza, cominciando a muoversi verso casa non appena il gruppetto chiassoso fu sparito al suo interno.

‘’C’è un motivo per cui ti ho invitato con tanta fretta, Antonio’’, tornò a dirmi la mia accompagnatrice, questa volta con serietà e con il solito modo leggermente impacciato di chi è timido.

La fissai, bloccandomi con curiosità proprio sull’ingresso dell’immensa dimora, senza spronare la ragazza a dirmi qualcos’altro su ciò che l’aveva spinta a richiedere la mia presenza con così lieve ma evidente pressione. Per un attimo, quasi temetti chissà cosa, ma cercai di tranquillizzarmi, tentando di far leva sulla mia razionalità, che mi diceva che in ogni caso non avevo nulla da nascondere con troppa attenzione, o da temere.

‘’Ecco, mio nonno è rimasto molto colpito dalla tua bravura nel suonare al pianoforte. Mi ha chiesto di tornare ad invitarti al più presto possibile, poiché vuole udirti di nuovo suonare. Il motivo non lo conosco… so comunque che può sembrare maleducato averti invitato solo per farti suonare di fronte ad un anziano, e quindi ti chiedo di farlo solo se lo vuoi e se ti fa piacere, e magari di portare anche un pizzico di pazienza’’, mi disse la mia interlocutrice, cautamente.

Io pensavo chissà cosa, e quando udii quelle parole sorrisi apertamente e in modo sincero. Melissa era brava a parlare, e anche se aveva un solo anno in più di me, sembrava già un’icona di gentilezza e di cortesia, al contrario di tanti altri nostri coetanei. Si vedeva che era cresciuta in un ottimo ambiente.

‘’Non vedo l’ora di farlo, Mel’’, le dissi, realmente felice, poiché non vedevo davvero l’ora di tornare ad appoggiare le mie dita sui tasti di un pianoforte, interrompendo così la mia lunga astinenza, durata fin troppo. La presenza dell’anziano passava in secondo piano, dato il mio impellente desiderio di suonare.

La ragazza mi sorrise anch’essa, più serena, e con un breve cenno mi invitò a seguirla al piano superiore, dove risiedeva lo strumento musicale.

La seguii senza dire altro, ancora una volta in soggezione di fronte alla magnificenza della dimora di mia cugina, e un brivido freddo mi attraverso da capo a piedi non appena mi sfiorò il pensiero che forse quella era anche un po’ casa mia. Sapevo che mio padre era nato in una villa di campagna, e forse era proprio la stessa in cui stavo camminando in quel momento, anche se doveva di certo esser stata ristrutturata, nel frattempo.

Dopo aver quasi affiancato la mia accompagnatrice, varcammo pressoché simultaneamente la soglia della grande stanza del pianoforte, e ci trovammo di colpo davanti all’anziano. Il nonno era posizionato proprio a fianco dello strumento, e notando la posizione che stava assumendo, appoggiandosi leggermente sul suo bel bastone da passeggio, compresi che ci stava aspettando.

L’uomo non badò minimamente alla nipote, con una freddezza incredibile, e si mosse verso di me, lentamente, per poi lasciar trapelare un mezzo sorrisetto su quel volto glabro e gelido, ed io di fronte a lui e a quegli occhi così duri, scuri e profondi come quelli di mio padre, restai immobile, forse anche in modo non volutamente maleducato.

‘’Ben tornato, Antonio. Grazie per essere venuto di nuovo a farci visita’’, mi disse l’anziano, impettendosi, dopo essermisi avvicinato di un altro paio di passi.

‘’Grazie a Lei per l’ospitalità’’, gli dissi, formalmente e timidamente, quasi balbettando, non sapendo bene come relazionarmi. Il vecchio mi inquietava.

‘’Dammi pure del tu, ragazzo. Mi chiamo Aldo, nel caso che tu ancora non lo sapessi. Comunque, caro ospite, so che sei tornato su invito di mia nipote, e sono felice che voi due andiate d’accordo, ed ammetto che sono altrettanto felice di sapere che un giovane talentuoso come te frequenta la mia casa’’, tornò a dirmi il nonno, rigido. Era il nonno di Melissa, ma era anche il mio di nonno, anche se non lo sapeva, e questo mi fece provare altre emozioni contrastanti, subito sopite. Riconoscevo gli occhi di mio padre nei suoi, ed ero sempre più certo di aver ereditato anch’io qualcosa da lui.

‘’Grazie, troppo gentile’’, continuai a limitarmi a rispondere con serietà, sempre immobile nella posizione di poco prima. Non riuscivo davvero a sciogliermi.

‘’Grazie a te. E, se posso, vorrei chiederti un piccolo piacere, ritienila quasi una mia piccola richiesta di soddisfazione personale. Se ti farebbe piacere, mi piacerebbe che tu suonassi qualcosa per me, al pianoforte ovviamente. Non so se mia nipote ti ha già accennato qualcosa, comunque io ho già preparato alcuni spartiti, in modo che, questa volta, ciò che suonerai sia un po’ più ordinato, non come quella precedente, in cui mi sei parso sì colmo di talento, ma un po’ caotico. Mi piacerebbe ascoltare una sorta di tua… esibizione musicale, chiamiamola così’’.

Alle parole dell’anziano, fremetti nuovamente.

‘’Io… io lo farò volentieri, se ci tieni, però per correttezza devo anche dire che sono molto timido, e che difficilmente…’’.

‘’Non pensare alla timidezza, e non preoccuparti se farai qualche errore, sarò poi io a comprendere se si tratta di un piccolo timido errorino oppure un fallace erroraccio dovuto a qualche grave lacuna’’, mi disse Aldo, questa volta con più autorità del previsto.

Immaginai che in casa fosse lui a comandare, come una sorta di patriarca di un tempo, servito e riverito da tutti. Melissa stessa, la ragazza sempre piena di vita e chiacchierona che avevo conosciuto da un po’ di tempo, se ne stava quasi in un angolo, muta e silenziosamente attenta al nostro dibattito.

L’anziano, comprendendo di aver esagerato nei toni e nel modo di parlare, dato che tutto ciò che mi aveva detto pareva quasi un rigidissimo ordine, parve sul ciglio di dire altro per raddolcire le sue parole, ma si limitò a donarmi uno dei suoi alquanto rari sorrisetti.

‘’Suonerò… suonerò per… per te molto volentieri’’, dissi, balbettando. Ero già nella più totale soggezione e ci stavo facendo una figura vergognosa. Incapace di gestire le mie emozioni, mi chiesi come avrei fatto anche solo a scegliere una nota giusta.

‘’Grazie, Antonio, sei molto gentile con questo povero vecchio, le cui anziane orecchie vorrebbero trovare un po’ di ristoro tramite un po’ di musica. Se vuoi sederti e suonare qualcosa per me, lì c’è lo sgabello e il pianoforte. Logicamente, se vuoi farlo. Dopo, potrai tornare a chiacchierare con mia nipote’’, mi disse nuovamente il vecchio, continuando a rivolgermi un suo sorrisetto tiepido.

Compresi chiaramente che il suo insistente invito era più un ordine che altro, ma sapevo che se non avessi voluto suonare non se la sarebbe neppure presa troppo con me. Tuttavia, scelsi di suonare, anche perché ero davvero bisognoso di farlo e necessitavo assolutamente di tornare a sfiorare con le mie dita i tasti di un pianoforte.

‘’Va bene, suonerò’’, dissi, già con la mente altrove.

Mi avvicinai allo strumento musicale con grande fretta, quasi fossi un rapace affamato che ha individuato qualcosa di commestibile a terra, e presi immediatamente posizione.

La mia attenzione fu subito catturata dalla tastiera del pianoforte, e da quel momento in poi poco mi curai dei possibili spettatori, tanto ormai ci ero abituato a quel genere di situazioni, ed inoltre la mia voglia di suonare era troppo pressante per essere contenuta. L’unico mio interrogativo era quello riguardante a come avrei suonato, dato che era da un pochetto che non lo facevo, ed avevo davvero paura di essermi un po’ arrugginito.

In ogni caso, la mia frenetica voglia di tornare all’azione su quegli splendidi tasti vinse su tutto.

Gettai una rapida occhiata agli spartiti che l’anziano doveva avermi preparato con cura, ed ebbi un attimo di smarrimento, poiché essi erano ordinatissimi, ma mostravano solo parte dei componimenti che il padrone di casa aveva piacere che suonassi. Il tutto aveva il sapore di una prova a me ignota, quindi.

Non badai troppo alle formalità, e mi misi al lavoro, inizialmente posizionandomi al meglio e saggiando un po’ i tasti, con cura e con lentezza, cercando di riuscire a riattivare la mia familiarità con essi, e ci riuscii in un tempo relativamente breve.

Quando mi sentii pronto, decisi di cominciare a fare sul serio, e puntai i miei occhi sulle prime note mostrate in evidenza sullo spartito, e prima di cominciare a mettermi all’opera, riconobbi che mi era stata preparata in primis una parte, forse la più semplice, di un componimento di Yiruma, ovvero Love hurts.

Mi affrettai a far planare le mie dita verso la tastiera, ma per una frazione di secondo mi bloccai, poiché mi riapparve davanti la figura di Stefania, e il suo racconto del giorno prima, e questo mi turbò. Ero riuscito a scacciare dalla mente quello spiacevole ricordo per almeno metà giornata, lasciandolo involontariamente riaffiorare proprio in quel momento magico.

Chiusi gli occhi per un istante, e cercando di riprendere in mano la situazione, feci un profondo sospiro ed inspirai a pieni polmoni, immettendo talmente tanto ossigeno dentro di me e tutto d’un colpo quasi da provocarmi un leggero giramento di testa.

Stordendomi da solo, dopo un’altra frazione di secondo che non pareva passare mai, ripresi con decisione la padronanza di me e mi gettai sui tasti, quasi con fretta e con una pazza ed improvvisa ingordigia. Il nonno evidentemente voleva che io suonassi solo la parte da lui selezionata e propostami negli spartiti, ed anche se già conoscevo molto bene quel componimento, dovetti comunque seguire attentamente ciò che mi era stato proposto.

Mi scaldai senza problemi, e notando che non avevo fatto alcun errore, conclusi la parte di Love hurts consigliatami e proseguii col componimento seguente, prendendomi un secondo di pausa, mentre la mia musica aleggiava ancora per tutta la stanza, e il vecchio e Melissa, che doveva essere ancora lì, se ne stavano in profondo silenzio.

Cercando di non pensare alla loro presenza, mi trovai ad affrontare Divenire, di Ludovico Einaudi. Un altro componimento assolutamente alla mia portata e che conoscevo molto bene, e ne suonai una parte con decisione e scioltezza, anche se mi dispiacque interrompere nel punto stabilito.

Einaudi era ed è senz’ombra di dubbio il mio compositore italiano preferito, con un immenso talento e con le capacità più spiccate di ogni altro, a mio avviso, e quindi quasi mi spiacque abbandonarlo, per affrontare un’altra traccia. Esatto, poiché avevo compreso in quegli attimi che si trattava di tracce, e che all’anziano Aldo non importava che io suonassi tutto un componimento, poiché ciò avrebbe portato via molto tempo, ma gli interessava solo sentirmi suonare e scoprire in che modo affrontavo i vari elaborati e la mia maturità musicale.

A seguire affrontai The enchantress, di Alan Menken, altro componimento che conoscevo abbastanza bene, ma leggermente più difficile dei precedenti. Quella che era diventata ormai una sorta di colonna sonora del cartone animato La Bella e la Bestia fu anch’essa molto piacevole da suonare, e giunsi piacevolmente al test finale, trovandomi di fronte finalmente ad un classico.

Conoscevo bene alcuni classici, e Per Elisa di Beethoven non mi spaventava minimamente, ed ebbi quindi modo di sfoggiare una buona prestazione musicale anche in quel caso. Cominciavo comunque a stancarmi, ero fuori forma e ultimamente mi ero dilettato poco con quel mio amato strumento, e l’ansia cominciò ben presto a farsi spazio dentro di me, e desiderai ardentemente, ed incredibilmente, di concludere in fretta quella specie di prova.

L’ultima proposta da suonare era Alla turca, di Mozart.

Lì sbagliai qualche nota, ormai sfinito, ma nel complesso riuscii a suonare mediocremente, concludendo ciò che l’anziano aveva detto di voler udire.

Sospirai nuovamente, una volta concluso tutto, mentre una gocciolina di sudore scendeva lungo le mie tempie, per poi asciugarla con la manica della mia felpa e voltarmi lentamente verso il nonno, ritrovandolo in piedi e rigido, pochi passi più indietro di me. Melissa era a suo fianco, anche lei in piedi.

Aldo mi guardò con severità e serietà, storcendo un po’ le labbra prima di parlare.

‘’Nella mia lunga vita ho udito suonare tanti altri pianisti, mio caro Antonio, e devo ammettere che quasi tutti erano meglio di te. Ogni tanto commetti una qualche ingenuità, ma hai uno stile fluido, e secondo me potresti essere un ottimo compositore, considerando che mi sei piaciuto di più la scorsa volta, quando suonavi liberamente. Però, ti riconosco che hai tanto talento’’, mi disse l’anziano, riflettendo e col suo vocione, tanto simile a quello di mio padre, a tratti.

Rabbrividii.

‘’Grazie. Finora ho sempre suonato da solo, a casa mia, e quindi qualche lacuna ci sarà di certo’’, fu l’unica cosa che riuscii a dire.

Ero consapevole di non essere un pianista perfetto, però il giudice di casa Giacomelli a quanto pareva era davvero stato molto severo, in quel momento. Anzi, lo fu troppo, sono costretto a riconoscerlo anche ora, mentre tutto ciò ormai è solo un ricordo che ha soltanto voglia di sfocarsi all’interno della mia memoria, però in quell’istante non me la presi, e forse non lo feci mai. Ciascuno deve avere sempre il diritto di dire la propria opinione in libertà, in modo particolare se è anche il padrone di casa.

‘’Come avrai compreso, ti ho fatto affrontare una piccola prova, quasi a tua insaputa, per saggiare le tue potenzialità, e riconosco che ne hai parecchie, ma non puoi credere di fare della strada nel mondo musicale con quelle poche basi che hai, sempre se lo hai mai desiderato. Ecco, però mi hai colpito, e poiché sempre meno giovani suonano il pianoforte, se non ti spiace ho deciso di valorizzarti’’, continuò l’anziano, sempre rigido come una statua di pietra. Mi limitai a guardarlo con perplessità.

‘’Anch’io suonavo, da ragazzo. Quello è il mio strumento, che a suo tempo era stato di mia madre, ereditato a sua volta da suo padre. E’ molto antico. Comunque, ho ancora a disposizione parecchi amici e conoscenti, nel mondo della musica, e vorrei proprio consigliarti, e magari metterti tra le mani di un bravo insegnante, in modo che esso, con le sue capacità, possa limarti per bene e far di te un pianista perfetto, siccome, secondo me, potresti davvero riuscirci se ti impegnerai’’.

Non abbandonai la mia perplessità.

‘’Io, beh, dico grazie per l’offerta, ma non credo faccia al caso mio. Prima di tutto, non avrei neppure i soldi per pagarlo…’’.

‘’Per i soldi, non preoccuparti. Se ti interessa la mia offerta, dammi i tuoi dati e il tuo indirizzo, e entro breve farò venire a casa tua un bravo insegnante. Ci penserò io a stipendiarlo, e naturalmente lo interpellerò ogni tanto per capire se t’impegni e se fai progressi’’, m’interruppe l’anziano, quasi rudemente.

Abbassai lo sguardo. Nonostante tutto, riconobbi che non potevo accettare.

Casa mia era ancora in subbuglio, con l’ipotetica partenza degli Arriga e il caos e le prepotenze generate da mio padre, e sapevo che a breve, molto probabilmente, non sarei riuscito neppure a riavere sotto mano il mio strumento preferito.

‘’Non posso accettare, davvero. Sono all’ultimo anno delle superiori, e devo studiare molto… magari, potrei cominciare questa estate, ma in ogni caso non vorrei essere in debito con… con te’’, dissi, molto timidamente e in imbarazzo.

‘’Nessun debito, ragazzo. Sono ormai vecchio, e per mia fortuna ho un bel po’ di soldi da parte, e non mi spiacerebbe spendere qualche spicciolo per donare un buon futuro ad un giovane meritevole e talentuoso, visto le capacità che hai. Vedi tu; a te la scelta. Io sono sempre disponibile a realizzare il tutto, e comunque immagino che ci rivedremo spesso, dato l’amicizia che ha cominciato a legarti a mia nipote. Quindi, hai tempo e se vorrai mi farai sapere la tua risposta definitiva, quando preferirai. Pensaci un po’ su’’, concluse l’anziano, senza più insistere, per poi far sbocciare sul suo viso glabro e segnato dall’età l’ennesimo piccolo sorrisetto, di congedo quella volta.

Pensai che fosse tutto finito, e anche Melissa doveva pensarlo, dato che da parte sua mi donò un sorrisone rilassato, sempre in piedi e muta a fianco del nonno.

Poi, però, Aldo ci sorprese ancora. Impugnando il suo nobile e lucido bastone da passeggio, compì qualche passo verso di me, e mi allungò la mano, come a volermela stringere per siglare un patto, alla moda antica.

Io gliela allungai, in modo un po’ intimidito ed impacciato, e rimasi perplesso quando notai che il vecchio mi stava guardando intensamente nel viso, quasi studiandomi.

‘’Come ti chiami?’’, mi chiese, a bruciapelo.

‘’Antonio’’, risposi, perplesso.

‘’Questo lo so già. Ma di cognome?’’, tornò alla carica, severamente.

Spalancai leggermente la bocca, non sapendo come reagire. Avrei voluto rivelarmi in quel momento, e dirgli che ero suo nipote, un Giacomelli proprio come lui, ma decisi di non svelare il mio vero cognome, comunque. Non volevo che l’uomo credesse che mi fossi intrufolato in casa sua per approfittare abilmente delle sue gentilezze.

‘’Graziani. Antonio Graziani’’, risposi, dandomi un cognome a caso, e dopo un attimo di esitazione.

L’uomo mugugnò qualcosa, poi afferrò la mia mano saldamente, e dopo una rapida stretta la lasciò andare, continuando a guardarmi.

‘’Caro ospite, hai degli occhi molto profondi. Mi ricordano molto qualcuno, che ora non c’è più’’. E così dicendo, l’anziano mi diede le spalle ed abbandonò la stanza, silenziosamente.

Io, ancora imbambolato sul posto, spostai il mio sguardo su Melissa, l’unica rimasta presente nella stanza oltre a me.

‘’L’hai davvero colpito, Antonio. Non era facile’’, mi disse la ragazza, sorridendomi. Risposi al suo sorriso, e guardai l’orologio da polso; purtroppo, era già ora di andare.

‘’Piacere di averlo fatto, allora. Comunque, purtroppo…’’.

Non conclusi la frase, indirizzando il mio sguardo verso l’orologio. Melissa capì all’istante, riconoscendo anche lei che s’era fatto tardi ed era già ora di tornare in stazione.

‘’Hai ragione, andiamo’’, tornò a dirmi, facendosi mogia e smorzando la sua allegria. Compresi che avrebbe avuto piacere di passare un po’ di tempo con me, ma il pianoforte e il nonno mi avevano allontanato da lei, durante quel pomeriggio.

Fui in procinto d’invitarla a casa mia, nei giorni a seguire, certo che sarebbe venuta, ma mi morsi la lingua poiché ero perfettamente a conoscenza della disastrosa situazione che regnava tra le mura domestiche. Meglio evitare, momentaneamente.

La ragazza continuò ad essere amareggiata e silenziosa anche durante il viaggio verso la stazione, ma leggermente più rilassata alla guida, forse perché la sua mente non si stava più solo concentrando esclusivamente sulla strada.

Io, dal canto mio, non osai dire quasi nulla, poiché dentro di me mi sentivo veramente sporco. Mi sentivo esattamente come gli Arriga, che avevano cercato di nascondere più segreti in casa mia, e come mio padre, anch’egli prepotente e bugiardo, che aveva cercato di insabbiare le sue vicende amorose nell’ambiente familiare mio e di mia madre. Ecco, io stesso come questi soggetti avevo nascosto qualcosa a quelli che erano i miei parenti, tacendo la mia identità e mentendo spudoratamente, quando la situazione lo richiedeva.

Mi sentivo in colpa, e la mia coscienza era in tumulto.

Salutai Melissa senza troppo entusiasmo, e con un pizzico d’amarezza, della stessa provata da colei che mi stava di fronte, e ripresi il treno che mi avrebbe ricondotto a casa. Le sensazioni che provavo dentro di me erano contrastanti e confuse, un po’ come la mia triste situazione familiare, e per ammazzare un po’ il tempo mi misi ad ascoltare la musica del mio mp3, durante il viaggio di ritorno.

Quando scesi alla stazione del mio paesetto, e spensi l’mp3, mi sentii ancor più sporco, poiché molto probabilmente, una volta a casa, avrei dovuto mentire anche a mia madre, se lei mi avesse chiesto dove mi fossi recato durante quel pomeriggio. Ma purtroppo non avevo ancora intenzione di svelarle che casualmente avevo conosciuto le mie cugine e i miei parenti paterni, anche perché lei me ne aveva sempre parlato discretamente male e non sapevo come avrebbe potuto reagire constatando come mi ero comportato.

Forse, le sarebbe potuto apparire tutto quanto come una mia macchinazione, e che io in realtà fossi andato appositamente alla loro ricerca, ma non era così. Rischiavo il fraintendimento.

Misi a tacere la voce della mia coscienza, che ancora gridava, sempre più inascoltata, e cominciai a camminare frettolosamente verso casa mia, sotto una leggera pioggerellina.

Quando all’improvviso cominciò a squillare il mio cellulare, mi accinsi ad estrarlo dalla tasca destra dei jeans e a rispondere tranquillamente. Mi fermai un secondo e al riparo del mio ombrellino portatile e pieghevole, senza lontanamente immaginare che anche quella giornata aveva in serbo altre sorprese per me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Buongiorno a tutti, cari lettori e care lettrici, e grazie per continuare a seguire e sostenere questo raccontino.

Continuo a ringraziare infinitamente tutti i recensori che mi sostengono fedelmente, e chiunque stia leggendo.

Ci tengo a ringraziare, in modo particolare, la gentilissima GreenWind, che a suo tempo mi ha aiutato a scegliere i componimenti da far suonare ad Antonio in questo capitolo. Grazie, carissima Green, per avermi dato una mano e qualche importantissimo consiglio.

Grazie di cuore a tutti e per tutto, e buona giornata! A lunedì prossimo.

   
 
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