Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: KukakuShiba    03/10/2016    14 recensioni
DESTIEL teen AU
Il mondo del giovane Dean Winchester incontrerà inevitabilmente quello di Castiel Novak, nuovo vicino di casa, affetto da un handicap invisibile. Insieme, i due impareranno qualcosa di prezioso sull'amicizia, sull'amore e sulla vita.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO QUATTRO
 
“Piove sul giusto e piove anche
sull’ingiusto; ma sul giusto di più,
perché l’ingiusto gli ruba
l’ombrello.”
 
Charles Bowen
 
 
Era una calda giornata di metà agosto, quando qualcuno suonò il campanello di casa Winchester.
Mary sollevò lo sguardo sul grande orologio appeso sul muro della cucina. Erano le quattro del pomeriggio. Si asciugò in fretta le mani su uno strofinaccio, prima di dirigersi verso l’ingresso.
Quando aprì la porta, si trovò di fronte una donna: aveva lunghi capelli di colore biondo scuro, raccolti ai lati da un fermacapelli, gli occhi erano di colore verde e la pelle aveva una delicata sfumatura rosa.
“La signora Winchester?” – chiese gentilmente lei.
“Sì, sono io” – rispose Mary.
“È un piacere conoscerla. Io sono Amelia Novak” – disse l’altra, presentandosi.
“Oh, la madre di Castiel…”
La donna annuì, sorridendo.
“Anche per me è un piacere conoscerla, finalmente. Prego, si accomodi pure” – disse Mary, aprendo maggiormente la porta per consentire all’ospite di entrare, e conducendo poi la nuova vicina verso l’interno della casa.
“Posso offrirle qualcosa?” – propose Mary, una volta in cucina.
“Non vorrei disturbare…” – si premurò l’altra.
“Nessun disturbo” – sorrise Mary – “Ci facciamo un bel caffè, le va?”
“Volentieri, grazie”.
La padrona di casa fece accomodare Amelia al tavolo, in attesa che il caffè fosse pronto.
“Allora, mio figlio mi ha detto che venite dall’Illinois. È un bel viaggio fino a qui” – esordì Mary, prendendo due tazze dalla credenza e sistemandole sul tavolo.
“Sì, è stato un bel cambiamento, in effetti” – ammise l’altra.
“Posso chiederle come mai vi siete trasferiti?”
“È stato per il lavoro di mio marito, James. A causa della crisi, l’azienda per cui lavora ha tagliato l’organico della sua sede a Pontiac e ha distribuito le rimanenze in altre sedi. E così siamo capitati qui a Lawrence” – spiegò Amelia.
Mary versò il caffè ormai pronto nelle tazze, allungando poi la zuccheriera verso l’altra donna.
“Mi dispiace” – rispose poi sinceramente – “Questa crisi sembra non finire mai…”
Amelia annuì.
“E lei, invece? Lavora?”
“Sì, sono un’insegnante” – disse la donna, rigirando il caffè con il cucchiaino – “Ho ottenuto il trasferimento in un liceo qui a Lawrence”.
“Davvero? E quale?” – chiese curiosa l’altra, sorseggiando la sua bevanda.
“La Free State High School”.
“È la scuola che frequenta mio figlio, Dean” – sorrise Mary.
Anche Amelia sorrise.
“A proposito di Dean…” – iniziò titubante poi – “Io vorrei ringraziarlo…”
Mary guardò la donna, sorpresa e curiosa allo stesso tempo.
“Sa, per mio figlio Castiel…” – sospirò lei – “Dean è davvero un bravo ragazzo”.
La signora Winchester sbuffò in una risata sotto lo sguardo interrogativo dell’altra donna.
“Mio figlio Dean è disordinato, testone, decisamente troppo vivace a volte” – sentenziò lei, facendo ridere a sua volta Amelia – “Ma, sì…è un bravo ragazzo” – concluse poi, con una punta di orgoglio.
 
“Ho conosciuto Castiel” – riprese poi, poggiando la tazza ormai vuota sul tavolo – “È davvero un ragazzo educato e gentile” – “Oh, come vorrei che il mio Dean imparasse un po’ di buone maniere da lui” – sospirò infine.
Entrambe le donne risero, divertite.
 
“Amelia, possiamo darci del tu?” – chiese dolcemente Mary.
“Certamente”.
Rimasero un po’ in silenzio. Poi la padrona di casa si fece coraggio.
“Senti…posso chiederti di tuo figlio…?” – domandò con cautela – “Voglio dire…è nato con questo problema o…?”
Gli occhi di Amelia si velarono di tristezza, che non sfuggì allo sguardo attento di Mary.
“Scusa, forse è stato troppo maleducato da parte mia farti una domanda così personale…” – intervenne subito la donna.
“No, no, non ti preoccupare…è una cosa che mi chiedono spesso. È che…anche se sono passati diversi anni, fa ancora male” – sussurrò la signora Novak.
 
°°°
 
“Dai, Dean, un’altra partita!” – pigolò Sammy, agitando il controller della consolle.
“Nah, fratellino, rassegnati, non mi batterai mai a quel gioco” – ghignò il biondo.
Sammy sbuffò, lasciandosi cadere sul letto della sua camera e mettendo il broncio.
Dean si avvicinò e gli scompigliò i capelli con una mano.
“Dai, ti concedo un’altra possibilità dopo cena”.
“Davvero?” – chiese Sam, speranzoso.
“Sì…ma vedi di allenarti però” – lo prese il giro il maggiore, mentre usciva dalla camera del fratello.
“Lo vedrai!” – lo sfidò il minore, ridendo.
 
Dean rise a sua volta, scrollando la testa. Percorse il corridoio e iniziò a scendere le scale.
 
“Castiel ha perso l’udito quando aveva undici anni” – disse una voce proveniente dalla cucina.
 
Nel sentire pronunciare il nome di Castiel, Dean si bloccò sul posto, rimanendo immobile sui gradini.
 
Una mattina Castiel si svegliò con un forte mal di testa. Il dolore arrivava a fitte continue e le tempie pulsavano. Cercò di aprire gli occhi, ma persino quel gesto era causa di sofferenza.
Quando la madre entrò in stanza per svegliarlo, il moro mugolò un lamento contro il cuscino, cercando di seppellirsi di più sotto le coperte.
“Cassie, tesoro, che succede?” – chiese Amelia, avvicinandosi al letto.
“Ho mal di testa” – disse flebile il figlio.
La madre posò delicatamente una mano sulla sua fronte.
“Ti fa tanto male?”
Castiel annuì.
Quella mattina, Amelia decise di non mandare il figlio a scuola, e lei stessa si prese un giorno di permesso dal lavoro.
“Riposati e cerca di dormire un po’, ok?” – si raccomandò lei.
Quando fu ora di pranzo, Amelia salì in camera per controllare il figlio.
“Hai dormito un po’?” – chiese la donna.
“No…”
“Ti fa ancora male la testa?”
Castiel annuì piano.
“Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?”
Il moro fece una smorfia.
Amelia preparò qualcosa di leggero, e il figlio riuscì a mangiucchiare qualcosa. Tuttavia, dopo meno di un’ora, il ragazzino dovette correre al bagno, e vomitò tutto. La madre decise di rimetterlo a letto, al caldo.
“Mamma…” – la chiamò Castiel, mentre lei sistemava meglio le coperte – “Ho la nausea”.
“Tesoro, è normale” – sospirò la donna – “Hai appena rimesso quel poco che hai mangiato. Rimani qui al caldo, e vediamo se passa, ok?”
E, così dicendo, si chinò per lasciargli un delicato bacio sulla fronte.
Quando Amelia fu sulla porta della stanza, il figlio la richiamò.
“Mi dà fastidio la luce…puoi chiudere le tende?”
“Certamente” – rispose lei, e con un rapido gesto tirò le tende, accostandole.
 
“Sono scesa al piano inferiore per un paio di ore” – deglutì la donna – “E quando sono risalita Castiel aveva la febbre alta. Chiamai il pediatra e lui mi disse di dargli un antipiretico, ma…” – si interruppe, mordendosi un labbro – “Ma la febbre non scese”.
Fece una piccola pausa.
“Quando, verso sera, mio marito tornò dal lavoro, richiamai il pediatra. Mi disse di provare ancora con l’antipiretico, e che probabilmente si trattava di influenza. La febbre si abbassò un po’, e Castiel si addormentò per qualche ora. Durante la notte però mi accorsi che la febbre era salita di nuovo. Chiamai di nuovo il pediatra e lui mi disse che dovevo avere pazienza e aspettare che l’influenza facesse il suo corso. Mi disse di tenerlo al caldo e di fargli mangiare cose leggere, ma nutrienti, e di usare l’antipiretico quando la febbre saliva troppo” – si prese una pausa – “Il giorno dopo aveva ancora la febbre, e non riusciva a tenere nulla nello stomaco. Fu al terzo giorno che mi resi conto che qualcosa non andava. L’antipiretico non funzionava per niente e la febbre si manteneva alta per tutto il tempo. Lui continuava a lamentarsi, diceva anche che gli faceva male il collo e che non riusciva a muoverlo bene. E poi…verso l’alba del quarto giorno ha iniziato a dire cose senza senso…sembrava confuso…e in alcuni momenti sembrava non riconoscermi neanche…”
Amelia si interruppe, la voce strozzata.
Mary allungò una mano e la posò delicatamente su quella della donna.
“Vuoi che ti porti qualcosa?” – chiese piano.
“Magari…un bicchiere d’acqua…” – rispose Amelia con un filo di voce.
 
Nel frattempo, Dean si era seduto su uno dei gradini della scala, le ginocchia portate al petto e circondate dalle braccia. Appoggiò la testa al muro, mentre una fitta allo stomaco iniziò a tormentarlo.
 
Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, Amelia riprese a parlare.
“Lo abbiamo portato subito al pronto soccorso e…dopo neanche mezz’ora dal nostro arrivo, Castiel era già stato ricoverato in terapia intensiva. I dottori mi parlavano, mi facevano domande, ma io non capivo nulla…sapevo solo che mio figlio era dietro quella porta a vetri e io non potevo vederlo”.
 
“Signora Novak, mi ascolti, è importante che lei ci dica esattamente cosa è successo” – disse uno dei medici del reparto.
Amelia era immobile, con una mano posata sulla fronte, mentre le lacrime le offuscavano la vista. James le era accanto, con una mano appoggiata sulla sua schiena.
“Quattro giorni fa si è svegliato con un forte mal di testa” – rispose lei, la voce distorta dai singhiozzi.
“Ha avuto nausea? Vomito?”
“Ha mangiato un po’ il primo giorno, ma l’ha vomitato poco dopo, e ha avuto anche la nausea. E poi non è più riuscito a mangiare nulla”.
“Fino a quanto è salita la febbre?”
“Era sempre molto alta…sui 39,5…e un paio di volte arrivò anche a 40,2…”
“Gli ha dato qualcosa?”
“Il pediatra mi ha detto di dargli un antipiretico, di tenerlo al caldo e le solite cose, e che quasi sicuramente era un’influenza e che dovevamo solo aspettare che passasse e…”
“Ok” – annuì l’uomo, scrivendo velocemente su una cartella clinica.
“Senta, per caso suo figlio ha manifestato altri sintomi, che lei ricordi?”
“No, non mi sembra…” – rispose lei confusa – “Però…” – disse, fissando il vuoto, come per cercare di ricordare – “Sì, mi sembra che una volta mi abbia detto che gli desse fastidio la luce...ah, e si lamentava perché non riusciva bene a muovere bene il collo…”
Il medico si adombrò.
“Capisco” – rispose poi, continuando a scarabocchiare qualcosa sulla cartella.
Amelia si accorse del turbamento dell’uomo.
“Che cosa succede? Che cos’ha mio figlio?” – chiese lei, alzando la voce.
“Ancora non lo sappiamo, signora. Il bambino deve fare altri esami” – disse, appoggiando una mano sulla spalla della donna – “Ora, se mi volete scusare…” – aggiunse poi, congedandosi da loro.
 
“Doveva fare altri esami, dicevano. Ma non ci dissero nient’altro”.
Amelia fece un’altra pausa, prendendo grandi respiri.
“Dopo un’ora, il responsabile del reparto di terapia intensiva ci chiamò a colloquio. Sospettavano che Castiel avesse contratto una forma di meningite. Secondo il medico i sintomi corrispondevano, ma per essere sicuri era necessario fare un esame particolare. E per avere i risultati potevano volerci anche due giorni. Ci chiesero il permesso di poter eseguire l’esame e di iniziare subito con una terapia, perché non c’era tempo da perdere, ed erano già passati troppi giorni da quando erano apparsi i sintomi. Ci dissero che anche noi avremmo dovuto sottoporci a degli esami e che avrebbero anche avvisato la scuola.
Durante l’esame mi fecero entrare per stare vicino a Castiel e tranquillizzarlo. Quando entrai in quella stanza, il mio cuore sembrò fermarsi. Sembrava ancora più piccolo in quel letto e in quella camiciola da ospedale. Così indifeso…”
 
“Ok. Castiel, adesso devi voltarti su un fianco…così, bravo. Ora, porta le ginocchia al petto e, se riesci, porta il collo in avanti” – disse dolcemente un medico.
“Cerchi di tenerlo in questa posizione, è importante” – si raccomandò l’uomo, rivolto ad Amelia, mentre nel frattempo denudava la schiena del bambino.
“Va bene. Ora sentirai un po’ di freddo, è un disinfettante, non farà male” – proseguì lui.
La donna nel frattempo continuava ad accarezzare i capelli del figlio, sussurrando parole di conforto.
“Adesso sentirai un lieve pizzico, è l’anestetico” – avvertì il sanitario, prima di procedere.
Durante la breve manovra, Castiel mugolò qualcosa.
“Shh…amore, adesso passa…” – lo tranquillizzò la donna.
“Sei molto bravo, Castiel. Adesso viene la parte più difficile. Cerca di rimanere fermo il più possibile. Sentirai una forte pressione, ma non durerà molto. Tu cerca di rilassarti e di continuare a respirare, ok?”
Quando l’ago per la rachicentesi fu inserito nello spazio intervertebrale, il ragazzino emise un forte lamento e delle calde lacrime gli rigarono il volto, già fortemente provato dalla febbre alta.
 
“Una volta terminato l’esame, mi fecero tornare in sala d’attesa, dove trovai James ad aspettarmi. Il medico ci disse che i giorni successivi sarebbero stati determinanti…e che dovevamo solo aspettare”.
La donna chiuse gli occhi, sospirando.
“Io…ricordo che iniziai a gridare e…James mi prese per le spalle e mi portò fuori dalla sala d’attesa”.
 
I signori Novak rimasero seduti nella sala d’attesa per un periodo di tempo indecifrabile. Entrambi in silenzio, con gli occhi fissi nel vuoto. Ad un tratto, James si alzò dalla sedia.
“Dove vai?” – sussurrò lei.
L’uomo sospirò.
“Ho bisogno di pensare” – rispose lui, per poi allontanarsi lungo il corridoio.
Amelia lo seguì con lo sguardo. Conosceva bene il marito e sapeva cosa significasse quella frase.
 
Poco dopo, la donna sentì un rumore di passi concitati farsi sempre più vicino. Si voltò appena in tempo per vedere il figlio maggiore dirigersi a grandi passi verso di lei.
“Balth” – sussurrò Amelia, alzandosi in piedi.
“Dov’è?” – chiese agitato il ragazzo, una volta vicino.
“È in terapia intensiva”.
Il giovane soffocò un gemito.
“Voglio vederlo” – disse poi, con voce strozzata.
“Non è possibile, Balth, dobbiamo aspettare” – lo dissuase piano la madre.
“C-cosa? Cosa dobbiamo aspettare?” – chiese confuso il ragazzo, con le lacrime agli occhi.
Il volto di Amelia si contrasse in una smorfia di dolore.
“No…” – mormorò Balthazar, incredulo – “Non può essere…”
La madre strinse a sé il figlio maggiore, il quale scoppiò a piangere, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
“È Cassie, mamma…lui…è Cassie…” – singhiozzò, contro il petto della donna.
Amelia non disse nulla. Continuò a cullare il figlio maggiore, lasciando che si sfogasse.
 
Dopo un paio di ore, non vedendo ancora tornare il marito, la donna decise di raggiungerlo. Quando si trovò di fronte ad una porta di legno scuro, indugiò un attimo. Sospirò e, mettendo mano alla maniglia, l’abbassò. Davanti a lei si presentò un’ampia stanza. James era lì dentro, seduto su una delle panche presenti. Si trattava della cappella dell’ospedale.
La donna si avvicinò e gli mise delicatamente una mano sulla spalla.
L’uomo si voltò, i suoi occhi erano rossi e gonfi. Aveva pianto.
“Posso sedermi accanto a te?” – chiese piano lei.
James annuì.
Si sedettero vicino, le spalle che si toccavano.
“È arrivato Balth” – disse lei – “È sconvolto…”
L’uomo sospirò.
Rimasero così, in silenzio.
“Non riesco a pregare” – disse ad un tratto lui, con voce roca.
La donna prese la mano dell’uomo e la strinse fra le sue.
“James…”
“Non ci riesco…non…sono così arrabbiato…deluso…”
Amelia appoggiò la testa sulla spalla del marito.
“Lo so, James…lo so”.
 
Mary rimase in silenzio ad ascoltare, sentendo il cuore stringersi in una morsa sempre più stretta, mano a mano che Amelia procedeva con il racconto.
“Finalmente, dopo quella che mi sembrò un’eternità, Castiel mostrò segni di ripresa. La terapia stava funzionando e dopo diversi giorni lo dichiararono fuori pericolo. Rimase ancora a lungo in ospedale per completare la terapia, ma sembrava finalmente la fine di un incubo. Potemmo riabbracciarlo e stare con lui…e quando alla fine lo portammo a casa, il mio cuore scoppiò di felicità”.
La donna stirò le labbra in sorriso forzato.
“Ma durò ben poco. Nelle settimane successive, Castiel cominciò a mostrare problemi d’udito. È iniziato tutto da piccole cose…teneva alto il volume della televisione, spesso dovevamo ripetergli le cose più volte, e a scuola fu costretto a spostarsi il più vicino possibile alla cattedra. La cosa sembrò peggiorare mano a mano che passava il tempo e così decidemmo di consultare uno specialista. E fu allora che il mondo ci crollò addosso, di nuovo”.
 
“Dagli esami riscontrati e dal test audiometrico, risulta che Castiel sta progressivamente perdendo l’udito” – disse l’otorinolaringoiatra, consultando la cartella clinica.
Amelia portò una mano davanti alla bocca, cercando di soffocare un lamento.
“Ma…perché?” – chiese James, incredulo.
“È verosimilmente una conseguenza della meningite. Non sono casi poi così infrequenti, anzi. Nel caso di Castiel è stato colpito l’orecchio interno, sede dell’udito, ma anche dell’equilibrio. La parte interessata sta andando incontro ad una degenerazione definita labirinto sclerosi” – spiegò il medico.
“Io…non capisco. In ospedale gli hanno fatto tutti i test possibili prima di dimetterlo, anche il test dell’udito. E poi…tutte queste parole…cosa vogliono dire?” – domandò nuovamente l’uomo.
Il dottore emise un lento sospiro.
“Signor Novak, la meningite che ha avuto suo figlio ha portato a delle conseguenze, purtroppo. E tra queste ve n’è una…che possiamo definirla ‘distruzione’, per capirci meglio, della parte più interna dell’orecchio. È una situazione che non può essere trattata, e che non si può fermare. È destinata ad andare avanti. Mi dispiace, ma…Castiel diventerà sordo”.
 
Il silenzio che calò nella cucina di casa Winchester fu quasi insopportabile.
“E le cose andarono proprio così. Castiel perse completamente l’udito dopo circa due mesi. E da quel momento, la nostra vita non è stata più la stessa. Castiel non è stato più lo stesso…”
Mary deglutì un paio di volte.
“Sono molto dispiaciuta per quello che è successo” – disse poi piano – “Sono una madre anch’io e posso solo immaginare quanto abbiate sofferto…”
Amelia rispose con un sorriso tirato.
“Senti…in che senso dici che Castiel non è stato più lo stesso?” – chiese cauta la padrona di casa.
Amelia sospirò.
“Lui…era un bambino sempre allegro e curioso. Dopo quanto successo…lui è cambiato completamente. È stato costretto a lasciare la scuola. I suoi amici sono venuti a trovarlo per un po’, ma poi, pian piano, non si sono fatti più vedere. E, come se non bastasse, sono arrivati anche i problemi di equilibrio. A volte lui soffre di questi episodi di vertigine, così li ha chiamati il medico. Sono dei momenti che durano poco, ma sono piuttosto forti. Non riesce a camminare o anche solo a reggersi in piedi. Diventa pallido, suda, a volte arriva a vomitare per la forte nausea. Con il tempo, Castiel ci ha fatto l’abitudine, ma…so che per lui è difficile e frustrante”.
 
“Il dottore ci propose l’impianto cocleare, che avrebbe permesso a Castiel di condurre una vita quantomeno normale, ma lui…si rifiutò”.
“Perché?” – domandò Mary.
“Non lo so…non ha mai voluto dirci il perché. Continuava a dire di no. James ha cercato più volte di farlo ragionare, ma l’unica cosa che otteneva era solo di scontrarsi con lui”.
 
“È diventato chiuso, testardo. Non voleva più uscire di casa e passava le sue giornate chiuso in camera. Mio figlio Balthazar sembrava l’unico in grado di poter interagire con lui. Sapeva come prenderlo e Castiel gli è sempre stato molto legato”.
 
“All’inizio la comunicazione era molto difficile. Dovevamo scrivere su un quaderno o su un foglio, così che lui potesse leggere e rispondere a voce…fino a quando si è rifiutato di usare anche quella. Ed è stato allora che imparò pian piano a leggere le labbra e…infine la lingua dei segni. Aveva deciso di escludersi completamente dal mondo esterno. E noi…siamo stati costretti ad adattarci”.
 
Dean si era rannicchiato ancora di più sulle scale. Quando Amelia terminò il racconto, Dean sentì lo stomaco torcersi in una stretta. Nella sua mente riaffiorò l’immagine di Castiel in giro con lui per Lawrence. E il biondo si rese conto che l’amico gli aveva mentito. Quella mattina aveva avuto uno degli episodi citati da Amelia, e non un banale giramento di testa, come invece gli aveva fatto credere lui.
Dean si chiese come fosse Castiel prima dell’accaduto. La madre aveva parlato di amici, del fatto che fosse allegro. Il Castiel che conosceva lui era completamente diverso. Non era migliore o peggiore, era solo diverso.
E Dean si chiese anche come sarebbe stato quel ragazzo se tutto quello non fosse mai accaduto. E se avessero potuto ugualmente diventare amici.
 
La signora Winchester si pentì di aver fatto ad Amelia quella domanda, perché si rese conto che non era stato un bene per la donna raccontare quella storia. Decise quindi di cambiare completamente argomento, e le due finirono col parlare d’altro, scoprendo così di avere parecchie cose in comune.
 
“Si è fatto tardi” – disse Amelia, guardando l’ora – “Sarà meglio che vada” – aggiunse, alzandosi.
“Va bene” – rispose Mary, alzandosi a sua volta per accompagnare la donna alla porta.
Una volta arrivate all’ingresso, Amelia si voltò.
“Ti devo delle scuse. Io…mi sono lasciata andare e tu sei stata così gentile ad ascoltarmi…”
“Non dirlo neanche” – disse dolcemente l’altra.
“Io…credo di aver avuto bisogno di sfogarmi” – ammise la donna – “Con mio marito non ne parliamo spesso e…quando lo facciamo, finisce sempre in una discussione. Dice che sono troppo permissiva con Castiel…”
Mary abbozzò un sorriso.
“Hai fatto bene a sfogarti. E se in futuro ne avessi ancora bisogno, la mia porta sarà sempre aperta. E non sentirti in colpa per essere troppo permissiva con lui. È tuo figlio e hai rischiato di perderlo”.
La signora Winchester si interruppe, per poi riprendere subito dopo.
“Io stessa sono molto permissiva con i miei figli, soprattutto con Dean, lo ammetto. Sam è più tranquillo, mentre Dean è un po’ più vivace e, so che forse a volte dovrei essere più severa con lui, ma…è il mio bambino, anche se ha già diciassette anni…Amelia, loro saranno sempre i nostri bambini”.
La signora Novak annuì e strinse le mani di Mary nelle sue.
“Grazie di tutto” – disse poi, prima di congedarsi e uscire dalla porta di ingresso.
Mary rimase a fissare la porta chiusa per qualche secondo. Quando poi fece per ritornare in cucina, con la cosa dell’occhio vide un’ombra familiare sparire velocemente in cima alle scale.
“Dean…” – sospirò la donna.
 
°°°
 
“Sam, vai a chiamare tuo fratello, è quasi ora di cena” – disse Mary, indaffarata davanti ai fornelli.
“Perché proprio io?” – ribatté il minore, seduto sul divano a guardare la tv.
“Sammy” – lo richiamò la madre.
“E va bene, però la tavola l’apparecchia lui!”.
Sam salì le scale e, quando si trovò di fronte alla camera del fratello, bussò, senza ricevere risposta. Tentò di nuovo, invano. Decise allora di aprire cautamente la porta e di fare capolino nella stanza.
Dean era sdraiato sul letto, girato su un fianco, le spalle rivolte alla porta.
“Dean?” – lo chiamò Sam.
Il fratello non rispose.
Il minore allora si avvicinò al letto.
“Dean, stai dormendo?”
Il giovane si mosse un po’ sul materasso e sospirò.
“No, sono sveglio”.
“La mamma ha detto di scendere, è quasi ora di cena” – lo informò il minore.
Dean indugiò un attimo.
“Non ho fame” – rispose infine.
Sam fu spiazzato da quella risposta. Rimase lì fermo, in piedi, a guardare la schiena del fratello. Quella stessa schiena sulla quale Dean lo aveva portato più volte, quando da piccolo cadeva e si sbucciava le ginocchia. Quella stessa schiena sulla quale Sam aveva pianto, perché le ginocchia sbucciate bruciavano, ma l’orgoglio ancora di più.
“Dean, non stai bene?” – chiese Sammy, nella voce una punta di apprensione.
Il maggiore si schiarì la voce.
“No, sto bene Sammy, non ti preoccupare. È solo che non ho fame” – lo tranquillizzò Dean.
Ma il minore non si convinse. Pur nella sua giovanissima età, Sam intuì che qualcosa non andava, anche se non riusciva ancora a capire cosa.
“Ok” – si limitò a dire, prima di voltarsi e di uscire lentamente dalla camera.
Quando il ragazzino tornò in cucina, la madre lo guardò con aria interrogativa.
“Ha detto che non ha fame” – disse semplicemente lui.
La donna strinse le labbra e annuì.
 
°°°
 
Qualcuno bussò alla porta. Dean non rispose e si rannicchiò ancora di più su un fianco, nascondendo il viso nel cuscino.
La porta si aprì, per poi chiudersi lentamente. Dei passi leggeri si avvicinarono, e qualcuno si sedette sul bordo del letto. Una mano calda e sottile accarezzò i capelli del giovane, facendolo sospirare. Dean sapeva bene di chi si trattava.
“Dean” – lo chiamò piano Mary.
Il biondo si morse un labbro, ma non rispose.
“Dean, guardami” – lo incitò la donna.
Il giovane si mosse leggermente e si voltò verso la donna, guardandola negli occhi.
Mary abbozzò un sorriso.
“Lo so che hai sentito tutto, oggi pomeriggio” – disse piano.
Dean abbassò lo sguardo.
“Dean…”
“Perché?” – chiese il figlio.
“Perché, cosa?”
“Perché gli è successo questo? Perché è stato così sfortunato?” – mormorò Dean.
Mary sospirò.
“Dean, io non so perché accadano queste cose. E sì, hai ragione, Castiel è stato molto sfortunato. Ma…è vivo. Con un grosso handicap, è vero, ma è vivo. E per la sua famiglia questo conta più di qualsiasi altra cosa”.
Dean rimase in silenzio.
 
“È simpatico, sai?” – disse il ragazzo – “È intelligente, e conosce un sacco di cose” – continuò, sorridendo debolmente.
Mary giurò di vedere per un attimo un luccichio negli occhi verdi del figlio, e sorrise.
“E anche fortunato, direi” – aggiunse la donna.
Dean aggrottò la fronte, perplesso.
“Ha trovato un buon amico, a quanto pare” – sorrise lei.
 
°°°
 
Non riuscendo a dormire, quella notte Dean rimase seduto sul letto con il laptop appoggiato sulle gambe. La luminosità dello schermo si infrangeva sul suo volto concentrato. Gli occhi saettavano velocemente da una pagina all’altra del motore di ricerca, soffermandosi quando riconoscevano qualcosa di interessante, qualcosa di importante.
 
Sordità: disfunzione dell’apparato uditivo, che può essere causata da malattia, esposizione eccessiva ai rumori, assunzione di determinati farmaci o antibiotici, lesioni all’orecchio.
 
Sordità acquisita: si presenta durante la vita.
 
Dean si umettò le labbra.
 
Livelli di sordità - a seconda del danno riportato, abbiamo tre livelli: lieve, medio, profondo. In quest’ultimo caso, non di percepiscono nemmeno rumori o suoni di elevata intensità.
 
Sordo oralista: la persona sorda non usa la lingua dei segni, ma usa spesso il labiale.
Sordo segnante: la persona sorda usa spesso la lingua dei segni.
 
Dean socchiuse gli occhi, arricciando le labbra. Castiel leggeva il labiale e comunicava con la lingua dei segni. Però, se voleva, era in grado di parlare, perché era diventato sordo a undici anni. A che categoria apparteneva lui? Dean faceva fatica a capire, ma di una cosa era certo. Castiel era un caso fuori dagli schemi. Castiel era speciale.
 
Meningite: malattia del sistema nervoso centrale, generalmente di origine infettiva, caratterizzata dall’infiammazione delle meningi, le membrane che ricoprono l’encefalo e il midollo spinale.
 
Dean deglutì. Fece scorrere velocemente il dito sul mouse del portatile.
 
Tra le conseguenze più frequenti di una meningite ci sono problemi all’udito.
Sordità permanente.
Altre conseguenze: cecità permanente o menomazione parziale della vista.
Altri effetti: epilessia, paralisi cerebrale, idrocefalo, disturbi comportamentali.
 
Dean chiuse il laptop con uno scatto. Rimase immobile al buio, a fissare il vuoto, respirando pesantemente. Tirò indietro la testa e si appoggiò alla testata del letto. E chiuse gli occhi.
 
°°°
 
Il pomeriggio successivo Dean, di ritorno da un appuntamento con Lisa, intravide Castiel seduto sul dondolo del portico, intento, come sempre, a leggere. Dean si fermò ad osservarlo. Nella mente del biondo presero vita diverse immagini del ragazzo. Lo immaginò insieme agli amici, in ospedale, chiuso in camera, barricato dietro un mutismo volontario. Fece un profondo respiro e decise di raggiungerlo.
Una volta sul portico, Castiel si accorse della presenza dell’altro e gli sorrise, sorpreso.
“Ciao, Cas” – sorrise di rimando il biondo.
Il moro socchiuse gli occhi e inclinò leggermente il viso. Poi mise mano al block notes.
Cas?
“Sì…Cas. Diminutivo di Castiel” – annuì Dean – “Non ti piace?”
È carino”.
Il biondo sorrise, compiaciuto.
Sempre meglio di Cassie”.
Entrambi scoppiarono a ridere.
 
“Senti, Cas” – iniziò Dean, titubante – “Posso chiederti una cosa?”
Castiel annuì.
“Ecco…oltre a…sì, insomma, il fatto di non sentire” – proseguì l’altro, iniziando a balbettare – “E-E’ vero che ogni tanto hai dei problemi d-di equilibrio?”
Il moro aggrottò le sopracciglia.
Perché dici questo?”
“Ecco…ieri tua madre è venuta a casa nostra e…ho sentito che ne parlava con la mia…”
Castiel si irrigidì. La mascella si contrasse e le labbra si stirarono in una linea dura.
“Mi dispiace per quello che ti è successo…” – mormorò il biondo, cercando gli occhi dell’altro.
Quindi, sai tutto?”
Dean annuì.
 
“Allora…è vero? Mi riferisco a queste…vertigini”.
Castiel strinse la mano attorno alla penna, ma non scrisse nulla.
“È successo quella mattina quando eravamo in giro per il centro, vero?”
Il moro emise un forte sospiro e annuì piano.
“Perché non me l’hai detto?” – domandò cauto Dean.
Castiel lo guardò duramente.
Cosa avrei dovuto dirti?
“Beh…” – tentò il biondo.
Cosa?
“Potevi dirmi la verità” – rispose serio Dean.
Castiel sbuffò in una risata amara.
 
“E potevi anche dirmi che sai parlare” – riprese poi con calma il biondo.
Il moro distolse lo sguardo, accigliato.
Non voglio discutere di questo”.
“Perché?”
Perché no”.
“Castiel…”
Ho detto di no!
Mentre scriveva l’ultima lettera, Castiel calcò così tanto la punta della penna sul foglio da squarciarlo. In un impeto di rabbia poi, strinse la penna in un pugno, iniziando così a colpire il block notes più e più volte. Si alzò di scatto e, con violenza, gettò a terra il taccuino, per poi allontanarsi a grandi passi verso la porta di casa.
Dean lo raggiunse rapidamente, afferrandolo per un braccio.
Quando Castiel si voltò e torse il braccio per liberarsi dalla stretta del biondo, Dean vide i suoi occhi blu velati alle lacrime. Il giovane allora mollò la presa, lasciando che Castiel sparisse dentro casa, sbattendo violentemente la porta.
Dean rimase a guardare quella porta chiusa, attonito.
“Cas…” – mormorò tra sé.
Dopo qualche minuto, si voltò e lentamente si diresse verso il dondolo. Si chinò a raccogliere il block notes, insieme ad alcune pagine che si erano staccate. Lo strinse tra le mani, guardando ancora una volta la porta. Poi, sospirando, scese i gradini del portico e, a piccoli passi, si incamminò verso casa.
 
 
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Lo so, questo capitolo è stato un po’ pesante, ok, molto pesante, sotto diversi punti di vista, ma, credetemi, è stato davvero necessario. La storia di Castiel doveva essere raccontata, non si poteva aspettare oltre, anche perché dovevate venire a conoscenza di quello che gli è accaduto per poi comprendere meglio tutto quello che verrà dopo. Ho scelto di far raccontare quanto successo da Amelia, prima di tutto perché Castiel non lo avrebbe mai fatto, e seconda cosa perché nessun altro, meglio di una madre, poteva farlo. Inoltre, mi sono servita di questa alternanza tra presente e passato, che vedrete ricorrere spesso in questa storia, per alleggerire il carico e per mostrare ovviamente la reazione di Dean.
Per quanto riguarda il malessere di Castiel si è scoperto che si tratta di vertigini. Ora, esistono diverse forme di vertigini, classificate in base alle cause, o in base alle strutture lese da cui originano, ma la loro spiegazione è davvero complessa, quindi mi limito a dire che quelle di cui soffre il nostro Castiel sono le tipiche vertigini vestibolari labirintiche, che si accompagnano quasi sempre a disturbi uditivi, appunto. Vengono definite parossistiche, cioè intense, ma di breve durata, e i sintomi possono comprendere tutto quello riportato da Amelia stessa.
Volevo inoltre aggiungere che le definizioni in corsivo, che legge Dean sul pc, provengono principalmente da Wikipedia e motori di ricerca vari, ed è una cosa fatta apposta, dal momento che il ragazzo dispone come unica fonte di possibili informazioni proprio internet e nient’altro.
Vi ho lasciato con una scena un po’ forte, lo so, ma prometto che mi farò perdonare.
Alla prossima!
Sara
   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: KukakuShiba