Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Stephanie86    05/10/2016    0 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2

 

“Bisogna sapere che io, per mia sorte,
fui sempre di quelli che s’innamorano in modo eccessivo e inguaribile,
e dei quali nessuno mai s’innamora.
Mia madre era stato il primo, e il più grave, dei miei amori infelici”

[Elsa Morante, Menzogna e sortilegio]

 

 

 
Foresta Incantata. Τrentacinque anni fa.  

 

“Odio la sua carnagione pallida”, disse Regina, strappando seccamente un petalo nero dalla rosa che stava torturando. La sua visita al villaggio dov’era stata avvistata Biancaneve si era rivelata un totale fallimento. Aveva trovato solo un mucchio di lerci paesani pronti ad offrirle una torta ai mirtilli e a raggirarla. Biancaneve c’era, aveva circondato il villaggio ed era spalleggiata da quell’idiota di Azzurro, nonché dai suoi fedelissimi nani. “Odio la sua insopportabile sincerità. E il suo minuscolo esercito di disgustosi mostriciattoli!”

“Credo che siano... nani”, asserì Henry, entrando nella grande sala del palazzo.

“Non mi interessa che cosa sono. Mi disgustano!”, rispose Regina, voltandosi. Suo padre se ne stava là, con le mani dietro la schiena. Non aveva fatto altro che ripeterle quanto inutile fosse la sua vendetta, quanto questo la rendesse simile a Cora e quanto fosse grande il potere che Cora avrebbe sempre avuto su di lei, se non avesse abbandonato i suoi propositi. Regina ne aveva abbastanza. Di lui e del suo modo di ronzarle attorno. Non avrebbe mai capito che tutto ciò che stava facendo per impedirle di arrivare a Biancaneve non sarebbe mai servito. “E avevo chiesto di restare sola, papà. Quindi se sei venuto qui per parlare di mia madre, lascia stare! Desidero solo che questo compleanno finisca.”

“Hai una visita”, disse Henry, mentre Regina si allontanava a passo svelto. “Ti sta aspettando.”

“Quale visita? Chi altro hai invitato? Sappi che non sono dell’umore per...”

“Non l’ho invitata io, infatti.”

 

Malefica era nella sala che era stata riservata al banchetto che Henry aveva voluto a tutti i costi organizzare per il suo compleanno.

La lunga tavola era già imbandita e al centro faceva bella mostra di sé un cesto pieno di mele rosse.

“Le tue guardie sono molto scortesi. Non volevano che entrassi”, disse Malefica, sfiorando la torta ai mirtilli che quella contadina le aveva offerto. “Non ti dispiacerà se mi sono liberata di un paio di loro. Stanno solo dormendo.”

“Puoi anche mangiarteli, per quanto mi riguarda”, rispose Regina. “E se sei venuta per la festa, puoi andartene e portati via pure i regali.”

“Non ti ho fatto nessun regalo, dato che so che cosa vuoi.”

“Aiutami a procurarmelo, allora.” Regina osservò l’amica nel suo abito blu scuro decorato con ricami viola, con i boccoli biondi che ricadevano sulle spalle e la sfera in cima al suo scettro che scintillava incrociando la luce delle torce. “Se piomberò su quel maledetto villaggio sulla schiena di un drago forse capiranno da che parte devono stare.”

“Lo distruggerai comunque, quel villaggio. Anche senza di me”, rispose Malefica, come se il discorso l’annoiasse.

“Mi sembra di sentire mio padre...”

“Ti sbagli. Tuo padre vorrebbe che abbandonassi l’idea della vendetta. Io non desidero affatto che l’abbandoni. Ma devi rivolgerla sulla persona giusta.”

“Mia madre è già stata punita. È intrappolata nel Paese delle Meraviglie!”

“Che atroce sofferenza. Sembra quasi che tu non conosca affatto Cora. Prima o poi ne verrà fuori e allora sarà peggio per te.”

“Perché tu invece la conosci bene? Mia madre parlava di te nel suo libro... però non mi hai mai detto come vi siete conosciute.”

“L’ho conosciuta quando era ancora molto giovane. E non era potente come ora. Ma sai... non è importante.”

Regina storse la bocca in una smorfia. “Perciò sei venuta solo per rimproverarmi?”

“No.” Malefica guardò la torta ai mirtilli. Allungò una mano e affondò l’indice nella marmellata. Se lo portò alle labbra e assaggiò il dolce, gustandolo piano. “Buona.”

“È appena passabile”, replicò Regina, con una mano sul fianco e l’altra che stringeva il bordo del tavolo. “Sanno tutti che preferisco le mele.”

Malefica agitò una mano sopra alla torta. La marmellata di mirtilli assunse una tonalità più rossa. Il dolce lievitò leggermente. Regina sorrise, mentre Malefica tuffava nuovamente il dito nella pasta.

“E adesso?”, chiese.

Regina afferrò il polso di Malefica e si chinò, avvolgendo l’indice con la sua bocca. Lo succhiò avidamente e sembrò riflettere per qualche secondo.

“Adesso è perfetta”, concluse, passandosi la lingua sul labbro superiore e sulla cicatrice.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

Cora l’abbracciò calorosamente e Regina restò per qualche momento interdetta, tra le sue braccia.

- Io credevo...

- Credevi che fossi Daniel, sì. Dovevo essere sicura che saresti venuta.

- Speravo stessi bene. – le disse Regina, dopo qualche momento.

- Lo so, cara. – rispose Cora, separandosi da lei. Le sue mani le accarezzarono i capelli e a Regina stupiva che lei la stesse toccando in quel modo. Tutte le volte che l’aveva fatto, in passato... tutte le volte che Cora l’aveva sfiorata, le era sembrato che lo facesse in modo meccanico, senza alcun sentimento a muovere i suoi gesti. Perché non aveva un cuore. - Ma ho una questione in sospeso. E sto parlando di te.

- Non devi preoccuparti per me. – rispose Regina, occhieggiando Murphy, che fingeva di non ascoltare, rintanato in un angolo. – Io sto bene.

- Certo che mi preoccupo per te, Regina. Devo farlo.

Regina accennò un sorriso. – Allora aiutami. Aiutami a trovare Emma. E ad andarmene da qui.

- È troppo pericoloso. È già abbastanza grave che tu sia venuta fino a qui per... per la Salvatrice. Non puoi restare. Va via. Adesso. – Nella voce di Cora balenò la fermezza che Regina ricordava, sebbene i suoi occhi manifestassero una sincera apprensione. Avvertiva anche il suo profumo, ma era diverso. Era meno forte, meno aggressivo.

Regina doveva imporsi di stare in guardia. – No. Devo trovare Emma, prima.

- Emma... i tuoi amici, la tua famiglia. Emma. Lo vedi? È questo che ti trattiene. Devi fare quello che è meglio per te.

Regina scosse la testa. – Questo è il meglio.

- Non è vero! Regina... so bene che ti senti in colpa verso la Salvatrice. So che cos’è successo a Camelot. Ma non è stata colpa tua. Volevi salvarla. Quella ragazza ha deciso di sua spontanea volontà di morire...

- Non capisci. – Regina fece un passo indietro. – Glielo devo. Tremotino l’ha ingannata. È morta per niente. Non ha distrutto l’oscurità come pensava.

- Ma tu conosci le regole della magia! – Cora l’afferrò saldamente per le braccia, stringendo forte. Imponendole di fissarla, come se volesse trapanarle il cervello e inculcarle quel concetto nella mente. – Non si possono riportare in vita i morti.

- Non può valere per Emma... non per qualcuno che è morto invano. Non per... – Regina rivide se stessa con la spada sollevata, pronta a colpire. Avvertì il penso dell’arma e l’angoscia che l’aveva assalita. Era impensabile per lei andarsene senza Emma.

“Ricordi la promessa fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per eliminare l’oscurità? Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo dirai a nessun altro”.

- Io... non ho mantenuto la promessa.

- Non sai quello che dici. Ora ascoltami bene. – la interruppe Cora. – Non è stato facile, ma ho predisposto che una barca ti riporti a casa. Parte fra un’ora. Prendi Henry... prendi solo tuo figlio e vattene, prima che sia troppo tardi.

- Madre... – Stavolta fu Regina a rispondere con fermezza. – Non posso.

- Mi rendo conto che è difficile mettere da parte la diffidenza, visto il modo in cui ti ho cresciuta... – continuò Cora. – Ricordi l’ultima cosa che ti ho detto prima di morire?

Regina deglutì. Aveva la gola secca e il cuore in tumulto. – Che ti sarei bastata io.

- Mi ci è voluto troppo tempo per capirlo, quindi ti prego... non commettere il mio stesso errore. Vai. Emma Swan... andrà avanti prima o poi. Troverà la sua strada. Spera che imbocchi quella giusta, ma se è forte come credo... lo farà.

Regina non avrebbe mai potuto dimenticare quello che Cora le aveva detto prima di morire. Anche se aveva sempre saputo che forse non era la verità. Aveva sempre amato sua madre oltre ogni limite e comprensione. Quindi aveva sperato che quelle ultime parole fossero vere. Forse persino Cora l’aveva creduto in punto di morte. Ma Regina, in fondo, era cosciente che sua madre avrebbe sempre provato un folle desiderio di potere...

“Troverà la sua strada. Spera che imbocchi quella giusta, ma se è forte come credo... lo farà.”

- Quella giusta? Di che cosa stiamo parlando? – Regina sentiva che c’era molto altro. Che c’era qualcosa di terribile in agguato.

- Una madre deve fare quello che è meglio per il proprio figlio. Anche se è riprovevole. – disse Cora, in tono evasivo.

- Mi stai minacciando?

- No. – Cora sospirò. – Ma forse è necessario che io ti mostri una cosa.

Regina non ebbe il tempo di replicare. Scomparvero entrambe in una densa nube viola e, quando essa disparve, non erano più nel suo ufficio, ma in una caverna.

- Dove siamo? – domandò Regina, incredula.

Davanti a loro si estendeva un sentiero di roccia sospeso nel vuoto. Ad un certo punto, la roccia terminava e iniziava una voragine di fuoco. Le fiamme ruggivano, si allungavano come braccia alla ricerca di qualche anima da ghermire, vorticavano, lambivano i muri della caverna, parevano in procinto di arrampicarsi su di essa, ma poi scivolavano e si slanciavano in un’altra direzione.

Murphy barcollò, in bilico sul bordo della voragine. Lily si guardò intorno, costernata. Mosse un passo e frammenti di pietra si sbriciolarono, precipitando nel fuoco.

- Mamma?

- Henry, non ti muovere. – disse Regina.

- Non devi preoccuparti per lui. È al sicuro. – precisò Cora.

Lily fissò Murphy. Nessuno dei due spostò un piede verso l’altro. Occhieggiavano le fiamme.

- Dall’Oltretomba si può andare solo in due luoghi. – spiegò Cora, non badando nemmeno ai due sull’orlo del baratro. – Uno migliore... e uno peggiore. Guarda tu stessa.

- Non puoi farlo! Fermalo! – gridò Regina. – Aiutala!

- Non posso aiutarla. – rispose Cora. – E non posso fermarlo. È la sua questione in sospeso. È per questo che è qui.

Sulla faccia di Murphy comparve del sangue. Si era aperta una ferita al centro della sua fronte. Lui si portò una mano alla faccia e sgranò gli occhi. Nella mano destra di Lily c’era una pistola. Il calcio era macchiato di rosso. L’amica di Emma era paonazza. Vacillò pericolosamente, avvicinandosi al bordo. Il fuoco ruggì di nuovo e il volto di Lily sembrò incendiarsi.

Regina fece per andare verso Lily, ma Cora non glielo permise. Con la magia, creò una barriera trasparante tra loro e i due contendenti. – Non farlo, Regina. Perirai anche tu.

- Fatti da parte.

- No. Non posso farlo.

 

 
Foresta Incantata. Τrentacinque anni fa.

 

Regina fissava disgustata l’unica candelina posta in cima alla torta di sette piani che le avevano portato. Sembrava una presa in giro, non un compleanno. Il giullare le girava intorno, nel tentativo di divertirla con le sue pagliacciate, ma ne aveva avuto abbastanza ancora prima che la festa incominciasse.

“Forza, mia regina”, disse il giullare, sbucando da dietro la torta e agitando le campanelle agganciate al suo cappello a punta. “Esprimete un desiderio!”

Il cuore di Biancaneve su un piatto d’argento.

Il cuore di Biancaneve dentro allo scrigno.

Il cuore di Biancaneve.

Che quell’orribile giornata finisse al più presto.

Regina spense la candelina.

Il sorriso ebete del giullare si allargò. “Allora, qual era il desiderio?”

‘Pensavo che un desiderio espresso il giorno del proprio compleanno fosse un segreto’.

Vide che Malefica stava osservando la scena. I brevi momenti di distrazione passati con lei non l’avevano alleggerita affatto. Nemmeno sapere che gli invitati avevano sistemato i regali sul lungo tavolo dove aveva spinto la mutaforma, prendendola e marchiandola con le sue stesse unghie, la divertiva. Si sentiva furiosa, oppressa e aveva voglia di uccidere tutti.

“Che fosse divertente”, rispose Regina al giullare. “E non lo è stato.”

Passò una mano a pochi centimetri dalla faccia dell’uomo e quello cadde di schianto. I campanelli tintinnarono. Gli invitati mormorano, impauriti e iniziarono ad indietreggiare. Il trovatore smise di suonare.  

“Facciamola finita”, ordinò Regina. “Ho festeggiato abbastanza.”

“Perché così presto?”

Regina si fermò. La folla di invitati si fece da parte, aprendo la strada all’ultima arrivata. Cora avanzò, tenendo sottobraccio un regalo foderato in seta rossa, un colore che si intonava al suo vestito.

“Madre.” Avvertì il gelo che le dilagava nel sangue come una maledizione. Improvvisamente aveva le mani intorpidite. “Sei scappata dal Paese delle Meraviglie?”

Cora sorrideva in quel modo sinistro che conosceva bene. Regina immaginò cose terribili: che nelle scrigno ci fosse il cuore pulsante di suo padre. Che Cora avesse torturato Henry o che l’avesse ucciso. Che stesse per torturare anche lei. Regina era diventata molto più potente dall’ultima volta che si erano viste, grazie agli insegnamenti di Tremotino, ma non era ancora potente quanto sua madre.

“Dov’è papà?”, chiese. “Dimmi che non gli hai fatto del male.”

“Oh, l’ho perso di vista dopo avergli fatto incartare... questo.” Le porse lo scrigno. “Buon compleanno, cara.”

Malefica strinse lo scettro con entrambe le mani.

‘Si ricorda del mio compleanno’, pensò Regina.

Cercò di non lasciarsi confondere. “Non voglio nessun regalo da te.”

“Questo lo vorrai”, rispose Cora. “Ho fatto qualcosa di... davvero speciale. Ti ho portato la tua vendetta.”

Cora aprì lo scrigno e Regina vide con i suoi occhi il cuore rosso e pulsante che tanto sperava di avere in dono.

“Il cuore di Biancaneve.”

Regina guardò il cuore con avidità.

“Distruggilo. E lei morirà.”

“Regina, è una trappola”, intervenne Malefica. “Non farlo. Avrà ancora il controllo su di te.”

“Che piacere rivederti, Malefica. È passato moltissimo tempo”, disse Cora, continuando a reggere lo scrigno.

“Il piacere è tutto tuo”, rispose la mutaforma.

“Sono lieta che tu sia così preoccupata per mia figlia, ma ha già una madre che vuole solo il meglio per lei.” Cora tornò a rivolgersi a sua figlia. Regina esitava, fissando il cuore della sua acerrima nemica. “Non mi credi? Lascia che te lo dimostri. Portate lo Specchio!”

“Regina...”, la avvertì Malefica.

Cora sollevò una mano. “Τocca a lei scegliere. E so benissimo che cosa sceglierà.”

Alcune guardie si affrettarono ad eseguire gli ordini e trascinarono lo Specchio Magico nella sala. Regina prese il cuore tra le mani. Avrebbe voluto togliersi i lunghi guanti neri per saggiare la consistenza di quell’organo maledetto, ma era troppo eccitata all’idea che la sua vendetta fosse lì e che a regalargliela fosse proprio sua madre. Rise, come chi aveva appena ricevuto il dono più bello della sua vita.

Andò davanti allo Specchio, che le mostrò Biancaneve intenta a festeggiare, seduta a tavola con il suo principe e i nani. Quei mostriciattoli si prendevano gioco di lei, si divertivano un mondo, brindando e ingozzandosi di cibo.

Regina strinse il cuore in una morsa.

Nello specchio, Biancaneve prese a boccheggiare. Si portò le mani al petto, afferrandosi la veste.

Azzurro appoggiò una mano sulla sua spalla. “Biancaneve?”

Lei cercò in tutti i modi di arrivare al nodo che le chiudeva il colletto. Le sue dita armeggiavano in preda al panico, mentre respirava con affanno.

Regina aumentò la stretta sul cuore. L’organo scricchiolava, in procinto di ridursi ad un ammasso di cenere.

Poi dalla camicetta sotto la giubba di Biancaneve sbucò il Grillo, che cadde in avanti, perdendo la sua minuscola bombetta e il bastone.

I nani scoppiarono a ridere.

Malefica udì un rantolo accanto a lei, nel momento in cui il cuore andò in pezzi e la polvere si sparse sul pavimento. Un soldato si afflosciò senza vita.

“Qualcuno ha scambiato i cuori”, disse Cora.

Furibonda, Regina si voltò verso sua madre a caccia di una spiegazione. “Chi è stato?”

 

 

Oltretomba. Oggi.

 

- Dov’è Regina? – domandò Tremotino agli altri, quando furono tutti al cimitero. – E... Lilith?

- Staranno ancora cercando Emma. – rispose Biancaneve.

Malefica planò sul gruppetto e atterrò in uno spazio verde tra alcune tombe. Recuperò le sembianze umane.

- Trovato qualcosa? – domandò David, in apprensione.

- Niente. E nessuno che somigli a vostra figlia. – Si guardò intorno, cercando la sua, di figlia.

- Lily e Regina saranno qui a momenti. Henry è con loro. – disse Biancaneve.

- Quella è... – Killian indicò la tomba vicino alla quale sostava il Coccotrillo. Teneva una mano nascosta nella tasca e il pirata era sicuro che stesse nascondendo qualcosa. Il suo ghigno era fin troppo eloquente. Ma ciò che attirava maggiormente il suo sguardo era il monumento.

Era una lapide molto più elaborata delle altre, più alta, in marmo bianco e sormontata da un cigno con le ali spalancate e il becco rivolto verso il cielo. Su di essa capeggiava il nome EMMA SWAN. Non c’erano date né altre indicazioni.

Biancaneve rabbrividì, stringendosi di più al marito.

- Regina si perderà tutto lo spettacolo, allora. – Tremotino estrasse la mano dalla tasca e mostrò loro una boccetta dorata.

- Che cos’è? – chiese Killian.

- Questo è il modo per trovare la Salvatrice. – Tenne l’ampolla per il tappo. – La birra di Seonaidh, del regno di Dunbroch.

- Come funziona, Coccodrillo?

- Versala sulla tomba di Emma... e sarà lei a dirci dove si trova. Questa permette di comunicare direttamente con i morti. – spiegò Tremotino, come se si fosse trattato di una bazzecola, di una cosa che lui faceva tutti i santi giorni.

- Facciamolo, allora! – esclamò Biancaneve.

- Sì, vi conviene. C’è una barca che parte fra poco. Prendete Emma Swan, recuperate i dispersi... e andiamocene da qui. – disse Tremotino. – Non ho alcun interesse nell’esplorare l’Oltretomba. Ci sono già stato.

Killian gli strappò l’ampolla di mano e tolse il tappo. Con decisione, mosse due passi verso la tomba di Emma e poi gettò il contenuto dell’ampolla sull’erba, davanti al monumento.

 

Murphy sferrò un calcio e la pistola che Lily si era trovata in mano venne inghiottita dalle fiamme del Tartaro. Era ancora troppo stupita per reagire. Solo un istante prima era seduta accanto ad Henry e stava ascoltando qualche canzone del suo gruppo preferito. L’istante dopo era con il tizio che aveva ucciso, sull’orlo di una fornace.

Regina era trattenuta dalla madre e separata da loro tramite una qualche barriera magica.

- Nessuno può aiutarti, Lilith. Sei sola con me. Come quella sera. Quando mi hai lasciato in una lurida stazione di servizio. – disse Murphy. Il sangue sgorgava copioso dalla ferita in mezzo alla fronte, lo stesso punto in cui lei l’aveva colpito la prima volta con la pistola.

La caverna svanì.

Lily avvertiva ancora il calore delle fiamme e sapeva benissimo di essere sempre sull’orlo della voragine, ma il mondo intorno a lei era cambiato. Era tornata all’area di servizio deserta, davanti alle pompe di benzina.

Murphy sferrò un cazzotto, che la raggiunse alla mandibola. Vide le stelle e cadde all’indietro. Nell’asfalto intorno a lei si aprirono delle crepe. La realtà traballò. L’aria si fece più spessa, quasi irrespirabile.

- Ti auguro di marcire all’inferno! – gridò Murphy. Aveva gli occhi arrossati e digrignava i denti come una belva feroce. La voce era acuta e prepotente.

Lily bloccò il secondo cazzotto e gli diede un calcio in uno stinco, strappandogli un gemito di dolore. Murphy indietreggiò, barcollante. L’area di servizio cedette nuovamente il posto alle fiamme del Tartaro, ma solo per pochi secondi.

Udì la voce di Regina. Regina che urlava qualcosa.

- Non sei così brava a picchiare la gente, lurida bastarda! – strillò Murphy. Ghignava con le labbra sporche di sangue. Anche i capelli ne erano ormai intrisi.

Lily si alzò in ginocchio e il ragazzo la colpì al collo. Era un colpo maldestro, dato di taglio, ma era impreparata. Un dolore paralizzante le esplose in gola. La testa le ballonzolò all’indietro.

Ecco come va a finire. Con Murphy che mi uccide a calci, come io ho ucciso lui, pensò. Le parve che le venisse da ridere, ma non c’era traccia di risa, in lei. Quello che le uscì dalla gola fu solo un gemito sordo.

Murphy prese una breve rincorsa e le sferrò un calcio nelle reni. Lily puntò le mani sull’asfalto per non finire lunga distesa. Il suo sguardo colse i numeri verdi che lampeggiavano sulla cassa automatica accanto alle pompe, dove due anni prima aveva infilato venti dollari per riempire il serbatoio di una macchina rubata.

- Sai che avevo una figlia? – urlò Murphy, alterato dallo sforzo e dall’agitazione. - Avevo una figlia! Lei non ha più nessuno per colpa tua! Quella stronza di sua madre se n’è andata dopo averla partorita! Quei soldi mi servivano anche per lei!

- Perché non sei tornato a prenderla, allora... invece di scappare?!

La stivalata la colpì ad un fianco, mozzandole il respiro.

“Sai che avevo una figlia?”

No, non lo sapeva, naturalmente. Non aveva mai saputo nulla di Murphy. Così come Murphy non aveva mai saputo nulla di lei.

“Lei non ha più nessuno per colpa tua!”

E giù un altro calcio, stavolta dritto nelle costole. Rotolò e la stazione di servizio scomparve. Vide di nuovo la caverna e per poco non scivolò nel baratro.  Il suo braccio penzolò nel vuoto e lei si tirò subito indietro.

Murphy le allungò un altro calcio e a quel punto Lily gli afferrò il piede. Lo sentì solido tra le mani come un pallone ben preso. Gli occhi si accesero come tizzoni ardenti.

E spinse in là con tutte le sue forze.

Con un urlo, Murphy volò all’indietro e di traverso, facendo perno sulle braccia per ritrovare l’equilibrio.

“Sai che avevo una figlia?”

Perse la battaglia e Lily ebbe modo di scorgere i suoi occhi sbarrati e pieni d’odio un attimo prima che precipitasse. Le sue grida riecheggiarono per la caverna. Il fuoco ruggì in risposta... o forse non era un ruggito, ma una risata roboante. Le sembrava che quel luogo fosse vivo. Che le fiamme avessero una coscienza e non era la coscienza di tutte le anime che aveva inghiottito, ma una coscienza enorme e molto più antica.

La barriera magica che Cora aveva innalzato si frantumò.

Lily si rialzò in piedi a fatica, tenendosi un fianco e zoppicando per un breve tratto, mentre si allontanava  dagli orli della voragine. Cadde su un ginocchio e Regina tese una mano per aiutarla, ma lei la scacciò in malo modo.

- Grazie per l’aiuto! – esclamò, puntando il dito contro Cora.

- Non era la mia questione in sospeso. – si giustificò Cora, accennando persino ad un sorriso.

- La tua questione in sospeso per me può rimanere tale! Anzi, perché non salti, Regina di Cuori?

Regina prese Lily per le spalle. – Basta così.

Ma Lily perseverò. - Sono felice che tu sia morta! Ringrazierò personalmente Biancaneve, quando la rivedrò.

- Che cos’è successo a quel ragazzo? – intervenne Regina a sua madre.

- Ora appartiene al Tartaro. – disse Cora. – È la via peggiore. Ed è quello che potrebbe capitare anche a te, figlia mia, se non te ne vai. A te... e a qualcuno che ami.

- Chi?

Le fiamme si tesero, come se stessero ascoltando la conversazione.

- Tuo padre.

 

 
- Emma?

Biancaneve fissò l’immagine trasparente di sua figlia proiettata dalla pozione che Tremotino aveva trovato al negozio.

Era davanti a loro, ma non del tutto presente. Indossava la sua giacca rossa, ma aveva i jeans strappati in più punti e il viso striato di sangue. Aveva anche una ferita sulla fronte, le labbra spaccate e gli occhi pesti. Si guardava intorno, confusa, senza fissare lo sguardo su nessuno in particolare.

- Emma, mi senti? Sono Killian. – Allungò la mano per toccarla, ma l’immagine traballava, a tratti svaniva.

Emma non rispose. Biancaneve strinse la mano di David.

- L’incantesimo non è stabile. – disse Malefica. – Non può sentirvi.

- Avevi detto che avremmo potuto comunicare con lei, usando quella roba! – s’infuriò Killian, rivolgendosi all’Oscuro. Tornò a voltarsi verso Emma. – Emma, siamo qui. Siamo venuti a prenderti.

- È in un luogo troppo difficile da raggiungere. – rispose Tremotino.

- Mamma! – gridò Henry, arrivando di corsa, insieme a Regina e a Lily.

L’immagine di Emma tremolò ancora un istante. Infine scomparve, come risucchiata dalla sua stessa tomba.

 

 
- Non sa che siamo qui. – disse Lily, osservando la tomba e il cigno che la sormontava. – Non sa che siamo venuti a salvarla.

- Certo che lo sa, Lily. – rispose Malefica, benevolmente. – Non siamo riusciti a raggiungerla, ma ciò non significa che non la troveremo.

- Ma era ferita! E non abbiamo idea di dove sia! – rispose Lily. – E quella dannata barca parte tra mezz’ora!

- Quale barca? – chiese Biancaneve.

Regina le spiegò che cosa era accaduto con Cora e tutto ciò che le aveva detto. Lily le aveva permesso di curarle le ferite che le aveva inflitto Murphy, prima che giungessero al cimitero.

- Non intendo mettere un piede su quella dannata barca. – asserì Killian. – Non senza Emma.

- Sono d’accordo. – rispose David. – Troveremo un altro modo per andarcene. Ma forse tu, Regina... dovresti...

- No. – ribatté lei. – Non posso.

- Ma potrebbe succedere qualcosa di terribile a tuo padre. – le ricordò Biancaneve. – Se Cora dice la verità, allora... forse è meglio che tu prenda Henry e te ne vada.

- Vi ricordo che sono qui. – disse Henry, piccato. – Io non vado.

- Henry... – cominciò Regina.

- No! Siamo venuti insieme. E ce ne andremo insieme. Hai scelto di venire quaggiù con noi... non puoi abbandonare la mamma.

Lily non badava molto al battibecco che si stava svolgendo dietro di lei. Allungò una mano per toccare un’ala del cigno. Era fredda e un brivido le percorse il braccio, fino alla spalla. Un’immagine sfuggente le passò davanti agli occhi. L’immagine di una ragazza in giacca rossa, che scagliava una spada contro una gigantesca ombra nera.

- Lily. – la chiamò sua madre. – Non toccarla. Non è sicuro.

Lei ritrasse la mano. Non prima di essersi resa conto di averlo sentito di nuovo. Per un attimo, il vecchio legame che aveva condiviso con Emma c’era stato. Aveva percepito la sua presenza. E sperava che Emma avesse avvertito la sua.

Trasse di tasca il giglio bianco ormai appassito e lo posò sulla lapide.

 

 

Foresta Incantata. Τrentacinque anni fa.

 

Regina cacciò tutti gli invitati e mandò a chiamare suo padre. Persino Malefica venne mandata via e nel sollevarsi in volo in forma di drago costrinse le guardie a correre ai ripari.

Henry arrivò in tutta fretta, sapendo bene perché lei voleva vederlo. Portava con sé lo scrigno.

“Hai ridato tu il cuore... a Biancaneve”, disse, scandendo bene ogni singola parola, in modo che suo padre potesse percepire chiaramente la sua collera.

“L’ho fatto per il tuo bene.”

“Come puoi dire così?!”, scattò Regina. “Adesso lei sarebbe morta. E tutto questo sarebbe finito! Non è ciò che vuoi? Che tutto questo finisca? Che io sia felice?”

Henry non si lasciò intimorire. Era solo molto addolorato. “Certo! Ma non in questo modo. Se distruggi il suo cuore diventerai malvagia per sempre! Diventerai come Cora. È quello che lei vuole!”

Regina si appoggiò al tavolo, respirando con affanno, come se fosse reduce da una lunga corsa. In realtà stava tenendo a bada i suoi istinti. Perché sentiva che, da un momento all’altro, avrebbe fatto qualcosa di terribile. Sentiva che... se avesse perso davvero il controllo, avrebbe potuto fargli del male e non voleva. Non voleva. Lei desiderava solo una cosa: che lui capisse. Che capisse che la bambina che portava sulle spalle era morta. Che capisse che da quando aveva tenuto il corpo di Daniel tra le braccia... quella ragazza aveva cessato di esistere e aveva cessato di credere nella felicità così come lui la intendeva. La donna che era diventata non avrebbe mai permesso a Biancaneve di vivere la sua vita con il suo principe imbecille. Non dopo che aveva rovinato la sua. Non le avrebbe mai lasciato il lieto fine, né tantomeno le avrebbe permesso di generare qualche orrido mostriciattolo.

“Ti prego, ascoltami. Puoi essere felice.”, continuò Henry, imperterrito.

“Uccidere Biancaneve è l’unico modo in cui potrò essere felice.”, precisò Regina.

“Mi dispiace per te.”

“Tu mi hai tradita, papà. E sai che cosa significa.”

Nel regno di Regina significava la morte. La prigionia e poi la morte.

“Fa quello che vuoi. Non ha importanza.”, disse Henry. “Perché Biancaneve è viva e così anche la tua possibilità di redenzione. Potrai fare di meno quello che vorrai. Questo scrigno è inutile come la tua caccia. E prego che tu non lo usi mai.”

“Mi dispiace.”, rispose Regina, in tono sprezzante. Gli strappò lo scrigno dalle mani. “Finché Biancaneve sarà viva, non diventerò mai come tu mi vuoi. Questo scrigno... è stata creato per contenere qualcosa di prezioso. Ed è esattamente per questo che lo userò.”

Agitò la mano ed una densa nube magica avvolse Henry. Essa venne trasferita all’interno dello scrigno.

Quando disparve, Henry era stato ridotto ad una figurina minuscola, intrappolata nel contenitore che avrebbe dovuto essere destinato al cuore di Biancaneve.

“Non preoccuparti, papà. Sei al sicuro lì dentro. Così non potrai fermarmi. Ma lo sai che non ti farei mai del male.”

 

Meno di due ore dopo, un manipolo di soldati in armatura nera calò sul villaggio con spade e fiaccole.

La donna che aveva offerto la torta di mirtilli, augurandole buon compleanno con il terrore negli occhi, ebbe modo di aprire le braccia, lasciando cadere i piatti e le caraffe che stava trasportando, prima di essere falciata da un colpo di spada.

Alcuni uomini opposero resistenza e riuscirono anche a ferire qualche soldato, ma non potevano nulla contro la Regina, la sua furia e la sua sete di vendetta. Fece in modo che i suoi fedeli servitori setacciassero ogni casa, appiccando poi il fuoco. Non badava alle urla o alle suppliche. Non badava all’odore del sangue. Il suo cavallo calpestò dei cadaveri e passò oltre.

Un ragazzino sporco di fango e con la faccia graffiata strinse una figurina di legno nel pugno. Alzò la testa, spostando la propria attenzione dal corpo senza vita del padre alla donna in sella, la donna con la giacca rossa come il sangue che gli aveva sporcato i capelli biondi. Il suo destriero si impennò, nitrendo. E la luce del sole creò uno strano gioco di forme che confuse il ragazzino, già frastornato dalla paura e dalla morte che lo circondava.

La Regina sembrò possedere un paio di ali nere.

Lui la fissò, mentre scagliava una palla di fuoco contro delle persone in fuga, pensando a quanto fosse simile ad un angelo vendicatore. Un angelo della morte.

I suoi occhi scuri incrociarono quelli verdi del ragazzino.

Regina gli sorrise.

 

 

Oltretromba. Oggi.

 

Regina rimase da sola davanti alla tomba della Salvatrice.

Si piegò sulle ginocchia, fissando il nome inciso sul marmo, mentre il vento le scompigliava i capelli. Il sole stava tramontando e il cielo rosso aveva assunto colori più intensi. I fumi che aleggiavano tra le tombe erano più densi e rotolavano lentamente lungo i prati.

- Ehi. – disse, a bassa voce. – Sono io.

Non vi fu risposta, ovviamente, ma Regina posò le dita sulla prima lettera del nome, tracciando lentamente la E. Ebbe l’impressione che fosse più gelida del normale.

Le si oscurò la vista e nella tenebra più completa annaspò. Due occhi arancioni come tizzoni ardenti la scrutarono e qualcosa di enorme si mosse verso di lei.

- Regina.

Quella voce, che conosceva benissimo, la riportò indietro. Il buio si dissolse e si ritrovò davanti alla tomba, con le mani coperte dai guanti neri che afferravano ciuffi di erba secca.

- Papà?

Si girò ed Henry, suo padre, le prese le mani per aiutarla ad alzarsi.

Lui sorrideva, felice di vederla. Non c’era traccia di rabbia, nelle pieghe del suo viso, né di risentimento o di rimprovero. Regina, a stento, poté guardarlo negli occhi. L’ultima cosa che ricordava dell’uomo che aveva sempre cercato di distoglierla dai suoi propositi di vendetta era il suo sguardo allibito quando gli aveva strappato il cuore per poter lanciare la maledizione.

- Mi dispiace. – mormorò, mentre il dolore e il senso di colpa le piombavano addosso, afferrandola e togliendole le ultime difese che ancora le restavano. – Mi dispiace tanto.

- Va tutto bene. – disse Henry, abbracciandola. – Va tutto bene. Davvero.

- Mi hai... perdonata?

- Certo. Sono tuo padre e ti voglio bene comunque. Come tutti i padri.

- Non credo sia così. – Regina si scostò. – Credo che tu sia speciale. Non riesco a capire come tu faccia ad essere... così buono. Né come tu possa essere intrappolato qui.

- Non sono perfetto. – asserì Henry. – Ho i miei rimpianti. E delle cose che mi trattengono in questo posto.

- Non voglio prolungare le tue sofferenze. – disse Regina. Si voltò, guardando la tomba di Emma da sopra la spalla. Le parole le uscivano come colpi di tosse. – Non... questo non accadrà. Te lo assicuro.

- No, Regina. – replicò Henry. – Ascoltami bene. Tua madre sta usando me, perché vuole che tu te ne vada. Ma io voglio che tu rimanga. Devi. Rimani per coloro che ami. I tuoi amici, la tua famiglia... hanno tutti bisogno di te.

- Ma Cora ti manderà in un posto peggiore.

- Tu non vuoi davvero andartene, Regina. È per questo che sei qui, ora, davanti a questa tomba. Non puoi abbandonare le persone che ami. – Suo padre parlava in tono deciso, come molti anni fa, quando tentava disperatamente di convincerla ad abbandonare l’idea di uccidere Biancaneve. – Quando mi hai strappato il cuore eri mossa dalle peggiori intenzioni. Ed ora guardati... sei venuta fin qui per salvare... la figlia di Biancaneve.

Regina si morse il labbro.

- Una volta credevi che avrebbe generato solo... orribili mostriciattoli. – le ricordò suo padre, sorridendole. – Non è vero?

Regina annuì. – Emma è... una persona speciale. Proprio come te.

- E allora salvala. Lascia che tuo padre ti veda fare la cosa giusta. – continuò Henry. - E potrò dire... di non essere morto invano.

 

 
‘Chi sei? Cosa vuoi?’, domandò Emma.

‘Sono il padrone di casa, Emma’. Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. ‘Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia’.

Le presenze oscure si dileguarono e così anche la voce.

Emma precipitò nel vuoto.

E la caduta fu lunga. Fu interminabile. Emma gridava e precipitava. Agitava le braccia per aggrapparsi a qualcosa, ma non c’erano appigli.

Poi rallentò fin quasi a fermarsi e toccò il fondo con un tonfo. Sbatté le palpebre per vedere qualcosa, ma le tenebre non si erano ancora diradate. Scorse una luce. Lontana. Dardeggiava nel buio, rossastra.

“C’è qualcuno?!”

Una forma le passò accanto, colpendola alla testa e stordendola. Emma cadde in avanti. Artigli le graffiarono la gamba, strappandole il tessuto dei jeans. Sollevò un braccio per proteggersi e l’essere, qualsiasi cosa fosse, ringhiò, scartò di lato e la raggiunse al viso. Era rapido e sembrava stesse colpendo per il gusto di fare del male e non per uccidere.

“Sono già morta. Non può uccidermi.”

Ma forse poteva comunque farla a pezzi. Il dolore era reale. Il sangue che le stava scivolando sulle guance era reale. Era caldo.

La cosa si allontanò e lei ne approfittò per alzarsi e mettersi a correre verso la luce.

 

 
Suo padre era sul limitare della voragine. Sotto di lui il fuoco aspettava, come una belva affamata.

Regina irruppe insieme a suo figlio. – Mamma, fermati. Non farlo!

- Che cosa ci fai qui? Dovresti essere su quella barca. – le disse Cora.

- Non posso andarmene. Non intendo abbandonare la mia famiglia!

- Non è così che funzionano le cose, Regina. Questa non è Storybrooke. E ti ho già detto... che riportare in vita i morti va contro le regole della magia. Nessuno dovrebbe tornare in vita. Nemmeno la Salvatrice!

- Non darle ascolto, Regina! – esclamò Henry. – Aiuta i tuoi amici. Rimani!

- Sono venuta qui per aiutare tutti. – rispose Regina.

- Questo... non è possibile. Devi fidarti di me.

- Lascialo andare.

Cora sospirò, esasperata. – Ti prego, ascoltami! Il mio tempo nell’Oltretomba è concluso. E può esserlo anche il tuo. Fa come ti dico e dimentica Emma Swan. Non può uscire da qui. Può solo imboccare una delle due strade!

- Henry, stai indietro. – lo avvisò Regina. Si mosse verso il padre.

- Per favore, non mi costringere! Non voglio farlo. – la implorò Cora.

- E allora non lo fare.

Cora esitò solo un istante. – Mi dispiace.

Le fiamme del Tartaro avvolsero Henry nelle loro spire e, quando Regina fece per correre verso di lui, una barriera di fuoco si frappose, impedendole di passare. Regina cercò di abbatterla con la propria magia, ma le fiamme si gettarono su di lei, costringendola a tirarsi indietro.

- Un giorno capirai. – mormorò Cora, prima di scomparire.

Regina capì unicamente di aver fallito di nuovo. Non solo aveva ucciso suo padre, spingendolo in quel posto, ma non era nemmeno riuscita a fermare sua madre. Era stato tutto inutile.

Le parole che Lily le aveva detto a Camelot riecheggiarono nella sua mente con un fragore sinistro: “Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma.”

“Quelle come noi non possono essere Salvatrici.”

- Mi dispiace tanto. – singhiozzò Regina.

Poi le fiamme si ritrassero. Henry vacillò sulla sporgenza rocciosa. Il fuoco indietreggiò lungo le pareti, riducendosi, sprofondando come atterrito da qualcosa.

- Papà?

- No, ferma! Non ti muovere. Sto bene.

La sporgenza rocciosa  si allungò, formando uno stretto sentiero sospeso sul baratro.

- Che cosa succede? – domandò Regina.

- Non lo so. – Henry guardò la roccia che mutava forma. – C’è qualcosa qui.

Nella parete di roccia di fronte a lui si aprì un varco luminoso. Attraverso di esso, vide uno sprazzo di cielo azzurro, solcato da nuvole bianche.

- I Campi Elisi.

Regina si accorse che suo figlio si era accostato a lei e guardava, affascinato, la luce paradisiaca che invitava suo nonno a raggiungerla.

- È bellissimo. – esclamò il padre di Regina, allargando le braccia. – È quello il mio posto.

Era la strada migliore. Seguendola, Henry sarebbe passato oltre, abbandonando l’Oltretomba per sempre.

Si voltò verso la figlia, raggiungendola. – Ora so qual era la mia questione in sospeso. Eri tu.

- Io? – Regina era ancora frastornata, confusa dalla serenità sprigionata da quel luogo, al di là del varco nella roccia. Si immaginava campi verdissimi, cavalli che correvano liberi, fiori coloratissimi, alberi di mele che producevano sempre frutti. Nella sua mente baluginavano sensazioni meravigliose.

- Per troppo tempo ho permesso a tua madre di manipolarti. – disse Henry. – Per troppo tempo le ho permesso di usare il suo potere contro di te. Era il più grande rimpianto della mia vita. Ma adesso... ti sei liberata di lei ed io sono orgoglioso di te.

- Ciao...

Henry fissò il ragazzo che era arrivato con Regina, sorpreso. – Lui è...

- Sì. – Regina strinse la mano di Henry. – Lui è tuo nipote. Si chiama Henry. Come te.

- Sono felice di conoscerti, nonno. E... mi chiamo Henry Daniel Mills. – disse il ragazzino. - Volevo dirti grazie. Per aver creduto in lei.

- Grazie a te, Henry. – rispose suo nonno. – Per esserle sempre stato accanto. So perché siete venuti. Quello che volete fare è molto... molto pericoloso. Ma se credete che sia giusto... allora dovete provarci. 

- Ce la faremo. Noi non ci diamo mai per vinti. – disse Henry.

- Oh, lo so. – Appoggiò una mano sulla testa del nipote. Come aveva fatto molto tempo fa con Regina. – Prenditi cura di lei. È ora che io vada.

- Ma papà, aspetta...

- Ti voglio bene, Regina. Non dimenticare mai chi sei veramente. – Henry le sorrise un’ultima volta. - E segui il tuo cuore.

 

 
Emma Swan aprì gli occhi di scatto.

Braccia e gambe le tremavano per lo sfinimento. In bocca sentiva il sapore del suo stesso sangue. Tastò rapidamente intorno a sé, capendo di essere distesa su qualcosa di solido. Alla fine era arrivata in fondo al tunnel.

- Dove sono? – borbottò, rauca.

Davanti a lei c’era un altro corridoio, illuminato da una densa luce rossastra. L’aria sapeva di zolfo, era calda e le bruciava i polmoni. Allungò una mano, aggrappandosi ad una colonna piena di crepe e si tirò su. Avvertì un dolore lancinante al fianco e spostare il peso sulla gamba destra le causò sofferenza per via delle ferite, due lunghi tagli che sanguinavano ancora.

Si costrinse a scendere il gradino che la separava dal corridoio. Se guardava a destra, il corridoio si biforcava in due tronconi, se guardava a sinistra si biforcava addirittura in altri tre corridoi più stretti. Sopra di sé aveva il cielo, un cielo scuro e pieno di nubi. Non era possibile arrampicarsi, non solo perché non aveva la forza di farlo, ma anche perché le pareti di quel luogo erano lisce. Non c’erano appigli a cui aggrapparsi. Così come non c’erano stati quando aveva iniziato a precipitare nel vuoto.

Lasciò scivolare la mano destra sulla parete e improvvisamente si ridestò in lei la paura. Era troppo stanca, per cui l’avvertiva solo come un battito affrettato, come un malessere.

Era morta. Morta. Non era più l’Oscuro ed era morta. E qualcuno era venuto a prenderla. I suoi genitori. Killian. Henry. Regina. Lily.

S’impietrì.

Qualcosa... si muoveva nei dintorni. Udiva una sorta di rumore furtivo, un lieve frusciare, poi una scarpa che grattava il pavimento. Suoni che andavano quasi perduti, perché il battito del suo cuore si era fatto prepotente. Era una grancassa.

- Ferma.

Emma sollevò entrambe le mani sopra la testa. Nel mentre cercava un’arma per difendersi, ma sembrava che non ci fosse nulla nelle vicinanze.

- Voltati. Lentamente.

Non era la prima volta che sentiva quella voce. La conosceva. E il solo rendersi conto che si trovava in quel luogo con qualcuno che conosceva, bastò a farla rabbrividire in modo incontrollabile, anche se la fece sentire pure sollevata. Poteva essere un altro inganno. Quel posto era pieno di trappole. Era pieno di immagini terribili, agghiaccianti, che la assalivano da ogni parte.

- Ancora tu? – disse la donna, che le aveva chiesto di voltarsi. Lei un’arma ce l’aveva. Un arco, con una freccia già incoccata e pronta a raggiungere il bersaglio. I suoi occhi scuri si andavano dilatando. Emma la vide impallidire. – Allora non sei solo nella mia testa!

- Marian?

 

_________________

 

 

Angolo autrice:

 

Ben ritrovati. Grazie per essere arrivati alla fine di questo lunghissimo capitolo.

 
Solo una precisazione: la parte in cui Regina accarezza il nome di Emma inciso sulla tomba è un omaggio a Buffy, in particolare a Willow e Tara, una delle mie prime ship. La scena ricalca quella in cui Willow va per la prima volta a visitare la tomba di Tara dopo la sua morte.


   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Stephanie86