2
“Bisogna
sapere che io, per mia sorte,
fui sempre di quelli che s’innamorano in modo
eccessivo e inguaribile,
e dei quali nessuno mai s’innamora.
Mia madre era stato il primo, e il più grave,
dei miei amori infelici”
[Elsa
Morante, Menzogna e sortilegio]
Foresta
Incantata. Τrentacinque anni fa.
“Odio
la sua carnagione pallida”, disse Regina,
strappando seccamente un petalo nero dalla rosa che stava torturando.
La sua
visita al villaggio dov’era stata avvistata Biancaneve si era
rivelata un
totale fallimento. Aveva trovato solo un mucchio di lerci paesani
pronti ad
offrirle una torta ai mirtilli e a raggirarla. Biancaneve
c’era, aveva
circondato il villaggio ed era spalleggiata da quell’idiota
di Azzurro, nonché
dai suoi fedelissimi nani. “Odio la sua insopportabile
sincerità. E il suo
minuscolo esercito di disgustosi mostriciattoli!”
“Credo
che siano... nani”, asserì Henry,
entrando nella grande sala del palazzo.
“Non
mi interessa che cosa sono. Mi
disgustano!”, rispose Regina, voltandosi. Suo padre se ne
stava là, con le mani
dietro la schiena. Non aveva fatto altro che ripeterle quanto inutile
fosse la
sua vendetta, quanto questo la rendesse simile a Cora e quanto fosse
grande il
potere che Cora avrebbe sempre avuto su di lei, se non avesse
abbandonato i
suoi propositi. Regina ne aveva abbastanza. Di lui e del suo modo di
ronzarle
attorno. Non avrebbe mai capito che tutto ciò che stava
facendo per impedirle
di arrivare a Biancaneve non sarebbe mai servito. “E avevo
chiesto di restare
sola, papà. Quindi se sei venuto qui per parlare di mia
madre, lascia stare!
Desidero solo che questo compleanno finisca.”
“Hai
una visita”, disse Henry, mentre Regina si
allontanava a passo svelto. “Ti sta aspettando.”
“Quale
visita? Chi altro hai invitato? Sappi
che non sono dell’umore per...”
“Non
l’ho invitata io, infatti.”
Malefica
era nella sala che era stata riservata
al banchetto che Henry aveva voluto a tutti i costi organizzare per il
suo
compleanno.
La
lunga tavola era già imbandita e al centro
faceva bella mostra di sé un cesto pieno di mele rosse.
“Le
tue guardie sono molto scortesi. Non
volevano che entrassi”, disse Malefica, sfiorando la torta ai
mirtilli che quella
contadina le aveva offerto. “Non ti dispiacerà se
mi sono liberata di un paio
di loro. Stanno solo dormendo.”
“Puoi
anche mangiarteli, per quanto mi
riguarda”, rispose Regina. “E se sei venuta per la
festa, puoi andartene e
portati via pure i regali.”
“Non
ti ho fatto nessun regalo, dato che so che
cosa vuoi.”
“Aiutami
a procurarmelo, allora.” Regina
osservò l’amica nel suo abito blu scuro decorato
con ricami viola, con i
boccoli biondi che ricadevano sulle spalle e la sfera in cima al suo
scettro
che scintillava incrociando la luce delle torce. “Se
piomberò su quel maledetto
villaggio sulla schiena di un drago forse capiranno da che parte devono
stare.”
“Lo
distruggerai comunque, quel villaggio.
Anche senza di me”, rispose Malefica, come se il discorso
l’annoiasse.
“Mi
sembra di sentire mio padre...”
“Ti
sbagli. Tuo padre vorrebbe che abbandonassi
l’idea della vendetta. Io non desidero affatto che
l’abbandoni. Ma devi rivolgerla
sulla persona giusta.”
“Mia
madre è già stata punita. È
intrappolata
nel Paese delle Meraviglie!”
“Che
atroce sofferenza. Sembra quasi che tu non
conosca affatto Cora. Prima o poi ne verrà fuori e allora
sarà peggio per te.”
“Perché
tu invece la conosci bene? Mia madre
parlava di te nel suo libro... però non mi hai mai detto
come vi siete
conosciute.”
“L’ho
conosciuta quando era ancora molto
giovane. E non era potente come ora. Ma sai... non è
importante.”
Regina
storse la bocca in una smorfia. “Perciò
sei venuta solo per rimproverarmi?”
“No.”
Malefica guardò la torta ai mirtilli.
Allungò una mano e affondò l’indice
nella marmellata. Se lo portò alle labbra e
assaggiò il dolce, gustandolo piano.
“Buona.”
“È
appena passabile”, replicò Regina, con una
mano sul fianco e l’altra che stringeva il bordo del tavolo.
“Sanno tutti che
preferisco le mele.”
Malefica
agitò una mano sopra alla torta. La
marmellata di mirtilli assunse una tonalità più
rossa. Il dolce lievitò
leggermente. Regina sorrise, mentre Malefica tuffava nuovamente il dito
nella
pasta.
“E
adesso?”, chiese.
Regina
afferrò il polso di Malefica e si chinò,
avvolgendo l’indice con la sua bocca. Lo succhiò
avidamente e sembrò riflettere
per qualche secondo.
“Adesso
è perfetta”, concluse, passandosi la
lingua sul labbro superiore e sulla cicatrice.
Oltretomba. Oggi.
Cora
l’abbracciò calorosamente e Regina
restò per qualche momento interdetta, tra le
sue braccia.
-
Io
credevo...
-
Credevi che fossi Daniel, sì. Dovevo essere sicura che
saresti venuta.
-
Speravo stessi bene. – le disse Regina, dopo qualche momento.
-
Lo
so, cara. – rispose Cora, separandosi da lei. Le sue mani le
accarezzarono i
capelli e a Regina stupiva che lei la stesse toccando in quel modo.
Tutte le
volte che l’aveva fatto, in passato... tutte le volte che
Cora l’aveva
sfiorata, le era sembrato che lo facesse in modo meccanico, senza alcun
sentimento a muovere i suoi gesti. Perché non aveva un
cuore. - Ma ho una
questione in sospeso. E sto parlando di te.
-
Non devi preoccuparti per me. – rispose Regina, occhieggiando
Murphy, che
fingeva di non ascoltare, rintanato in un angolo. – Io sto
bene.
-
Certo che mi preoccupo per te, Regina. Devo farlo.
Regina
accennò un sorriso. – Allora aiutami. Aiutami a
trovare Emma. E ad andarmene da
qui.
-
È
troppo pericoloso. È già abbastanza grave che tu
sia venuta fino a qui per...
per la Salvatrice. Non puoi restare. Va via. Adesso. – Nella
voce di Cora
balenò la fermezza che Regina ricordava, sebbene i suoi
occhi manifestassero
una sincera apprensione. Avvertiva anche il suo profumo, ma era
diverso. Era
meno forte, meno aggressivo.
Regina
doveva imporsi di stare in guardia. – No. Devo trovare Emma,
prima.
-
Emma...
i tuoi amici, la tua famiglia. Emma. Lo vedi? È questo che
ti trattiene. Devi
fare quello che è meglio per te.
Regina
scosse la testa. – Questo è il meglio.
-
Non è vero! Regina... so bene che ti senti in colpa verso la
Salvatrice. So che
cos’è successo a Camelot. Ma non è
stata colpa tua. Volevi salvarla. Quella
ragazza ha deciso di sua spontanea volontà di morire...
-
Non
capisci. – Regina fece un passo indietro. – Glielo
devo. Tremotino l’ha
ingannata. È morta per niente. Non ha distrutto
l’oscurità come pensava.
-
Ma
tu conosci le regole della magia! – Cora
l’afferrò saldamente per le braccia,
stringendo forte. Imponendole di fissarla, come se volesse trapanarle
il
cervello e inculcarle quel concetto nella mente. – Non si
possono riportare in
vita i morti.
-
Non può valere per Emma... non per qualcuno che è
morto invano. Non per... –
Regina rivide se stessa con la spada sollevata, pronta a colpire.
Avvertì il
penso dell’arma e l’angoscia che l’aveva
assalita. Era impensabile per lei
andarsene senza Emma.
“Ricordi
la promessa
fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per eliminare
l’oscurità?
Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo
dirai a
nessun altro”.
-
Io... non ho mantenuto la promessa.
-
Non sai quello che dici. Ora ascoltami bene. – la interruppe
Cora. – Non è
stato facile, ma ho predisposto che una barca ti riporti a casa. Parte
fra un’ora.
Prendi Henry... prendi solo tuo figlio e vattene, prima che sia troppo
tardi.
-
Madre... – Stavolta fu Regina a rispondere con fermezza.
– Non posso.
-
Mi
rendo conto che è difficile mettere da parte la diffidenza,
visto il modo in
cui ti ho cresciuta... – continuò Cora.
– Ricordi l’ultima cosa che ti ho detto
prima di morire?
Regina
deglutì. Aveva la gola secca e il cuore in tumulto.
– Che ti sarei bastata io.
-
Mi
ci è voluto troppo tempo per capirlo, quindi ti prego... non
commettere il mio
stesso errore. Vai. Emma Swan... andrà avanti prima o poi.
Troverà la sua
strada. Spera che imbocchi quella giusta, ma se è forte come
credo... lo farà.
Regina
non avrebbe mai potuto dimenticare quello che Cora le aveva detto prima di
morire.
Anche se aveva sempre saputo che forse non era la verità.
Aveva sempre amato
sua madre oltre ogni limite e comprensione. Quindi aveva sperato che
quelle ultime
parole fossero vere. Forse persino Cora l’aveva creduto in
punto di morte. Ma Regina,
in fondo, era cosciente che sua madre avrebbe sempre provato un folle
desiderio
di potere...
“Troverà
la sua strada. Spera che imbocchi
quella giusta, ma se è forte come credo... lo
farà.”
-
Quella giusta? Di che cosa stiamo parlando? – Regina sentiva
che c’era molto
altro. Che c’era qualcosa di terribile in agguato.
-
Una madre deve fare quello che è meglio per il proprio
figlio. Anche se è
riprovevole. – disse Cora, in tono evasivo.
-
Mi
stai minacciando?
-
No. – Cora sospirò. – Ma forse
è necessario che io ti mostri una cosa.
Regina
non ebbe il tempo di replicare. Scomparvero entrambe in una densa nube
viola e,
quando essa disparve, non erano più nel suo ufficio, ma in
una caverna.
-
Dove siamo? – domandò Regina, incredula.
Davanti
a loro si estendeva un sentiero di roccia sospeso nel vuoto. Ad un
certo punto,
la roccia terminava e iniziava una voragine di fuoco. Le fiamme
ruggivano, si
allungavano come braccia alla ricerca di qualche anima da ghermire,
vorticavano, lambivano i muri della caverna, parevano in procinto di
arrampicarsi su di essa, ma poi scivolavano e si slanciavano in
un’altra
direzione.
Murphy
barcollò, in bilico sul bordo della voragine. Lily si
guardò intorno,
costernata. Mosse un passo e frammenti di pietra si sbriciolarono,
precipitando
nel fuoco.
-
Mamma?
-
Henry, non ti muovere. – disse Regina.
-
Non devi preoccuparti per lui. È al sicuro. –
precisò Cora.
Lily
fissò Murphy. Nessuno dei due spostò un piede
verso l’altro. Occhieggiavano le
fiamme.
-
Dall’Oltretomba si può andare solo in due luoghi.
– spiegò Cora, non badando
nemmeno ai due sull’orlo del baratro. – Uno
migliore... e uno peggiore. Guarda
tu stessa.
-
Non puoi farlo! Fermalo! – gridò Regina.
– Aiutala!
-
Non posso aiutarla. – rispose Cora. – E non posso
fermarlo. È la sua questione
in sospeso. È per questo che è qui.
Sulla
faccia di Murphy comparve del sangue. Si era aperta una ferita al
centro della
sua fronte. Lui si portò una mano alla faccia e
sgranò gli occhi. Nella mano
destra di Lily c’era una pistola. Il calcio era macchiato di
rosso. L’amica di
Emma era paonazza. Vacillò pericolosamente, avvicinandosi al
bordo. Il fuoco
ruggì di nuovo e il volto di Lily sembrò
incendiarsi.
Regina
fece per andare verso Lily, ma Cora non glielo permise. Con la magia,
creò una
barriera trasparante tra loro e i due contendenti. – Non
farlo, Regina. Perirai
anche tu.
-
Fatti da parte.
-
No. Non posso farlo.
Foresta Incantata. Τrentacinque anni fa.
Regina
fissava disgustata l’unica candelina
posta in cima alla torta di sette piani che le avevano portato.
Sembrava una
presa in giro, non un compleanno. Il giullare le girava intorno, nel
tentativo
di divertirla con le sue pagliacciate, ma ne aveva avuto abbastanza
ancora
prima che la festa incominciasse.
“Forza,
mia regina”, disse il giullare,
sbucando da dietro la torta e agitando le campanelle agganciate al suo
cappello
a punta. “Esprimete un desiderio!”
Il
cuore di Biancaneve su un piatto d’argento.
Il
cuore di Biancaneve dentro allo scrigno.
Il
cuore di Biancaneve.
Che
quell’orribile giornata finisse al più
presto.
Regina
spense la candelina.
Il
sorriso ebete del giullare si allargò.
“Allora, qual era il desiderio?”
‘Pensavo
che un desiderio espresso il giorno
del proprio compleanno fosse un segreto’.
Vide
che Malefica stava osservando la scena. I
brevi momenti di distrazione passati con lei non l’avevano
alleggerita affatto.
Nemmeno sapere che gli invitati avevano sistemato i regali sul lungo
tavolo
dove aveva spinto la mutaforma, prendendola e marchiandola con le sue
stesse
unghie, la divertiva. Si sentiva furiosa, oppressa e aveva voglia di
uccidere
tutti.
“Che
fosse divertente”, rispose Regina al
giullare. “E non lo è stato.”
Passò
una mano a pochi centimetri dalla faccia
dell’uomo e quello cadde di schianto. I campanelli
tintinnarono. Gli invitati
mormorano, impauriti e iniziarono ad indietreggiare. Il trovatore smise
di
suonare.
“Facciamola
finita”, ordinò Regina. “Ho
festeggiato abbastanza.”
“Perché
così presto?”
Regina
si fermò. La folla di invitati si fece da
parte, aprendo la strada all’ultima arrivata. Cora
avanzò, tenendo sottobraccio
un regalo foderato in seta rossa, un colore che si intonava al suo
vestito.
“Madre.”
Avvertì il gelo che le dilagava nel
sangue come una maledizione. Improvvisamente aveva le mani intorpidite.
“Sei
scappata dal Paese delle Meraviglie?”
Cora
sorrideva in quel modo sinistro che
conosceva bene. Regina immaginò cose terribili: che nelle
scrigno ci fosse il
cuore pulsante di suo padre. Che Cora avesse torturato Henry o che
l’avesse
ucciso. Che stesse per torturare anche lei. Regina era diventata molto
più
potente dall’ultima volta che si erano viste, grazie agli
insegnamenti di
Tremotino, ma non era ancora potente quanto sua madre.
“Dov’è
papà?”, chiese. “Dimmi che non gli hai
fatto del male.”
“Oh,
l’ho perso di vista dopo avergli fatto
incartare... questo.” Le porse lo scrigno. “Buon
compleanno, cara.”
Malefica
strinse lo scettro con entrambe le
mani.
‘Si
ricorda del mio compleanno’, pensò Regina.
Cercò
di non lasciarsi confondere. “Non voglio
nessun regalo da te.”
“Questo
lo vorrai”, rispose Cora. “Ho fatto
qualcosa di... davvero speciale. Ti ho portato la tua
vendetta.”
Cora
aprì lo scrigno e Regina vide con i suoi
occhi il cuore rosso e pulsante che tanto sperava di avere in dono.
“Il
cuore di Biancaneve.”
Regina
guardò il cuore con avidità.
“Distruggilo.
E lei morirà.”
“Regina,
è una trappola”, intervenne Malefica.
“Non farlo. Avrà ancora il controllo su di
te.”
“Che
piacere rivederti, Malefica. È passato
moltissimo tempo”, disse Cora, continuando a reggere lo
scrigno.
“Il
piacere è tutto tuo”, rispose la mutaforma.
“Sono
lieta che tu sia così preoccupata per mia
figlia, ma ha già una madre che vuole solo il meglio per
lei.” Cora tornò a
rivolgersi a sua figlia. Regina esitava, fissando il cuore della sua
acerrima
nemica. “Non mi credi? Lascia che te lo dimostri. Portate lo
Specchio!”
“Regina...”,
la avvertì Malefica.
Cora
sollevò una mano. “Τocca a lei scegliere.
E so benissimo che cosa sceglierà.”
Alcune
guardie si affrettarono ad eseguire gli
ordini e trascinarono lo Specchio Magico nella sala. Regina prese il
cuore tra
le mani. Avrebbe voluto togliersi i lunghi guanti neri per saggiare la
consistenza di quell’organo maledetto, ma era troppo eccitata
all’idea che la
sua vendetta fosse lì e che a regalargliela fosse proprio
sua madre. Rise, come
chi aveva appena ricevuto il dono più bello della sua vita.
Andò
davanti allo Specchio, che le mostrò
Biancaneve intenta a festeggiare, seduta a tavola con il suo principe e
i nani.
Quei mostriciattoli si prendevano gioco di lei, si divertivano un
mondo,
brindando e ingozzandosi di cibo.
Regina
strinse il cuore in una morsa.
Nello
specchio, Biancaneve prese a
boccheggiare. Si portò le mani al petto, afferrandosi la
veste.
Azzurro
appoggiò una mano sulla sua spalla.
“Biancaneve?”
Lei
cercò in tutti i modi di arrivare al nodo
che le chiudeva il colletto. Le sue dita armeggiavano in preda al
panico,
mentre respirava con affanno.
Regina
aumentò la stretta sul cuore. L’organo
scricchiolava, in procinto di ridursi ad un ammasso di cenere.
Poi
dalla camicetta sotto la giubba di
Biancaneve sbucò il Grillo, che cadde in avanti, perdendo la
sua minuscola
bombetta e il bastone.
I
nani scoppiarono a ridere.
Malefica
udì un rantolo accanto a lei, nel
momento in cui il cuore andò in pezzi e la polvere si sparse
sul pavimento. Un
soldato si afflosciò senza vita.
“Qualcuno
ha scambiato i cuori”, disse Cora.
Furibonda,
Regina si voltò verso sua madre a
caccia di una spiegazione. “Chi è stato?”
Oltretomba.
Oggi.
-
Dov’è Regina? – domandò
Tremotino agli altri, quando furono tutti al cimitero.
– E... Lilith?
-
Staranno ancora cercando Emma. – rispose Biancaneve.
Malefica
planò sul gruppetto e atterrò in uno spazio verde
tra alcune tombe. Recuperò le
sembianze umane.
-
Trovato qualcosa? – domandò David, in apprensione.
-
Niente. E nessuno che somigli a vostra figlia. – Si
guardò intorno, cercando la
sua, di figlia.
-
Lily e Regina saranno qui a momenti. Henry è con loro.
– disse Biancaneve.
-
Quella è... – Killian indicò la tomba
vicino alla quale sostava il Coccotrillo.
Teneva una mano nascosta nella tasca e il pirata era sicuro che stesse
nascondendo qualcosa. Il suo ghigno era fin troppo eloquente. Ma
ciò che
attirava maggiormente il suo sguardo era il monumento.
Era
una lapide molto più elaborata delle altre, più
alta, in marmo bianco e
sormontata da un cigno con le ali spalancate e il becco rivolto verso
il cielo.
Su di essa capeggiava il nome EMMA SWAN. Non
c’erano date né altre indicazioni.
Biancaneve
rabbrividì, stringendosi di più al marito.
-
Regina si perderà tutto lo spettacolo, allora. –
Tremotino estrasse la mano
dalla tasca e mostrò loro una boccetta dorata.
-
Che cos’è? – chiese Killian.
-
Questo
è il modo per trovare la Salvatrice. – Tenne
l’ampolla per il tappo. – La birra
di Seonaidh, del regno di Dunbroch.
-
Come
funziona, Coccodrillo?
-
Versala sulla tomba di Emma... e sarà lei a dirci dove si
trova. Questa
permette di comunicare direttamente con i morti. –
spiegò Tremotino, come se si
fosse trattato di una bazzecola, di una cosa che lui faceva tutti i
santi
giorni.
-
Facciamolo, allora! – esclamò Biancaneve.
-
Sì, vi conviene. C’è una barca che
parte fra poco. Prendete Emma Swan,
recuperate i dispersi... e andiamocene da qui. – disse
Tremotino. – Non ho
alcun interesse nell’esplorare l’Oltretomba. Ci
sono già stato.
Killian
gli strappò l’ampolla di mano e tolse il tappo.
Con decisione, mosse due passi
verso la tomba di Emma e poi gettò il contenuto
dell’ampolla sull’erba, davanti
al monumento.
Murphy
sferrò un calcio e la pistola che Lily si era trovata in
mano venne inghiottita
dalle fiamme del Tartaro. Era ancora troppo stupita per reagire. Solo
un
istante prima era seduta accanto ad Henry e stava ascoltando qualche
canzone
del suo gruppo preferito. L’istante dopo era con il tizio che
aveva ucciso,
sull’orlo di una fornace.
Regina
era trattenuta dalla madre e separata da loro tramite una qualche
barriera
magica.
-
Nessuno
può aiutarti, Lilith. Sei sola con me. Come quella sera.
Quando mi hai lasciato
in una lurida stazione di servizio. – disse Murphy. Il sangue
sgorgava copioso
dalla ferita in mezzo alla fronte, lo stesso punto in cui lei
l’aveva colpito
la prima volta con la pistola.
La
caverna svanì.
Lily
avvertiva ancora il calore delle fiamme e sapeva benissimo di essere
sempre
sull’orlo della voragine, ma il mondo intorno a lei era
cambiato. Era tornata
all’area di servizio deserta, davanti alle pompe di benzina.
Murphy
sferrò un cazzotto, che la raggiunse alla mandibola. Vide le
stelle e cadde
all’indietro. Nell’asfalto intorno a lei si
aprirono delle crepe. La realtà
traballò. L’aria si fece più spessa,
quasi irrespirabile.
-
Ti
auguro di marcire all’inferno! – gridò
Murphy. Aveva gli occhi arrossati e
digrignava i denti come una belva feroce. La voce era acuta e
prepotente.
Lily
bloccò il secondo cazzotto e gli diede un calcio in uno
stinco, strappandogli
un gemito di dolore. Murphy indietreggiò, barcollante.
L’area di servizio
cedette nuovamente il posto alle fiamme del Tartaro, ma solo per pochi
secondi.
Udì
la voce di Regina. Regina che urlava qualcosa.
-
Non
sei così brava a picchiare la gente, lurida bastarda!
– strillò Murphy.
Ghignava con le labbra sporche di sangue. Anche i capelli ne erano
ormai
intrisi.
Lily
si alzò in ginocchio e il ragazzo la colpì al
collo. Era un colpo maldestro,
dato di taglio, ma era impreparata. Un dolore paralizzante le esplose
in gola. La
testa le ballonzolò all’indietro.
Ecco
come va a finire. Con Murphy che mi uccide
a calci, come io ho ucciso lui, pensò.
Le parve che le venisse da ridere, ma non c’era
traccia di risa, in lei. Quello che le uscì dalla gola fu
solo un gemito sordo.
Murphy
prese una breve rincorsa e le sferrò un calcio nelle reni.
Lily puntò le mani
sull’asfalto per non finire lunga distesa. Il suo sguardo
colse i numeri verdi
che lampeggiavano sulla cassa automatica accanto alle pompe, dove due
anni
prima aveva infilato venti dollari per riempire il serbatoio di una
macchina
rubata.
-
Sai che avevo una figlia? – urlò Murphy, alterato
dallo sforzo e
dall’agitazione. - Avevo una figlia! Lei non ha
più nessuno per colpa tua!
Quella stronza di sua madre se n’è andata dopo
averla partorita! Quei soldi mi
servivano anche per lei!
-
Perché non sei tornato a prenderla, allora... invece di
scappare?!
La
stivalata la colpì ad un fianco, mozzandole il respiro.
“Sai
che avevo una figlia?”
No,
non lo sapeva, naturalmente. Non aveva mai saputo nulla di Murphy.
Così come
Murphy non aveva mai saputo nulla di lei.
“Lei
non ha più nessuno per colpa tua!”
E
giù un altro calcio, stavolta dritto nelle costole.
Rotolò e la stazione di
servizio scomparve. Vide di nuovo la caverna e per poco non
scivolò nel
baratro. Il suo
braccio penzolò nel
vuoto e lei si tirò subito indietro.
Murphy
le allungò un altro calcio e a quel punto Lily gli
afferrò il piede. Lo sentì
solido tra le mani come un pallone ben preso. Gli occhi si accesero
come tizzoni
ardenti.
E
spinse in là con tutte le sue forze.
Con
un urlo, Murphy volò all’indietro e di traverso,
facendo perno sulle braccia
per ritrovare l’equilibrio.
“Sai
che avevo una figlia?”
Perse
la battaglia e Lily ebbe modo di scorgere i suoi occhi sbarrati e pieni
d’odio
un attimo prima che precipitasse. Le sue grida riecheggiarono per la
caverna.
Il fuoco ruggì in risposta... o forse non era un ruggito, ma
una risata
roboante. Le sembrava che quel luogo fosse vivo. Che le fiamme avessero
una
coscienza e non era la coscienza di tutte le anime che aveva
inghiottito, ma
una coscienza enorme e molto più antica.
La
barriera magica che Cora aveva innalzato si frantumò.
Lily
si rialzò in piedi a fatica, tenendosi un fianco e
zoppicando per un breve
tratto, mentre si allontanava dagli
orli
della voragine. Cadde su un ginocchio e Regina tese una mano per
aiutarla, ma
lei la scacciò in malo modo.
-
Grazie per l’aiuto! – esclamò, puntando
il dito contro Cora.
-
Non era la mia questione in sospeso. – si
giustificò Cora, accennando persino
ad un sorriso.
-
La
tua questione in sospeso per me può rimanere tale! Anzi,
perché non salti,
Regina di Cuori?
Regina
prese Lily per le spalle. – Basta così.
Ma
Lily perseverò. - Sono felice che tu sia morta!
Ringrazierò personalmente
Biancaneve, quando la rivedrò.
-
Che cos’è successo a quel ragazzo? –
intervenne Regina a sua madre.
-
Ora appartiene al Tartaro. – disse Cora. –
È la via peggiore. Ed è quello che
potrebbe capitare anche a te, figlia mia, se non te ne vai. A te... e a
qualcuno che ami.
-
Chi?
Le
fiamme si tesero, come se stessero ascoltando la conversazione.
-
Tuo padre.
-
Emma?
Biancaneve
fissò l’immagine trasparente di sua figlia
proiettata dalla pozione che
Tremotino aveva trovato al negozio.
Era
davanti a loro, ma non del tutto presente. Indossava la sua giacca
rossa, ma
aveva i jeans strappati in più punti e il viso striato di
sangue. Aveva anche una
ferita sulla fronte, le labbra spaccate e gli occhi pesti. Si guardava
intorno,
confusa, senza fissare lo sguardo su nessuno in particolare.
-
Emma, mi senti? Sono Killian. – Allungò la mano
per toccarla, ma l’immagine
traballava, a tratti svaniva.
Emma
non rispose. Biancaneve strinse la mano di David.
-
L’incantesimo non è stabile. – disse
Malefica. – Non può sentirvi.
-
Avevi detto che avremmo potuto comunicare con lei, usando quella roba!
–
s’infuriò Killian, rivolgendosi
all’Oscuro. Tornò a voltarsi verso Emma.
–
Emma, siamo qui. Siamo venuti a prenderti.
-
È
in un luogo troppo difficile da raggiungere. – rispose
Tremotino.
-
Mamma! – gridò Henry, arrivando di corsa, insieme
a Regina e a Lily.
L’immagine
di Emma tremolò ancora un istante. Infine scomparve, come
risucchiata dalla sua
stessa tomba.
-
Non sa che siamo qui. – disse Lily, osservando la tomba e il
cigno che la
sormontava. – Non sa che siamo venuti a salvarla.
-
Certo che lo sa, Lily. – rispose Malefica, benevolmente.
– Non siamo riusciti a
raggiungerla, ma ciò non significa che non la troveremo.
-
Ma
era ferita! E non abbiamo idea di dove sia! – rispose Lily.
– E quella dannata
barca parte tra mezz’ora!
-
Quale barca? – chiese Biancaneve.
Regina
le spiegò che cosa era accaduto con Cora e tutto
ciò che le aveva detto. Lily
le aveva permesso di curarle le ferite che le aveva inflitto Murphy,
prima che
giungessero al cimitero.
-
Non intendo mettere un piede su quella dannata barca. –
asserì Killian. – Non
senza Emma.
-
Sono d’accordo. – rispose David. –
Troveremo un altro modo per andarcene. Ma
forse tu, Regina... dovresti...
-
No. – ribatté lei. – Non posso.
-
Ma
potrebbe succedere qualcosa di terribile a tuo padre. – le
ricordò Biancaneve.
– Se Cora dice la verità, allora... forse
è meglio che tu prenda Henry e te ne
vada.
-
Vi
ricordo che sono qui. – disse Henry, piccato. – Io
non vado.
-
Henry... – cominciò Regina.
-
No! Siamo venuti insieme. E ce ne andremo insieme. Hai scelto di venire
quaggiù
con noi... non puoi abbandonare la mamma.
Lily
non badava molto al battibecco che si stava svolgendo dietro di lei.
Allungò
una mano per toccare un’ala del cigno. Era fredda e un
brivido le percorse il
braccio, fino alla spalla. Un’immagine sfuggente le
passò davanti agli occhi.
L’immagine di una ragazza in giacca rossa, che scagliava una
spada contro una
gigantesca ombra nera.
-
Lily. – la chiamò sua madre. – Non
toccarla. Non è sicuro.
Lei
ritrasse la mano. Non prima di essersi resa conto di averlo sentito di
nuovo.
Per un attimo, il vecchio legame che aveva condiviso con Emma
c’era stato.
Aveva percepito la sua presenza. E sperava che Emma avesse avvertito la
sua.
Trasse
di tasca il giglio bianco ormai appassito e lo posò sulla
lapide.
Foresta
Incantata. Τrentacinque anni fa.
Regina
cacciò tutti gli invitati e mandò a
chiamare suo padre. Persino Malefica venne mandata via e nel sollevarsi
in volo
in forma di drago costrinse le guardie a correre ai ripari.
Henry
arrivò in tutta fretta, sapendo bene
perché lei voleva vederlo. Portava con sé lo
scrigno.
“Hai
ridato tu il cuore... a Biancaneve”,
disse, scandendo bene ogni singola parola, in modo che suo padre
potesse
percepire chiaramente la sua collera.
“L’ho
fatto per il tuo bene.”
“Come
puoi dire così?!”, scattò Regina.
“Adesso
lei sarebbe morta. E tutto questo sarebbe finito! Non è
ciò che vuoi? Che tutto
questo finisca? Che io sia felice?”
Henry
non si lasciò intimorire. Era solo molto
addolorato. “Certo! Ma non in questo modo. Se distruggi il
suo cuore diventerai
malvagia per sempre! Diventerai come Cora. È quello che lei
vuole!”
Regina
si appoggiò al tavolo, respirando con
affanno, come se fosse reduce da una lunga corsa. In realtà
stava tenendo a
bada i suoi istinti. Perché sentiva che, da un momento
all’altro, avrebbe fatto
qualcosa di terribile. Sentiva che... se avesse perso davvero il
controllo,
avrebbe potuto fargli del male e non voleva. Non voleva. Lei desiderava
solo
una cosa: che lui capisse. Che capisse che la bambina che portava sulle
spalle
era morta. Che capisse che da quando aveva tenuto il corpo di Daniel
tra le
braccia... quella ragazza aveva cessato di esistere e aveva cessato di
credere
nella felicità così come lui la intendeva. La
donna che era diventata non
avrebbe mai permesso a Biancaneve di vivere la sua vita con il suo
principe
imbecille. Non dopo che aveva rovinato la sua. Non le avrebbe mai
lasciato il
lieto fine, né tantomeno le avrebbe permesso di generare
qualche orrido
mostriciattolo.
“Ti
prego, ascoltami. Puoi essere felice.”,
continuò Henry, imperterrito.
“Uccidere
Biancaneve è l’unico modo in cui
potrò essere felice.”, precisò Regina.
“Mi
dispiace per te.”
“Tu
mi hai tradita, papà. E sai che cosa
significa.”
Nel
regno di Regina significava la morte. La
prigionia e poi la morte.
“Fa
quello che vuoi. Non ha importanza.”, disse
Henry. “Perché Biancaneve è viva e
così anche la tua possibilità di redenzione.
Potrai fare di meno quello che vorrai. Questo scrigno è
inutile come la tua
caccia. E prego che tu non lo usi mai.”
“Mi
dispiace.”, rispose Regina, in tono sprezzante.
Gli strappò lo scrigno dalle mani.
“Finché Biancaneve sarà viva, non
diventerò
mai come tu mi vuoi. Questo scrigno... è stata creato per
contenere qualcosa di
prezioso. Ed è esattamente per questo che lo
userò.”
Agitò
la mano ed una densa nube magica avvolse
Henry. Essa venne trasferita all’interno dello scrigno.
Quando
disparve, Henry era stato ridotto ad una
figurina minuscola, intrappolata nel contenitore che avrebbe dovuto
essere
destinato al cuore di Biancaneve.
“Non
preoccuparti, papà. Sei al sicuro lì
dentro. Così non potrai fermarmi. Ma lo sai che non ti farei
mai del male.”
Meno
di due ore dopo, un manipolo di soldati in
armatura nera calò sul villaggio con spade e fiaccole.
La
donna che aveva offerto la torta di mirtilli,
augurandole buon compleanno con il terrore negli occhi, ebbe modo di
aprire le
braccia, lasciando cadere i piatti e le caraffe che stava trasportando,
prima
di essere falciata da un colpo di spada.
Alcuni
uomini opposero resistenza e riuscirono
anche a ferire qualche soldato, ma non potevano nulla contro la Regina,
la sua
furia e la sua sete di vendetta. Fece in modo che i suoi fedeli
servitori setacciassero
ogni casa, appiccando poi il fuoco. Non badava alle urla o alle
suppliche. Non
badava all’odore del sangue. Il suo cavallo
calpestò dei cadaveri e passò oltre.
Un
ragazzino sporco di fango e con la faccia
graffiata strinse una figurina di legno nel pugno. Alzò la
testa, spostando la
propria attenzione dal corpo senza vita del padre alla donna in sella,
la donna
con la giacca rossa come il sangue che gli aveva sporcato i capelli
biondi. Il
suo destriero si impennò, nitrendo. E la luce del sole
creò uno strano gioco di
forme che confuse il ragazzino, già frastornato dalla paura
e dalla morte che
lo circondava.
La
Regina sembrò possedere un paio di ali nere.
Lui
la fissò, mentre scagliava una palla di
fuoco contro delle persone in fuga, pensando a quanto fosse simile ad
un angelo
vendicatore. Un angelo della morte.
I
suoi occhi scuri incrociarono quelli verdi
del ragazzino.
Regina
gli sorrise.
Oltretromba.
Oggi.
Regina
rimase da sola davanti alla tomba della Salvatrice.
Si
piegò sulle ginocchia, fissando il nome inciso sul marmo,
mentre il vento le
scompigliava i capelli. Il sole stava tramontando e il cielo rosso
aveva
assunto colori più intensi. I fumi che aleggiavano tra le
tombe erano più densi
e rotolavano lentamente lungo i prati.
-
Ehi. – disse, a bassa voce. – Sono io.
Non
vi fu risposta, ovviamente, ma Regina posò le dita sulla
prima lettera del
nome, tracciando lentamente la E. Ebbe l’impressione che
fosse più gelida del
normale.
Le
si oscurò la vista e nella tenebra più completa
annaspò. Due occhi arancioni
come tizzoni ardenti la scrutarono e qualcosa di enorme si mosse verso
di lei.
-
Regina.
Quella
voce, che conosceva benissimo, la riportò indietro. Il buio
si dissolse e si
ritrovò davanti alla tomba, con le mani coperte dai guanti
neri che afferravano
ciuffi di erba secca.
-
Papà?
Si
girò ed Henry, suo padre, le prese le mani per aiutarla ad
alzarsi.
Lui
sorrideva, felice di vederla. Non c’era traccia di rabbia,
nelle pieghe del suo
viso, né di risentimento o di rimprovero. Regina, a stento,
poté guardarlo
negli occhi. L’ultima cosa che ricordava dell’uomo
che aveva sempre cercato di
distoglierla dai suoi propositi di vendetta era il suo sguardo allibito
quando
gli aveva strappato il cuore per poter lanciare la maledizione.
-
Mi
dispiace. – mormorò, mentre il dolore e il senso
di colpa le piombavano addosso,
afferrandola e togliendole le ultime difese che ancora le restavano.
– Mi
dispiace tanto.
-
Va
tutto bene. – disse Henry, abbracciandola. – Va
tutto bene. Davvero.
-
Mi
hai... perdonata?
-
Certo. Sono tuo padre e ti voglio bene comunque. Come tutti i padri.
-
Non credo sia così. – Regina si scostò.
– Credo che tu sia speciale. Non riesco
a capire come tu faccia ad essere... così buono.
Né come tu possa essere
intrappolato qui.
-
Non sono perfetto. – asserì Henry. – Ho
i miei rimpianti. E delle cose che mi
trattengono in questo posto.
-
Non voglio prolungare le tue sofferenze. – disse Regina. Si
voltò, guardando la
tomba di Emma da sopra la spalla. Le parole le uscivano come colpi di
tosse. –
Non... questo non accadrà. Te lo assicuro.
-
No, Regina. – replicò Henry. – Ascoltami
bene. Tua madre sta usando me, perché
vuole che tu te ne vada. Ma io voglio che tu rimanga. Devi. Rimani per
coloro
che ami. I tuoi amici, la tua famiglia... hanno tutti bisogno di te.
-
Ma
Cora ti manderà in un posto peggiore.
-
Tu
non vuoi davvero andartene, Regina. È per questo che sei
qui, ora, davanti a
questa tomba. Non puoi abbandonare le persone che ami. – Suo
padre parlava in
tono deciso, come molti anni fa, quando tentava disperatamente di
convincerla
ad abbandonare l’idea di uccidere Biancaneve. –
Quando mi hai strappato il
cuore eri mossa dalle peggiori intenzioni. Ed ora guardati... sei
venuta fin
qui per salvare... la figlia di Biancaneve.
Regina
si morse il labbro.
-
Una volta credevi che avrebbe generato solo... orribili mostriciattoli.
– le
ricordò suo padre, sorridendole. – Non
è vero?
Regina
annuì. – Emma è... una persona
speciale. Proprio come te.
-
E
allora salvala. Lascia che tuo padre ti veda fare la cosa giusta.
– continuò
Henry. - E potrò dire... di non essere morto invano.
‘Chi sei? Cosa vuoi?’, domandò Emma.
‘Sono
il padrone di casa, Emma’. Di nuovo la
risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. ‘Adesso
sei nel mio regno.
È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti
piaccia’.
Le
presenze oscure si dileguarono e così anche
la voce.
Emma
precipitò nel vuoto.
E
la caduta fu lunga. Fu interminabile. Emma
gridava e precipitava. Agitava le braccia per aggrapparsi a qualcosa,
ma non
c’erano appigli.
Poi
rallentò fin quasi a fermarsi e toccò il
fondo con un tonfo. Sbatté le palpebre per vedere qualcosa,
ma le tenebre non
si erano ancora diradate. Scorse una luce. Lontana. Dardeggiava nel
buio,
rossastra.
“C’è
qualcuno?!”
Una
forma le passò accanto, colpendola alla
testa e stordendola. Emma cadde in avanti. Artigli le graffiarono la
gamba,
strappandole il tessuto dei jeans. Sollevò un braccio per
proteggersi e
l’essere, qualsiasi cosa fosse, ringhiò,
scartò di lato e la raggiunse al viso.
Era rapido e sembrava stesse colpendo per il gusto di fare del male e
non per
uccidere.
“Sono
già morta. Non può uccidermi.”
Ma
forse poteva comunque farla a pezzi. Il
dolore era reale. Il sangue che le stava scivolando sulle guance era
reale. Era
caldo.
La
cosa si allontanò e lei ne approfittò per
alzarsi e mettersi a correre verso la luce.
Suo
padre era sul limitare della voragine. Sotto di lui il fuoco aspettava,
come
una belva affamata.
Regina
irruppe insieme a suo figlio. – Mamma, fermati. Non farlo!
-
Che cosa ci fai qui? Dovresti essere su quella barca. – le
disse Cora.
-
Non posso andarmene. Non intendo abbandonare la mia famiglia!
-
Non è così che funzionano le cose, Regina. Questa
non è Storybrooke. E ti ho
già detto... che riportare in vita i morti va contro le
regole della magia. Nessuno
dovrebbe tornare in vita. Nemmeno la Salvatrice!
-
Non darle ascolto, Regina! – esclamò Henry.
– Aiuta i tuoi amici. Rimani!
-
Sono venuta qui per aiutare tutti. – rispose Regina.
-
Questo... non è possibile. Devi fidarti di me.
-
Lascialo andare.
Cora
sospirò, esasperata. – Ti prego, ascoltami! Il mio
tempo nell’Oltretomba è
concluso. E può esserlo anche il tuo. Fa come ti dico e
dimentica Emma Swan.
Non può uscire da qui. Può solo imboccare una
delle due strade!
-
Henry, stai indietro. – lo avvisò Regina. Si mosse
verso il padre.
-
Per favore, non mi costringere! Non voglio farlo. – la
implorò Cora.
-
E
allora non lo fare.
Cora
esitò solo un istante. – Mi dispiace.
Le
fiamme del Tartaro avvolsero Henry nelle loro spire e, quando Regina
fece per
correre verso di lui, una barriera di fuoco si frappose, impedendole di
passare. Regina cercò di abbatterla con la propria magia, ma
le fiamme si
gettarono su di lei, costringendola a tirarsi indietro.
-
Un
giorno capirai. – mormorò Cora, prima di
scomparire.
Regina
capì unicamente di aver fallito di nuovo. Non solo aveva
ucciso suo padre,
spingendolo in quel posto, ma non era nemmeno riuscita a fermare sua
madre. Era
stato tutto inutile.
Le
parole che Lily le aveva detto a Camelot
riecheggiarono nella sua mente con un fragore sinistro: “Ti
ho vista, in cima a quella
scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si
gode il
momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come
una
Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma.”
“Quelle
come noi non possono essere
Salvatrici.”
-
Mi dispiace tanto. – singhiozzò Regina.
Poi
le fiamme si ritrassero. Henry vacillò sulla sporgenza
rocciosa. Il fuoco
indietreggiò lungo le pareti, riducendosi, sprofondando come
atterrito da
qualcosa.
-
Papà?
-
No, ferma! Non ti muovere. Sto bene.
La
sporgenza rocciosa si
allungò, formando
uno stretto sentiero sospeso sul baratro.
-
Che cosa succede? – domandò Regina.
-
Non lo so. – Henry guardò la roccia che mutava
forma. – C’è qualcosa qui.
Nella
parete di roccia di fronte a lui si aprì un varco luminoso.
Attraverso di esso,
vide uno sprazzo di cielo azzurro, solcato da nuvole bianche.
-
I Campi Elisi.
Regina
si accorse che suo figlio si era accostato a lei e guardava,
affascinato, la
luce paradisiaca che invitava suo nonno a raggiungerla.
-
È bellissimo. – esclamò il padre di
Regina, allargando le braccia. – È quello
il mio posto.
Era
la strada migliore. Seguendola, Henry sarebbe passato oltre,
abbandonando
l’Oltretomba per sempre.
Si
voltò verso la figlia, raggiungendola. – Ora so
qual era la mia questione in
sospeso. Eri tu.
-
Io? – Regina era ancora frastornata, confusa dalla
serenità sprigionata da quel
luogo, al di là del varco nella roccia. Si immaginava campi
verdissimi, cavalli
che correvano liberi, fiori coloratissimi, alberi di mele che
producevano
sempre frutti. Nella sua mente baluginavano sensazioni meravigliose.
-
Per troppo tempo ho permesso a tua madre di manipolarti. –
disse Henry. – Per
troppo tempo le ho permesso di usare il suo potere contro di te. Era il
più
grande rimpianto della mia vita. Ma adesso... ti sei liberata di lei ed
io sono
orgoglioso di te.
-
Ciao...
Henry
fissò il ragazzo che era arrivato con Regina, sorpreso.
– Lui è...
-
Sì. – Regina strinse la mano di Henry. –
Lui è tuo nipote. Si chiama Henry.
Come te.
-
Sono felice di conoscerti, nonno. E... mi chiamo Henry Daniel
Mills. – disse il ragazzino. - Volevo dirti grazie.
Per aver
creduto in lei.
-
Grazie a te, Henry. – rispose suo nonno. – Per
esserle sempre stato accanto. So
perché siete venuti. Quello che volete fare è
molto... molto pericoloso. Ma se
credete che sia giusto... allora dovete provarci.
-
Ce la faremo. Noi non ci diamo mai per vinti. – disse Henry.
-
Oh, lo so. – Appoggiò una mano sulla testa del
nipote. Come aveva fatto molto
tempo fa con Regina. – Prenditi cura di lei. È ora
che io vada.
-
Ma papà, aspetta...
-
Ti voglio bene, Regina. Non dimenticare mai chi sei veramente.
– Henry le
sorrise un’ultima volta. - E segui il tuo cuore.
Emma
Swan aprì gli occhi di scatto.
Braccia
e gambe le tremavano per lo sfinimento. In bocca sentiva il sapore del
suo
stesso sangue. Tastò rapidamente intorno a sé,
capendo di essere distesa su
qualcosa di solido. Alla fine era arrivata in fondo al tunnel.
-
Dove sono? – borbottò, rauca.
Davanti
a lei c’era un altro corridoio, illuminato da una densa luce
rossastra. L’aria
sapeva di zolfo, era calda e le bruciava i polmoni. Allungò
una mano,
aggrappandosi ad una colonna piena di crepe e si tirò su.
Avvertì un dolore
lancinante al fianco e spostare il peso sulla gamba destra le
causò sofferenza
per via delle ferite, due lunghi tagli che sanguinavano ancora.
Si
costrinse a scendere il gradino che la separava dal corridoio. Se
guardava a destra,
il corridoio si biforcava in due tronconi, se guardava a sinistra si
biforcava
addirittura in altri tre corridoi più stretti. Sopra di
sé aveva il cielo, un
cielo scuro e pieno di nubi. Non era possibile arrampicarsi, non solo
perché
non aveva la forza di farlo, ma anche perché le pareti di
quel luogo erano
lisce. Non c’erano appigli a cui aggrapparsi. Così
come non c’erano stati
quando aveva iniziato a precipitare nel vuoto.
Lasciò
scivolare la mano destra sulla parete e improvvisamente si
ridestò in lei la
paura. Era troppo stanca, per cui l’avvertiva solo come un
battito affrettato,
come un malessere.
Era
morta. Morta. Non era più l’Oscuro ed era morta. E
qualcuno era venuto a
prenderla. I suoi genitori. Killian. Henry. Regina. Lily.
S’impietrì.
Qualcosa...
si muoveva nei dintorni. Udiva una sorta di rumore furtivo, un lieve
frusciare,
poi una scarpa che grattava il pavimento. Suoni che andavano quasi
perduti,
perché il battito del suo cuore si era fatto prepotente. Era
una grancassa.
-
Ferma.
Emma
sollevò entrambe le mani sopra la testa. Nel mentre cercava
un’arma per
difendersi, ma sembrava che non ci fosse nulla nelle vicinanze.
-
Voltati. Lentamente.
Non
era la prima volta che sentiva quella voce. La conosceva. E il solo
rendersi
conto che si trovava in quel luogo con qualcuno che conosceva,
bastò a farla
rabbrividire in modo incontrollabile, anche se la fece sentire pure
sollevata.
Poteva essere un altro inganno. Quel posto era pieno di trappole. Era
pieno di
immagini terribili, agghiaccianti, che la assalivano da ogni parte.
-
Ancora
tu? – disse la donna, che le aveva chiesto di voltarsi. Lei
un’arma ce l’aveva.
Un arco, con una freccia già incoccata e pronta a
raggiungere il bersaglio. I
suoi occhi scuri si andavano dilatando. Emma la vide impallidire.
– Allora non
sei solo nella mia testa!
-
Marian?
_________________
Angolo autrice:
Ben ritrovati. Grazie
per essere arrivati alla fine di questo
lunghissimo capitolo.
Solo
una precisazione: la parte in cui Regina accarezza il nome di Emma
inciso sulla
tomba è un omaggio a Buffy, in particolare a Willow e Tara,
una delle mie prime
ship. La scena ricalca quella in cui Willow va per la prima volta a
visitare la
tomba di Tara dopo la sua morte.