Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: _Blanca_    05/10/2016    0 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
16.

XVI. Fantasmi




Era un orario inaccettabile per le visite e le maniere di Ledford, maggiordomo di Ellsworth House, iniziarono a vacillare davanti all’insistenza di Anna. «Permettetemi di ripetere» disse l’uomo in livrea, trattenendo l’ospite a un passo dall’uscio. «Al momento, i signori non sono in casa. Se poteste essere tanto cortese da lasciare un biglietto da visit―»
«E io lo ripeto a voi» interruppe Anna. Più cercava di tenersi stretta la pazienza, più la sentiva sfuggirle di mano. La sua insana agitazione era palpabile: nel gesticolio, nello sguardo acceso, nel tono sussurrato. «Non sono qui per gli Hall. Ho solo bisogno di entrare. Devo controllare una... cosa. Non sapranno che sono stata qui.»
Sul viso del maggiordomo si accomodò una cortese espressione di simil-orrore. «Signorina.» Allargò le narici del lungo naso gibboso e irrigidì le spalle. «Per favore, andate via.»
«Oh, avanti! Che volete? Soldi?»
«Signorina ― per favore ― andate via.»
Ledford, con le mani inguantate di bianco sui pomelli, era sul punto di chiudere la porta e Anna, dita serrate, era a tanto così dal tentare di introdursi a Ellsworth House passando sul corpo privo di sensi del maggiordomo, quando un avvicinarsi di passi annunciò l’arrivo di una terza persona: qualcuno scendeva le scale dell’ingresso.
«Ledford!» William si bloccò tra il terzo e il penultimo gradino, una mano sulla balaustra e l’altra a ciondoloni lungo il fianco; indossava un panciotto grigio antracite e una camicia bianca dai polsini abbottonati, ma era senza giacca e senza cravatta. La sorpresa ravvivò gli occhi cerulei dello scritturo, per poi lasciar campo a un laconico sorriso da gentiluomo del Kent. «Ledford, perché mai fate attendere miss Hawkins sul portico, come una mendicante?»
William li raggiunse e il maggiordomo si fece da parte, per cedere l’entrata ad Anna.
«Desolato, signore. Mi avete espressamente detto di non voler essere disturbato, in nessun caso, da chicchessia. Ignoravo che la signorina Hawkins rappresentasse un’eccezione.»
«Miss Hawkins rappresenta un’eccezione sotto molti aspetti ― temo.» E mentre Ledford chiudeva la porta e abbandonava l’ingresso, William soggiunse: «Davvero non immaginavo che avremmo ricevuto una vostra visita così presto.» C’era un che di esitante nella garbata dichiarazione: l’uomo chinò lo sguardo; strofinava debolmente, pensosamente quasi, i polpastrelli macchiati d’inchiostro.
Anna sollevò la veletta. Erano di nuovo soli, proprio là dove erano stati interrotti la sera della maledetta cena: ai piedi della scala, sotto lo sguardo del vecchio Hall. Ma se allora Anna aveva indugiato in un piastriccio di fastidio e desiderio, adesso smaniava per togliersi William dai piedi. Guardava lo scrittore; e guardava la sommità delle scale, oltre le spalle di lui.
«Tuttavia, se siete qui per mia sorella, o per Augusta, devo comunicarvi che non torneranno nel futuro più prossimo» stava spiegando William. «Mio fratello e mia cognata hanno reputato inopportuno restare qui, dopo quanto accaduto. Hanno scelto di trasferirsi, in primo luogo, per le bambine. Ada è andata con loro.»
«Trasferirsi? E dove?»
«Fuori città, nella casa sulla collina: la vecchia villa Hall. Mi rincresce che siate venuta fin qui inutilmente.»
«Non sono qui per loro.»
 William alzò gli occhi: la sorpresa si riaffacciò nello sguardo.
«Dunque, volete... accomodarvi?»
«No.»
Un respiro di tentennamento abbandonò le sottili labbra dello scrittore. «Miss Hawkins ― lungi da me offendervi, ma l’ora è tarda e voi apparite turbata. Sbaglio, forse, a ipotizzare che questa non sia una visita di cortesia? Se è accaduto qualcosa a Bon Fleur, io―»
«Devo vedere lo studio.»
«Lo studio? Il nostro studio?»
«No, lo studio della regina. ― Sì, il vostro studio, signor Hall. Quello dove mio zio s’è ammazzato. Avete presente?»
Messo davanti a quello spettacolo di malagrazia, con un lento battito di palpebre, William corrugò la fronte.
«E posso chiedervi perché?»
«No.»
Silenzio.
E poi, contro ogni previsione di Anna, William arretrò di un passo e indicò le scale con un molle gesto del braccio. «Prego.» E fece strada.
Anna lo seguì, fissandone la schiena, ampia e diritta, con un vago sentore di sospetto, sul quale, però, preferì non soffermarsi. Salirono le scale, percorsero il corridoio e raggiunsero lo studio. William aprì la porta, sospingendola.
La stanza era buia.
William entrò. Dalle eleganti campane di vetro di due lampade, appoggiate sullo scrittoio, si sprigionò un chiarore aranciato. La luce rivelò la mobilia: una poltrona di velluto verde, accanto alla finestra, occultata dalle tende; i libri sugli scaffali, infilati nel muro; le anfore di ceramica e le brocche di bronzo, disposte sulla mensola del caminetto; in una nicchia, stava il busto bianco di un vecchio dalla barba riccioluta e il piglio severo di un profeta.
Anna non aveva badato ai dettagli, la prima volta in cui era stata nello studio. Né li guardava ora, immobilizzata sulla soglia. Fissava il punto esatto in cui aveva visto il corpo scempiato dello zio Woodhams: sul pavimento, al centro della stanza. Il tappeto era stato tolto e il parquet riluceva per la cera. Anna temette di dar di stomaco, tanta era la violenza con la quale sentiva le viscere ribaltarsi, mentre si imponeva di avanzare. Da lenti e contriti, i suoi movimenti divennero pian piano più sciolti: attraversò lo studio, scostò le tende e scrutò, con gli occhi e con il tatto, gli infissi della finestra; fece scorrere le dita lungo il davanzale interno: lindo, liscio e senza l’ombra di un graffio. Allora, guardò giù, oltre il vetro: la finestra dava sul giardino e non c’erano sporgenze sottostanti, né alberi vicini. Percorse passo passo il perimetro dello studio, bussando contro il pregiato legno delle Indie Orientali, che copriva interamente le pareti; tre volte accostò l’orecchio ai pannelli, ma tutte e tre le volte scoprì di essersi ingannata: il muro non risuonava a vuoto.
In quanto a William, rimase immobile, in piedi, di fianco allo scrittoio, con la fronte bianca solcata da una ruga di crescente incertezza. E quando Anna iniziò a prendere a colpi di tacco il parquet,  non poté più tacere: «In nome di tutto ciò che è ragionevole, che cosa state facendo?»
«Dite un po’, siete sicuro che non esista una terza chiave? Oppure... un altro modo per entrare. Deve esserci un altro modo per entrare.»
«Buon Dio, state cercando dei passaggi nascosti.»
Anna si mosse verso la libreria e tirò giù uno dei tomi. William scattò verso di lei, agguantandola per un gomito, e la spinse a voltarsi verso di lui, che la scrutava con un fremito di supplica nel  azzurro freddo degli occhi. «Non ci sono passaggi nascosti, in questo studio. C’è una sola entrata. La porta. Che era chiusa dall’interno. Fu vostro zio a chiuderla.»
«Solo perché voi non siete a conoscenza di passaggi segreti, non vuol dire che non ce ne siano. C’è un motivo se li chiamano ‘segreti’!»
«Ditemi che non vi siete veramente convinta di quel che sto immaginando.»
«Che volete che ne sappia io di quello che vi passa per la testa!»
«Credete che vostro zio sia stato assassinato.»
«Sì» ringhiò Anna; la paura trattenuta dietro un ennesimo velo di lacrime.
«No, miss Hawkins...»
«Sì!»
«È stato un suicido.»
«Mio zio non aveva nessun motivo per voler morire. Deve essere stato un omicidio.»
William, senza accennare a perdere un solo grammo di calma e ragionevolezza, accolse il viso accaldato di Anna tra le proprie mani; aveva i palmi morbidi, la pelle fresca, e la sua carezza odorava di inchiostro. «So bene come vi sentite, in questo momento. So quanto state soffrendo.»
«No, non lo sapete...» mormorò Anna, debolmente. Si tirò indietro. Le gambe trovarono la poltrona e lei andò giù, seduta sulla sponda del sedile.
«Vi sbagliate» proseguì William, chinandosi su i talloni, davanti ad Anna. «Avete dimenticato che io conoscevo vostro zio sin da quando ero bambino. È stato un parente anche per me. Un buon parente. Un parente amato. Perciò non dubitate quando vi dico che non passerà giorno in cui non mi rimprovererò di non aver saputo indovinare la sofferenza segreta che lo tormentava. Ma voi, Anna, non torturatevi. Nessuno ha ucciso vostro zio. Nessun assassino misterioso è entrato da questa finestra, in una notte di pioggia, senza lasciare nemmeno un’impronta sul pavimento. E non ci sono passaggi segreti. Né colpi di scena. Non siamo nella Rue Morgue. Questo non è un romanzo. È la vita. E la morte giunge per motivi insondabili a noi umani. Arriva ― arriva anche quando crediamo di aver, finalmente, il nostro epilogo felice. Arriva e prende ciò che vuole.»
Anna si morse le labbra. «Non dovete spiegare a me come funziona la morte. Ma questa volta ― almeno questa volta ― ho bisogno di un assassino. Ho bisogno di qualcuno in carne e ossa, perché―»
«Perché credete di poter lenire il dolore, se aveste un viso contro cui rivolgerlo. Perché adesso il dolore vi sta divorando. Giorno e notte. Ogni minuto, ogni respiro, ogni pensiero ― non vi dà tregua. Non vi date tregua.» William coprì le mani di Anna con le proprie. «Se in questi anni passati ho imparato qualcosa... datemi ascolto: non inseguite fantasmi.»
«Fantasmi?» ripeté Anna, sottovoce, colpita dalla parola.
«Fantasmi. Fantasie
«Fantasmi...» disse, ancora, Anna, in un sussurro spento. Scosse il capo. Inspirò. «Posso avere un bicchiere d’acqua?»
«Sì.... sì. Certo. Voi attendete pure qui. Restate seduta e cercate di calmarvi.»
William uscì e Anna rimase dov’era. Sfilò via i guanti, piano, prima il sinistro e poi il destro. E stesa debolmente la mano, stette a guardare l’anello.
E il cristallo si tinse di rosso.
Questa volta, davanti al responso che andava cercando pur temendolo quanto la morte stessa, Anna non parve reagire. Abbassò la mano, raccolse le dita e calò le palpebre sugli occhi lucidi. «Fantasmi» esalò. E mentre il viso si induriva in una maschera di apatica rassegnazione, qualcos’altro nel suo sangue e nei suoi muscoli scalciava, domandando di venir lasciato a briglia sciolta.
E Anna lo lasciò uscire.
William tornò: si era premurato di portare di persona il bicchiere d’acqua, adagiato su un piattino. Trovò Anna ancora seduta in poltrona. «Ecco. Ma del vino speziato potrebbe giovarvi maggiorm―»
Il bicchiere s’infranse, il piattino andò in cocci e l’acqua si sparse sul bel pavimento: William venne spinto con violenza contro la libreria, cozzando la nuca contro il legno.
Anna lo teneva fermo: una mano serrata sul colletto della camicia, l’avambraccio contro il petto e la punta di un tagliacarte alla gola; l’aveva rubato dello scrittoio, mentre era sola. «Che cosa avete fatto?» ringhiò, espirando dal naso come un animale furioso.
William annaspò. Spalancò gli occhi per la pressione contro il petto e il completo spaesamento: come lo strozzino di Goudhurst Close prima di lui, non sembrava capacitarsi di dove provenisse la forza che lo inchiodava alla parete.
«Di cosa andate parlando?»
«Tu ― e mia zia ― che cosa avete fatto? Che cosa c’è tra di voi?»
«Non... non dovete dare ascolto alle malelingue. Qualunque cosa abbiate sentito dire―»
«Siete il suo amante?»
Con una lama puntata alla gola, William ebbe la dignità di sollevare il mento e indurire la mascella. «Non voglio nemmeno rispondere a una tale bassa insinuazione.»
Anna lo lasciò andare così bruscamente che lo scrittore, per un attimo, parve sul punto di perdere l’equilibrio. «Ma, in qualche modo, voi siete suo complice. Perché siete andato a trovarla, quando mio zio era a Londra? Perché vi ha ricevuto nella sua stanza da letto?»
William reclinò il capo contro la libreria, strofinando una mano sul petto indolenzito. «Non sono affari che vi riguardano» ribatté, a denti stretti.
«Ma davvero?»
«Davvero.»
Anna arretrò e indirizzò il tagliacarte verso William. «Siete fortunato che io sappia bene quanto la tortura sia inaffidabile, quando si vuole la verità.»
William emise un verso scettico, a labbra serrate, a metà tra un principio di risata e un colpo di tosse. «Fortunato, sul serio, a trovarmi alla mercé di cotanta civiltà. Avete mai preso in considerazione l’idea di partecipare agli incontri di pugilato, in certe sudice bettole della vecchia Londra?»
«Tenete presente questo: zia Woodhams non è mia amica. E se voi state dalla sua parte, allora state contro di me. Se scopro che avete a che fare con la morte di mio zio, vi farò pagare le conseguenze. A tutti e due.»
«Chi siete voi per presentarvi in questa casa, accusare e minacciare?»
«Sapete già chi sono, signor Hall. L’avete detto ad Ada, una volta. Qualcuno da un altro mondo.»
Piantò il tagliacarte sul tavolo.  E si voltò.
Fu solo la voce rancorosa di William a inseguirla.
«C’è qualcosa di anormale in voi, miss Hawkins. Profondamente anormale.»
Anna oltrepassò l’uscio. ‘Non posso darti torto.’ E scese le scale. Nessuno la fermò e in un attimo fu fuori da Ellsworth House. I pochi domestici rimasero ignari dell’accaduto e William, con uno sguardo serio, cupo e consapevole, animato da profonda preoccupazione e nessuna paura, si trattenne nella stanza del delitto. Tirò via il tagliacarte. Poi, a passi lenti, raccolse dal pavimento i guanti di seta nera: erano caduti quando Anna si era alzata di scatto dalla poltrona. Ed erano stati dimenticati. Lui li strinse. E, di nuovo, guardò il taglio inferto allo scrittoio.

*

A Bon Fleur, Anna trovò una convocazione, nel boudoir, che non poteva essere posticipata neppure per il tempo di togliersi cappellino e soprabito. «Dove sei stata?» la interrogò la zia Woodhams. La sua figura nero vestita occupava regalmente la dormeuse. Stava ricamando: un fazzoletto nero, intrappolato nel cerchio del telaio, e del filo rosso infilato nel sottilissimo ago. La gelida pacatezza della voce, bassa e ferma, bastò a far comprendere ad Anna quale intimo disappunto e preoccupante malumore avesse instillato nell’animo della zia. Tuttavia, la mente di Anna era troppo poco presente, in quella stanza, per potersene curare davvero. «Al cimitero. Alla tomba dello zio» rispose, atona, ritta in piedi; il fuoco nel camino dietro di lei, gettava la sua ombra sul tappeto indiano.
«Per l’intero pomeriggio?»
«Sono andata... a passeggio, poi. Lungo il fiume. Volevo... speravo di distrarmi.»
«Se pensi che stare all’aria aperta possa giovare al tuo stato d’animo, ti accorderò il permesso di uscire un quarto d’ora al giorno, durante le ore più calde, purché tu prima svolga prima i tuoi doveri domestici. Ma non voglio che tu vada vagabondando per Maidstone, o al villaggio, sotto lo sguardo di tutti. Il lutto deve esser vissuto in privato. Da oggi in avanti, delle commissioni si occuperà Lillian.»
Anna acconsentì alla prigionia facendo scena muta.
La zia continuava a ricamare. «E non credermi cieca» aggiunse, a mo’ di monito. «Mi rendo conto che, a modo tuo, dovevi essere affezionata a Walter. Ma è nostro dovere non cedere alla debolezza, Anna. ‘Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati.’» In quel momento, entrò Lily: portava il vassoio con il tè;  a testa bassa, spiando zia e nipote con la coda dell’occhio, raggiunse lo scrittoio e mise giù il vassoio. «Ma tu hai la sfortuna d’aver ereditato una malsana inclinazione ai sentimenti violenti» seguitava a pontificare la signora Woodhams. «Jonathan era come te: tutto stomaco e niente testa. In quanto alla donna che ti ha messo al mondo, è risaputo e provato che la sua razza sia un crogiolo di viziosi. Tu sei come loro. E si vede ora, nella difficoltà, più che in passato. ― Lillian, osserva Anna: non pensi anche tu che la mia disgraziata nipote mostri segni di logoramento?»
Chiamata in causa, Lily portò le mani dietro la schiena e fissò l’orlo della gonna di Anna.
«Non saprei davvero dirlo, madam.»
«No, naturalmente. Tu non sai mai nulla» sospirò la signora. «Ora: fuori.» E fece gesto di uscire dalla stanza; gesto al quale entrambe le ragazze obbedirono all’istante.
«Ma dove sei stata?» domandò Lily, in un sussurro preoccupato, non appena lei e Anna furono in cucina. «Dove sei stata veramente?»
«Non chiedermelo...»
«Ma sono preoccupata! Prima quella lettera e adesso sparisci per ore e ore. E tua zia non ha torto, sai? Hai davvero una brutta cera. Sembri stravolta.»
Ma Anna le dava la schiena; incrociò le braccia e lasciò crollare le spalle. «Non... posso dirtelo. Non capiresti...»
Lily arretrò di un passetto. «Vedo che almeno su qualcosa tu e madam siete in accordo. Io sono solo una sciocca. È risaputo che le cameriere si intendono soltanto di argenteria e pettegolezzi.»
«Oh, smettila» Anna si volse di scatto. «Lily..» Cercò la mano della cameriera. La strinse, con fervore. «Lo sai che mi fido di te. Sei la mia unica amica, qui.» Esitò. «Io... ti dirò tutto. Solo ― non adesso. Adesso, devo chiederti un favore.»
«Sì?»
«Dormi con me, questa notte. Non voglio che te ne stai da sola nell’attico. Almeno per questa notte. Ti prego.»
Lily batteva le palpebre nella più perplessa e intimorita delle espressioni. Sospirò. Scuoté fiaccamente il capo. «E va bene» balbettò. «Io davvero non ti capisco, però se la cosa ti farà calmare ― va bene. Per questa notte.»
Ma la presenza di Lily, raggomitola sull’altro lato del letto, non ebbe alcun effetto benefico sui nervi di Anna. Lei stava seduta, con le gambe tirate al petto e la schiena contro la testiera. Aveva lasciato le tende spalancate e lo spettrale chiarore dell’ultimissima falce di luna a malapena le permetteva di distinguere le sagome dei mobili. Anna vegliò per tutta la notte, fissando in  cagnesco la porta, ascoltando il battito del proprio cuore, il respiro leggero di Lily, lo scricchiolio del letto.






   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: _Blanca_