Capitolo XIV
Insieme
Sdraiata sul letto, stanca, ma ad ogni modo sveglia. Alzandomi, scopro che Stefan è già in piedi, e che sta trafficando con ben tre zaini. “Raccogli le tue cose.” Mi avverte, parlando in modo serio ma senza guardarmi. “Vuoi dire…” azzardo, non riuscendo a completare quella frase e sentendola morirmi in gola, così come era accaduto a tante altre, che mai pronunciate, non avevano mai conosciuto la libertà. “Sì, ce ne andremo.” Rispose, spostando il suo sguardo e la sua attenzione sul mio viso. Permettendo al colore dei nostri occhi di fondersi, gli mostrai un debole sorriso, venendo poi ricambiata. “Torneremo indietro, ad Ascantha.” Disse poi, convinto del piano che sapevo avesse diligentemente messo a punto la sera prima. Rinfrancata, sorrisi ancora, ma solo in quel momento, un ricordo ebbe modo di spaziare nella mia mente. “No. Non possiamo.” Dissi, sbarrando senza volerlo gli occhi e iniziando inconsciamente a tremare. “Che stai dicendo? Qui moriremo!” replicò Stefan, alterandosi di colpo e riuscendo perfino a spaventarmi. “Stefan, ascoltami. Io dico sul serio. È troppo pericoloso!” risposi a mia volta, con la voce e il corpo tremanti come foglie. Non riuscendo a muovermi, lo guardavo negli occhi, e facendolo, notai che respirava a fatica, tentando forse di controllare le sue stesse emozioni. Colta alla sprovvista dalla paura, chiusi gli occhi, e solo allora, qualcosa di completamente inaspettato mi accadde. Non sentii altro che dolore, e riaprendoli, scoprii cosa era accaduto. Era incredibile, ma per la prima volta in tutto quel tempo, Stefan mi aveva colpita. Un suo sonoro schiaffo aveva raggiunto la mia guancia, facendola dolere e bruciare come mai prima. Ferita da quel suo gesto tanto inconsueto, continuai a guardarlo con occhi dolenti e colmi di lacrime, attendendo una sua qualsiasi spiegazione. Alcuni secondi passarono, e allo scadere degli stessi, Stefan parve finalmente rendersi conto di quanto fosse accaduto. “Rain, tesoro… mi… mi dispiace, io…” non potè che biascicare, mentre pareva intento a ingoiare una metaforica pillola piena di vergogna. “No. Non dirlo. Mi serviva.” Risposi, concentrando tutta la mia attenzione sul suo viso e carezzandolo dolcemente. Non che mi avesse fatto male, anzi, ad essere sincera, credevo che avesse agito nella maniera più giusta. Inarrestabile, Il tempo continuava a scorrere non curandosi né attendendo le nostre decisioni, ed io ero ancora lì, ferma a piangere e lamentarmi come una povera bimba spaventata. Contrariamente a Terra e alla piccola che portavo in grembo, ero un’adulta, e forse ora avrei finalmente potuto imparare a comportarmi come tale. “Grazie.” Soffiai al suo indirizzo, sorridendogli e afferrando la sua mano al solo scopo di rimettermi in piedi. Una volta fatto, mi misi in spalla lo zaino, e solo allora, diedi inizio al mio cammino al suo fianco. Un ricordo riguardante la mia famiglia e il loro benessere si era annidato nella mia mente, ma nello stesso tempo, uno riguardante la lettera di mia sorella Alisia era sopraggiunto soppiantandolo. “Andiamo.” Dichiarai poi, stringendogli la mano con forza perfino maggiore, e avvertendo un’improvvisa e sconosciuta forza crescermi dentro. “Non ancora.” Replicò, guardandomi con aria seria. “Allora quando?” chiesi, mantenendo il silenzio e prendendo parte a quel muto gioco di sguardi. “Domani, alle prime luci dell’alba.” Una frase semplice e al contempo profonda, che alle mie orecchie giunse come una promessa. Saremmo presto partiti, e per una sola ragione, ovvero affrontare ogni pericolo a testa alta, ma soprattutto e immancabilmente insieme.