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Autore: Rose Wilson    07/10/2016    2 recensioni
Ormai da tempo, la City ha conquistato l'America, distruggendo le insulse città e metropoli e devastando la vegetazione. Il motivo? Il Progresso, ovvio.
L'America è adesso priva di regioni o stati; ricoperta totalmente di cemento, è diventata un'unica enorme città, la City, che ora si appresta a invadere il resto del mondo e a portare il Progresso ovunque.
Col tempo però, un gruppo di ribelli terroristi ha fondato la Lega Anti-Progresso, votata a ostacolare i nobili progetti del Sindaco, la massima autorità della City.
Non si conosce l'identità del capo della Lega, ma senz'altro si conosce il suo agente migliore: l'esperimento 929, una ragazza con un passato ancor più oscuro del mantello che indossa…
Ora, è nelle mani della City. Ma nessuno, neppure lei, sa che le cose stanno per cambiare per sempre.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Slade, Terra, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CITY







CAPITOLO 6

RIVELAZIONI...


 
Una bambina, che non doveva avere più di dieci anni, avvolta in una divisa color neve che le stava decisamente troppo grande, stava seduta da sola sul pavimento in acciaio, china e concentratissima su un foglio di carta, reliquia quantomai rara di quei tempi. La matita, tenuta stretta in mano, scorreva rapida su di esso, tracciando linee decise per far prendere vita a chissà quale disegno.

«Scusa» a quella parola la piccola alzò il capo, incrociando lo sguardo di un ragazzino dai capelli neri come il carbone e gli occhi azzurri come il ghiaccio. «Posso sedermi accanto a te?»

Lei sbattè le palpebre, sorpresa non poco da quella richiesta, ma annuì col capo. Seduti l'uno accanto all'altra, il bambino allungò il collo verso il disegno. «Che cos'è?» domandò, leggermente accigliato. Non aveva mai visto nulla del genere.

Lei inarcò un sopracciglio, arte non comune a tutti e che stupì molto il ragazzino. «Come cos'è? E' un fiore» rispose, come se fosse un'ovvietà, indicandogli lo schizzo incredibilmente dettagliato per una della sua età.

«Un fiore? E che cos'è un fiore?» chiese ancora lui, confuso. Lei socchiuse le labbra in un'espressione di muto stupore.
«Non ne hai mai visto uno?»

Il bambino annuì, al che sul viso di lei si dipinse un'espressione dispiaciuta.

«E' un po' difficile da spiegare» iniziò, tirando fuori la lingua tra i denti come se fosse molto concentrata su qualcosa.

«Questo è lo stelo, vedi?» disse, indicandogli una parte del disegno. «E' come un filo di metallo, capisci, solo che è vivo e cresce nella terra»

«Come fa ad essere vivo se è come un filo di metallo? E che intendi con cresce nella terra? Vuoi dire che spunta dal pavimento?»

«Te l'ho detto che era difficile» lo rimbeccò lei. «Dunque, è lungo e sottile come un filo di metallo, però è verde, e dentro c'è una cosa che si chiama clorofilla» si morse di nuovo la lingua, in cerca del termine adatto. «E' come il carburante per gli androidi, capisci, o come il sangue per noi umani»

«Oh» commentò lui, sempre più affascinato. «Ma come riesce a spuntare dal pavimento?»

«Non spunta dal pavimento, i fiori spuntano dalla terra»

«Cos'è la terra?» domandò lui, cambiando posizione e mettendosi a gambe incrociate. Ora sul viso della bambina era evidente che fosse sbalordita.

«Non hai mai visto la terra?»

«No»

«Oh, allora questa è ancora più difficile» borbottò la piccola, aggrottando le sopracciglia.

«Bè, dunque, la terra sta in basso, come il pavimento» disse, tamburellando un dito sul freddo acciaio sotto di loro. «Solo che è marrone, e può essere calda se c'è il sole e fredda se c'è la neve. Ed è bello giocarci, solo che ti puoi sporcare facilmente. E dentro ci sono delle piccole cose che si chiamano semi, da cui nascono i fiori»

«Wow» fu l'unica cosa che riuscì a dire lui, cercando di immaginarsi una cosa così strana. «E questo invece cos'è?» chiese, indicando il disegno. Lei sorrise, e il ragazzino non potè fare a meno di notare quanto fosse bella.

«Quella è la cosa più bella dei fiori. Sopra lo stelo c'è una cosa chiamata bocciolo. E' come un pallino giallo, perché è pieno di polline, sai, e tutt'intorno ci sono i petali. Sono come dei pezzi di carta, e possono essere di tutti i colori! Una volta ne ho addirittura visto uno blu»

«Come fai a sapere tutte queste cose?»

Lo sguardo della bimba si fece di colpo distante. «Prima vivevo con la mia mamma in un posto... diverso da questo. Avevamo una casetta, molto piccola, e non molto lontano c'era un grande castello. Sembrava quello delle fiabe. E c'era un prato dove potevo andare tutte le volte che volevo, e c'erano tantissimi fiori» mormorò malinconica.

«Era bello, e c'erano anche tante persone che andavano in giro con dei mantelli bianchi e dicevano cose buffe. Erano tutti molto buoni con me» I suoi occhi color mare luccicarono.

«Poi però sono arrivati degli uomini strani, tutti vestiti di nero. Con loro c'erano anche degli androidi»

Una lacrima solitaria le rigò la guancia, mentre il suo sguardo era perso nel vuoto. «La mamma mi ha detto di fare la brava e di fare quello che mi dicevano di fare, mentre lei doveva andare in un posto»

Cercò di sorridere, ma il risultato fu più simile a una smorfia di tristezza. «Mi ha promesso che sarebbe tornata presto a prendermi. La sto aspettando, sai»

Il ragazzino non era sicuro di aver capito bene tutto, però era certo di una cosa: non gli piaceva vederla piangere. Sebbene con un po' di titubanza, allungò una mano verso il volto di lei e le asciugò la lacrima, sotto il suo sguardo stupito.

«Sono sicuro che tornerà presto» le disse, nonostante non ne fosse per niente certo. Però alla bambina bastò, e gli donò il più piccolo e sincero dei sorrisi.

«E io sono sicura che un giorno anche tu vedrai i fiori» gli sussurrò in risposta.

Sorrisero entrambi, poi lui le porse la mano aperta.

«Io mi chiamo Dick»

Lei gliela strinse.

«Io sono Rachel»

 
~~~
 
Il ragazzo digrignò i denti, mentre le sue dita, in un moto di rabbia, si richiudevano di scatto sull'elsa della spada. Non era successo davvero, non poteva essere davvero successo. E invece era accaduto l'inimmaginabile.

L'esperimento 929 era fuggito, e con lei pure la sciocca ragazzina curiosa. Come aveva potuto lasciarsela scappare in quel modo?

In realtà era ben conscio della verità, nonostante il suo orgoglio gli vietasse categoricamente di ammetterlo, anche solo a sé stesso. L'esperimento era sempre stato in grado di fuggire, li aveva solo usati sperando di ottenere chissà quali informazioni, facendo buon viso a cattivo gioco e sopportando le torture che le avevano inflitto, loro che avevano davvero creduto, stupidamente, di riuscire a piegarla.

Scosse la testa. Il Sindaco ovviamente era stato subito informato a riguardo, e non ne era stato affatto felice. Le ferite ancora fresche e sporche di sangue sulla sua schiena ne erano la prova.

Fremeva, inoltre, ancora di rabbia per via della sua collega. Dopo la fuga dei due soggetti, la donna era caduta in un coma temporaneo, probabilmente per via dei poteri dell'esperimento 929. A quanto pare possedeva, oltre alla cpacità di controllare le tenebre a proprio piacimento, anche dei poteri psichici, che da quel che aveva capito non erano per niente da sottovalutare.

A ben pensarci, Dick si era chiesto più volte come mai, vista l'occasione, l'esperimento non avesse più semplicemente ucciso Lady Rose. Ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare risposta.

Comunque, un paio d'ore prima, era stato costretto a recarsi nella Zona Medica per controllare la salute della collega, e sopratutto per ascoltare la sua versione dei fatti. Era rimasto indifferente tutto il tempo, mentre quella, seduta su una sedia dopo aver espressamente rifiutato di coricarsi nonostante le proteste dei dottori, raccontava di malavoglia la fuga dell'esperimento; ma non era riuscito a contenersi quando gli aveva comunicato le esatte parole che le aveva riferito il "demone" prima di svanire nelle tenebre.

Era semplicemente esploso. Con uno scatto ferino l'aveva afferrata per le spalle e l'aveva scaraventata a terra, cogliendola di sorpresa.

«Taci!» le aveva intimato, sotto il suo sguardo sgomento. «Ciò che dici è impossibile! Rachel Roth è morta! MORTA!» aveva gridato ancora, con tanta veemenza che l'albina era ammutolita, quasi terrorizzata non avendolo mai visto tanto infuriato.

Rachel era morta. Da anni. Causa un incidente durante il lavoro. Rose doveva aver per forza sentito male, non c'erano altre spiegazioni.

Mentre ripensava all'accaduto i ricordi lo assalirono di colpo. Rachel... nonostante fossero passati più di quattro anni la sua morte rimaneva una ferita mai guarita del tutto, dolorosa e sanguinante. Quanto aveva sofferto... ma perlomeno questo lo aveva spinto a diventare un mercenario per il Sindaco. Il dolore era diventato in breve la sua forza, e aveva finito per dimenticare Rachel.

E adesso, ecco che i fantasmi del passato tornavano a perseguitarlo. Dick scosse la testa, cercando inutilmente di allontanare quei pensieri dalla sua testa.

Rachel era morta. E niente e nessuno avrebbe mai potuto riportarla in vita.

Nemmeno l'esperimento 929.

 
~~~
 
Ma che diavolo... pensò, mentre riprendeva lentamente conoscenza. La testa gli pulsava come se il suo cuore avesse improvvisamente deciso di trasferircisi e le tempie gli dolevano tremendamente. Gli era difficile muoversi, anche solo sollevare le palpebre pareva un'impresa titanica.

Prese un respiro - ignorando il costato dolorante - e socchiuse gli occhi. La prima cosa che vide fu un'accecante luce bianca, che lo costrinse a serrare nuovamente le palpebre.

Oh, fantastico. Sono morto.

Però il fatto era che lui si sentiva maledettamente vivo. Il dolore che provava ovunque ne era la prova, assieme al fatto che respirasse.

Sbuffò. Non gli piaceva la sensazione di impotenza che stava provando in quel momento, perciò si costrinse a mettersi seduto, ignorando le fitte e i puntini neri e rossi che avevano preso a danzargli davanti agli occhi, che aveva aperto lentamente onde evitare di rimanere nuovamente abbagliato. Appena la vista si adattò alla luce intensa, e la testa smise di girargli quanto bastasse a farlo rimanere lucido, Luke si guardo intorno.

Si trovava in una cabina non molto grande, dalle pareti in lucido ottone rischiarate da un paio di lampade ad olio appese al soffitto - il ragazzo seppe riconoscerle per via dell'educazione ricevuta da bambino su quanto fossero primitive alcune tecnologie ancora utilizzate nei paesi "non civilizzati", che altro non erano che tutto il resto del mondo.

Vi erano due brande bianche semplici, una piccola libreria - quasi non credette ai suoi occhi: libri, libri veri! Ma dove dannazione era finito? - e un armadio alto e stretto, di un materiale bruno e caldo, tutto il contrario del freddo metallo cui era abituato (possibile fosse... legno?).

Prese un respito profondo e cercò di ricordare cos'era successo nelle ultime ore. Aveva visto Tara nei guai... non che fosse poi una grande novità che la sua migliore nonché unica amica si mettese un giorno sì e l'altro pure nei casini da sola... aveva assistito impotente mentre quei bastardi le bucavano le vene per iniettarle chissà cosa... poi si era fatto tutto nero, era scattato in avanti verso la bionda...

E qualcosa doveva averlo colpito sul cranio.

Strinse i denti e si alzò, barcollando leggermente per via di un giramento, e raggiunse la porta in fondo alla stanza, dipinta di un blu profondo. Ci mise circa tre secondi a realizzare per aprirla avrebbe dovuto tirarla. Nella City tutte le porte erano automatizzate, quindi, a rigor di logica, non si trovava più nell'Area Sperimentale. Né in nessun'altra Area.

Seppur tradendo una certa titubanza, il ragazzo allungò una mano verso la maniglia e la abbassò, producendo un click che gli sembrò rumoroso quanto un tuono nel silenzio che opprimeva la cabina, quindi la porta si aprì, rivalendo un breve corridoio bianco e spoglio, eccezion fatta per le lampade ad olio appese al soffitto e un paio di porte - probabilmente altre cabine - che si affacciavano ad esso.

In fondo, vi era una porta leggermente più grande delle altre, dipinta di un rosso cupo. Una volta raggiunta Luke si bloccò, indeciso se proseguire. Udiva delle voci provenire dall'interno, quindi non era solo.

Sbuffò nuovamente. Di certo non avrebbe ottenuto risposte se fosse rimasto lì impalato come un idiota.

Aprì la porta.

Si trattava di una sala spaziosa, che ricordava molto una sala comandi, di quelle che lui aveva spesso visto nelle olografie di aereonavi. Le pareti e il pavimento erano grigio ardesia, mentre l'alto soffitto era bianco; in fondo vi erano delle console di metallo, e sparse un po' ovunque vi erano numerose poltrone in pelle nera. Poco distanti da esse vi erano tre figure voltate di spalle, ma Luke non vi diede peso, troppo occupato a spalancare gli occhi sgomento.

Dietro le console, infatti, vi era un'enorme vetrata che occupava tutta la parete di fondo, e lo scenario che gli si presentava lo lasciò interdetto.

Si trovava sott'acqua.



«Oh, merda»

La colorita imprecazione di Luke richiamò immediatamente l'attenzione delle tre figure, che si voltarono di scatto verso di lui.

«Ah, sei sveglio. Pensavamo fossi morto» commentò sprezzante una voce che il ragazzo riconobbe saduta stante. Dal tono con cui lo disse, però, era chiaro che intendesse: "Speravamo fossi morto".

«A-Amalia?» domandò con voce rauca lui, sbigottito. Era diversa, ora. Certo, i lunghi capelli neri le ricadevano come al solito sulla schiena, e i suoi occhi mantenevano come al solito quella scintilla ribelle e arrogante che tanto la distingueva. Ma al posto della divisa indossava adesso un top, una gonna e degli stivali, tutto del medesimo colore nero, mentre braccia, gambe, addome e fianchi erano coperti da numerose placche metalliche. Tra le braccia teneva stretto un fucile, e nonostante fosse stravaccata sulla poltrona sembrava pronta ad usarlo al minimo segnale di pericolo.

O di noia, pensò Luke, rabbrividendo.

Quella roteò gli occhi. «Wow, ci sei arrivato senza aiuto. Vuoi anche un premio per caso?»

In piedi davanti alla console, invece, vi era un essere talmente mostruoso che il ragazzo faticò non poco a trattenersi dal lanciare un urlo non esattamente virile. Era alto e imponente, con i muscoli possenti che sembravano entrare a malapena nell'uniforme nera attillata. Le braccia erano ricoperte di pelliccia scura, mentre la testa era lunga e schiacciata ai lati, dalle sembianze quasi caprine, con due corna enormi che gli spuntavano sul cranio. Sul dorso del collo vi era un'ispida criniera nera e la pelle grigia pareva quasi cuoio.

Nell'incrociare il suo sguardo incredulo la creatura sbuffò, emettendo dalle narici due volute di vapore.

«Sento odore di cittadino» ringhiò, storcendo il muso. «Odore schifo»

La terza e ultima figura, in piedi poco distante dai due, alzò gli occhi al cielo per quell'osservazione. Si trattava di una ragazza, probabilmente della sua età, avvolta in un mantello color delle tenebre più oscure. Il cappuccio era alzato, nascondendo il viso e lasciando intravedere solo il suo sguardo freddo e vigile. Le iridi erano di un color ametista che Luke non aveva mai visto prima. Non erano come quelle di Amalia, decisamente più chiare e con l'aria di chi è sempre pronto a schernire, no, le sue erano di un viola profondo e impenetrabile, che sembrava scrutargli l'anima.

Sulla sua spalla destra stava posato uno strano essere, non più alto di due palmi e di colore grigiastro; stava con le braccia alate avvolte attorno al corpicino, e aveva due grandi orecchie sopra la testa. Due occhi azzurri lo fissavano, posti su un muso che terminava in una bocca irta di denti. Il ragazzo lo indicò tremante.

«Quello. E' un pipistrello» stabilì, ringraziando il fatto che la sua voce non fosse così tremante come se l'era immaginata.

Il pipistrello si indispettì.

«A chi ha dato del pipistrello, l'umano?» chiese con voce metallica, facendo prendere un colpo al poveretto.

«Ah, non prendertela Ares. E' solo un po' rimbecillito per via dei poteri di Rae» Amalia inarcò un sopracciglio. «Certo, non che prima stesse poi tanto meglio...»

«Komand'r, per favore» sospirò la ragazza incappucciata. «E' ovvio che sia spaesato, ti ricordo che è un cittadino»

Si rivolse a lui. «Sono spiacente per via di questo... inconveniente» Si accigliò appena. «Non eri tu il nostro obiettivo»

A Luke girava la testa. Chi diavolo erano quei tre? Cosa volevano da lui?

«Chi siete? O meglio cosa siete?» chiese, anche se un dubbio atroce si era già insinuato nei suoi pensieri.

La ragazza rimase impassibile mentre gli indicava i due alle sue spalle.

«Loro sono l'agente Wildebeest e l'agente Komand'r» fece un cenno col capo verso il coso sulla sua spalla. «Lui è Ares»

Infine ritirò le braccia all'interno del mantello e, con la medesima voce priva di emozioni, terminò:

«E io sono Rachel. Siamo agenti della Lega Anti-Progresso»















Tre parole.
Amo. I. Pipistrelli.

... Okay?

Comunque, ecco a voi il capitolo 6. Approfitto per dirvi, inoltre, che è da qui che iniziaranno ad esserci un paio di problemini della pubblicazione. Il fatto è che, pensate un po', questo capitolo l'ho finito di scrivere neanche tre giorni fa. E il capitolo 7 è ancora bianco. Per non parlare della scuola che sembra essersi messa in testa l'idea brillante di dimezzarmi il tempo libero per scrivere. Grazie mille, prof di inglese! Avevo proprio bisogno di un test la prossima settimana!
E dunque nulla, il prossimo capitolo potrebbe tardare leggermente. Chiedo venia, ma vi prometto che farò il possibile per essere costante, giuro.

E infine, le solite cose. Che ne pensate del capitolo? Spero vi sia piaciuto, anche perché scriverlo è stata un'agonia. Credo anche che questa sia la prima volta che compare Wildebeest (e non ditemi nulla, vi prego: si scrive davvero in questo modo, non me lo sto inventando) come personaggio vero e proprio e non come semplice comparsa su questo fandom. Poi correggetemi se sbaglio, ma credo sia così.

Ringrazio come al solito tutti coloro che recensiscono e ci vediamo alla prossima!

Rose

P.s. Il fatto che tutti definiscano Tara "una ragazzina" non è in realtà dovuto alla sua età effettiva, dato che Robin ha praticamente gli stessi suoi anni, appena appena più grande, ma è dovuto al fatto che Terra, non essendo sviluppata ed essendo pure parecchio esile, dimostra assai meno di quanto in realtà abbia.
(questo l'ho scritto perché, visto che la mia età si avvicina abbastanza alla sua, non ci tenevo a darmi da sola della bambina, ecco tutto)





 
   
 
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