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Autore: Alyss Liebert    09/10/2016    8 recensioni
Ho fatto a botte con il cassiere di quel fast food che stava flirtando con te, mi sono tinto i capelli di quel colore per te, non ho più quei tic nervosi che tu odiavi tanto, ti ho prestato i miei vestiti quando i tuoi dovevano essere ancora lavati per colpa mia, ho cercato di imparare qualcosa riguardo alla lingua dei Kuruta e alle vostre usanze, stiamo insieme nonostante i nostri segni zodiacali siano poco compatibili, e per te rinuncerei pure alle deliziose lasagne al ragù di mia nonna! Cos'altro devo fare o dire per dimostrarti che ti amo!? Con te la parola 'noia' perde il suo significato. Cavoli, Kurapika, hai proprio sconvolto la mia vita!
{Leopika; raccolta di one-shot ispirate a prompt/headcanon}
[Storia momentaneamente sospesa]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Gon Freecss, Killua Zaoldyeck, Kurapika, Leorio
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer
I personaggi e le ambientazioni non mi appartengono, ma sono proprietà di Yoshihiro Togashi; al contrario, il racconto che state per leggere è una mia creazione.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
 
 
≈*≈
 
 
 
A volte, è meglio non prendere troppo in considerazione ciò che dice una persona, specialmente se con quest’ultima non ci si frequenta da anni; al contrario, non prestare ascolto al proprio partner e sottovalutarlo può portare a spiacevoli conseguenze sull’autostima personale, soprattutto se egli è permaloso e competitivo come chi gli sta accanto.
 
 
 

Talento incompreso
(prompt 1)

 
 
 

Il risotto allo zafferano era pronto da venti minuti.
Kurapika aveva riempito con cautela il suo piatto e quello di Leorio, poggiandoli poi sul piccolo tavolo della cucina ed aspettando che il suo compagno arrivasse per cominciare a mangiare.
Leorio non aveva ancora messo piede lì dentro, e si limitava a replicare un quasi impercettibile “Arrivo” ogni volta che Kurapika lo chiamava infastidito.
«Se non ti presenti qui entro dieci secondi, getto via la tua porzione».
Gli giunse all’orecchio il brusio di una sedia e di un libro che si chiudeva, seguito da un rumore di passi lesti. Il Kuruta sapeva quanto il suo amante adorasse il riso cucinato in quel modo; perciò, dargli l’ultimatum era, alla fine, la soluzione più saggia.
Leorio si precipitò a fianco al biondo, sedendosi al tavolo e sfoggiando un’espressione trionfante. Indossava ancora il pigiama.
«La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar», recitò con fierezza, portandosi poi alla bocca una forchettata.
Kurapika gli lanciò un’occhiata stranita prima di sospirare.
«Carducci», specificò il moro.
«E poi? Continua la poesia».
«La sto ancora studiando!», esclamò con un certo stupore.
«La sanno tutti a memoria».
«Allora ripetila tu, sapientone».
«Sto mangiando, non vedi?», tagliò corto il più giovane con una punta di irritazione.
«È solo una scusa. In realtà, non sai neanche la prima strofa», dedusse l’altro.
«Oggi pomeriggio devo passare in libreria: è arrivato il romanzo che ho ordinato», cambiò discorso Kurapika, «Mi accompagni?»
«E io che c’entro?»
«È per farti uscire. Ti vedo pallido… e sei sempre chino su quei libri».
«Questa, invece, la so a memoria! È di Montale», annunciò Leorio completamente noncurante, «Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto; ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi…»
Si fermò, tornando ad osservare un Kurapika alquanto contrariato.
«Schiocchi di merli, frusci di serpi», ripeté, «Amo la buffa cadenza di questo pezzo. In questo verso ci sono molte figure retoriche!»
«A-ha», emise il Kuruta con falso interesse.
«Allitterazioni, l’assonanza fra “merli” e “serpi”…». Ragionò un attimo. «… mononatopee…»
«Onomatopee», lo corresse il compagno.
«Sì, quelle».
D’un tratto, la sua espressione cambiò; un’aria inquieta e nervosa pervase il suo volto. Corrugò la fronte e piantò gli occhi sull'amante.
«Non ricordo come continua!», proruppe stizzito, «Giuro che la sapevo!»
«Calmati», lo sollecitò Kurapika, «Adesso finisci di mangiare, poi vai a ripassarla».
«Non posso, mi fa rabbia!»
Picchiettò per qualche secondo il tavolo con le dita, pensando evidentemente a cosa fosse meglio fare, e poi si alzò di scatto, strisciando la sedia sul pavimento e facendo sobbalzare il biondo.
«Torno subito, ok? Non ti preoccupare se il riso si raffredda: lo mangio lo stesso».
Prima che Kurapika avesse potuto aprire bocca, Leorio era già tornato in camera a sfogliare il suo libro di poesie mentre continuava a ripetere ad alta voce quel verso.
 
 
 
 
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«Ancora con questa storia!?», sbottò Killua dall’altra parte della linea.
«Purtroppo sì…», ribadì Kurapika con un sospiro, «… e non ce la faccio più a sopportare tutto ciò».
«Ma se ha scoperto questa passione, perché non lo lasci dedicare a quelle cose?», domandò Gon con la sua solita voce squillante, la quale giunse con una certa intensità all’orecchio del Kuruta.
«Il problema è che lo stanno distraendo dallo studio e da altre attività. Talvolta non riesce a pensare ad altro», fu la spiegazione.
«Quindi sta esagerando!», esclamò, «È come Killua! Lui, per esempio, ha sempre voglia di cioccolato; ogni giorno ruba e sgranocchia le barrette che compra zia Mito».
«Non puoi paragonare la fissazione di Leorio alla mia!», inveì l’interessato, togliendogli probabilmente il telefono dalle mani, «Quest’abitudine non rovina i miei progetti della giornata!»
«Mmh…», emise il moro perplesso. Si rivolse, poi, di nuovo a Kurapika. «Da quanto tempo avete questo… problema?»
«Quasi un mese».
«Non ci hai mai detto, però, come Leorio si è montato la testa», fece notare lo Zaoldyeck.
«… Una sera, mentre stava tornando a casa dalla facoltà, è incappato in un suo compagno delle elementari che si trovava nella nostra città per un viaggio di piacere».
«Delle elementari?», ripeté Gon.
«Sì. Avevano, ovviamente, molto da raccontarsi; così, Leorio l’ha invitato a cena a casa nostra».
«Aspetta, ma gli ha detto che voi due…?», cominciò a chiedere Killua.
«Ha preferito di no. Mi ha presentato come “il collega secchione che si è offerto di aiutarlo con lo studio fino a tarda sera”», rivelò il Kuruta con un tono che trasudava sarcasmo.
Dopo aver sentito dall’altra parte uno sbuffo divertito, proseguì.
«Prima di cenare, abbiamo seguito in TV un quiz televisivo. Il presentatore ha posto quesiti su vari poeti, e Leorio li ha azzeccati tutti; il suo amico gli ha ricordato, a proposito di ciò, che lui alle elementari aveva voti alti in italiano e scriveva belle poesie».
«… Tutto qui?», domandò l’albino.
«Sì».
«Solo perché il suo vecchio compagno…?»
«Già».
«… Chiama uno psicologo».
«Penso di farlo a breve, se le cose non si sistemano. Intanto, pregate affinché la mia pazienza non si esaurisca».
 
 
 
 
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«Kurapika!», lo chiamò a gran voce Leorio, precipitandosi in cucina e sorprendendo il compagno a bere una tazza di tè, «Senti qua».
Aprì un foglio di carta, inizialmente piegato in due, e lesse: «“A volte faccio finta di essere normale, ma diventa noioso; così, torno ad essere me stesso”».
Ci furono diversi secondi di silenzio, durante i quali i due si scambiarono una serie di sguardi; fiero e pieno di gioia da parte di Leorio, tanto attonito quanto scocciato da parte di Kurapika.
«È una bella frase a effetto, non ti pare?», si decise a parlare il moro, «L’ho trovata su un sito di aforismi e citazioni».
«Ora preferisci questo tipo di composizioni?», chiese il più giovane con un’aria che lasciava trapelare tutto fuorché interesse e partecipazione. Si preoccupò, invece, di tirare il cucchiaino fuori dalla tazza colma dell’infuso, dopo averlo girato almeno venti volte per essere certo che si sciogliesse tutto lo zucchero.
«Più sono brevi, meglio le memorizzo», fu la risposta, «Trovo che questa frase sia stata scritta apposta per me!»
Il biondo gli lanciò un’occhiata sbilenca.
«Tu non provi neanche ad essere normale», asserì.
«Ho deciso: appendo questo foglio nella nostra camera», annunciò subito l’altro.
«Sulla stessa parete dove hai già appeso alcune poesie di Leopardi, Pascoli, Neruda, Shakespeare, Wilde, Baudelaire e Bukowski, assieme alle loro fotografie accanto?»
«Esatto. Cercherò di fare spazio…»
«… nella tua parte di stanza. Gradirei che la mia restasse immacolata».
«Nel caso, lo conservo in un cassetto del mio comodino… o lo metto sotto il letto».
«Leorio…»
«Vado a vedere cosa posso fare».
E si dileguò, lasciando il Kuruta con il viso fra le mani.
 
 
 
 
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Abitare al quarto piano di un edificio – per giunta senza ascensore – non agevolava molte cose; portare la spesa nell’abitazione era una di quelle.
Kurapika era andato al supermercato da solo, poiché Leorio doveva dare per la prima volta sfogo al suo estro poetico, e aveva bisogno di solitudine e concentrazione. Tuttavia, aveva elencato all’amante una serie di oggetti da comprargli, compresa una risma e, se possibile, una penna stilografica.
Il biondo varcò stremato la soglia del salotto con tre sacchetti di plastica straripanti, che posò subito sul pavimento in maniera tutt’altro che aggraziata.
«Spero non ci siano uova lì dentro», commentò Leorio con un volto alquanto divertito che il Kuruta avrebbe preso volentieri a schiaffi.
Era seduto sul divano con una lattina di birra in mano e un quaderno rigido sulle cosce, aperto nella prima pagina.
«Ci sono due confezioni di acqua al piano terra. Perché non mi aiuti a portarle su?», gli chiese Kurapika con espressione seccata.
«Tranquillo, ci penso io. Fammi finire di scrivere una poesia», lo mise al corrente.
«Se devo aspettare che ti muova, un passante fa prima a rubarle».
«Sciocchezze! Mi manca pochissimo».
Alitò sulle lenti dei suoi occhiali e le strofinò rapidamente sull’orlo della sua canotta blu, prima di rimetterseli.
«O mia musa prediletta…», lesse poi ad alta voce, «… rendi il mio cuore una…»
Si fermò un attimo, corrugando la fronte e serrando le palpebre. All’improvviso, riaprì gli occhi e sorrise compiaciuto.
«… una polpetta», enunciò mentre afferrava la penna per trascrivere la parola.
Per la prima volta, Kurapika ebbe la tentazione di accartocciare quel pezzo di carta di fronte a lui e di dirgli in faccia ciò che pensava sul suo “talento”; ciononostante, le sue ultime briciole di tolleranza gli impedirono ancora una volta di aprire bocca.
 
 
 
 
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La predilezione di Leorio era ormai diventata un’ossessione. Qualsiasi oggetto dell’abitazione, animale, stato d’animo, cosa concreta che aveva l’occasione di contemplare quotidianamente fuori casa – il cielo, il sole, le nuvole, le piante, i viandanti, i mezzi di trasporto, e via dicendo –, diventava protagonista dei suoi componimenti.
L’impulso di scrivere lo assaliva in ogni momento: quando studiava od oziava, mentre si lavava, durante il pasto, dopo il sesso, prima di assopirsi…
Ogni volta che ciò accadeva, doveva prontamente interrompere l’attività a cui si stava dedicando o che era in procinto di fare, finendo spesso per inimicarsi l’amante, il quale metteva molto volentieri il broncio – seppur con scarsi risultati.
Un giorno, mentre il Kuruta stava stendendo alcuni panni in balcone, si vide piombare Leorio accanto con volto turbato.
«… Cosa c’è?»
«Mi secca ammetterlo, ma ho bisogno del tuo aiuto», gli confidò il moro.
«Sono impegnato».
«Non riesco a trovare una parola decente che faccia rima con un’altra», persisté.
«… Dimmi quella che sai già».
«Bordello».
Al biondo non sfuggì per poco una molletta dalla mano destra, assieme ad un asciugamano che teneva nella sinistra.
Piantò gli occhi addosso al partner con espressione sconcertata.
«Bordello?», ripeté.
«Esatto».
A quel punto, Kurapika voltò di nuovo la testa verso i capi che stava stendendo ed emise un sospiro alquanto esasperato.
«Contestualizzami questo…». “Scempio”, si immaginò di dire, ma si trattenne. «… vocabolo».
«Ti leggo la poesia», replicò Leorio, tirando fuori un pezzo di carta da una tasca posteriore dei suoi pantaloni, «“Da quando ti ho visto, i miei pensieri sono un misto…”»
Il più giovane storse il naso involontariamente.
«Un misto di cosa?», chiese poi.
«Un misto», reiterò l’altro, «È la parola che fa rima con “visto”».
«… Ah», riuscì a proferire sempre più sconcertato.
Il compagno proseguì.
«“Il mio cervello è un bordello, curami con…”?»
Osservò Kurapika con un filo di angoscia, sperando di ottenere la parola perfetta che tanto agognava.
«Un manganello», gli giunse dopo un po’ alle orecchie.
«… Un manganello?», ripeté abbastanza stupito da quella scelta.
«Sì», fu la risposta.
«Cosa c’entra un manganello con la cura?»
«Credimi, ti servirebbe».
«Un colpo di manganello!?»
«Esatto».
Lo sbigottimento del moro si tramutò immediatamente in indignazione.
«Si può sapere che ti prende? Non posso chiederti aiuto?»
«Io vorrei sapere cosa succede a te», puntualizzò il Kuruta, sbattendo una mano sulla ringhiera, «Non ti riconosco».
«Cosa intendi?»
«Ti rendi conto che ormai non riesci più a staccarti da questa tua fissazione? È diventato il tuo chiodo fisso; non riesci a pensare ad altro, nemmeno allo studio».
«Non mi pare di essere l’unico ad avere certe “fissazioni”», azzardò il più grande.
«… Leorio, vuoi litigare?»
«Lo stiamo già facendo».
«Non paragonare la mia questione alla tua: sono cose molto diverse».
«È vero. Innanzitutto, la mia è una passione, uno svago».
«È una perdita di tempo», avanzò Kurapika, «Non fa altro che distoglierti dai tuoi impegni».
«Beh, magari ho appena scoperto la mia vera vocazione e non posso più farne a meno».
«Leorio…», lo chiamò con tono austero, scrutandolo in faccia, «… non sei bravo né a scrivere, né a recitare».
Silenzio. L’interessato non ribatté, troppo sgomento per poterlo fare; era come se l’avessero appena informato della morte di un suo parente.
«Hai tante qualità; non mi basterebbe un’ora per elencarle tutte», riprese il biondo, «Tuttavia, riconosco che non sei abile in molte altre cose, la scrittura compresa. Le tue poesie, le tue cosiddette “frasi a effetto”… non hanno un minimo di senso, e la loro musicalità è sgradevole al mio udito».
Tornò ad osservare la maglietta umida che stava appendendo.
«In altre parole, non mi piacciono e ne ho abbastanza di sentirle».
Per un attimo, provò un certo disagio e senso di colpa per la severità e schiettezza con la quale aveva sciorinato all’amante ciò che pensava; per di più, Leorio non aveva ancora replicato a nessuna considerazione.
Comunque, il rimorso svanì molto presto.
«Mi dispiace, ma è la verità», concluse con atteggiamento insofferente.
«No, è solo una tua opinione», si espresse finalmente l’altro, «Nessun altro mi ha mai fatto delle critiche».
«Se ti riferisci ai tuoi colleghi, hanno sicuramente mentito per farti felice».
«Non ne sarebbero capaci».
Kurapika gli lanciò uno sguardo carico di stizza.
«Credi a loro e non a me?», chiese, «Pensi voglia metterti contro i tuoi amici? Preferisci il parere di persone che ti conoscono meno di me?»
«Piantala di essere così geloso…», ribatté Leorio sbuffando.
«… Geloso?»
«Non del mio rapporto con gli altri, ma di ciò che loro pensano di me», precisò all’amante sconcertato, rigirando la questione, «Tu non hai questa passione; non ti ci dedichi, né sei portato. Solo perché sto tentando di essere eccellente almeno in una cosa in cui tu non lo sei, fai l’antipatico».
«Quella non è una passione, ma una mania», lo corresse il Kuruta, «È un'ossessione temporanea, come la mia vecchia abitudine di collezionare scontrini e usarli come segnalibri. Ti passerà presto, vedrai… ed io lo spero».
Entrambi tornarono ad essere muti. Kurapika ne approfittò per finire di stendere gli ultimi panni, cercando di non incontrare lo sguardo probabilmente offeso del compagno.
«Io so perché sei contrariato», dichiarò ad un tratto il moro.
L’altro stette fermo, con la cesta in mano, dandogli le spalle e attendendo che proseguisse.
«Non ti ho ancora dedicato qualcosa!», esclamò aprendo le braccia.
La cesta appena menzionata rischiò di fare una brutta fine, poiché a chi la stava reggendo era scivolato un manico. Il biondo tornò per l’ennesima volta ad osservare il ragazzo che amava con tutto se stesso – ma che mancava totalmente di perspicacia – con espressione allibita.
«Non ci provare», asserì.
«Lo faccio eccome! Devo decidere se scriverti una poesia, un aforisma, il testo di una serenata… o semplicemente una dedica che ti faccia perdere ulteriormente la testa per me».
«… Mi basta sopportarti tutti i giorni», controbatté.
«Ti stupirò, stanne certo. Ti dovrai per forza ricredere», insisté il più grande ormai vicino alla porta-finestra, pronto per sgattaiolare di nuovo in camera.
«Leorio, ti lascio», fu la minaccia.
«Quando meno te lo aspetti, avrai una sorpresa», concluse lasciando il balcone e Kurapika a bocca aperta.
 
 
 
 
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Passarono due settimane, e non successe nulla di particolare: Leorio proseguì con le sue composizioni e Kurapika continuò a tollerarlo, evitarlo, detestarlo – dipendeva dai giorni.
Il lunedì mattina seguente, il moro mandò un messaggio al suo compagno.
“Torno dalla facoltà di pomeriggio, dopo pranzo. Ti amo tanto”, gli scrisse.
Ciò non sconvolse i progetti al Kuruta; mandatogli un veloce “Va bene. Ti amo anch’io”, finì di vestirsi – poiché era rimasto sdraiato sul letto in boxer a leggere fino a quell’istante –, prese il suo portafoglio e uscì di casa, diretto al fast food più vicino. Quando aveva la possibilità di non scervellarsi per preparare qualcosa, ne approfittava sempre.
Una volta tornato a casa, si sdraiò sul divano del salotto e riprese la lettura.
Verso le quattro, Kurapika sentì il flebile tintinnio di un mazzo di chiavi, ed una di queste incassarsi nella serratura della porta d’ingresso. Leorio era tornato, ma i due non si salutarono: il più giovane era troppo concentrato su una determinata scena di un capitolo, e l’altro non voleva probabilmente farsi sentire, dato il suo quasi impercettibile passo.
Ad un tratto, il biondo si risvegliò da quello stato di torpore.
«Bentornato», mormorò all’amante.
Non udendo una replica, pensò di voltare la testa verso l’entrata. Nel momento in cui provò a farlo, venne investito da una manciata di petali di rose rosse, i quali si depositarono fra le pagine aperte del suo libro e sui suoi capelli; uno finì nella sua bocca, e lo sputò immediatamente.
Gli tornò alla memoria un'occasione in cui aveva partecipato ad una festa di Carnevale; tutti i bambini mascherati solevano lanciargli addosso coriandoli e stelle filanti mentre era impegnato a leggere volantini o a parlare per telefono. Non si era mai irritato più di quella circostanza.
Non fece in tempo a liberarsi di tutti quei petali che comparì alla sua destra Leorio, attraversando con lentezza e decoro il centro della sala. Era vestito in maniera succinta, con pantaloni neri di velluto attillati, una camicia di seta color porpora e una quantità spropositata di gel nei capelli.
Quella mattina non era uscito dall’appartamento conciato in quel modo; doveva essersi cambiato in facoltà o aveva fatto alcune spese.
Giunto dall’altra parte della stanza, di fronte al muro, si girò verso Kurapika, mostrandogli la camicia totalmente sbottonata e una rosa tenuta fra i denti dal gambo.
«Ehi, bellezza…», esordì il moro ad un Kuruta a dir poco stralunato, dopo aver sputato a terra la rosa, «… credi nell’amore a prima vista o devo passare di nuovo?»
Rimasero per un po’ a scrutarsi; chi attendeva una reazione o una risposta dall’altro, chi non aveva la benché minima idea di come esprimersi, troppo indeciso se stare al gioco o tirargli in testa ciò che stava leggendo.
La riflessione del biondo non durò a lungo, né optò di fare una delle due cose. Prima che avesse potuto rendersene conto, aveva già affondato il viso fra le pagine del suo libro; cominciò a ridere, all’inizio in maniera sommessa, poi di gusto, ad alta voce, talvolta sghignazzando, faticando a respirare e addirittura affogandosi con la propria saliva.
Leorio osservò sbigottito e un po’ contrariato la faccia arrossata del compagno, che tentava di calmarsi e faceva pressione sul suo stomaco indolenzito con entrambe le braccia.
«Faccio sbellicare così tanto, conciato così?», proferì dopo almeno un minuto.
Il Kuruta tentò di dire qualcosa, ma fu solo in grado di scuotere la testa.
«Puntavo a lasciarti senza parole… ma non in questo senso», continuò arricciando le labbra in un sorriso mesto.
Sentita l’ultima affermazione, Kurapika riuscì a domare la sua sonora risata; calmatosi quasi del tutto, fece due grossi respiri prima di ribattere.
«Mi piace come sei vestito», disse, «Il problema è la tua frase». Gli sfuggì un altro risolino, poi dichiarò: «Scusami, ma è troppo stupida».
Il disappunto di Leorio si tramutò in irritazione.
«Ah, sì? È così? Ti sfido, allora», sentenziò con arroganza, «Dinne una migliore, adesso. Non puoi rifletterci più di tanto: dev’essere quasi spontanea e deve colpirmi».
Ogni traccia di riso svanì dalla bocca dell’interessato, rimpiazzato da un atteggiamento risoluto e competitivo. Fissò il partner con aria di sfida; il moro sostenne quell’occhiata provocante e rispose con altrettanta confidenza.
«D’accordo, come vuoi», approvò il più giovane, chiudendo il libro con un colpo secco.
Si approssimò alla finestra, tirando le tende per offuscare il salotto e renderlo un ambiente più intimo. Subito dopo, cominciò ad avvicinarsi lentamente a Leorio con espressione tanto amabile quanto maliziosa.
Quando gli fu ad un passo, lo afferrò per il colletto della sua camicia, spostandolo in direzione dell’ampio divano in pelle; dopodiché, prima che la sua vittima potesse prevederlo e sorreggersi, lo spinse contro di esso, lasciando che impattasse la morbida superficie dei cuscini e ne rimanesse attorniato.
Con un fluido movimento delle gambe, si posizionò a cavalcioni sopra di lui, premendo il bacino contro quello del compagno; la sua mano sinistra si fece largo fra le asole e i bottoni della camicia del moro, percorrendo, dal basso verso l’alto e con estrema lentezza, il suo petto, arrivando a carezzare il suo viso.
Leorio osservò confuso e imbarazzato le movenze del Kuruta, e quest’ultimo avvicinare poi il capo fino a toccargli la fronte con la sua, senza poter – né voler – fare niente per frenare tutto ciò.
«Vorrei essere ogni tua lacrima…», cominciò a sussurrargli Kurapika.
«… per poter nascere sempre nei tuoi occhi…», proseguì passando l’indice sulle sue ciglia.
«… vivere sulle tue guance…», continuò scorrendo il dito su una di esse.
«… e morire sulle tue labbra», concluse sfregandolo su queste ultime.
 
 
 
 
~
 
 
 
 
«Ha smesso di scrivere!?», proruppe Killua.
«Sì, esatto», rispose Kurapika.
«Da quanto tempo!?»
«Poco più di una settimana».
«Com’è successo!?», sbottò Gon, togliendo probabilmente il telefono dalle mani del suo coetaneo.
«Beh…», emise il biondo, pensando a come sintetizzare l’accaduto, «… diciamo che Leorio non mi riteneva portato in ciò in cui era solito dilettarsi; perciò, ha fatto male a sfidarmi».
«Sfidarti?», ripeté il moro.
«A colpi di poesia?», ipotizzò Killua.
«Più o meno. Era in corso una specie di competizione».
«E hai vinto tu».
«A quanto pare».
«Non pensavo che fossi bravo in queste cose!», esclamò Gon.
«Infatti non lo sono», chiarì Kurapika, «In quel momento avevo un libro in mano, aperto in una pagina nella quale un ragazzo stava dedicando una poesia a colei che amava; ho semplicemente ripetuto ciò che le ha detto».
«E Leorio crede tuttora che l’abbia inventata di sana pianta», desunse Killua.
«Sì».
«Ma perché ti ha provocato?», chiese Gon.
«Gli ho fatto capire più volte che, secondo me, non ha talento».
«E si è demoralizzato così!? Che pappamolle…», commentò l’albino.
«Più che altro… si è incaponito ulteriormente per farmi ricredere».
«Però… se uno ha una passione tanto forte, alla fine non dà troppo peso alle critiche degli altri», giudicò il moro.
«E non rompe le scatole a chi preferisce non seguirlo», aggiunse l’amico.
«È proprio per questo che sono giunto alla seguente conclusione: Leorio si era affezionato a quel passatempo perché è una cosa che non mi ha mai visto fare», disse Kurapika.
«Intendi dire che…»
«… il suo obiettivo era dimostrare di essere più bravo di me “almeno in una cosa”, come mi aveva detto lui».
«Quindi ha smesso di scrivere perché crede che tu l’abbia battuto?», domandò Gon.
«Esattamente».
«Ma in realtà hai barato!»
«Lo so. Per quanto mediocre potesse essere, Leorio non era di sicuro peggio di me. A dire la verità, mi ha sempre dato fastidio questo suo comportamento e la sua poca autostima; non si rende conto di quanti lati positivi abbia».
«… Non credi di aver peggiorato le cose, infrangendogli quelle poche speranze?»
«In questo caso, sono contento che abbia smesso. Quella non era una passione, bensì un ennesimo tentativo di prevalere su di me, il che mi dà sempre molto fastidio», asserì il Kuruta con tono più serio.
«Non gliene potevi parlare, anziché risolvere tutto così?», chiese Killua.
«Sono stato sfidato, quindi ho fatto del mio meglio», rispose senza scomporsi.
«Adesso lui come sta? È tornato tutto normale fra voi?», si intromise Gon.
«Più o meno. Dal giorno dell’accaduto non mi rivolge spesso la parola; è sempre gentile con me, ma più riservato, sulle sue. Non so se considerarlo vergognato o deluso di se stesso».
«O indispettito», aggiunse Killua.
«E ora dov’è?», domandò l’altro.
«In camera nostra. Forse sta riposando».
«Se invece è sveglio, penso che dovresti parlargli».
«… Sì, hai ragione. Dai, ci sentiamo in un altro momento… e grazie per avermi ascoltato».
«Figurati».
«A presto», lo salutò l’albino prima di chiudere la chiamata.
Appoggiato il cellulare sul tavolo della sala, Kurapika fece per incamminarsi verso la camera quando udì un rumore molto forte proveniente esattamente da essa, come se qualcuno o qualcosa avesse urtato un mobile, seguito da uno strepito di oggetti che avevano colpito con forza il pavimento.
«Leorio!»
Il biondo si precipitò dove aveva sentito il frastuono, trovando l’amante in piedi in mezzo alla stanza, in equilibrio sul piede sinistro; la sua testa reggeva un libro, la mano destra un portafoto, quella sinistra una scatoletta – fortunatamente chiusa – di caramelle balsamiche, il piede destro un paio di cuffie. Intorno a lui c’erano altre confezioni e libri sparsi per terra.
«… Cos’è successo!?», eruppe il compagno intimorito.
«Kurapika, è incredibile!», esclamò il moro con un ampio sorriso, mentre posava sulla scrivania ciò che stava tenendo, «Avevo appena finito di studiare un capitolo del libro di istologia; alzandomi dalla sedia, ho avuto un capogiro e sono andato a sbattere sulla libreria. Sono cadute molte cose, ma sono riuscito a salvarne alcune in questo modo con mosse velocissime».
Il partner lo scrutò con espressione confusa, non comprendendo il motivo di tanta euforia ed attendendo qualche informazione in più.
«Ti rendi conto che ho afferrato tutti questi oggetti anche con la testa e un piede? Non perdendo mai la stabilità, per giunta!», sottolineò Leorio.
«Sei stato fortunato: avresti potuto farti male», rispose l’altro.
«No. Significa che ho talento!»
Sentita l’ultima parola, Kurapika impallidì e fissò il compagno come se fosse in preda ad un istinto omicida.
«Saresti stato capace di fare queste cose senza l’aiuto dei tuoi poteri?», proseguì il più grande, «Credo proprio di no. Non sei alto, hai le braccia e le gambe corte… non hai il fisico».
Assunse un’aria pensierosa e, mentre si osservava allo specchio, affermò: «Forse la mia vera vocazione… è proprio questa».
«Leorio…», lo chiamò il Kuruta sottovoce, a denti stretti.
«Potrei diventare un equilibrista… o un giocoliere».
«LEORIO…»
«Da oggi in poi, vedrò di allenarmi. Tu non dire niente: sei soltanto invidioso, come sempre».
«Io non…»
Si bloccò immediatamente, facendo mille sforzi per non cedere alla tentazione di urlargli in faccia. Continuò a ripetersi che ciò non sarebbe servito a niente.
Con le mani che gli prudevano, si voltò per uscire dalla stanza messa a soqquadro dicendogli: «Fai quello che ti pare, ma non strafare e non disturbarmi».
«Almeno la sera, così ti mostro un assaggio dei progressi che farò durante la giornata».
«… D’accordo».
 
Un’altra fissazione aveva preso il sopravvento.
Kurapika pensò che forse gli conveniva abituarsi, non prendersela ed evitare di far cambiare idea ad una persona che gli faceva concorrenza in quanto a testardaggine e ostinazione.
Forse era meglio così; forse ciò avrebbe reso l’atmosfera più vivace.
In ogni caso, il biondo fu grato a Leorio per una cosa: grazie a ciò che quest’ultimo combinava, il compagno trovava un po’ di ristoro psicologico svuotando poco a poco tutte le vecchie confezioni di camomilla e tisane rilassanti sottomarca che il moro aveva comprato, credendo erroneamente di fare un favore all’amante risparmiando pure su quel tipo di acquisti – poiché il Kuruta era disposto a spendere il massimo solo per i decotti di ottima qualità.
Dopo aver messo a scaldare l’acqua nel bollitore, gli tornò in mente un giorno in cui Leorio gli aveva detto che, nonostante la scarsa qualità di quegli infusi, solo uno come Kurapika era capace di prepararli così bene, servirli così elegantemente e conferire loro un aroma così buono.
Perché non vantarsi di quello? Perché non permettersi di fantasticare?
Un timido sorriso increspò le sue labbra.
«Potrei diventare un maggiordomo».
 

 
 
 
~ ♦ ~
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Con un leggero ritardo rispetto a quanto promesso nella precedente fanfiction (ossia che sarei tornata a Settembre), eccomi qua.
Dunque… non era mia intenzione tornare con questa raccolta. Avevo optato di scrivere un’altra one-shot (che posterò un po’ più in là), ma non è stato possibile per una serie di ragioni; una di queste è la mia vista, peggiorata negli ultimi mesi, che mi ha impedito – per quanto mi sforzassi – di essere molto attiva su EFP e di dedicarmi alla stesura di storie più complesse.
Essendo arrivata a fine Agosto senza aver potuto completare niente di ciò che volevo pubblicare, ho fatto mente locale su altre idee meno corpose e più rapide da mettere su carta… e ho scelto di dedicarmi a questa particolare raccolta. In pratica, essa è frutto di un connubio di headcanon e prompt sulla Leopika che ho immaginato io o che mi sono passati sotto il naso, girovagando per vari siti – Tumblr in primis.
Mi ero presa la briga di appuntarli con la speranza di realizzare presto delle fanfiction almeno sulla maggior parte di essi. Dopo un po’, però, ho pensato che creare one-shot per ognuno degli headcanon/prompt sarebbe stato noioso e futile; così, ho deciso di riunire i più belli in una raccolta.
Questo primo capitolo è un’elaborazione di uno dei primi prompt più “semplici” che ho trovato; anzi, più che prompt, lo definirei “un breve ma intenso scambio di frasi a effetto” fra Leorio e Kurapika. ♥
Il tutto è sempre incentrato sulla loro vita di coppia e, per quanto riguarda il periodo e l’ambientazione, ho pensato di rifarmi a quelli di Irreplaceable. Ho deciso anche di rendere l’atmosfera – di questo e molti altri capitoli – pregna di “italianità”. Le poesie che ha recitato Leorio (e alcuni poeti che sono stati menzionati) sono italiani. Nella storia originale, non penso proprio che questi autori siano conosciuti/rappresentino un pilastro importante per la cultura dei personaggi; di molti di essi non è specificato il preciso ceppo di appartenenza, ed è erroneo pensare solo ad origini giapponesi. Perciò, non avendo punti di riferimento per determinare tutto questo – oltre al fatto che quell’universo è totalmente diverso dal nostro –, ho “italianizzato” certi aspetti della loro “conoscenza” (facilitandomi il lavoro).
Cliccando qui, verrete portati direttamente al post di Tumblr (o come lo definisco io, primo prompt) che mi ha dato l’ispirazione per scrivere questa prima storia. Se volete, potete anche dare un’occhiata al blog dell’autrice.
Spero abbiate gradito questa lettura meno impegnativa. Come ho detto prima, non ce l’ho fatta a dedicarmi a trame più articolate; ho dato la precedenza a queste mini-storie, scritte senza troppe pretese e che mi auguro vi strappino un sorriso, anche se non tutte verteranno sulla comicità.
Non so quando (e se) la raccolta avrà una fine, dato che almeno una volta al mese aggiungo un nuovo headcanon alla mia lista. Non essendo una long, i capitoli (tranne qualche eccezione) non seguono un filo logico; perciò, non ci sarà una frequenza precisa con la quale li posterò.
Parlando del capitolo… ho sempre ritenuto Leorio un tipo che tende a fissarsi – talvolta peggio di Kurapika – su certe cose, persino montandosi la testa; tutto perché, sotto sotto, pur amando il Kuruta, gli capita di provare una lieve gelosia nei confronti delle sue capacità, e si sente in dovere di prevalere in qualche modo in qualcosa. Tuttavia, non ho mai pensato di fargli venire l’ossessione per le poesie. *ridacchia* Ho trovato, però, l’idea interessante e alquanto realizzabile; mi sono divertita tantissimo a scrivere ogni scena.
D’altra parte, Kurapika non è nemmeno uno stinco di santo: critica molte cose, ma alla fine non gli dispiace lasciarsi trasportare dall’euforia del partner.
Insomma, entrambi hanno dei modi di affrontare certi problemi che sfiorano l’infantilità e la superficialità. Hanno ancora molta strada da fare prima di maturare, haha…
Piccolo dettaglio: Gon e Killua sono – come avrete capito – a conoscenza della loro relazione, e in alcuni capitoli avranno un ruolo molto importante.

I commenti di chiunque sono sempre ben accetti, e ringrazio in anticipo chi deciderà di seguire la raccolta. ♥
A presto con il prossimo capitolo e un saluto a tutti,
Scarlet.
  
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