Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Christine Enjolras    09/10/2016    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Bahorel

La giornata scorreva veloce nella grande scuola e prima che gli studenti se ne potessero rendere conto era già suonata la terza e, per questo primo giorno, anche ultima ora della giornata. Regnava il silenzio nei corridoi del magnifico edificio: a parte una sorta di mormorio che usciva timidamente dalle aule chiuse, si poteva sentire solo l’echeggiare dei passi di qualche studente o professore che si trovava momentaneamente fuori dalle classi. Tuttavia questo silenzio fu presto rotto da un delicato suono di chitarra. Bahorel si trovava seduto sull’ultimo gradino della bassa scala che porta al cortile anteriore e stava suonando lo strumento che i suoi amici avevano voluto regalargli lo scorso natale. Certo non si sarebbero mai aspettati di sentirgli suonare quella splendida chitarra acustica in legno rossiccio proprio a scuola, anche se avrebbero potuto immaginarlo: Bahorel non era mai a scuola e questo gli era costato la promozione per ben due volte. Per il nuovo anno scolastico si era ripromesso che avrebbe cercato di andare a lezione i giorni minimi necessari per riuscire a passare l’anno e a diplomarsi, finalmente.

Dei buoni propositi che andarono a farsi benedire già il primo giorno, visto che non si era presentato a lezione. La sera prima, i suoi amici sul loro gruppo su Whatsapp gli avevano fatto raccomandazioni fino ad intasare di messaggi la chat e lui aveva promesso che sarebbe andato a scuola. ‘Beh: a scuola ci sono venuto!’ Così diceva tra sé e sé ridendo di come fosse riuscito ad aggirare le pressioni dei suoi amici. Sapeva che non appena si fossero incontrati tutti a pranzo probabilmente si sarebbero arrabbiati, quindi forse era meglio non dirgli che, una volta arrivato davanti al cancello, era tornato indietro e aveva passato tutta la mattina nel piccolo bar in Place Victor Hugo, di fronte all’abbazia di Saint-Denis. No no: avrebbe fatto finta di niente, per questo era andato a scuola, così li avrebbe aspettati lì e nessuno si sarebbe insospettito. Forse Feuilly lo avrebbe smascherato qualora fossero usciti una sera tutti assieme, ma in quel caso sarebbe passato troppo tempo perché gli altri si potessero arrabbiare sul serio. E poi i suoi amici erano tutti più piccoli di lui, di età e anche di corporatura: che diamine potevano volergli insegnare, quei piccoletti?

Doveva ammettere, però, che quei nanerottoli gli erano mancati durante le vacanze: in fin dei conti, erano più simili ad una famiglia che ad un semplice gruppo di amici. Il pensiero di quei folli lo fece strimpellare e canticchiare sulle note di ‘Friends will be friends’ dei Queen. Stava giusto per terminare il ritornello quando vide proprio uno dei suoi amici in mezzo al grande giardino fiorito: un ragazzino minuto, con degli spettinati capelli rossicci tenuti piuttosto lunghi e vestito con abiti così larghi che persino Bahorel avrebbe potuto indossarli, anche se talmente brutti e mal abbinati che non li avrebbe mai portati per davvero. Bahorel non poteva sbagliarsi: quale altro adolescente maschio si sarebbe messo a raccogliere fiori in pieno giorno rischiando di essere visto da tutti?

“Jehan cosa ci fai qui fuori? Non hai lezione?” Capì solo dopo che era stata un’idiozia raggiungerlo; chissà che scusa si sarebbe dovuto inventare ora per giustificarsi di non essere a lezione!

“Oh Bahorel! Che bello rivederti! No il mio professore di inglese non è ancora stato confermato, così adesso abbiamo un’ora buca: non riuscivo proprio a starmene chiuso in aula con una giornata così bella!” Quella era sicuramente la frase più lunga che Bahorel gli avesse mai sentito dire.

Tanto timido quanto era minuto, Jean Prouvaire era uno dei più piccoli del loro gruppo ed aveva appena cominciato il corso di letteratura: aveva una passione per le opere letterarie, di qualsiasi epoca, ma soprattutto per quelle del Medioevo, per questo i suoi amici lo chiamavano Jehan.[1]

“E tu? Come mai non sei a lezione?” Per un attimo, Bahorel aveva sperato che Jehan non glielo chiedesse, ma ormai non aveva altra scelta se non inventarsi una scusa credibile. Purtroppo gli immensi occhi azzurri del suo amico che lo guardavano fisso attendendo la sua risposta gli stavano mettendo troppa fretta.

“Il professor Javert è presissimo questa mattina, quindi siamo anche noi nel bel mezzo di un’ora buca. Lui e i suoi doveri da vicepreside…” Bahorel non ricordava nemmeno se avrebbe davvero avuto Javert in quell’ora, ma era la prima cosa che gli era venuta in mente e ormai la aveva detta.

“Ah capisco.” Jehan abbozzò un sorriso timido, ma dolcissimo come solo lui era in grado di fare e poi tornò ai suoi fiori.

Bahorel si abbassò verso il suo amico e lo osservò per qualche istante; poi disse: “Che stai combinando con quei fiori?”

“Ah… ecco io…” Completamente rosso in viso, Jehan cercava le parole per proseguire il discorso: “Sto facendo… sto facendo delle ghirlande per voi…”

“Davvero?” Bahorel non avrebbe mai indossato una ghirlanda di fiori, ma non aveva il coraggio di dirglielo apertamente: “Q-qual è la mia?”

“Oh… emh… p-pensavo che non l’avresti voluta così… così non l’ho fatta…”

Era ufficiale: Bahorel non sapeva più cosa fare. Non era esattamente nel suo carattere essere dolce e buono e davanti a quelle che per lui erano delle imprevedibili risposte di una persona sensibile quale era Jean Prouvaire non sapeva proprio come comportarsi.

“Ma come? Mi togli la gioia di distruggertela in faccia?” Lo disse scherzando, ma probabilmente Jehan non l’aveva capito perché sembrava quasi stesse per mettersi a piangere.

“Ehi ehi ehi! Scherzavo! Scherzavo! Non fare quella faccia! Non volevo mica offenderti, credimi! Era solo uno scherzo!” Era decisamente in panico mentre cercava in qualche modo di evitare quello che sarebbe stato un crollo totale di nervi. Non aveva nulla contro Jehan, ma proprio non sapeva come parlare con quel ragazzino così diverso da lui.

“Ah… per un attimo mi avevi fatto paura…” Crisi scampata. Jehan guardò alle spalle di Bahorel ed esclamò: “Ehi! Ma quella è la chitarra che ti abbiamo regalato noi!”

“Sì è proprio lei. Non me ne separo quasi mai.”

“Ma allora eri tu che suonavi prima!”

“Beh sì. Credo che nessun altro si metterebbe a suonare per i corridoi di questa scuola.” Rendendosi conto che stava per cadere di nuovo in fallo rischiando di far sentire Jehan uno stupido, Bahorel cambiò discorso: “Che ne dici se suono qualcosa mentre finisci le tue ghirlande?”

“Va… va bene!”

“Qualche richiesta?” disse Bahorel prendendo la chitarra dalle sue spalle.

Jehan rimase a pensarci un attimo, poi disse: “Pu-puoi suonarmi ‘Halleluja’ di Jeff Buckley… per favore?”

“Tutto quello che vuoi.”

Bahorel aveva trovato un buon modo per restare con Jehan senza che si dovessero parlare: cantando non avrebbe certo potuto rischiare di ferirlo in qualche modo e si sarebbero fatti compagnia finché gli altri non avessero finito di far lezione. Si era creata davvero una bella atmosfera: il cielo era di un azzurro brillante, con grosse nuvole bianche all’orizzonte e la dolce musica si diffondeva delicatamente in tutto il giardino. Bahorel aveva una voce piuttosto profonda e bassa, ma sulle note di ‘Hallelujah’ risultava meravigliosamente dolce e rilassante e Jehan si sentiva ancora più in pace con quella meravigliosa giornata: Bahorel se ne accorse.

Quando ebbe finito di suonare, Bahorel si rese conto che Jehan era a naso in su, assorto a guardare qualcosa in cielo.

“Che cosa guardi?” gli chiese, cercando di capire cosa stesse osservando.

“Guarda quella nuvola!” disse Jehan, indicando un punto nel cielo.

“Quale?”

“Quella lì, esattamente al centro sopra di noi.” Bahorel gli posò una mano sopra il braccio e cercò di indirizzare il suo sguardo verso il punto in cui stava indicando il suo amico.

“Ah quella! Che ha di speciale, scusami?” A Bahorel sembrava una nuvola comunissima, un ammasso bianco informe.

“Sembra un grandissimo macinacaffè: è davvero bizzarra!”

Un macinacaffè? Quale persona poteva vedere in una nuvola un macinacaffè? Bahorel non riusciva proprio a capacitarsene: non ci vedeva un accidente in quella nuvola, ma era curioso di capire se Jehan fosse solo molto fantasioso oppure se fosse il caso di mandarlo da uno psicologo.

“Scusa, ma… dove diamine lo vedi un macinacaffè?”

“Massì, guarda!” Jehan gli prese il braccio e cercò di usarlo per indicargli dove stavano i diversi elementi di questo fantomatico macinacaffè. “Lì c’è il contenitore per i chicchi di caffè, poi sotto il manico per macinarli…” Continuava a descrivere indicando con il braccio di Bahorel, ma lui proprio non riusciva a vederlo.

Fece comunque finta di nulla: “Ah sì! Ora lo vedo, ecco!” Fortuna che “faccia di Tolla” era il suo secondo nome!

Jehan lasciò il muscoloso braccio dell’amico, gli sorrise e poi riprese a guardare il cielo. Jehan adorava guardare il cielo: gli piaceva lasciare che il suo sguardo si perdesse nell’infinità dell’arcata celeste sia di giorno che di notte, affascinato sia dalla forma delle nuvole che dalla luce delle stelle, tant’è che era facile trovarlo col naso rivolto verso l’alto, con il pensiero perso in mondi lontani e gli occhi pieni di meraviglia.

“Vuoi che ti suoni qualcos’altro mentre aspettiamo gli altri?” chiese Bahorel, afferrando la chitarra.

“Posso chiederti ‘Somewhere over the rainbow’?”

Quante canzoni dolci che stava suonando quella mattina! Bahorel non era abituato a tutta quella tranquillità, ma la cosa non gli dispiaceva: era stranamente bello fare qualcosa di diverso, per una volta. Continuarono così, tra canzoni rilassanti e nuvole assurde che Bahorel non riusciva a vedere, finché non suonò la campanella che segnò la fine delle lezioni.

 


[1] Riferimento al romanzo: nella sua descrizione, Victor Hugo dice che “[…] si chiamava Jehan per quel piccolo capriccio del momento che si mescolava al possente movimento da cui uscì lo studio tanto necessario del Medioevo.”
   
 
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