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Autore: Pascal76    10/10/2016    0 recensioni
Quando il mondo ti crolla addosso, non lasciare mai che la cosa
ti distrugga, indipendentemente dalla violenza con cui ti colpisce.
Questo Nina lo sa.
Lo sa da quando il primo attacco ha ridotto tutte le persone che conosceva,
pure i genitori, in mostri assassini. Sa che un giorno splenderà il sole anche per lei e suo fratello, sa che un giorno tutto si sistemerà, anche se nulla sarà più come prima. Nina lo sa, e questo le basta per lottare, per far si che la malattia che silenziosamente le sta portando via il fratellino venga sconfitta.
Ma quando entrambi verranno portati al Bureau, centro di raccoglimento per i pochi sopravvissuti all'attacco, Nina avrà di fronte una realtà ben più amara della precedente a cui è sopravvissuta.
Capirà che ha di fronte una realtà ben più grande e complessa di lei, che a volte l'unica arma per vincere una battaglia è evitare che questa ti spezzi il cuore, o peggio ancora l'anima.
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MILLIONS OF MILES FROM HOME 



Non potevo evitarlo.

I nostri genitori se n'erano andati così come tutti gli altri che conoscevo : un attimo prima erano lì, ridevano, scherzavano, l'attimo dopo venivano trasformati in strane creature dalle sembianze umane.

Erano loro, ma non erano loro.

Gli occhi incupiti, l'espressione feroce, la voglia di uccidere ...

Niente di tutto ciò sembrava reale, eppure era così.

Era peggio di saperli morti.

Erano vivi, e spero con tutta l'anima che lo siano ancora, ma essere consapevoli che non sono più gli stessi, che per loro sei solo un'altra preda e non una figlia, fa male.

E fa ancora più male sapere che dopo quello che ti è successo devi ricominciare, trovare un modo per andare avanti e non rimanere intrappolata nella malinconia e nel dolore.

Ed è così che abbiamo cercato di fare.

Per sei lunghi mesi io e Alex abbiamo combattuto un nemico invisibile che da un momento all'altro sembrava volerci uccidere, e posso dire che ce la siamo cavata alla grande.

Però non l'abbiamo sconfitto.

Lui è ancora con noi, ci segue, ci osserva, ci studia ed elabora il colpo di grazia, quello che ci farà fuori una volta per tutte.

E io non devo mollare.

Non posso.

Se mollo, Alex muore.

E Alex non deve morire.

Non posso permetterlo.

 


 

Apro gli occhi con la convinzione che, se sono ancora viva, devo fare l'ultima cosa possibile. Salvarci.

Ho gli arti indolenziti, ma fortunatamente riesco a muoverli.

Studio l'area a me circostante.

Sono sdraiata su un letto fatto di un materiale freddo. Accanto a me, un carrellino dove sono appoggiati aghi, buste di sangue e molto altro ancora che non sto ad osservare.

La stanza in cui mi trovo è bianca, quasi spoglia. Pure il soffitto è bianco.

Tutto in questa dannata stanza è bianco.

Presa da un modo di intraprendenza, cerco di alzarmi, ma una dolorosa fitta alla schiena mi costringe a ritornare sdraiata.

Dov'è Alex? È l'unico pensiero che mi percorre la mente, ma allo stesso tempo non riesco ad evitare di pensare a dove sono io.

In che diamine di posto mi hanno portato i “Malati”?

Una sala operatoria? Stanno per aprirmi in due ed estrarmi le viscere per poi mangiarsele?

Non capisco.

All'improvviso mi ritrovo a piangere.

Piango perché lo strazio non è finito; piango perché per la seconda volta in poco tempo ho perso di nuovo Alex. Piango perché in questo momento non riesco a fare altro.

All'improvviso una porta si spalanca e sento delle persone entrare a passo svelto. Una di esse entra nel mio campo visivo : è vestito da capo a piedi con una tuta azzurra che gli copre persino la faccia, dove è collocata una di quelle maschere che evitano l'inalazione di sostanze radioattive.

Sento qualcosa pungermi il braccio e d'istinto faccio per scostarmi, ma noto che una cinghia mi blocca entrambe le braccia e i piedi.

« Non preoccuparti, sei al sicuro » dice una voce femminile sopra di me. MI tiene la testa con due mani e mi guarda. I suoi occhi verdi trasmettono tenerezza e per un attimo mi sento rassicurata.

« Tutti i test sono negativi » dice qualcun altro.

La donna allora sposta lo sguardo da me e prende in mano una siringa dal carrellino accanto a letto. « Farà male, ma ti sentirai bene. Fidati di me » dice, mentre mi inietta una sostanza trasparente.

« Portatela in quarantena e rifate l'esame del sangue a lei e a suo fratello. » è l'ultima cosa che le sento dire.

Poi cado di nuovo in un sonno profondo.


 

 

Tutto si muove troppo velocemente.

Voglio fermarmi, scendere dalla giostra e prendere una boccata d'aria prima di ripartire.

Ma tutto si muove troppo velocemente.

Mi sento male, sto per svenire.

Cado all'indietro e aspetto l'impatto con il suolo, ma non arriva mai.

Mi sento come se sotto di me si fosse aperto un buco.

Sto precipitando di molti metri sotto la crosta terrestre.

Prima di perdere di nuovo i sensi, una mano si allunga di scatto verso di me e mi salva.

 


 

Mi sveglio all'improvviso.

Sono sdraiata su un lettino più comodo di quello precedente. L'ambiente è sempre quello – pareti bianche, soffitto bianco, tutto è bianco – fatta eccezione per una parete : è trasparente.

Di fronte a quest'ultima c'è un uomo sulla cinquantina che mi osserva, ritto in piedi e con le braccia allacciate dietro la schiena. I capelli grigi gli ricadono sulla fronte e i suoi occhi azzurri ghiaccio sembrano congelare qualsiasi cosa su cui si posano, persino me.

Stacco il monitor a cui sono collegata e mi alzo. Vado al centro della stanza e aspetto che l'uomo si muova, ma quest'ultimo non accenna un movimento. I suoi occhi mi seguono, ma lui pare essere immobile.

Con un filo di voce tirato fuori a fatica, chiedo « Dove sono? ».

Non mi aspetto una vera e propria risposta, ma l'uomo mi risponde. « Sei ancora in stato di incoscienza, non ti è permesso ricevere risposte. » ho capito, ma non penso che ci voglia chissà che cosa per sapere dove cazzo mi trovo.

Ci riprovo ancora.

« Dov'è mio fratello? »

Stavolta l'uomo non risponde. Preme qualcosa sulla parete trasparente – sono sicura al 112% che è fatta di vetro – e quest'ultima cambia immagine.

Al posto dell'uomo dagli occhi di ghiaccio, vedo mio fratello.

Si trova in una stanza bianca identica alla mia ed è sdraiato sullo stesso lettino bianco in cui ero sdraiata io. Dorme.

D'istinto mi fiondo verso di lui, ma l'immagine sparisce e mi riporta alla visuale di prima. Stavolta l'uomo non è solo, accanto a lui c'è una donna. Qualcosa mi dice che probabilmente è la stessa che mi somministrato quella strana sostanza che mi ha fatto dormire.

« Sai dirci come ti chiami? » mi chiede. Nel suo tono non si celano accenni di sfida o di prepotenza. È una domanda semplice, innocua.

« Nina... Nina Evans. » rispondo, sempre con un filo di voce.

« Quanti anni hai? » chiede ancora.

« Sedici. Dov'è mio fratello? »

« Dove hai vissuto per tutto questo tempo? » chiede, ignorando la mia domanda.

« A casa mia. » rispondo.

Lei accenna un sorriso, ma la cosa non mi rallegra per nulla.

« Dov'è mio fratello? » insisto.

« Tuo fratello per caso si chiama Alex? » stavolta è l'uomo a parlare.

« Sì. Dov'è? »

« Quarantena. È nella cella accanto alla tua. »

« Come sta? Posso vederlo? » chiedo a bruciapelo. L'ho già visto, ma era solo un'immagine proiettata su uno schermo. Non posso sapere se è reale.

Lei sorride ancora e mi fa segno con le mani di aspettare. « Frena frena. Una cosa per volta. Hai detto di aver vissuto a casa tua, ma la tua casa era distrutta. Ci spieghi come avete fatto a sopravvivere? »

Non m'interessa. Non voglio risponderle. Se sono qui vuol dire che ci sono riuscita. « Dov'è mio fratello. » stringo le mani a pugno. Mi verrebbe voglia di spaccare quel vetro e correre da Alex. Queste persone parlano troppo.

« Nina. Ascoltaci. È qua accanto a te, ma non puoi vederlo. Sta troppo male per poter ricevere delle visite. »

All'improvviso mi ricordo delle macchie violacee sulla pelle e del sangue dal naso. « è la malattia vero? Lo sta divorando? »

L'espressione della donna cambia bruscamente. Sembra sconvolta. « Quale malattia? » chiede, la voce tesa.

« Non lo so. È da un po' che ce l'ha. Saranno tipo 3 o 4 mesi »

« Quali erano i sintomi? Nel senso... come si presentava? »

« Sangue dal naso, febbre repentina, a volte sfiorava i 40, macchie violacee sulla pelle, occhiaie frequenti anche se dormiva per metà giornata … » comincio ad elencare, mentre nella mia mente le immagini delle persone trasformate in assassini si susseguono come in un film dell'orrore.

Quando finisco, l'espressione della donna è cambiata di nuovo, ma stavolta nasconde la sua sorpresa in una maschera di insofferenza e calma. « Okay. Grazie per le informazioni. Ci rivedremo presto. » e dopodiché scompare. La parete, inizialmente trasparente, diventa a specchio.

Nel riflesso vedo la mia immagine : ho addosso una camicia a pallini blu molto leggera sopra un paio di leggins bianco candido, i capelli all'aria e l'espressione stravolta.

Mi prendo la testa con le mani.

Alex è nell'altra stanza, in Quarantena come me, non sta bene.

Il solo pensiero mi monta una cieca rabbia che scarico con un pugno non proprio leggero contro la parete a specchio.

Passo così i successivi 20 o forse trenta, non lo so, minuti : piango, tiro inutili pugni alla parete fin quando non mi scortico le nocche, urlo il nome di mio fratello …

Tutto questo dovrebbe servirmi a qualcosa, eppure ad un certo punto sembra che mi stia sfogando per qualcosa che è successo prima, molto prima; qualcosa che ho difficilmente trattenuto e che ora emerge con prepotenza, facendosi largo tra migliaia di altri pensieri.

Perché non siamo cambiati pure noi? Perché abbiamo dovuto attraversare tutta questa sofferenza, quando potevamo semplicemente diventare esattamente come gli altri? Perché tutto questo?

Cosa avevamo di così diverso da salvarci, se così si può dire, da quella sorta di apocalisse umana?

Appoggio la testa contro la parete e prendo alcuni profondi respiri.

Sento i nervi tesi come corde di violino, oltre che ad un inspiegabile dolore al braccio, dove ho un brutto livido verde. Probabilmente ce l'ho da quando mi sono svegliata in quell'altra stanza bianca, ma con tutto quello che è successo non ho avuto tempo di pensarci. Forse non l'ho nemmeno sentito il dolore.

 

   
 
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