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Autore: alessandroago_94    10/10/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 29

CAPITOLO 29

 

 

 

 

 

 

Quando risposi frettolosamente al cellulare, mi ritrovai ad udire dei singhiozzi disperati, emessi certamente dalla mia Jasmine.

‘’Jasmine?’’, chiesi, preoccupato.

Lei continuò a piangere, colma di disperazione.

‘’Oh, Antonio, è così orribile la vita’’, mi disse, dopo un po’, mentre la mia perplessità cresceva.

Rielaborando mentalmente quella frase che mi aveva appena rivolto, mi venne subito da intendere che in quell’eccesso di disperazione ci fosse sicuramente qualcosa che riportava ad Alice.

Jasmine era sempre stata una ragazza molto tranquilla, forse anche fredda a volte, oltre che indomita e ottimista, e non avevo mai avuto l’occasione fino a quel momento di venire a contatto in modo così diretto con un grado di sconforto così elevato in lei.

‘’Non dirmi che Alice ti ha trattato male’’, sancii, dopo un attimo d’esitazione.

La frase mi uscì spontanea dalle labbra, e in modo leggermente infastidito ed irritato. Quella questione stava cominciando davvero a stufarmi.

‘’No, no… oh, se solo sapessi!’’, continuò lei, con un tono angoscioso.

‘’Non so nulla, infatti. Mi vuoi spiegare allora che ti è accaduto?’’, le chiesi, leggermente spazientito. La pioggia aveva cominciato a tamburellare con più insistenza sul mio ombrello, e preferii soffermarmi un attimo a fianco di una grande insegna pubblicitaria, dato che cadeva di vento. Quasi imprecai tra i denti.

‘’Vieni a casa mia. Vieni subito, te ne prego… poi ti spiegherò meglio’’, mi sussurrò, sempre dopo un attimo di pianto isterico.

‘’Va bene, sono già in strada. Dove abiti di preciso?’’, le chiesi, riconoscendo che non ero neppure a conoscenza del suo indirizzo, e di questo mi vergognai un po’.

‘’Circa duecento metri dietro casa tua. Verso la stazione… hai presente il viale della stazione? Ecco, abito al suo imbocco, nella prima casa gialla che avrai modo di vedere’’.

Il mio viso quasi s’illuminò quando Jasmine mi disse dove abitava, poiché allora non dovevo fare tanta fatica per raggiungerla. Ero già nel viale da lei citato, e quindi le ero davvero vicinissimo.

Abbandonai il mio pressoché inutile riparo e, rapidamente, mi mossi con decisione verso l’imbocco del viale che stavo percorrendo, sempre sotto la pioggia ma certo di essere praticamente già a destinazione.

‘’Sono lì tra un attimo, nel frattempo tranquillizzati. A tra poco’’, le dissi, interrompendo la conversazione.

Misi di nuovo il cellulare in tasca e, afferrando a due mani l’ombrello, quasi come se fosse stata la mia arma, cominciai a percorrere il più velocemente possibile quei pochi passi che mi separavano dalla mia meta.

Infatti, in un batter d’occhio, coprii quegli ultimi metri che mi separavano dalla casa di Jasmine, individuando subito la prima abitazione giallognola posta quasi all’imbocco del viale. La raggiunsi e con grande fretta mi attaccai al campanello, anche in modo molto scortese, ma d’altronde la pioggia aveva cominciato a cadere a catinelle e non mi andava di farmi un bagno, poiché anche se avevo l’ombrello a proteggermi tutto quanto stava cominciando a diventare più simile ad un diluvio universale che a una pioggerellina invernale.

Jasmine fu rapidissima a venire ad aprirmi, e subito, notando a distanza il suo viso, potei notare i segni della disperazione ben impressi su di esso.

Diedi un rapido sguardo all’esterno dell’abitazione, notando che anche la mia amata in famiglia non doveva cavarsela male; la casa aveva un bel giardinetto curato che dava sulla strada, come la maggior parte delle dimore del mio paesetto, ed aveva un aspetto molto elegante, quasi antico. Il grande ingresso dava un senso d’imponenza al tutto, che forse rendeva esagerata la prima impressione che si poteva avere del complesso, e quando mi trovai di fronte ai battenti di scuro ferro posizionati simbolicamente sulla porta che dava sulla strada, quasi fui in soggezione.

Accorgendomene, avrei voluto lasciarmi sfuggire un sorriso, riconoscendo che ormai ero sempre in soggezione davanti a tutti e ad ogni cosa, e questo era quasi ridicolo e che avrei dovuto davvero cominciare ad affrontare la mia innata e pressante timidezza, ma la scocciatura della pioggia e il fatto di trovarmi di fronte ad una Jasmine dal volto sconvolto dal pianto recente mi fecero rapidamente allontanare questa balzana e frettolosa idea dalla mente.

‘’Sei stato veloce come un fulmine!’’, mi disse la ragazza, scansandosi per farmi entrare.

Le rivolsi un sorrisetto mesto, mentre chiudevo l’ombrello fradicio e lo appoggiavo a fianco della porta, sul marciapiede.

‘’Ne dubitavi?! Appena ho sentito il tuo pianto, mi sono precipitato subito. Ma che è successo?’’, le chiesi, non indugiando oltre e cacciando dal mio viso ogni segno che poteva far nascondere la mia preoccupazione.

Entrai in casa dopo essermi pulito ed asciugato scrupolosamente le scarpe sul grande zerbino che dominava l’atrio, e mi trovai di fronte ad un corridoio per nulla ampio e spazioso, simile a quello di casa mia, ma tappezzato da grandi tele dipinte con i classici disegni africani, che donavano all’ambiente una discreta aura esotica. Restai piacevolmente sorpreso dallo stile di ciò che mi circondava.

Non ottenni alcuna risposta da parte di Jasmine, che riprese a piangere sommessamente, e fui costretto a richiudere la mia dannata boccaccia, ancora mezza spalancata per lo stupore causatomi da quell’insolito ambiente che mi ero trovato improvvisamente di fronte, poiché la ragazza piombò letteralmente tra le mie braccia.

Tra me e lei c’era sempre stato una sorta di feeling fisico, spesso ci eravamo tenuti per mano, o scambiati qualche bacetto quasi casto sulle labbra, insomma tutto era stato piuttosto freddo fino a quel momento, in cui il selvaggio cuore della mia amata doveva aver abbandonato ogni sua ultima resistenza, forse a causa di quella disperazione causatale da qualcosa ancora a me ignoto.

Sbalordito, ma per fortuna in modo piacevole, ne approfittai per stringerla anch’io tra le mie braccia, tra le quali lei si era fatta gentilmente spazio, senza imporsi ma facendomi capire che aveva bisogno di me. Ed io c’ero, ed ero tutto per lei.

Nel bel mezzo dell’ingresso di casa sua, mentre a pochi passi da noi una fitta pioggia invernale faceva da padrona indiscussa di quella giornata cupa e grigia, ma piena di sorprese per me, io e l’unica persona che amavo con tutto me stesso ce ne siamo stati abbracciati, quasi avvinghiati, per qualche minuto, che in quel caso valeva quasi quanto ore o giorni.

Jasmine continuò a piangere, e ricordo perfettamente come io cercai di infonderle calore col mio corpo, di stringerla in modo consapevole a me, così da non farle male ma da passarle tutti i miei sentimenti senza alcun bisogno di aggiungere futili parole a quella situazione che già parlava da sé. Poi, lei si ritrasse improvvisamente, e affrettandosi ad asciugarsi le lacrime, richiuse anche la porta d’ingresso.

‘’Non riesco a raccontartelo subito. Proprio non riesco. Ma dovrò farlo, prima o poi…’’, tornò a dire la ragazza, singhiozzando di nuovo in maniera disperata.

Il mio cuore era allegro ma a pezzi, non riuscendo a capacitarmi di fronte a tutto quel dolore, e anche in me crebbe una disperata impotenza, un sentimento troppo duro per essere trattenuto. Mi avvicinai a lei e le sfiorai gentilmente un braccio, per attirare la sua attenzione su di me e tentare di farla smettere di disperarsi, in un vano tentativo di riportarla alla ragione.

‘’E’ tutta colpa di Alice, giusto?’’, le chiesi, quella volta con maggior insistenza ed affondando il dito nella piaga, seppure inconsciamente. Dovevo comunque scoprire la causa di tutto quel dolore, e non sopportavo più il fatto che essa mi fosse celata dietro a quelle lacrime.

Jasmine, udendo le mie parole, spalancò gli occhi in maniera vistosa, e mi afferrò le mani, stringendomele tra le sue.

‘’Smettila, ti prego, di parlare di lei con questo tono. Non lo merita’’, tornò a dirmi, senza scomporsi. Avrebbe voluto dirmi altro, ma una coppia di persone adulte fece capolino da una delle stanze vicine, entrando a tutti gli effetti nel corridoio che fino a quel momento era stato l’unico e muto testimone del nostro incontro.

‘’Figliola, perché non fai accomodare il tuo ospite? Abbiamo atteso tanto per conoscerlo. Antonio, giusto?’’, disse l’uomo, gentilissimo, mentre faceva qualche passo verso di me, tendendomi maturamente la mano.

Compresi fin da subito che doveva trattarsi del padre di Jasmine, così come la signora doveva essere la madre.

‘’Sì, è così. Antonio Giacomelli’’, dissi timidamente, stringendo la mano dell’uomo, mentre Jasmine, che era stata rapidissima a lasciare le mie mani quando i genitori avevano fatto capolino nella scena, si ritrasse un po’ da me e si diresse verso la madre.

‘’Io mi chiamo Giorgio Camilletti, piacere di conoscerti, e sono il padre di Jasmine’’, mi disse nuovamente il genitore della mia amata, mentre mi stringeva calorosamente la mano.

Quello che mi stava davanti era un uomo alto, ma ancora slanciato, e maturo. Gli diedi più o meno cinquant’anni, anche se i capelli eccessivamente ingrigiti forse lasciavano intendere che avesse qualcosa in più. I suoi occhi erano gli stessi della figlia, di un castano molto scuro, ed era perfettamente rasato e ben vestito.

La donna che gli stava alle spalle, invece, riuscii solo a scorgerla di sfuggita in quel primo momento, e comunque anche lei era alta almeno tanto quanto il marito, e magra come uno spillo. La sua pelle era scura, nera ed esotica, quanto quella della figlia.

‘’Piacere mio’’, sussurrai, ancora timidamente e sentendo che la mia pelle pian piano si stava arrossendo sul viso.

‘’E questa è mia moglie, Claire’’, me la presentò Giorgio, sfruttando al massimo il momento delle presentazioni e tornando a lasciarmi la mano e ad indietreggiare di qualche passo.

La signora mi sorrise, e riconobbi che anche lei aveva una parvenza molto dolce. Pareva davvero una di quelle classiche signore di colore che apparivano nei film, di quelle buone e gentili, magari anche sfacciate quando la situazione poteva richiederlo, ma comunque con un certo charme e un animo pacato.

Io mi sono sempre affidato spesso alle prime impressioni, e in quel caso furono entrambe positive, e dovetti ammettere a me stesso che quel primo impatto non era stato male, e che i genitori della mia Jasmine mi erano apparsi fin da subito come due gran brave persone.

‘’Ma vieni, accomodati pure’’, tornò a dire il padre della ragazza, invitandomi ad entrare nella stanza dalla quale erano sbucati entrambi poco prima. Sorrisi timidamente, accogliendo il suo invito e seguendolo, seguito a ruota dalle due donne, per poi trovarmi nell’ennesimo ambiente arredato in stile africano.

Quella sorta di soggiorno non era molto spazioso, ma in quattro ci si stava bene, e c’erano più poltrone e un divano, con un televisore posizionato un po’ marginalmente all’interno della stanza. C’era un po’ di mobilia, tutta europea quella, ma sopra di essa ed ovunque regnava l’Africa, indiscussa regina di casa Camilletti. Non soltanto i muri continuavano ad essere tappezzati da carte da parati variopinte e ricoperte di disegni africani, ma come soprammobili c’erano decine e decine di statuette di legno intagliate in un legno scuro sempre proveniente dall’Africa.

Ero estasiato.

‘’Vivete in una casa molto bella, e molto ben arredata’’, mi azzardai, sempre timidamente.

Giorgio sorrise, mentre la moglie si accomodava a suo fianco sul divano, e Jasmine si avvicinava lentamente a me, che stavo prendendo posizione su una delle poltrone.

‘’Io sono nato in questo paesino, ma ho sempre lavorato in Africa. Sono un ingegnere, e per mia scelta ho deciso, a suo tempo, di dedicarmi a lavori e progetti molto ardui. Ho avuto modo di lavorare in Libia, Etiopia ed Eritrea, e sono totalmente innamorato dell’Africa, delle sue popolazioni e delle sue culture, come puoi vedere. Poi, mia moglie ha fatto il resto. Ha cambiato la mia vita, da quando l’ho conosciuta una ventina d’anni fa ad Addis Abeba’’, disse l’uomo, sempre con un sorrisetto stampato sul volto ed afferrando la mano della moglie.

‘’Non ascoltarlo, Antonio. È stato lui a cambiare la mia vita; ti basti pensare che prima d’incontrarlo ero sempre stata una straniera nel grande Continente Nero, ed ho vissuto una vita di fame e colma di dolore.

‘’I miei genitori erano appartenenti a nazionalità diverse, mia madre era ugandese e mio padre senegalese. Il mio genitore era un uomo che aveva studiato nel suo Paese, avendo avuto accesso ai primi aiuti internazionali, ma a causa delle guerre e dei disagi continui aveva dovuto abbandonare la sua casa, trasferendosi in Uganda, conoscendo poi mia madre, una ragazza povera del posto, i cui genitori erano pescatori, campando di ciò che il grande lago Vittoria poteva loro offrire.

‘’Non seppi mai il vero motivo del perché avesse scelto, un uomo come lui, di andare a vivere proprio in Uganda, un Paese così fragile, poiché morì di una malattia incurabile quando avevo pochi anni di vita. Mia madre lo raggiunse qualche anno dopo, ed io, che ero solo una ragazzina affamata, dovetti abbandonare il mio paesetto natale, a seguito dello scoppio dell’ennesima guerra tra etnie.

‘’Mi aggregai a migliaia di altri profughi, in marcia verso ogni possibile direzione, dato che l’importante era fuggire dalla guerra interna del nostro Paese, e siccome la vicina Etiopia pareva non voler cercare di bloccare il movimento dei profughi, riuscimmo a raggiungerla a piedi dopo alcune settimane passate pressoché senza cibo e solo con qualche goccio d’acqua, attraversando le savane dell’Africa centrale.

‘’Continuando la mia marcia verso nord tutta sola, forse nell’impossibile tentativo di tentare di raggiungere l’Egitto e quindi le coste del Mediterraneo, riuscii a fuggire dal campo profughi etiope costruito al confine con la Tanzania da alcuni volontari europei, e raggiunsi Addis Abeba grazie alla bontà della gente del posto, povera ma disponibile ad aiutare chi ha bisogno’’.

‘’E lì ci conoscemmo. Io ero un giovane ingegnere, come ti ho già detto, e quando ho incrociato per la prima volta gli occhi di questa splendida ragazza, in un vicolo povero della capitale etiope, decisi di darle una mano e di sostenere quella tacita richiesta di soccorso che brillava nel suo sguardo.

‘’E il resto puoi immaginarlo; ci siamo innamorati ed amati, fino a questo momento. Poi, stufo di questa vita vagabonda e molto dura, ho deciso di tornare in Italia, precisamente nel mio paesino natale, e ovviamente mia moglie mi ha seguito, in seguito scoprendo che era già incinta di Jasmine’’, aggiunse il marito, facendomi l’occhiolino e dando fiato alla moglie. I due apparivano come una coppia loquace ed affiatata, e questo quasi mi sorprese.

Sorrisi, avendo ascoltato tutta quella vicenda narratami per la maggior parte dalla voce dolce ed esotica di Claire, e guardando i due coniugi l’uno a fianco all’altro, mi parve evidente che la figlia dalla madre avesse ereditato solo la colorazione della pelle.

Infatti, Jasmine sul volto aveva ben impressi i lineamenti occidentali ed europei del padre, e mi meravigliai quasi di non essermene mai accorto. Ma, logicamente, fino a quel momento non avevo mai visto il padre, però almeno potevo cogliere qualcosa in quel bellissimo viso, che fino a pochi istanti prima mi era sempre parso molto esotico.

Ancora colpito dalla storia colma di coraggio appena narratami, dato che non avrei mai potuto immaginare una simile epopea nella vita di quella semplice signora, che doveva avere solo qualche anno in meno del marito, notando i suoi capelli ricci e striati leggermente di un grigio naturale, e continuando i miei ragionamenti sui lineamenti del viso della mia amata, quasi la mia mente si rilassò troppo.

‘’Siamo contenti che tu sia accorso a casa nostra, non appena nostra figlia ha avuto bisogno di una presenza amica a suo fianco, in questa giornata così triste per lei’’, riprese a dire Giorgio con grande serietà, mentre un piccolo singhiozzo truce di Jasmine tornava a risuonare nell’aria.

Ancora non ci avevo capito molto, e mi stavo accingendo a ringraziare e a chiedere ancor più esplicitamente le cause di tutto questo dolore, magari cercando di riformulare la domanda in modo molto cortese, ma la ragazza non me ne diede il tempo.

‘’Mamma, papà, ve l’ho già detto, Antonio non è un semplice amico… è il mio ragazzo’’, disse infatti Jasmine, a sorpresa.

Mentre i due coniugi si concedevano un altro sorriso, questa volta quasi commosso, io quasi mi strozzai deglutendo, essendo totalmente impreparato ad un annuncio di quel genere.

Dopo aver dato due colpi di tosse, mi volsi verso la ragazza che amavo, ma che fino a poco tempo prima era stata sì mia, ma anche molto fredda, e non mi sarei mai creduto fino a quel momento che lei potesse aver già parlato di me con i suoi, giungendo anche a presentarmi in quel modo.

Jasmine mi stava guardando con una dolcezza infinita, e pareva aver sospeso momentaneamente il suo disperato dolore, ed io non potei far a meno che sorriderle e rilassarmi, convinto che a quel punto noi due eravamo giunti ad una nuova fase della nostra relazione, non più quasi distaccata e distante, molto infantile, ma più matura ed adatta a ragazzi della nostra età.

‘’Ci sembri davvero un bravo ragazzo. Complimenti per aver conquistato il cuore di nostra figlia!’’, si complimentò il padre, anche lui molto emozionato.

Mi sentivo ironicamente quasi ad un passo dal matrimonio, vista l’emozione dei possibili futuri suoceri, e questo mi fece tornare a sorridere di nuovo, ma d’altro canto ero felice che pure loro fossero contenti della nostra giovanile e primissima relazione. Inutile dire che ero diventato bordò in volto dall’imbarazzo, ma comunque cercai di contenere la mia eccessiva ed innata timidezza.

‘’Però, Antonio, non ti ho chiamato qui solo per farti conoscere i miei e per farti ascoltare le loro storie, ma per un altro motivo molto più importante’’, tornò a dire Jasmine, oscurandosi di nuovo e preannunciando nuove lacrime.

Io la guardai, restando in silenzio, per spronarla a parlare. Ormai mi aspettavo di tutto.

‘’Vorrei che tu mi accompagnassi, assieme ai miei genitori, a trovare Alice’’, concluse, emettendo un piccolo singhiozzo finale.

Strabuzzai gli occhi, come se avessi appena ricevuto un pugno nel ventre.

‘’Guarda, vorrei davvero venire, ma ieri sono caduto e mi sono fatto male…’’, tentai di dire, cercando qualche scusa.

La mia amata non doveva essere a conoscenza del mio incidente del giorno prima, dato che io non l’avevo messa al corrente. Le avrei narrato tutto al momento opportuno.

‘’So che non vuoi venire perché credi che lei ce l’abbia con te, e che il suo repentino cambio d’umore e di comportamento nei tuoi confronti derivi da una qualche antipatia, o dalla gelosia per qualcosa, ma non è così!’’, trillò disperatamente Jasmine, con un vocino stridulo, cercando come sempre di farmi capire qualcosa che non voleva dire direttamente.

‘’Antonio, Alice è malata. Non era più in sé, ultimamente’’, mi disse pacatamente Claire, sempre seduta di fronte a me.

‘’In poche parole, la ragazza è malata da tempo, e forse è addirittura incurabile, dato che la sua malattia è stata scoperta troppo tardi… e con essa, ovviamente, anche la causa dei suoi disturbi. Alice ha un tumore al cervello’’, disse Giorgio, preferendo pochi giri di parole e andando direttamente al dunque.

Rimasi a bocca aperta, senza parole. Jasmine, a mio fianco, riprese a piangere udendo ciò che aveva detto il padre, come se fino a poco prima avesse lottato per rimuovere tutto.

‘’Vado a prepararmi. Antonio, conto sulla tua presenza’’.

E così dicendo, la mia amata lasciò la stanza, disperatamente scompigliata. Claire si scusò con un semplice sguardo e si precipitò ad inseguire la figlia, già lanciata probabilmente verso la sua stanza.

Rimasto solo con Giorgio, e ancora a bocca semi spalancata dall’incredulità, fissai l’uomo che avevo di fronte, impettito e serio.

‘’Ti prego di perdonare mia figlia, lei era molto attaccata ad Alice. Hanno sempre frequentato le stesse classi e le stesse scuole, fin dall’asilo, e si sono sempre incontrate a casa. Erano grandi amiche, e la sua improvvisa e strana scomparsa, seguita da questa notizia, l’hanno destabilizzata. Temiamo che possa compiere qualche sciocchezza, e sono due giorni che piange ininterrottamente.

‘’Ti prego quindi, con tutto il cuore, di venire con noi, perché lei vorrebbe farle visita all’ospedale in cui è ricoverata ed ha bisogno di avere a suo fianco ogni persona a cui tiene. E lei ci tiene molto a te, sapessi quanto ci ha parlato della tua timidezza, dei tuoi sguardi dolci, della tua gentilezza… ecco, non lasciarla proprio adesso.

‘’Stalle a fianco se ti va, altrimenti ti prego di fare un piccolo sforzo, rivolto a chi sta soffrendo tantissimo e ti ama con tutto il suo cuore. Conosco mia figlia, e so che non ha mai amato nessuno come ama te, e se anche questa sarà la vostra prima storia d’amore, una storiella tra ragazzi, avrà pur sempre una grande importanza per tutta la vostra esistenza. Fallo per lei, te ne prego, stalle a fianco in questo momento’’, disse il padre della mia amata, quasi commosso.

‘’Starò a suo fianco, lo farò di certo, costi quel che costi. Anch’io tengo molto a lei, e a dirla tutta devo molto anche ad Alice. Verrò con voi, sono già pronto’’, rassicurai l’uomo, in modo molto schietto e sincero. Era ciò che pensavo in quel momento tanto concitato e doloroso.

Quasi non riuscivo, o non volevo crederci a ciò che avevo appena saputo. Avevo accusato per un bel po’ di tempo Alice, non sapendo che essa stava covando un male di cui neppure lei era a conoscenza, e stavo davvero malissimo.

‘’Anche noi conosciamo bene i suoi genitori, sono davvero delle brave persone, e non meritano tutto questo, così come non lo sta meritando Alice. Oh, quanto mi dispiace! Queste sono davvero cose orribili, che non dovrebbero mai accadere, se il mondo fosse giusto…’’.

Smisi di ascoltare Giorgio e mi richiusi in me stesso e nelle mie paure.

Mi accorsi dopo un po’ che stavo tremando, quasi fremendo, e non ne comprendevo il motivo.

Non ascoltai più nessuno, e seppi solo sfiorare una mano alla mia Jasmine, quando essa si dichiarò pronta per partire, e salii in macchina assieme a lei e ai suoi genitori. Non avvisai neppure mia madre del mio possibile ritardo, dal tanto che ero mentalmente disastrato.

Dimenticai tutto ciò che mi era accaduto nei giorni precedenti e nelle ultime ore, e mi lasciai di nuovo trascinare verso un disperato abisso che sapeva anche di colpevolezza, poiché avevo attribuito tante colpe ad una ragazza gravemente malata e, a quanto pareva, in fin di vita. Anche se non lo sapevo nelle settimane precedenti, ero stato una canaglia a comportarmi così.

Stavo malissimo, su quel bel fuoristrada bianco che si stava approssimando ad imboccare l’autostrada.

 

Se fino a questo momento i miei ricordi sono sempre stati piuttosto vividi, e comunque in ogni caso sono riuscito a rimetterli assieme e a risistemarli in un ordine che forse non è perfetto, ma è sempre molto meglio del caos, ebbene, di quello che vorrei rimembrare in questo particolare istante non riesco a collegare nulla di concreto.

Forse è perché non voglio farlo per davvero, e il mio Inconscio sta cercando di nascondermi una parte della mia esistenza per non farmi rivivere un trauma, come direbbe di certo qualsiasi buon conoscitore di Freud in modo molto semplicistico, e credo che in fondo sia meglio così.

Per far luce sulla mia visita in ospedale ad Alice, beh, mi restano solo poche immagini sfocate, che assieme a qualche parola danzano liberamente nella mia mente, generando un’impietosa confusione all’interno della mia già provata scatola cranica. Mi accontenterò quindi di sfiorare qualche ricordo, come se tentassi di fare solo un timido assaggio di esso.

Insomma, dopo il viaggio in auto con i genitori di Jasmine e Jasmine stessa che piangeva e mi stringeva forte le mani tra le sue, giungemmo all’ospedale, penso fosse il Sant’Orsola, quello tanto legato alla mia vita prenatale. Non lo ricordo e non ci tengo a cercare dei dettagli, in questo caso.

La nostra visita fu breve, ricordo, e ripiena di dolore. Jasmine era disperata, e gli stessi suoi genitori con lei. Io ancora non volevo crederci.

Dentro la struttura, incontrammo casualmente i genitori di Alice, ma il padre ci deviò e la madre invece si lasciò avvicinare. Un trauma, per noi e per lei. Ci diedero il permesso di vederla, ma senza entrare in contatto con la ragazza, e potemmo solo scorgere il suo viso pallido e la sua testa calva e tutta bendata.

‘’Le hanno aperto il cranio, nel tentativo di rimarginare l’ammasso che si era creato al suo interno. Ora è ancora addormentata, ma non è detto che si svegli, e se quando si sveglierà sarà ancora come prima. L’intervento era quasi impossibile, dato lo stadio avanzato della massa tumorale’’.

Queste le uniche parole della madre di Alice, una donnina tutta tirata e dall’aspetto perbene che ormai pareva aver finito le lacrime da piangere. Queste sono le uniche parole che io ricordo e che ricorderò per sempre, e per l’eternità esse rimbomberanno nella mia mente ogni volta che addosserò qualche colpa a qualcuno senza avere la certezza che sia colpevole.

Alice era malata, e nessuno di noi se n’era accorto. I suoi frequenti mal di testa erano stati associati ad una forte propensione all’emicrania, molto comune nel periodo focoso dell’adolescenza a causa dello sviluppo ormonale, e le sue febbri e la sua debolezza erano passate per una semplice forma influenzale difficile da estirpare. Nessuno aveva fatto svolgere analisi del sangue o quant’altro, nessuno aveva neppure lontanamente immaginato una simile tragedia.

Quando la ragazza aveva cominciato pure a dare di matto e a comportarsi in modi inusuali, mostrando vari disturbi comportamentali mai mostrati fino a quei fatidici momenti, i genitori si erano preoccupati, scegliendo anche di farla frequentare da uno psicologo, ma poi non c’era stato il tempo per fare altro, poiché Alice una sera era svenuta e non aveva più ripreso conoscenza. La successiva corsa in ospedale aveva fatto chiarezza sul reale stato delle cose.

Stavo per mettermi a piangere anch’io in quegli istanti, la mia stessa vista era sfocata.

Alice, quella ragazza tanto dolce che avevo conosciuto, era stata monopolizzata da una malattia, e quella che per me si era dimostrata come una forma di schifosa gelosia in realtà era l’espressione più chiara del suo subdolo male. Ed io, invece di starle a fianco o di cercare comunque di comprendere meglio la sua reazione di quell’ormai lontano giorno in cui mi aveva praticamente sbattuto fuori da casa sua, mi ero allontanato da lei, lasciandola sola.

Lei mi era stata vicina quando non avevo neppure un cane a mio fianco, quando tutto pareva perduto e un bullo mi perseguitava ovunque, e mi aveva permesso di conoscere Jasmine e di avere più fiducia in me stesso. Io l’avevo ricompensata fregandomene altamente di lei.

Il mio castello di carta che mi ero costruito all’interno della mia mente collassò di nuovo, e tornai ad affrontare un altro momento buio, molto più meschino e coinvolgente dei precedenti, poiché quella volta si trattava di una battaglia contro me stesso. Mi sentivo da schifo, e forse ero davvero uno schifo di persona.

Sapevo che non avevo cause in tutto questo, però avrei potuto almeno stare vicino a quella ragazza che mi aveva dato tanto, senza allontanarmi da lei al primo incrocio, abbandonandola da sola. Lei non l’avrebbe fatto con me.

Convissi con le mie consapevolezze fintanto che non fui giunto di nuovo a casa mia, totalmente svampito ed incapace anche solo di riuscire a mettere assieme una frase dotata di senso logico, ma d’altronde non mi serviva questa facoltà, poiché certe situazioni non si possono davvero descrivere con immagini o parole, e si possono soltanto ed arduamente vivere sulla propria pelle.

Abbandonato l’ospedale e il capezzale di Alice, e una volta tornato al mio paesetto, schizzai fuori dalla macchina dei miei accompagnatori la prima volta che si fermarono ad un semaforo periferico, e tornai a casa a piedi, senza averli neppure salutati. Almeno, aveva smesso di piovere.

Spensi subito il cellulare, e una volta tornato a casa deviai mia madre, sfoggiandole un muso duro da spavento e correndo a chiudermi a chiave in camera mia, al buio e da solo.

Non badai a nient’altro, immerso nell’oscurità del mio dolore e nel baratro delle mie riflessioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Buongiorno a tutti voi, cari lettori e care lettrici!

Ed ecco svelato il mistero che gravava su Alice… purtroppo è stata una scoperta molto dura.

Vi ringrazio per continuare a leggere e a seguire il racconto.

Grazie di cuore, e buona giornata a tutti! A lunedì prossimo.

   
 
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