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Autore: QWERTYUIOP00    12/10/2016    1 recensioni
Dopo la caduta di Bravil, Titus Mede è finalmente pronto per iniziare la rivolta che lo porterà sul trono imperiale, ma la sua ascesa sarà duramente ostacolata dal monarca al potere Thules, immerso nei giochi di potere della Città Imperiale.
Terza storia della serie "Downfall"
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Downfall'
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Titus Mede cavalcò tra i ranghi dell’esercito gridando ordini e incitando i soldati.
Le squadre armate marciavano da una parte all’altra dello schieramento, sbraitavano e ruggivano.
Acciaio cozzava contro acciaio, l’agitazione aumentava sempre di più nelle truppe.
Jaeger fece ruotare le proprie asce nelle mani, per poi riporle alla cintura.
Quella sarebbe stata l’ultima.
Lui era vecchio, il ricordo delle Prove di Kyne era giorno dopo giorno sempre più remoto, e quella era la sua ultima battaglia.
Ormai di quel giorno non si ricordava più che aspetto avessero le belve che aveva dovuto affrontare, non si ricordava come si fosse svolto lo scontro, soltanto le sue sensazioni venivano alla mente.
L’oppressivo torcere di viscere causato dalla paura poco prima del combattimento, quando i suoi occhi e quelli del suo avversario animale si erano incontrati.
Dopo quell’evento, nessuna battaglia aveva infuso in lui alcun timore, nessuno scontro era sembrato impossibile da vincere, nemmeno i mammut che aveva catturato per Re Geimund; gli stessi mammut che giacevano sul proprio fianco, morti, sulle distese innevate davanti a Bruma, affianco al luogo della sconfitta del loro padrone.
Ma il momento di dire addio alle armi era arrivato, quella sarebbe stata l’ultima battaglia, nel bene o nel male.
Se avessero vinto, quelli che in quel momento tenevano la Città Imperiale non sarebbero stati talmente pazzi da tentare di resistere, e se avessero perso… non sarebbe stato un problema di Jaeger.
Titus Mede passò cavalcando davanti alla prima fila, concentrando su di sé l’attenzione di tutti.
Il suo volto era teso, ma in quell’armatura, a bordo di quel cavallo, l’autonominatosi imperatore appariva deciso.
Il suo braccio si sollevò, gli arcieri incoccarono le frecce, prendendo bene le misure della distanza che dovevano percorrere i dardi.
Mede urlò abbassando il braccio in avanti, verso il nemico, e il suo urlo venne seguito da una schiera di frecce che spiccavano il volo, andandosi ad abbattere contro la Legione Imperiale che si era schierata.
Le punte che cozzavano contro le armature producevano lo stesso rumore della grandine.
Udirono qualcuno trottare, da dietro di loro sbucò Lazare Milvan, conte di Forte Sutch, che conduceva avanti il cavallo, incitando gli altri.
Jaeger fece eco sollevando le asce per aizzare i suoi compagni nord, che risposero al richiamo.
Tutti partirono correndo verso il nemico.
Era cominciata, l’ultima battaglia.
Le urla cominciarono a venire anche dal lato opposto della radura, i legionari avevano sguainato le lame e si dirigevano verso i nemici.
L’impatto fu brutale; le prime due file davanti al nord scomparvero in una frazione di secondo, lo schieramento si frantumava man mano che i soldati andavano avanti.
I fronti degli eserciti si insinuavano l’uno nell’altro, come dita di due mani che si stringevano.
Jaeger si ritrovò circondato da sconosciuti in recanti i simboli imperiali; senza pietà affondò le lame nelle giunture delle armature di due legionari che gli davano le spalle.
Le loro urla non fecero altro che galvanizzarlo, ritirò velocemente le asce e subito le conficcò nel petto di un soldato sprovveduto.
Il mucchio davanti a lui cominciò a dissiparsi; il nord capì appena in tempo che stava arrivando un assalto di cavalleria per buttarsi di lato facendosi spazio con spintoni e colpi d’ascia.
La fila di cavalieri passò a velocità impressionante, sollevando un turbinio d’aria polverosa che entrava nelle narici già affaticate dei combattenti, e investendo un bretone che, spinto dall’urto, volò urlante per cinque metri, per poi spegnersi gemente a terra.
A capo della carica, Jaeger riconobbe, grazie agli stemmi imperiali, il monarca Thules, circondato da guardie del corpo, mentre scagliava saette e palle di fuoco in ogni direzione.
“Ha avuto il coraggio di venire fin qui, gliene do atto” concesse il nord, sinceramente impressionato.
Subito una spada gli calò di fianco, ferendo di striscio la schiena.
Dopo aver gridato per il dolore, Jaeger si girò di scatto, colpendo con un’ascia l’arma nemica, per tenerla ferma, e con l’altra il petto del soldato,
L’assalitore si inginocchiò, respirava a malapena, la spada era caduta, e il sangue cominciava a fuoriuscire dalla bocca.
Il nord passò oltre.
Vide, su una leggera altura poco lontano, una ventina di soldati che circondavano una figura a cavallo, che dell’armatura pareva un generale, intenta a urlare ordini.
Jaeger cercò con lo sguardo un capitano; dopo pochi secondi trovò quello della guarnigione di Solitude.
-Torklid!- chiamò, indicando col braccio sinistro ciò che aveva visto –Raccogli i tuoi uomini! Abbiamo un lavoro da fare!-
Gli uomini recanti lo stemma del lupo nero in campo rosso si riunirono in una formazione a cuspide, frantumando le formazioni imperiali mentre spingevano verso l’esterno, lungo il leggero declivio.
Il nord si unì all’assalto, mettendosi a mulinare le proprie asce in mezzo ai nemici; dall’alto della collina, echeggiavano le indicazioni del comandante.
Le file dei nemici si compattavano sempre di più; andare oltre diventava sempre più complicato, i reparti di fanteria pesante si avvicinavano sempre di più.
Jaeger si voltò, per osservare come procedeva la battaglia: la piana era completamente ricoperta di soldati, nella massa uniforme si riuscivano a riconoscere come delle correnti interne che giravano per tutti gli schieramenti. Le cavallerie continuavano a mietere vittime e a supportare avanzate senza mai incontrarsi, i due comandanti si attaccavano senza mai affrontarsi.
Non si riusciva a capire chi stesse avendo la meglio.
Il nord si voltò di nuovo e riprese ad avanzare, incitando i compagni.
-Avanti!- esortava –C’è un generale là sopra!-
Nonostante gli sforzi, non si riuscivano a fare progressi; dopo una decina di minuti stavano ancora combattendo per gli stessi due metri di terreno.
Ma, all’improvviso, le file nemiche si assottigliarono in un solo istante, in un unico grido soffocato dal respiro e dal rumore degli zoccoli dei cavalli, seguiti da una decina di reparti di fanteria.
I legionari si guardarono intorno, terrorizzati, circondati, sconfitti.
Gettarono le spade e alzarono le braccia al cielo al passaggio di Corvus Umbranox, conte di Anvil, a cavallo.
-Ho preso il controllo dell’avanguardia- annunciò ai nord increduli.
-E cosa è successo a Milvan?- chiese Jaeger.
-Una freccia. Non ce l’ha fatta- rispose il conte prima di ordinare ai suoi reparti di prepararsi a ripartire –Posso contare su di voi per riprendere quel colle?-
-Sarà fatto!- urlò di risposta il nord –Non ci saranno problemi-
-Eccellente!- si limitò ad esclamare Umbranox , prima di sparire seguito dai suoi uomini.
Dopo un paio di minuti, Jaeger raggiunse la sommità dell’altura.
Il generale scese da cavallo sguainando la spada, affianco a lui vi erano un ufficiale e un legato.
-Sono il generale Gratiatus- annunciò il primo, per poi indicare gli altri –e questi sono il sergente Ignatius e il legato Scavatus. Per essere arrivato fin qui, pensavo che avresti meritato di conoscere i nomi dei tuoi uccisori-
-Io sono Jaeger di Morthal- rispose lo sfidato –questo sarà il nome che i vostri familiari malediranno al vostro funerale-
I due ufficiali scattarono in avanti, lanciandosi in potenti fendenti verticali.
Riconoscendo l’inesperienza di quello di destra, che pareva avere come nome Ignatius, il nord fece una piroetta, per poi aspettare la fine dell’attacco e fare la propria mossa.
Dopo due rapidi fendenti laterali, roteò con le lame, indebolendo la difesa nemica, e infine colpì violentemente l’elmo di Ignatius, stordendolo.
Scavatus con un paio di falcate aggirò il compagno e fece un serie di affondi e finte per fare indietreggiare il nemico, che però, riconoscendo la tattica e i movimenti, riuscì a pararne uno, mettendo in bilico l’avversario, che cadde dopo una spallata.
Ignatius tentò di tornare nella mischia, ma venne facilmente disarmato da Jaeger.
-Aspetta…- tentò di dire lo sconfitto, prima di essere trafitto al petto da entrambe le lame del nord.
-Bastardo d’un Nord!- ruggì il generale, per poi gettarsi addosso al nemico.
Colto di sorpresa, Jaeger fece uno scatto indietro, schivando il colpo, lasciando che la spada si andasse a conficcare per terra.
Il nord decise di passare ad una tattica difensiva per poter avere tempo di pensare ad una soluzione per sconfiggere i due nemici.
La compagnia di Solitude, richiamata da Umbranox, stava scendendo per il declivio, andando a premere sul fianco dell’esercito imperiale, che, dopo aver perso il colle e il contatto con Gratiatus, stava cominciando a ripiegare mentre le fila nemiche lo stavano circondando.
I tre guerrieri erano soli, la battaglia infuriava ad una cinquantina di metri di distanza.
Jaeger si limitava a parare gli attacchi spostandosi ogni volta un po’ a sinistra.
Sapeva che doveva colpire il generale prima perché, a causa dell’età, sarebbe stato il bersaglio più debole; dopo averlo tolto di mezzo, il duello sarebbe stato alla pari.
L’occasione si presentò dopo una decina di secondi, Gratiatus si era allungato troppo e si era sbilanciato.
Con l’ascia sinistra, il nord gli mozzò l’avambraccio che portava l’arma.
Fiotti di sangue sgorgarono con irruenza in tutte le direzioni; il liquido caldo arrivò persino in faccia a Jaeger, che, però, non si fece distrarre nemmeno dal grido di dolore che irrompeva nelle sue orecchie, e, con una mossa decisa, conficcò l’altra lama nel collo del generale.
Altro sangue sprizzò con violenza dai vasi sanguigni recisi.
Coprendosi il volto, il nord indietreggiò con un balzo, lasciandosi sfuggire l’ascia che teneva nella mano destra.
Fece appena in tempo a vedere il fendente che lo stava per colpire per buttarsi a terra.
Il corpo di Gratiatus cadde di lato, in preda agli spasmi.
Al suo fianco, con l’armatura imbrattata di sangue che risplendeva alla luce del sole, si ergeva il legato Scavatus, la spada stretta nella mano destra, il volto contrattò in un’espressione di furia pura.
-Adesso siamo solo io e te- ridacchiò crudele il nord.
-No- rispose duro l’altro –soltanto io- per poi impugnare in entrambe le mani la lama e caricare un fendente verticali diretto verso la testa dell’uomo a terra.
Prontamente Jaeger sollevò l’ascia, andando  a intercettare il colpo.
Le due lame cozzarono producendo un suono acuto che rimase nell’aria per qualche momento, mentre l’arma del nord volò via per una mezza dozzina di metri.
In una frazione di secondo, Jaeger si alzò a si gettò addosso all’Imperiale, riuscendo a farlo sbilanciare e mollare la presa sulla spada.
Entrambi erano distesi, disarmati.
Scavatus tirò una ginocchiata al fianco del nord, per poi rialzarsi, barcollante.
Gemendo, per il colpo subito, Jaeger fece lo stesso, tirando, contemporaneamente, un montante destro al nemico, che fece un’enorme fatica a rimanere in piedi.
Seguì un altro pugno, e poi un altro, e un altro ancora.
 Il quinto venne bloccato, e l’Imperiale cominciò a rispondere.
Il nord indietreggiò, spinto dall’impeto del nemico.
Con un balzò, si allontano abbastanza per avere il tempo di guardarsi intorno, trovando la posizione della spada del legionario.
Dopo una finta col sinistro, tirò un colpo violentissimo col destro, rallentando Scavatus, per poi gettarsi sull’arma.
Ma appena dopo aver impugnato l’elsa, la mano  fu costretta a mollare dopo un calcio dell’Imperiale, che andò a raccogliere la spada.
Il nord scattò in piedi, per poi gettarsi addosso al legionario, atterrandolo.
Circondando con le proprie la mano destra, che recava l’arma, la portò verso di sé, la girò, e spinse, usando il peso del proprio corpo, verso il petto di Scavatus.
Quello, con la mano sinistra, cominciò a tirare pugni in faccia al nemico, mentre con la destra cercava di allontanare la lama.
Resistendo ai continui assalti, Jaeger continuò; urlò imprimendo più forza, e, dopo aver raggiunto il massimo dello sforzo, riuscì a trafiggere il petto dell’Imperiale.
Tutto si fermò, i pugni cessarono, e la spada rimase ferma, conficcata tra le piastre dell’armatura.
Alzandosi, il nord andò a raccogliere le proprie asce, accompagnato dai rantoli del moribondo.
-Te lo concedo, legato- ansimò mentre si inginocchiava affianco al legionario –hai combattuto con onore. Non meriti una morte lenta… addio-
Uno stridulo provenne dalla gola ripiena di sangue di Scavatus appena prima che entrambe le lame si conficcassero, ponendo fine alla vita del soldato.
Il nord prese le proprie armi, le mise alla vita, e guardò prima il campo di battaglia, e poi i tre cadaveri che aveva lasciato.
“Sembra una maniera adatta per concludere una carriera” notò, e decise che quella battaglia e quella guerra erano finite per lui.
Si sedette sul crinale, guardando i combattimenti ancora in corso, prese dalla tasca la sua pipa di skooma, che non usava da anni ormai, la riempì e, usando un basilare incantesimo delle fiamme, la accese.
-La storia di Ragnar inizia così, senza che nessuno l’attendesse quel dì…- cominciò a canticchiare con la voce lievemente alterata dal vapore narcotico che cominciava a levarsi nell’aria.
-Entrò tracotante brandendo la lama, urlando spavaldo di gloria e di fama…- Thules con la sua cavalleria cominciava a compiere giri più larghi nel campo di battaglia, costretto dall’avanzata dell’esercito di Mede.
 -Ma poi tutto a un tratto il tono scemò, quando di Matilda lo sguardo incrociò…- l’autoproclamatosi imperatore tentò di colpire il comandante avversario con un assalto laterale, ma, dividendosi, le file imperiale riuscirono a sopravvivere.
-Siam stanchi di udire si fatte menzogne, orsù diamo un limite a queste vergogne!- il drappello di un generale imperiale si era arreso dopo essere stato circondato dai reparti di Corvus Umbranox, che svolgeva il suo lavoro decisamente meglio di Lazare Milvan.
-Così d’un baleno il duello iniziava, con la prode Matilda che parava e affondava…- l’ala comandata da Re Waylas di Hammerfell aveva tagliato la strada alla cavalleria di Thules, che si ritrovava in quel momento circondata; quella di Mede, intanto, preparava la carica finale.
-Del povero Ragnar la sorte è segnata, di lui ci rimane una testa mozzata!!-i due schieramenti si scontrarono un’ultima volta. Dopo mezzo minuto di caos, un grido cominciò a levarsi e a diffondersi per tutta la piana: -Thules è morto! Thules è morto!-
Nel giro di una decina di minuti, tutti i reparti delle legioni imperiali si arresero e cominciarono ad inneggiare: -Titus Mede! Titus Mede imperatore!-
Jaeger scoppiò in una risata ebra.
La guerra era finita, anche per loro.
 
 
 
I pesanti cancelli cittadini si aprirono; il nord si incamminò lungo l’immenso ponte di candido marmo che collegava la Città Imperiale al resto di Cyrodiil.
Si appoggiò ad un parapetto e si mise a guardare il panorama.
 Il Lago Rumare si estendeva calmo, delimitato dalle sue frastagliate sponde coperte da un manto di vegetazione spoglio in quella parte dell’anno, le acque placide riflettevano l’azzurro intenso del cielo.
Su un isolotto si ergeva il complesso del porto, un arco di muratura che accoglieva al suo interno i magazzini, dal quale una nave era appena partita.
Si dirigeva verso sud; le coste meridionali del bacino d’acqua, collegate soltanto da un ponte, lasciavano spazio alle correnti del fiume Niben, che scorrevano con pacata decisione verso sud…
Il fiume era tornato percorribile dopo quasi un anno; la nave avrebbe incontrato lungo il suo percorso le rovine di Bravil, poi Leyawiin, e, più in là ancora, la Baia di Topal, da cui l’oceano sarebbe apparso.
Acqua, acqua e acqua, tanta quanto l’occhio ne poteva vedere… e, ancora più in là, chissà… forse Aldmeris.
Un boato proveniente dalla Talos Plaza ruppe il silenzio di quella tranquilla partenza.
In quel momento, Martin Valga stava consegnando a Titus Mede la Città Imperiale, chiudendo la rivolta e, forse, tutte le guerre che avevano preceduto quel momento, cominciate appena dopo la fine della Crisi dell’Oblivion.
Il condottiero coloviano aveva voluto portare con sé soltanto duemila uomini del suo esercito per la marcia sulla capitale; gli eserciti di Hammerfell, High Rock, Skyrim e Elsweyr erano stato mandati a mettere in sicurezza la proprie terre, così come buona parte delle guarnigioni cittadine e della legione.
Jaeger, non avendo nessun legame ufficiale con l’esercito nord, aveva avuto il permesso di seguire Mede fino alla Città Imperiale.
Il nuovo imperatore, dopo la battaglia, si era congratulato personalmente con il nord, per poi accettare di buon grado la sua richiesta di aver un posto stabile a corte.
-E così è finita- sussurrò Jaeger, per poi rivolgere lo sguardo alla nave in partenza.
Si guardò intorno; osservò le distese selvagge della Colovia e i maestosi monti Jerall, dietro i quali si celava la sua patria, la sua casa.
Un senso di malessere lo pervase. Voleva veramente abbandonare tutto quello?
Abbassò lo sguardo sulle proprie asce, che teneva ancora alla cintura, poi lo alzò puntando direttamente alla punta della Torre Oro Bianco.
Aveva sentito dire, una volta, che quella torre proietta le persone in alto, se quelle erano capaci di dominare quel mezzo; ma i pochi che erano arrivati alla cima non potevano che cadere.
Osservò di nuovo le proprie armi, poi le stalle, e poi il ponte che si estendeva davanti a lui.
Ripensò alle Prove di Kyne, ai suoi viaggi e alle sue avventure in giro per Skyrim, al suo ingresso nella guerra affianco a Geimund, e poi affianco a Mede, e allo scontro che aveva avuto con i tre legionari e la sua visione della battaglia.
E lui era diventato vecchio, ma c’erano ancora decine di cose da fare, luoghi da esplorare, belve da domare, piaceri da provare…
Afferrò le proprie asce e, dopo un attimo di esitazione, le scagliò nelle acque del Lago Rumare.
Le due armi fecero un singolo, solenne tonfo nella superficie cristallina, per poi scomparire per sempre.
Jaeger tornò a guardare la Torre Oro Bianco.
“Una persona per vincere non deve raggiungere la cima” pensò “Il vincente è quello che riconosce a che piano fermarsi“
Guardò i cancelli cittadini.
“Questo è il mio” si disse, per poi scomparire dietro i portali lignei recanti lo stemma del Drago Imperiale dei Septim.
   
 
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