Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: Francesca_H_Martin    12/10/2016    3 recensioni
"Era come se attraverso un singolo sguardo, un breve momento che sembrava però eterno, il ragazzo fosse riuscito a percepire tutto il dolore che Lydia stava sentendo in quell’attimo.
La guardava con una dolcezza indescrivibile.
La mano fredda di Stiles si spostò velocemente dalla tasca già stracolma del suo cappotto e si posò delicatamente sulla guancia di Lydia, provocandole involontariamente un brivido che le percorse tutta la schiena fino ad arrivare a quelle cicatrici sul collo.
—Lydia non sei più sola. Ci sono io con te, non avere paura. —
Quelle dita affusolate continuavano ad accarezzarla come se fosse un petalo delicato pronto a lasciare il suo fiore."
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kira Yukimura, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per una migliore lettura, ascoltate "in my veins" di Andrew Belle, ho scritto tutto ascoltando questo pezzo <3 ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti! 
Voglio dirvi una cosa su questo capitolo...Per me è davvero importante in quanto non solo riguarda principalmente il mio personaggio preferito in assoluto, ossia Lydia, ma anche perchè è come se avessi messo a nudo la mia anima attraverso lei.
Sapete quando si dice che a volte si entra in una profonda sintonia con un personaggio? Quando riesci a capire quel personaggio più di qualsiasi altra cosa? Quando sembra vi leghi un'indissolubile e forte connessione?
Beh, io provo tutto questo con Lydia. E' come se la conoscessi davvero e, grazie a lei, posso ogni volta trascrivere su carta una parte di me, della mia anima.
Quindi, grazie mia piccola Lydia Martin <3

Se volete che la storia continui, mi raccomando, commentata qui sul sito <3 Fatemi sapere cosa ne pensate.
Buona lettura a tutti!







Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.
Ispira ed espira, Lydia. Ispira ed espira”.
Lydia contava sempre fino a dieci quando un dolore insopportabile le assaliva lo stomaco e non le permetteva di respirare. La aiutava a calmare i nervi, a riacquistare la vista che momentaneamente veniva oscurata da un pozzo di profondo e insormontabile buio totale.
Aveva imparato questo metodo da sola, quando era piccola, da uno di quei cartoni che cercavano di convincere tutti che ogni cosa aveva un lieto fine e che tutto poteva essere superato solo se si voleva.
Già all’epoca trovava la cosa alquanto stupida, nonostante amasse le favole e fosse così piccina da non arrivare neanche al mobiletto delle merendine.
Ogni qual volta chiedesse alla mamma di prendergliene una, le rispondeva sempre -“piccola mia, non mangiarle, nessuno ti amerà mai se le mangi. Vuoi che qualcuno ti ami , vero?”- e alla fine la conversazione si concludeva sempre con un cenno della testa di Lydia, anche se non capiva mai cosa c’entrasse quello con l’amore.
In realtà, non capiva proprio cosa fosse l’amore.
Se era una questione di merendine, perché anche se sua mamma non le aveva mai mangiate, suo padre si comportava in quel modo con lei? Come se non le volesse neanche bene?- Lydia se l’era chiesto molte volte, ma non era mai riuscita a trovare una risposta.
Ogni giorno tornava a casa da scuola, posava lo zaino in cucina e si dirigeva in cameretta correndo, stringendo quelle delicate manine sulle sue orecchie, per non ascoltare le violente urla e tutto ciò che i suoi genitori si dicessero, colmi di rabbia.
“Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.”
Lo ripeteva continuamente, come una cantilena, sforzandosi di non piangere perché-come le aveva detto suo padre- “piangere è da deboli”, e lei no, non voleva essere debole.
Lo ripeteva fino a quando, finalmente, quelli che la sua testa percepiva come dolorosi e fastidiosi rumori non cessavano.
Apriva sempre delicatamente la porta e in punta di piedi si recava ogni volta in quel salotto freddo e gelido a causa della pesante atmosfera che si respirava.
Sua madre era lì, nel solito posto, in ginocchio con il viso coperto dalle sue stesse mani. Piangeva singhiozzando, ma nonostante questo, appena la bambina si avvicinava per abbracciarla, le rispondeva sempre “Lydia sto bene, non sto piangendo. Sono solo felice che tu abbia preso dieci in matematica. Mi ha chiamato la tua maestra per dirmelo”- e puntualmente si asciugava le lacrime, sostituendole con uno dei sorrisi più grandi che avesse mai visto.
Lydia sapeva che Natalie mentiva perché i suoi occhi raccontavano una storia completamente diversa.
Erano sempre rossi e sconvolti…Tristi.
Le aveva sempre detto che le bugie non si dicono, ma lei in quei momenti puntualmente gliele raccontava.
Allora forse era vero quello che il padre le aveva sempre ripetuto.
Piangere è da deboli. Esprimere i sentimenti attraverso le lacrime è da codardi.
Per nasconderle anche sue madre, era decisamente così.
Lydia Martin non avrebbe mai più dovuto piangere. Lydia Martin non avrebbe mai dovuto essere una debole.
 
                                                                  ***
 
                                 “Well, I think you look really beautiful when you cry”
 
 
Stiles Stilinski compariva dal nulla ogni qual volta Lydia Martin ne avesse bisogno.
Si era sempre chiesta come un ragazzino tanto goffo e impacciato, del quale conosceva soltanto il buffo nome, riuscisse ad essere presente ogni qual volta il suo cuore battesse così forte per il dolore, tanto da non respirare.
Ormai era diventato la sua conta fino a dieci, il suo rimedio efficace per prendere fiato e dimenticare tutto il male.
In quel momento si trovava proprio lì, poggiato sul finestrino della macchina di Lydia, guardandola come si guarda una meravigliosa notte stellata, nonostante lei stesse piangendo a dirotto e avesse tutto il trucco sciolto e sparso qui e lì sul volto.
“Piangere è da deboli. Piangere è da deboli. Smettila di piangere, Lydia Martin”.
La voce del padre le rimbombava nella testa come il ritornello di una bella canzone appena ascoltata.
Esortò Stiles ad andare via; non doveva vederla in quel modo. Non poteva apparire indifesa e fragile, era pur sempre Lydia Martin, la ragazza più forte e popolare della scuola.
“Penso tu sia davvero bella quando piangi.”
Stiles Stilinski.
Stiles Stilinski le aveva appena pronunciato quelle parole con una convinzione tale che anche la ragazza ci credette per un attimo.
Forse Stiles aveva ragione.
Forse piangere non era poi così male.
Forse piangere non era poi così strano.
Forse non era davvero da deboli, ma solo da umani.
Quelle voci nella sua testa però erano più forti di qualsiasi cosa.
Vuoto.
Provocavano un vuoto così grande nello stomaco, come una voragine capace di risucchiare ogni organo vitale e di renderti incapace di provare qualsiasi tipo di sollievo.
Quando il padre le disse che era da stupidi e deboli piangere, si trovava in piedi, davanti la tomba di sua nonna, disperata.
Indossava uno di quei vestitini perfetti,  scelto con cura dalla sua madre perfetta per il funerale organizzato in modo perfetto.
Dio, quanto odiava quella parola.
Suo padre le si avvicinò silenziosamente e invece di stringerle la mano o di abbracciarla e confortarla, le disse un semplice: “sei bellissima vestita in questo modo”.
Lydia lo guardava con occhi gonfi e pieni di lacrime, con uno sguardo perso, interrogativo. Non capiva come potesse più importargli di come appariva invece di che cosa stesse provando in quel momento.
Come faceva a non sentire quel dolore lacerante che stava sentendo lei e pensare solo a cose stupide e superflue? Perché sul suo volto non traspariva neanche il minimo segno di una  qualsiasi emozione?
D’altronde era sua madre.
La stessa persona che gli rimboccava le coperte quando era piccolo.
La stessa persona dolce e amorevole che la chiamava Ariel e che la incoraggiava sempre ad inseguire i suoi sogni. A raggiungerli e tenerli stretti a sé.
Fissando gli occhi di suo padre vedeva soltanto la sua immagine riflessa, come sei si trovasse davanti uno specchio inanime.
“Lydia, sai, piangere è da deboli. Smettila di piangere, Lydia Martin.
Ti insegnerò una cosa per quando sarai grande.
Sai, la vita non sarà sempre bella. Non sarai spensierata per sempre, come ora.
Sorgeranno i problemi, la gente ne parlerà e tu sarai costretta a fingere che tutto vada bene perché se no gli altri approfitteranno di tutte le tue fragilità.
Devi contenere le emozioni, bambina mia, per poter essere rispettata e amata. Per essere migliore di tutti, come me.
Perché tu vuoi essere un giorno rispettata e amata, migliore degli altri, migliore di tutti, vero?”
Lydia non rispose mai a quella domanda.
Si girò di nuovo di fronte quella tomba e con le maniche della giacca si asciugò le lacrime.
Sua madre Natalie, nonostante venisse trattata in quel modo da suo padre, rimaneva sempre al suo fianco, come in quel preciso momento.
Forse lei, nonostante tutto, davvero l’amava. Forse lo amava a tal punto da non riuscire ad allontanarsi o forse non riusciva ad allontanarsi per paura di non trovare nessun’altro o perlomeno nessuno migliore di lui. Forse pensava di non meritare di meglio.
Amare quindi significava accontentarsi.
Forse davvero era vero quello che il padre le aveva detto.
Forse l’amore era solo per coloro che si mostravano forti e pieni di sé, sicuri di sé.
Forse quello che c’era tra i suoi genitori era l’amore.
Forse l’amore vero si manifestava in quel modo insolito.
Forse per essere amati bisognava nascondere le emozioni, perché le emozioni rendono deboli.
Forse bisognava davvero nascondere ciò che si era per essere amati.
Lydia Martin non avrebbe mai più dovuto mostrare le sue emozioni, Lydia Martin non avrebbe mai dovuto più essere una debole.
                        
                                                                   ***
                
                        Lydia, I've had a crush on you since the third grade,
                              and I know that somewhere inside that cold,
                             lifeless exterior there's an actual human soul.
                             And I'm also pretty sure that I'm the only one
                                   who knows how smart you really are.
                           And that once you're done pretending being a nitwit,
                    you'll eventually go off and write some insane mathematical
                                     theorem that wins you the Nobel Prize.                          
 
 
 
Stiles Stilinski compariva dal nulla ogni qual volta Lydia Martin ne avesse bisogno.
Nonostante i muri altissimi che la ragazza aveva alzato per non essere ferita e per paura di sembrare debole, lui era riuscito a capire davvero com’era. Era riuscito a leggerla, a scrutare ogni più piccola parte della sua anima, anche quelle quasi impossibili da raggiungere.
Aveva superato le apparenze, quei finti sorrisi e quelle stupide battutine da oca giuliva, cosa che Lydia Martin non era e non era mai stata.
Stiles in quel momento guardava Lydia con occhi sinceri e convinti.
Non aveva mai visto qualcuno che credesse così tanto in ciò che dicesse.
Che cosa buffa, quel ragazzo quasi del tutto sconosciuto la conosceva meglio di chiunque altro.
Quel ragazzino che ormai, pian piano, stava diventando-senza accorgersene-una costante importante nella sua vita.
Era l’unico che riusciva a strapparle un sorriso, di quelli veri, di quelli fatti con il cuore.
Era l’unico che riusciva a far uscire la vera Lydia.
Era l’unico a leggere e a comprendere quel turbinio di emozioni che la ragazza aveva tentato disperatamente di nascondere e assopire, solo per essere amata.
Perché per essere amati bisogna nascondere le emozioni, di conseguenza tutto ciò che si è, in quanto l’uomo ne costituisce l’insieme.
Forse Stiles aveva ragione.
Forse esprimere le proprie emozioni, essere se stessi non era poi una brutta cosa.
Forse essere se stessi ti rende migliore.
Forse essendo te stesso, puoi essere realmente amato.
Che senso ha essere amato se non si è se stessi?
E’ un po’ come amare un qualcosa che non esiste.
E’ come amare il vuoto.
Inutile e deludente.
Forse suo padre aveva torto.
Forse lei era speciale per quel che era, non per come appariva, come le aveva detto Stiles.
Perché però allora suo padre l’aveva abbandonata, lasciandola sola?
Forse perché , nonostante tutto, lei non era abbastanza per lui. Non era all’altezza delle sue aspettative.
La ragazza ripensò al fatto che, ogni sera, quando era piccola, aspettava che tornasse suo padre dal lavoro, nel suo studio.
Era un posto abbastanza triste e cupo, le incuteva timore, ma nonostante questo la voglia di vederlo e passare un po’ di tempo con lui era più forte di qualsiasi altra cosa.
Si sedeva sulla poltrona e per passare il tempo giocava sempre ad uno di quei giochini da intellettuali, quelli che suo padre continuamente le ripeteva fossero “per grandi” e non per lei.
Ogni volta li completava correttamente, era una bambina davvero intelligente, ma nonostante questo, appena-tutta entusiasta-le dicesse che quei giochi non erano poi così difficili, le ripeteva sempre: “E’ impossibile. Sono sicuro che hai letto la soluzione dal retro. Ora vai a giocare, bambina mia, perché ho importanti chiamate da fare.”, e puntualmente Lydia si ritrovava la porta sbattuta in faccia.
Non un abbraccio, una carezza, un minimo cenno di orgoglio e di interesse per sua figlia.
Forse non c’era niente di interessante in lei per far si che suo padre prestasse più attenzioni alla sua bambina.
Forse suo padre aveva ragione, Lydia Martin non ne valeva la pena.
Forse Lydia Martin era inutile e insignificante.
Forse Lydia Martin non meritava la sua fiducia. Forse Lydia Martin non meritava la fiducia di nessuno.
Forse neanche lei doveva credere in sé stessa. Suo padre non aveva mai creduto in lei. Suo padre aveva solo dubitato di lei, per qualsiasi cosa.
Forse suo padre aveva ragione.
Forse in lei non c’era nulla in cui credere.
 
                                                                   ***
 
                             Hey, Lydia, you've been right every time something
                    like this has happened, okay? So, don't start doubting yourself now.
                  Okay, look, Barrow was there, alright? You knew it. You felt it.
                                                  And, look, if you wanted to,
               I'd go back to that school right now and search all night just to prove it.
 
 
Stiles Stilinski compariva dal nulla ogni qual volta Lydia Martin ne avesse bisogno.
Ora finalmente erano diventati amici, due amici che si completavano, legati da un filo invisibile, molto simile a quello che stava tenendo Lydia in mano in quel momento.
Rosso, come gli amati casi irrisolti del ragazzo.
Lydia pensava che Stiles, con la sua intelligenza, prima o poi sarebbe riuscito a risolverli tutti.
Mentre il ragazzo srotolava dolcemente il filo dalle dita della ragazza, lei lo guardava estasiata.
Sentiva le farfalle nello stomaco e una felicità improvvisa nel cuore solo perché la persona che era di fronte a lei credeva così tanto nelle sue capacità, tanto da essere disposto a far di tutto pur di dimostrarle che aveva ragione.
Lydia Martin non aveva mai provato quella sensazione.
Si era domandata spesso cosa significasse essere apprezzati da qualcuno, ma in quel preciso momento capì che era un qualcosa di stupendo, una qualcosa capace di demolire qualsiasi paranoia o insicurezza.
Forse Stiles aveva ragione.
Forse non doveva più dubitare di sé stessa.
Forse davvero Lydia Martin era forte e piena di capacità.
Forse Lydia Martin davvero ne valeva la pena.
Lydia Martin non avrebbe mai più dovuto sentirsi inferiore agli altri.
Lydia Martin non avrebbe mai più dovuto dar ascolto alle parole di suo padre.
Lydia Martin avrebbe dovuto smettere di cercare nei ragazzi la figura di suo padre.
Lydia Martin avrebbe dovuto smettere di stare con i cattivi ragazzi solo per paura di non meritare di meglio.
Lydia Martin meritava decisamente di meglio.
Lydia Martin meritava l’amore vero.
 
 
Grazie a Stiles Stilinski, Lydia Martin aveva abbattuto i suoi alti muri e quelle stupide convinzioni inculcate da una persona che in realtà non la amava per nulla.
Grazie a Stiles Stilinski, Lydia Martin era una persona completamente nuova: era finalmente se stessa.
L’amore non era mai stato ciò che c’era tra i suoi genitori, ormai ne era consapevole.
Cos’era quindi?
Lydia ci pensò su un secondo e sorrise, alzando più che poteva gli angoli della bocca.
Finalmente, dopo anni ed anni, era arrivata ad una risposta.
L’amore rappresenta una persona che crede totalmente in te, anche quando sei la prima a non farlo.
L'amore rappresenta una persona che ti protegge ad ogni costo, che ti capisce senza neanche parlare.
L'amore rappresenta una persona che ti spalleggia sempre, che ti apprezza per come sei e con la quale sei te  stesso.
L’amore ormai per lei ha un nome: Stiles.
 
 
                                                                   ***
 
 
—Lydia, è da un’ora che ti giri e rigiri in quel letto, qualcosa non va? — le disse Kira, sbadigliando subito dopo per il sonno.
Erano ormai le tre di notte, Lydia aveva pensato e ripensato a ciò che era successo in quello sgabuzzino con Stiles e al fatto che senza averlo conosciuto, ora sarebbe ancora la ragazzina “finta” e spaventata che era una volta.
Brividi le percorsero il corpo solo all’idea.
Si alzò dal letto e si sedette accanto a Kira, accendendo quella lampada che si trovava sul comodino.
—Stiles mi ha insegnato che esprimere le proprie emozioni non è da deboli e facendolo mi ha salvata. Quindi ora lo dirò, dirò quella magica parolina che mi terrorizza. Sarà una prova, perché ho intenzione di dirgliela. Lui deve sapere. —
L’espressione di Kira era indescrivibile a parole. Aveva gli occhi che le brillavano e un sorriso così grande sul volto che a Lydia improvvisamente iniziò a battere il cuore per l’ansia.
Chiuse gli occhi e si schiarì la voce, immaginando quel piccolo ragazzino che gli aveva cambiato radicalmente la vita in meglio, lì, proprio di fronte a lei.
—Stiles io…Io…— Kira-vedendo la difficoltà dell’amica-pose la sua mano sulla sua, stringendogliela forte.
 —Stiles io…ti amo. Ok, l’ho detto davvero. Io… ti amo. — Lydia riaprì gli occhi e sorrise dolcemente. Si sentiva strana, diversa.
Non erano parole che aveva detto spesso, ma erano così sentite e vere che per la prima volta non era riuscita a trattenerle. Voleva urlarle al mondo.
Sei il mio eroe, Stiles.
 
                                     
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Francesca_H_Martin