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Autore: Vago    14/10/2016    1 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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I sei assassini si ritrovarono fuori dalle mura del Palazzo della Mezzanotte cinque giorni dopo il loro arrivo.
Indosso, i nuovi abiti che gli avevano dato sembravano fuori luogo, sopra quei corpi che ancora mostravano gli effetti del lungo viaggio.
Rayn aveva avuto il permesso per poter salutare nuovamente l’amico, ma i pochi minuti che gli erano stati concessi stavano per scadere e l’alta struttura scura lo stava per reclamare nuovamente.
- Tornerai? – chiese il Lupo dai capelli chiari poco prima di rientrare nel circolo delle mura.
- Non lo so. Spero però di incontrarti di nuovo, davvero. –
Rayn diede un ultimo abbraccio all’amico d’infanzia, per poi scomparire alla sua vista dietro il pesante portone.

Il direttore non aveva ricevuto notizie incoraggianti dall’isola dei draghi.
La popolazione era in subbuglio per la morte del re e la corona stentava a trovare una nuova testa su cui posarsi.
La notte precedente, Vanenir II era riuscito a mandare una lettera al direttore, spiegando, per quanto possibile, in poche righe quanto la situazione fosse drastica.
- Siete sicuri di volerlo fare? Dopotutto la politica dei draghi non è affare nostro. – disse Nirghe guardando i due affusolati draghi bianchi che li aspettavano sul limitare della Terra degli Eroi.
- Se davvero i Sei hanno costruito un’arma contro il demone, dobbiamo riuscire a trovarla. A qualunque costo. – gli rispose Mea.
Hile accarezzò il capo del suo lupo, cercando di mantenersi obbiettivo in quella situazione. Ultimamente, il non farsi trasportare dagli eventi gli risultava estremamente difficile.
Mea aveva ragione, i compagni ancora non gli avevano svelato quale fosse il potere che nascondevano e, in quel momento, di certo non avevano le capacità o il potere di contrastare un demone millenario.
Dovevano andare, anche se questo voleva dire gettarsi nel mezzo di una guerra civile e sviare dalla loro missione.
I due draghi bianchi si scostarono, sorpresi, all’arrivo del rettile di cristallo di Keria. Facendosi inquieti davanti a quella creatura.
- Tranquilli. – gli disse l’arciere avvicinandosi. – Non è un drago normale, ma non per questo dovete temerlo. –
- Non mi inquieta la sua natura, ma la mente che possiede. Non ha l’intelligenza dei draghi. – le rispose uno dei due.
Keria non seppe come rispondere a quella affermazione, ritirandosi nuovamente in silenzio.
- Porgete i miei saluti a Vanenir. Che il vento possa sempre soffiarvi a favore. – disse il direttore in direzione dei draghi.
- Lo faremo. Adesso però dobbiamo partire, perché l viaggio è lungo e gli scontri imperversano. Voi verrete con noi? –
- Si. – rispose Mea decisa.
- Bene. – disse ancora il drago, per poi accucciarsi con il ventre premuto contro il suolo.
- Questa storia non mi dice nulla di buono. – borbottò Nirghe in direzione del Lupo.
- Quando mai siamo andati incontro a cose facili? – gli rispose Hile, senza fermare il suo passo.

Il tempo fu clemente con i viaggiatori. Le nuvole temporalesche si tennero a distanza in quel cielo sconfinato, mentre tre draghi, un’aquila e un corvo solcavano i venti in direzione nord, verso quell’isola vulcanica che, avvicinandosi, sembrava sempre più un segno di cattivo presagio.

La bocca del vulcano si spalancò sotto i loro piedi, seguita dalla picchiata che i draghi compirono per entrarci.
L’aria era calda, umida e intrisa dell’odore dello zolfo. Quella montagna doveva aver eruttato recentemente.
Il pavimento nero, scavato dalle centinaia di artigli comparve sotto le zampe dei draghi, permettendo a questi di interrompere il loro volo che ormai da troppo tempo affaticava le loro ali.
I due rettili umani si ritrassero, diminuendo nelle loro dimensioni e acquistando la forma umana di un uomo e una donna.
Un rumore di passi svelti riempì quella sala per alcuni secondi, seguito dalla comparsa della longilinea figura di Vanenir.
- Ben tornati, Sera e Redet. Vedo che le miei preghiere sono state ascoltate e anche voi siete venuti. – disse infine voltandosi verso i sei assassini.
- Il direttore della Setta dei Sei le manda i suoi saluti. – disse la donna chinando il capo.
- Dovrò ringraziarlo per tutto il lavoro che ha fatto… - disse tra se e se il quartogenito della casata reale.
- Vanenir… - Keria ebbe un attimo di esitazione, non sapendo bene come comportarsi di fronte a quella figura – lei sa perché siamo venuti fin qui? –
Il drago si voltò verso l’arciere, sobbalzando di fronte alla mole cristallina del compagno, ma non facendo commenti al riguardo. – Il vostro direttore mi ha informato di tutto e, per quanto mi è stato possibile, ho già cominciato a lavorare al vostro problema… Voi siete al corrente di cosa sta succedendo qui? –
- Non conosciamo ancora i dettagli. – gli rispose Mea.
- Allora seguitemi. Vi dirò tutto mentre camminiamo. –
Il quartogenito della casata reale imboccò a passo spedito il tunnel dal quale era arrivato, preceduto dalle due guardie che avevano condotto fin lì i sei assassini. A chiudere la fila, svettava imponente la mole cristallina del drago di Keria.

- Vedete, - disse Vanenir dopo qualche minuto di pesante silenzio – la situazione della mia razza è critica. Meno di una settimana fa mio fratello Réalta è stato assassinato, il suo aggressore ancora non è stato catturato e gli ingranaggi della successione al trono si sono inceppati. In tempi normali, dopo due giorni di lutto, Salema avrebbe dovuto rivendicare la sala del trono e cominciare il suo periodo di reggenza… -
- Cosa è successo perché questo non avvenisse? – chiese Mea con la fronte contratta in un’espressione concentrata.
- Alcune guardie, sotto incantesimo, hanno giurato che l’ultimo drago che abbia visto il mio defunto fratello vivo sia stato Salema. A complicare la faccenda, sul cadavere sono state ritrovate delle squame che corrispondono a quelle di mio fratello in quanto colore. Salema e Réalta non sono mai stati in buoni rapporti, ma non posso nemmeno immaginare che il secondo della mia famiglia possa aver compiuto un atto tanto barbaro. –
- Che ripercussioni sta avendo questo fatto sul tuo popolo? – continuò la mezzelfa.
- Molti si sono lamentati. Sacche di resistenza si sono formate per tutta l’isola, impegnandosi ad ostacolare quest’incoronazione. Diciamo che Salema non è mai stato particolarmente bravo a farsi ben volere dal popolo, così una porzione di nobili e famiglie meno influenti hanno avanzato la proposta che sia io ad assumere il comando della mia specie. Solo un attimo. –
Le mani di Vanenir corsero a un mazzo di chiavi che portava appeso alla vita, scegliendone sicuro una e inserendola nella serratura della porta davanti alla quale si era fermato.
Il meccanismo scattò con un clangore metallico, lasciando alla porta di aprirsi e folla che occupava il corridoio di riversarsi in una grossa sala a misura di drago.
Sulla destra si apriva un’altra porta, ignorata da Vanenir, che preferì invece puntare in direzione della scrivania che era sistemata davanti al muro opposto.
- Vi dicevo. – riprese non appena si fu seduto su una poltrona ricoperta da una splendida stoffa rossa intessuta di fili argentei – Che sia stato o meno Salema a commettere questo terribile atto, ora il regno è spaccato a metà. Le famiglie schierate con mio fratello sono per la sua politica isolazionista o, nel peggiore degli scenari, aggressiva nei confronti di coloro che abitano le Terre, la restante porzione di popolo vede invece in me la possibilità di tornare ad avere rapporti con il mondo oltre le acque di questo mare. Il vero problema in tutto questo è che non è più solo se Salema ha ucciso Réalta o meno, dopotutto mio fratello non è mai stato un buon sovrano e non credo che nessuna delle fazioni lo rimpiangerà, ma che genere di politica si seguirà adesso. –
- Adesso, come pensi di muoverti? – gli chiese Nirghe, torturando con le dita l’elsa di una delle sue spade.
- Innanzitutto voglio vedere ancora molte albe. Sono già stati sventati tre tentativi di omicidio nei miei confronti, da quando è scoppiato questo putiferio. Come secondo punto, ho intenzione di raggiungere, ancora in possesso del senso della vista, la biblioteca privata reale, dove dovrebbero essere custodite le informazioni per cui siete venuti fin qui. Per il momento, intanto, posso chiedervi di fermarvi qui come miei ospiti? –

Vanenir II si allontanò a passo svelto dalle piccole stanze in cui era riuscito a sistemare quegli adepti della setta e gli animali che li seguivano ovunque. Il principe rabbrividì al ricordo di quel drago dalle squame così anormali. Ne era certo, non faceva parte della sua razza, nel suo petto non batteva il cuore di un vero drago. Loro due erano profondamente diversi.
Le due guardie lo seguirono silenziose, attente a non disturbare i pensieri del drago che volevano veder salire al potere. Loro erano il primo e la secondogenita di una delle cinque famiglie più ricche dell’isola dei draghi, una delle poche che aveva mantenuta intatta la stirpe dei draghi dell’aria, facendo si che le loro squame rimanessero candide erede dopo erede, e non avevano intenzione di lasciare a Salema il controllo sulle loro terre. Non dopo la sua presunta colpevolezza nell’omicidio del precedente sovrano e gli attentati al fratello minore.
Vanenir si fermò di fronte a una porta, sicuro.
- Potreste aspettare qui fuori per un attimo? Devo assolutamente fare una ricerca tra i beni di mia madre ed è una cosa molto personale. –
Le due guardie acconsentirono a quello sguardo così gentile, non rinunciando, però, al pararsi davanti a quell’ingresso, proibendo a chiunque l’accesso a quella stanza.
Il quartogenito della casata reale si chiuse alle spalle il battente, lasciandosi scappare un sospiro di sollievo, per poi guardarsi intorno.
Non entrava in quella stanza da anni, da quando sua madre era morta per colpa del morbo e suo fratello aveva tinto le fiamme reali. Tutto era rimasto come lo avevano lasciato, il letto a baldacchino che aveva ospitato la regina Jaery durante i suoi ultimi mesi di vita, ora supportava solo un denso strato di polvere, sedimentata negli anni fino a rendersi un’unica coltre grigia. Nessun ragno abitava le viscere di quella montagna, per questo il soffitto appariva così insolitamente pulito.
Il principe si portò al muro opposto all’ingresso, guardando la porta in legno, dubbioso, poi si decise a parlare.
- Avanti, fatti vedere. –

Essere comandati a bacchetta, che meraviglia.
Ogni tanto mi chiedo perché lo sto facendo, davvero. Non sono un cane, non sono un maledetto cavallo e non sono uno di quei dannatissimi animali da fattoria. Sono una musa, per l’amor del Fato! Dove diavolo è finita la mia dignità?
Oh, già. Chiusa in una gabbia in diamante e drogata assieme a Lei.
Ora zitto e scodinzola.

Un uomo si materializzò lentamente di fronte al drago. I lineamenti sottili del viso erano incorniciati da una chioma di capelli corvini, su cui svettava una ciocca argentea. Gli occhi scuri non poteva nascondere l’enorme quantità di anni che avevano visto susseguirsi, mentre delle sottili labbra chiare accennavano un sorriso ironico. La figura slanciata era stretta in un abito nero che pareva essere stato cucito direttamente sulla pelle, tanto era attillata la stoffa.
- Mi ha chiamato? – chiese l’uomo piegando la testa di lato.
- Avanti, sai benissimo la risposta, Viandante. –
- Ha ragione, signore. Mi dica, qual è l’incarico che vuole affidarmi a nome del Consiglio? –

Che io sappia, Vanenir II è l’unico esponente della razza dei draghi ad essere riuscito ad entrare nelle Loro fila.
Non fossi soggetto ad ogni suo capriccio, mi complimenterei con lui per aver raggiunto questo obbiettivo a una così giovane età.
Purtroppo non è così.

- Dovrai fare come ci siamo accordati al nostro ultimo incontro. Ricordati, non voglio vittime tra le mie fila, al massimo posso tollerare dei ferimenti non letali. –
- Le ricordo, signore, che io sono tenuto ad eseguire i suoi comandi finché questi non vadano a collidere con la mia missione principale. –
- Lo so molto bene, Viandante, e non ho intenzione di perdere delle pedine preziose come quei sei assassini. Ti darò io il segnale per iniziare, fino ad allora, resta in attesa. –
Il principe guardò l’uomo dissolversi nuovamente nell’aria mentre era intento ad inchinarsi.
- Ucciderne ancora uno per il bene di tutta la mia razza. È un prezzo che sono disposto a pagare, finché il mio popolo non metterà in dubbio la mia autorità. – borbottò, tornando a muoversi in direzione dell’uscita.
Non aveva intenzione di passare un solo minuto ancora in quella stanza che gli ricordava sua madre.
Sorrise alle due guardie e riprese a camminare svelto tra i cunicoli. Doveva organizzare ancora molto, perché quella insensata guerra civile finisse. Gli era giunta voce che il più piccolo della covata di una famiglia di suoi sostenitori era stato rapito nel vicino vulcano di Isargal, dove un certo lord Ferengar stava portando avanti una campagna a favore di Salema. La situazione a Carent non era molto migliore, nonostante avesse ottimi rapporti con il lord di stanza lì, sacche di resistenza dell’altra fazione cercavano quasi quotidianamente di far inceppare la grande macchina che era quella città.
Vanenir accelerò il passo, passandosi una mano tra i capelli. I draghi potevano essere la razza migliore esistente, sotto ogni punto di vista. Erano forti, intelligenti, estrosi, molto più delle altre razze, per non parlare che la loro aspettativa di vita era quasi il triplo di quella di un qualunque bipede delle Terre, ma tutto questo veniva vanificato dalla cocciutaggine e dalla chiusura mentale che sapevano dimostrare.
- Sera, potresti andare a dire ai miei cuochi che, questa sera, avremo degli ospiti a cena? Io devo andare a parlare con loro. –
La dragonessa si inchinò velocemente, per poi scomparire in un corridoio laterale producendo appena dei leggeri tonfi, durante la sua corsa.
Non doveva sbagliare nemmeno una parola, il destino di quell’isola dipendeva da quello.
Vanenir aprì l’ennesima porta, attirando su di sé gli sguardi dei sei assassini che lo aspettavano nella stanza e ricambiandoli con un sorriso cortese.
Loro erano il suo asso nella manica.

   
 
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