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Autore: simocarre83    17/10/2016    3 recensioni
Può una telefonata cambiare la vita di una persona? Dipende dalla telefonata. Il problema è che spesso non sappiamo quale sarà quella telefonata. Potessimo saperlo, la registreremmo per ricordarcela, o non risponderemmo neanche. Ma non lo sappiamo. E quando ce ne accorgiamo è troppo tardi e possiamo solo sperare che la vita cambi. In meglio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11 – TUTTI QUI
Con poche ma decise mosse, curai il labbro e fermai l’emorragia dal naso. Francesco capì immediatamente di non meritare neanche una cosa simile da parte mia. E se solo avesse compreso chiaramente il mio sguardo, avrebbe visto dispiacere per quello che gli era successo ma anche profonda rabbia per il comportamento di tutti e tre. Capii che la situazione in cui si trovava Francesco, era ideale per farlo parlare e farmi spiegare cosa era successo. L’unica cosa che poteva fermarlo, in quel momento, era la paura.
Mi dispiaceva farlo. Ma anche a costo di passare per il cattivo della situazione, dovetti alzare la voce. E ordinarglielo.
“Adesso tu mi dici tutto quello che è successo. Voglio i nomi di quelli che ti hanno aggredito e voglio sapere perché. Voglio sapere tutto altrimenti, quant’è vero che mi chiamo Simone, ti do il resto”. Dissi quell’ultima frase per spaventarlo ancora di più. Non l’avrei mai neanche sfiorato. Ma Francesco lo capì immediatamente e mi rispose.
“Tutto è iniziato quando Giuseppe ha ricevuto una lettera dai Tre Fratelli. In questa lettera intimavano a lui e noi di non avere alcun contatto con te, anche se tu fossi sceso. È accaduto circa dopo Pasqua. E da quel momento tu non hai ricevuto più alcuna notizia da noi o Giuseppe, giusto?”. Un cenno affermativo da parte mia gli confermò che aveva ragione e che poteva continuare.
“Oggi quando ti ho quasi salutato, ho pensato che Emanuele avesse fatto in tempo a fermarmi. Ma non c’era riuscito. E per quel cenno di saluto ho pagato”
“E chi ti ha fatto pagare?”
“È questa la cosa strana! Perché è stato Amaraldo e con lui c’era un altro. Che aveva il viso coperto, per non farsi riconoscere da me o da chiunque l’avesse visto”
“Cioè vuoi dire che con Amaraldo non c’era uno degli altri tre? E perché se erano solo in due non vi siete difesi?”
“Non era né Michele, né Dorian né Salvatore, ti ho detto. E Giuseppe e Emanuele non erano con me. Erano in casa di Giuseppe e io li stavo raggiungendo. Hanno fatto appena in tempo ad uscire per vederli scappare. Che cosa potevano fare?”
“Capisco” risposi, anche se, obiettivamente, di tutta quella storia avevo ancora capito ben poco.
“Adesso ho paura di tornare a casa. Ho paura addirittura di Emanuele, perché è stato lui a convincerci oltre ogni dubbio a non parlarti. Anche se anche lui se ne dispiaceva”
“Non preoccuparti! Per questa notte potete dormire qui se lo desiderate, anche tutti e tre. Non c’è alcun problema. Anzi, adesso parlo con Giuseppe e Emanuele e mi sapranno anche loro dire quello che vogliono fare”.
Prima mandai un messaggio a Giuseppe. “SE VUOI CHE ENTRI, APRI IL PORTONE DI CASA TUA!”.
Pochi secondi dopo averlo inviato, sentimmo il rumore del portone che si apriva.
“Allora è vero che da qui si può sentire tutto!” osservò, più rilassato Francesco.
“Si! Sia che lo vogliate oppure no!”
“Allora ti sei accorto che l’abbiamo fatto apposta a scendere a parlare vicino alla tua finestra”.
“Certo! E infatti ho colto al volo l’occasione” risposi sorridendo, cercando di stemperare ancora di più la tensione. La sua. Perché la mia tensione, ripensando al giochino di poche ore prima sotto la mia finestra, non si stemperava per niente. Ma, pur sapendo che avevano sbagliato, stavo incominciando a capire che l’avevano fatto per la paura, fondata o no, dei Tre Fratelli. Appena scontrati con la dura realtà, infatti, erano ritornati sulla strada giusta e avevano deciso di collaborare. Questo mi rincuorò, anche se da qui a parlare di stemperare la tensione ancora ce ne voleva…
Uscii di casa, e di corsa arrivai sotto casa di Giuseppe. La porta aperta mi accolse. Entrai. Le luci erano spente, ma quel poco di luce che arrivava dall’esterno era sufficiente a farmi vedere i due ragazzi, seduti per terra in cucina, in silenzio e visibilmente scossi da quello che era successo. Appena li vidi, mi inginocchiai al loro fianco.
“Ascoltatemi bene. Francesco mi ha raccontato tutto. Adesso è più che mai necessario restare uniti. Visto che i vostri genitori adesso non ci sono, propongo che veniate a passare la notte da me. Casa mia è decisamente la più sicura, perché finché rimaniamo insieme non ci possono fare granché”
“Simone scusa, ci hanno preso alla sprovvista, non sapevamo cosa fare!”
“Non preoccupatevi, di questo parleremo poi. Adesso, Giuseppe, sali in camera tua, e prendi la tua roba. Poi andiamo a casa di Emanuele. Così può prendere la sua. Muoviamoci! Se è come penso non ci stanno spiando e deve passare ancora un po’ di tempo prima che possano riorganizzarsi!”
I due ragazzini, ubbidientemente, fecero tutto quello che gli era stato detto. Quando fummo a casa di Emanuele, mi accorsi che prese anche le fionde.
Solo pochi minuti dopo essere arrivato a casa di Giuseppe, eravamo di nuovo a casa mia, dove Francesco ci stava aspettando ansiosamente.
“Ti prego, perdonami! Non potevo non raccontargli quello che è accaduto nell’ultimo mese!” urlò piangendo Francesco, gettandosi in un abbraccio disperato verso suo fratello.
Io e Giuseppe restammo a guardare quella scena, in parte inteneriti da come Emanuele tentava di calmare suo fratello, in parte ancora più confusi.
“Simone, dobbiamo parlare!” disse Giuseppe di colpo.
“No! Adesso no! Sono stanco morto. Ne parliamo domani. Adesso andiamo a dormire!” risposi.
“Per favore, Simone! Ti dobbiamo spiegare!”.
“Adesso no!” risposi seccato. E andai a letto, voltandomi verso il muro. Ero contento che Giuseppe ed Emanuele avessero scelto di venire di nuovo a casa mia, ma ero ancora arrabbiato con loro. Soprattutto con Giuseppe che consideravo il mio migliore amico. Pensavo sinceramente che avrebbero potuto reagire in modo diverso da come si erano comportati. Quindi, sapendo che la coscienza gli stava già ampiamente rimordendo, volevo semplicemente farlo soffrire ancora un po’. Pensavo di averne il diritto e che se lo meritasse.
Dopo neanche mezz’ora Emanuele e Francesco stavano dormendo. Ne potevo sentire il respiro regolare. Poi, concentrandomi meglio, sentii qualcuno che stava silenziosamente piangendo. Se non fosse stato per il singhiozzo che ogni tanto gli usciva non me ne sarei quasi accorto.
Solo uno stupido non avrebbe capito chi era l’autore di quel pianto sommesso quanto disperato. Evidentemente la mia condanna alla “tortura della coscienza” stava funzionando. Sarei stato quasi soddisfatto, se non fosse stato per un piccolo problema.
Il problema era che quella “tortura” stava funzionando con entrambi: mi stavo sentendo un verme. Sapevo che stava male al solo pensiero di quello che aveva fatto. E io lo stavo lasciando soffrire gratuitamente!? E lui non aveva voluto neanche insistere per parlarmi, quasi come se volesse, lui stesso, punirsi per quello che aveva fatto. Non potevo permetterlo. Quella punizione, se cosi potevo definirla, doveva finire immediatamente. Per entrambi.
Mi voltai, alzandomi. Mi accorsi che Giuseppe stava cercando di calmarsi e di smettere di piangere. Ma per quanto fosse riuscito ad attutire i singhiozzi, tremava vistosamente. Mi sentii ancora peggio per quello che stavo facendo. Era decisamente necessario chiarire quella questione, una volta per tutte, e ristabilire il buon ordine delle cose.
Appoggiai la mano sulla spalla di Giuseppe. Che immediatamente si irrigidì, non muovendosi, forse per timore di essere visto in quella condizione. Fu un leggero accenno di movimento della mia mano sulla spalla che lo sciolse completamente. Si voltò di scatto, piangendo a bassa voce ma senza alcun freno.
“Scusami Simone! Per favore! Sono stato uno scemo! Abbiamo sbagliato a comportarci così con te! Scusami!” disse, tutto d’un fiato.
“Su alzati” aggiunsi “vieni con me”. Quello non era il posto migliore per parlare. Uscimmo dalla casa e ci sedemmo sulla panchina di fronte.
Giuseppe era ancora profondamente scosso per quello che provava in quel momento. Ma vederlo in quella condizione mi intenerì a tal punto da accettare che quella stupidata fosse, appunto, una stupidata, e voler chiudere il discorso una volta per tutte.
“Dai! Non preoccuparti. L’importante è che vi siate accorti da soli del modo in cui vi stavate comportando. Per me la cosa più significativa che abbiate fatto in questi ultimi 3 mesi è stata aprire la porta di casa tua quando te l’ho chiesto. Tutto il resto è stato cancellato da quel gesto. D’altra parte qualcuno, qualche mese fa, mi disse che chiunque può impedirci di giocare a nascondino o uscire insieme la sera, ma l’amicizia tra noi quattro rimane e rimarrà sempre la stessa. Tuttora metterei la mano sul fuoco a dimostrazione di quanto queste parole siano vere. O no!?”
Gli occhi lucidi di Giuseppe dimostravano che ero arrivato a metà del compito che mi ero dato. Decisi di provare a rassicurarlo ancora di più.
“Non sono arrabbiato con te o con Emanuele. Non ce ne sarebbe alcun motivo. Non preoccuparti. Capita a tutti di comportarsi male con gli amici. Capita a tutti di deluderli. Ma non bisogna mai tradirli. E voi non mi avete tradito. L’ho capito da quello che vi siete detti sotto la mia finestra, prima. E questo è bastato! Calmati adesso! Ok?”
Non stavo mentendo. Semplicemente mi stavo rendendo conto che forse ero stato un po’ avventato a considerare quello come l’ultima presa in giro prima della disgregazione completa del gruppo. Probabilmente, se avessi capito prima che avevano bisogno solo di un po’ di decisione da parte mia, avrei aperto quella finestra e risolto la situazione come avevo fatto comunque qualche ora dopo.
Giuseppe si asciugò le lacrime poi fece un bel sospiro e dopo qualche secondo di silenzio, finalmente, sorrise.
“Grazie Simone! La cosa che temevo di più era aver perso la tua amicizia. È vero! Sono stato io ad averti detto quella cosa. E ci credo ancora, ora più di prima. Grazie anche di non avermi lasciato in quella situazione prima. Stavo così male che stavo per scappare” aggiunse Giuseppe. Questa volta più sereno e tranquillo.
Superata la crisi, capii, come con Francesco poco prima, che quella era l’occasione ideale per capire qualcosa di più.
“Senti Giuseppe, ho bisogno di farti qualche domanda. Voglio solo sapere la tua opinione su certe cose, ma è assolutamente necessario che tu mi risponda dicendo tutta la verità e tutto ciò che sai. Te la senti?” chiesi quasi tutto d’un fiato.
“Ma io ti ho sempre detto la verità” rispose Giuseppe.
“Si lo so! Ma per ciò che devo fare ora, è assolutamente necessario che tu dica esattamente quello che pensi, anche se dovesse andare contro al mio ragionamento. Non voglio convincerti di qualcosa. Anzi, la cosa migliore è che tu mi dica se pensi che ci sia qualcosa che non va nelle mie domande. Ok?”
“Ah! Adesso ho capito! Va bene, facciamolo!” e si mise ad ascoltare con attenzione quello che avevo da dirgli. O, meglio, quello che avevo da chiedergli. Perché c’era un tarlo che non mi faceva dormire, almeno dalle vacanze di Natale dell’anno prima. E adesso, nonostante l’ora tarda, dovevo togliermi quel dubbio.
“Mi è sembrato che Francesco avesse quasi paura di Emanuele, quando siete entrati qui, prima. Hai avuto la stessa impressione?”
“Si! Ed è dovuta al fatto che Emanuele ha molta paura dei Tre Fratelli. Evidentemente è stato molto categorico con Francesco. E credo che dopo quell’accenno al saluto, in casa abbiano anche litigato”
“Ma secondo te a cosa è dovuta questa paura?”
“Alle voci che si sentono. Violenza gratuita, punizioni umilianti e degradanti nei confronti di coloro che osano non ubbidire. Tutte queste cose sono risapute tra i giovani di Policoro. Se sapessi quante ne ho sentite! Ad esempio…”
“Si vabbè non mi interessa. Adesso il problema è un altro. L’anno scorso mi hai detto che, secondo te, Emanuele non aveva mai avuto niente a che vedere con i Tre Fratelli. Ne sei ancora sicuro?”
Lo sguardo di Giuseppe, da sveglio e interessato che era, si abbassò. Giuseppe non aveva mai avuto problemi a guardare negli occhi il proprio interlocutore. Anche se aveva paura di chi gli stava di fronte, non abbassava mai lo sguardo. L’unica volta in cui lo faceva era quando riteneva che la verità fosse così difficile da sostenere che era necessaria una “via alternativa”. Non sto parlando di distogliere lo sguardo, quello lo faceva sempre, soprattutto quando pensava a come mettere insieme una risposta chiara e comprensibile; sto parlando di abbassare gli occhi fino a rivolgere lo sguardo fisso al pavimento vicino ai suoi piedi. Bastavano anche solo pochi decimi di secondo, ma che non sfuggivano agli amici più intimi di Giuseppe, che lo conoscevano meglio. In pratica, e questo era uno dei tanti motivi per cui lo consideravo un vero amico, Giuseppe non sapeva mentire. Attese quel secondo di troppo che mi fece capire che dovevo stare molto attento alla particolare interpretazione da dare alla risposta del mio amico.
Solo che la risposta di Giuseppe non venne.
“Oh!? Ci sei!? Tutto ok? C’è qualcosa che non va?” chiesi, preoccupato dall’eccessivo silenzio.
“Si! È che non immaginavo che mi facessi proprio questa domanda!”
“Perché?”
“Perché non so cosa dirti!”
“Quello che ti passa per la testa!”
“Posso chiederti perché me l’hai chiesto?”
“Perché mi sembra tutto molto strano! Ricordi quando abbiamo saputo della discesa in campo dei Tre Fratelli? Ecco, Emanuele sembrava che ne sapesse molto più di noi tutti. E quando si è condensata l’idea che Michele facesse parte della banda? Ci ha risposto negativamente. Ed era veramente convinto della faccenda. Secondo me in questa storia, Emanuele sa più di quello che vuole farci sapere. Cosa ne pensi?”
“Purtroppo ho pensato anche io la stessa cosa. Però in questi mesi ho provato a parlarci con lui, ma è sempre riuscito a schivare le mie domande. E alla fine non se ne è semplicemente parlato più” concluse Giuseppe.
Reggeva lo sguardo. Aveva optato per la verità!
“Grazie!” gli dissi sorridendo.
“Perché?”
“Perché non hai abbassato lo sguardo quasi mai!” risposi.
Giuseppe sorrise. E poi mi disse una delle cose che più mi colpì positivamente. Dimostrandomi come Giuseppe ed io la pensassimo alla stessa maniera su tante cose.
“Se abbiamo una speranza in questa faccenda, è legata al fatto di condividere questo ed altri pensieri con chi combatte con noi. E se non siamo sinceri fino in fondo il rischio è di perdere tempo, risorse ed energie e non ci conviene farlo” fu la risposta di Giuseppe.
-Saggio per i suoi 15 anni- fu il mio pensiero.
Ma durò pochi millesimi di secondo. Poi entrambi vedemmo una scatoletta di tonno volare in mezzo a noi due, attraversando la ringhiera a cui eravamo appoggiati. Ci voltammo. Un ragazzo con un passamontagna, colpito nello stomaco, lasciò cadere la mazza da baseball che aveva sollevato. Dalla sua posizione voleva indubbiamente colpire me. Non facemmo neanche in tempo ad alzarci che quello, coprendosi con le braccia la pancia, corse via, verso il distributore di benzina e da lì perdendosi nelle vie dietro quest’ultimo, lasciando cadere a terra la mazza da baseball.
“Stare fuori la notte fa male!” fu la voce che udimmo da dentro casa mia.
Solo allora, rivolgendo verso l’interno uno sguardo più attento, ci accorgemmo di due figure distinte. Una in ginocchio, l’altra in piedi dietro di lei. Quella in piedi aveva la fionda scarica. Quella in ginocchio l’aveva appena disarmata. L’abbassò. Seguì il rumore di qualcosa simile ad una scatoletta di tonno che cade per terra.
Erano Emanuele e Francesco.
“È proprio il caso di parlare, ma noi fuori non usciamo. Che fate, entrate voi?” fu la richiesta di Emanuele.
Giuseppe entrò subito in casa, seguito, qualche istante dopo, da me, che mi ero preso il tempo di raccogliere la mazza da baseball e la scatoletta di tonno ammaccata.
“Grazie Emanuele! Grazie a tutti e due! È la seconda volta che ci salvate da una brutta situazione. Certo che con la fionda siete dei mostri!” fu la risposta di Giuseppe.
Risposta che non ebbe alcuna reazione.
A quel tempo, anche piccole differenze di età, contavano. La massima dimostrazione di questo erano i litigi.
Se a litigare erano Francesco e Giuseppe, che rimanevano sempre e comunque i due più piccoli, io ed Emanuele cercavamo di calmare la situazione, alleggerirla con battute e frasi pacate. E quasi sempre riuscivamo a sistemare le cose. Ma Francesco e Giuseppe avevano da un bel pezzo imparato che se a litigare eravamo io ed Emanuele, conveniva decisamente andarsene perché sarebbe potuto volare di tutto e non solo le parole. Giuseppe capì che quello era il momento esatto per eclissarsi. Si alzò dalla sedia a cui si era seduto un attimo per riprendere il fiato dopo essere stato quasi ucciso da una scatoletta di tonno, attraversò la cucina e con un semplice “buonanotte” se ne andò, non prima di aver preso di peso e portato con sé Francesco.
“Scusa!”
Questa fu l’unica parola che si udì in quell’istante, pochi secondi dopo che la porta della camera da letto si era chiusa. Di entrambi. All’unisono. I volti di entrambi si rasserenarono. Poi io parlai per primo.
“Scusami! Avrei dovuto parlarne direttamente con te. Ma sentivo che evidentemente era qualcosa che ti faceva ancora parecchio male”.
Poi fu la volta di Emanuele.
“E tu scusami perché quando è incominciata questa storia avrei dovuto saggiamente parlarvene. Invece ho preferito mantenere il silenzio. Avrei dovuto raccontarvi tutto prima”
Restammo ancora per qualche secondo fermi. Poi, e anche questo accadde contemporaneamente, entrambi tendemmo la mano destra. Una stretta di mano, forte, decisa ma altrettanto rilassata e affettuosa, sotterrò l’ascia di guerra appena dissotterrata.
“Grazie per prima!” dissi “Ma perché proprio la scatoletta?”.
“Era l’unica cosa che ho trovato nell’unico mobile che ho avuto il tempo di aprire”
Una risata suggellò ulteriormente la pace tra noi due.
“Simone, è meglio se escono anche gli altri. Voglio raccontarla una volta sola questa storia”.
“D’accordo! Però parliamone domani. Sto morendo dal sonno e oggi di emozioni ne abbiamo vissute fin troppe.
Andammo in camera anche noi. Evidentemente anche gli altri due erano veramente stanchi, perché si erano sdraiati entrambi sul letto matrimoniale e si erano addormentati. Io e Emanuele ci dividemmo il letto a castello e, pochi minuti dopo, i respiri regolari di tutti e quattro erano l’unica cosa che si poteva sentire nella stanza.
Anzi no.
Io e Francesco russavamo.


___


BUONGIORNO A TUTTI CON QUESTO NUOVO CAPITOLO! SPERO CHE VI PIACCIA E NON VEDO L'ORA DI LEGGERE LA CONFERMA O LA SMENTITA DALLE VOSTRE RECENSIONI.
ALLA PROSSIMA!
  
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