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Autore: alessandroago_94    17/10/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 30

CAPITOLO 30

 

 

 

 

 

 

I miei ricordi riprendono ad essere chiari a partire dal mattino successivo a quella mia tragica scoperta.

Mentre i lividi fisici lasciati dalle mie disavventure delle giornate precedenti cominciavano a dolere molto meno, facendo sentire il mio corpo in forma quasi smagliante, il mio animo invece era a pezzi. E la conseguenza di tutto ciò era che mi sentivo davvero mentalmente scarico. Un catorcio, in poche parole.

Appena mi svegliai, mi andai ad arenare su una delle tre piccole e scomode sedie posizionate nel salotto a fianco della cucina, dove c’era anche il televisore dotato dello schermo più grande di casa.  

Mi misi quasi in panciolle, dopo aver adeguatamente avvisato mia madre degli eventi del giorno precedente, più nello specifico quelli riguardanti ciò che era accaduto ad Alice.

La mia povera mamma doveva aver creduto che io fossi innamorato della ragazza, visto come ne parlavo, e scossa anche lei dalla notizia mi aveva prontamente perdonato per il mio comportamento della sera prima. Mi aveva di conseguenza perdonato anche per non averle aperto la porta della mia stanza quando lei bussava disperatamente, per informarsi di ciò che mi era successo, dato che ero rientrato in casa ad ora tarda e sconvolto, e naturalmente aveva approvato la mia proposta di stare a casa anche quel giorno da scuola. Era un sabato, quindi sarei rientrato al liceo solo la settimana successiva.

Con la consapevolezza che a scuola non avrei perso molto, e che comunque non ci sarei andato neppure per quel giorno, avevo poi acceso il cellulare e trovato decine di telefonate di Jasmine. Logicamente la richiamai e la rassicurai, siccome sia lei che i suoi genitori si erano preoccupati quando avevo abbandonato la loro auto durante il ritorno, ma cercai di chiudere la chiamata il più in fretta possibile. Ero troppo affranto per continuare a parlare di ciò che avevo scoperto il giorno prima.

Ero come affetto da una sorta di dolore primordiale ed ancestrale, come un grande senso di colpa opprimente, ma anche molto irrazionale e forse non troppo sensato. Mi sentivo quasi come se avessi la coscienza sporca, e dovetti riconoscere che forse un po’ l’avevo per davvero. E il problema era che non avevo la benché minima idea di come rimediare.

Potei soltanto ripromettermi che non avrei mai più giudicato una persona cara senza cercare di starle a fianco e di scoprire cosa l’affliggeva, in modo da non lasciarla mai sola, nonostante tutto quanto.

Devastato mentalmente e confuso, me ne rimasi quindi già da buona ora in una posizione strana, e seduto nella stanzetta più angusta di casa, fatta sistemare a dovere dai miei nonni un decennio prima, quando avevano deciso di sacrificare parte della cucina, siccome era un’ambiente troppo grande per tutti noi, per creare un piccolo spazio dedicato alla tv, in modo che chi volesse guardarla potesse anche non stare in mezzo agli odori della cucina o al chiasso di casa. Quella era una sorta di camera isolata e letteralmente stritolata tra quattro mura, ed era il posto migliore in cui andarmi a rifugiare in quel momento.

Con le gambe incrociate sotto il sedere, così come le posizionavo quando ero estremamente agitato, mi dondolai un po’ con la schiena e poi accesi la televisione, cercando di soffocare la mia insolita ansia e i miei problemi provando a seguire qualche trasmissione o film.

Fui fortunato, poiché non appena accesi l’apparecchio mi trovai subito di fronte ad una serie tv, di quelle poliziesche che continuano tutt’ora ad andare di moda, e che un paio d’anni fa impazzavano liberamente e grandiosamente un po’ su tutti i canali. Inutile dire che non seguii più di tanto la trama, ma almeno rimasi bloccato per un po’ davanti allo schermo televisivo senza darmi troppe noie.

Durante uno degli spazi pubblicitari, che sempre appaiono infinitamente lunghi, osservai alcune pubblicità come se fossi pietrificato. Erano pubblicità dei panettoni, dei regali natalizi e di festività.

Deglutendo, fui costretto a riconoscere che nell’ultimo periodo mi ero lasciato talmente tanto andare ai miei problemi personali da dimenticare addirittura l’imminente avvicinamento del Natale e delle vacanze natalizie, Natale che si sarebbe festeggiato tra poco più di due settimane. Ed io quell’anno ero così triste e provato da non riuscire neppure a realizzare tutto ciò.

Quelle pubblicità mi facevano davvero tanta pena, soprattutto quasi mi disgustava vedere quei babbi natale che spuntavano ovunque, con il loro sorriso mediocre che sarebbe dovuto apparire alla gente come un qualcosa di buono e di disinteressato, quando invece dietro a quelle lunghe barbe bianche e rigorosamente finte si nascondeva il volto di uomini che venivano pagati per fare tutto ciò, e che pubblicizzavano qualche prodotto.

Anche il Natale ormai era diventato un appuntamento col consumismo, non un qualcosa da vivere felicemente assieme, in famiglia o con gli amici, cercando tutti di volerci più bene e di essere più buoni con il prossimo. Era semplicemente la festa dei soldi spesi in cibarie e nei regali, tutto qui.

‘’Quella che era una delle festività più importanti del mondo cristiano è diventata solamente la festa dei pandori e dei panettoni’’.

Roberto, che parlò alle mie spalle, mi aveva quasi spaventato. L’uomo doveva avermi cercato, per poi prendere parola non appena mi aveva intravisto.

Mi volsi leggermente verso di lui, per poi distogliere subito lo sguardo dopo aver annuito leggermente con la testa. Era da due giorni che non mi parlava, ovvero da quando tra me e Federico c’era stato il confronto finale, e finalmente, non seppi mai il perché, aveva deciso di rompere volontariamente il velo di silenzio che era sceso tra di noi, quasi a dividerci per sempre.

Il mio inquilino se ne stette in piedi alle mie spalle, mentre l’ennesima pubblicità dei panettoni si snocciolava in tv ed io me ne restavo chiuso nel mondo cupo dei miei tristi pensieri e delle mie riflessioni forse fin troppo banali.

‘’E’ quasi uno scherzo del destino, se ci pensi un attimo su. Gesù Cristo è nato e morto per noi, ha dato la vita per salvare la nostra anima dal peccato e per concederci l’opportunità della vita eterna, e noi stessi come ricambiamo il suo sacrificio? Ma è ovvio, mangiando panettoni e pandori, e ricoprendoci a vicenda di regali. Viva l’egocentrismo nella sua massima espressione! Sono gli umani che vogliono trasformarsi in divinità, sfruttando la materia’’, continuò il mio interlocutore, leggermente divertito. Continuava a parlarmi per cercare di ottenere una risposta, e mi chiesi se si stesse comportando così perché mia madre gli avesse detto qualcosa a riguardo del mio stato d’animo del momento, ma questa mi parve fin da subito una sciocchezza.

‘’Non vedi mai nulla di positivo nell’essere umano’’, sbottai, senza aggiungere altro.

‘’Guarda Antonio, io mi ricordo le festività di Natale di tanti anni fa, quand’ero ancora un bambino o un ragazzo come te. Io e mio padre festeggiavamo il santo giorno organizzando assieme un bel pranzo con tutti i nostri parenti, e per tutto l’arco della settimana prima di quel momento stavamo assieme, ci preparavamo assieme ed io cercavo di offrire il mio contributo attivo nella preparazione dei pasti, nonostante che solitamente finissi per combinare pasticci. Ma durante quella settimana, e durante quella santa giornata, noi andavamo perfettamente d’accordo e non litigavamo mai. E sai che mio padre era un tipo tosto, te l’ho già detto tante volte!

‘’Il Natale quindi compiva un miracolo, ed io non vedevo l’ora che arrivasse. Poi, al pranzo partecipavano anche i parenti della mia defunta madre, a volte, e anche se mio padre non ci era mai andato d’accordo in gioventù, in quel giorno si sforzava di essere accogliente e buono, si sacrificava davvero per il bene comune. Ed io ero tanto felice! Non si scambiavano tutti questi regali come si fa ora, e non c’erano vagonate di pandori, panettoni e prodotti vari, ma si stava assieme, si mangiava e si beveva in compagnia, si parlava del più e del meno e si andava d’accordo. Questa era la magia del Natale.

‘’Oggi, invece, ci si ricopre di doni e via, non ci si sofferma più a stare assieme, a concedersi una pausa piacevole dalla frenesia del mondo e della vita quotidiana. Nessuno attende più questo santo giorno per stare in compagnia di persone che magari non vede mai durante l’anno, o per concedersi una pausa dalle diatribe e magari cercare attivamente una soluzione per tentare di andare d’accordo. La magia del Natale è svanita! Si attende solo il regalo, magari un bel paccone grande, e non la presenza altrui. Uno schifo, davvero’’, concluse Roberto, fin troppo esaustivo come sempre.

‘’Hai ragione, ma penso che non sia così per tutti’’, replicai, sempre cercando di attaccare la sua idea pessimista sull’umanità, che in parte condividevo silenziosamente.

‘’No, per fortuna no. Ma la maggior parte di voi ragazzi è così’’, obiettò il mio interlocutore, a sostegno della sua tesi.

Mi mossi leggermente sulla mia sedia e non risposi, facendo finta di non aver udito. L’ultima cosa su cui m’importava parlare in quel momento era proprio il Natale.

Fui sul punto di cercare di aprirmi con Roberto, e di parlargli dei miei tormenti interiori, spinto dalla sua voglia di avvicinarmi, ma non ci riuscii. Pensai che se l’avessi fatto forse sarei potuto star meglio, anche perché quell’uomo ormai era diventato un soggetto di cui mi fidavo, e sapevo che non avrebbe né riso né messo in giro chiacchiere.

Era saggio, e forse una parola per me o un consiglio avrebbe potuto averli. Ma la mia timidezza e l’agitazione di quel giorno m’impedivano davvero di aprirmi autonomamente a qualcun altro, quindi finii per restarmene muto e in rigoroso silenzio, mentre sullo schermo della televisione il break pubblicitario finiva e riprendeva la trasmissione della serie tv.

Sullo schermo riapparì il solito poliziotto americano con in mano una pistola carica, che si guardava attentamente attorno prima di chinarsi sul corpo senza vita di una ragazza, a quanto pareva uccisa nel suo appartamento inglobato all’interno di una grandissima e classica metropoli della East Coast, mentre Roberto non pareva affatto convinto di me e non aveva alcuna intenzione di abbandonare la stanzetta.

‘’Come fai a guardare quello schifo?! È assurdo!’’, sbottò, più tra sé e sé che con me.

Gli rivolsi uno sguardo provato.

‘’E perché mai?’’, gli chiesi, lentamente. Non che m’importasse di quella serie tv, che tra l’altro non avevo mai seguito assiduamente ma che conoscevo solo per la sua grande fama, ma forse interiormente m’interessava scoprire cosa aveva da ridire anche a riguardo di tutto ciò.

‘’Non per fare polemica eh, ma le serie tv di quel genere non fanno altro che rimbambire i ragazzi e instradarli sulla via del male. A parte il fatto che ormai sembrano tutte uguali, e che comunque stanno crescendo ed arricchendo il bagaglio utile per i criminali’’.

‘’Ma le fanno vedere in tv…’’, provai a dire, ingenuamente e superficialmente. Inutile che io stia qui a rievocare mentalmente il suo classico sospiro esasperato.

‘’In tv fanno vedere quello che fa comodo e ciò che fa guadagnare soldi, quindi ovviamente tutto ciò che ha molti telespettatori. Queste serie sono molto vivaci, non ne dubito, e chi le guarda rimane intrigato e segue attentamente le varie indagini, ma offrono indirettamente una visione del mondo errata’’, riprese a sancire il mio interlocutore.

‘’E sarebbe?’’, chiesi, un po’ incuriosito.

‘’Beh, tanto per cominciare in ogni episodio o puntata appaiono persone uccise. Un telespettatore che si piazza davanti alla televisione ogni giorno e alla stessa ora per seguirla con puntualità, pian piano viene assuefatto da quel mondo. Ci si affeziona ai protagonisti, e agli attori vari… mentre svanisce lentamente il timore reverenziale che si ha per il crimine e per la morte. Tutti seguono sbavando le varie indagini di poliziotti in gamba, capitani e commissari esperti, medici della scientifica e tanto altro, ma nessuno si preoccupa più della vittima in questione, che viene mostrata riversa al suolo e uccisa barbaramente. La morte, il crimine e l’omicidio diventano quindi una cosa ritenuta normale, mentre invece è anormale’’.

‘’Non ti seguo. Questa comunque è finzione, e quelli sono attori. Nessuno muore realmente, e nessun crimine è incentivato’’, osservai, perplesso.

‘’Va bene, è così e tu che sei una persona normalissima non perdi mai di vista questo punto chiave. Se tutti interpretassero ciò che vedono sullo schermo in questo modo, non ci sarebbero problemi! Ma sai quante persone con disturbi o con intenti omicidi seguono con attenzione alcuni punti di queste puntate, sempre più gestite in modo verosimile, per avere un’idea di come potrà reagire la polizia di fronte ad una possibile situazione simile e reale? E poi, non è forse vero che alcuni videogiochi violenti sono riusciti ad influenzare in modo diretto attentatori e criminali vari? Alla fine, tutto offre uno spunto a chi lo cerca. E in questo caso non è affatto positivo’’, considerò Roberto, sedendosi sulla seconda sedia a pochi passi da me.

Annuii senza pronunciarmi, considerando che tutto sommato ciò che stava dicendo l’uomo poteva avere una base comprensibile. Il tutto però mi appariva alquanto esagerato, nel complesso.

Mi volsi improvvisamente verso il mio interlocutore, e rimasi folgorato nello scoprire che anche lui mi stava guardando, con un leggero sorrisetto stampato sul viso. E cascai improvvisamente dal pero.

Compresi improvvisamente che Roberto aveva parlato fino a quel momento solo per farmi uscire dal mio muto e doloroso silenzio, anche cercando di farmi conoscere in modo diretto alcune sue idee, e dovetti constatare che era riuscito nel suo intento di allontanarmi anche solo per qualche istante da quella routine di pensieri cupi che affollavano la mia mente da ore ed ore.

Risposi al suo sorriso appena abbozzato con uno ancor più deciso.

‘’Ecco, un sorriso era proprio quello che ci voleva, anche se non ci sarebbe proprio nulla da sorridere…’’, disse l’uomo, sfoggiando un sorriso più sicuro e marcato.

‘’Non c’è davvero nulla da sorridere, ultimamente…’’, sospirai, tornando serio.

‘’Qualcosa non va?’’, mi chiese, debolmente e senza essere indiscreto.

‘’Direi proprio di sì. Ieri nel tardo pomeriggio ho scoperto che Alice, quella ragazza col caschetto che è venuta anche alcune volte in questa casa, è malata’’, dissi, a voce bassa e spegnendo il televisore.

‘’Spero non sia nulla di grave’’, mi disse di nuovo Roberto, sempre debolmente e con voce fioca e bassa. Stava parlando con cortesia, per non urtare i miei sentimenti e per non spronarmi ad andare dove io non avessi voglia di giungere.

‘’Ha un cancro al cervello’’, quasi gli sputai in faccia, senza mezzi termini. Sul momento non riuscii ad addolcire la tristissima verità, e non ritenevo neppure giusto ed opportuno farlo.

Notando la sua mancata reazione, immaginai che mia madre gli avesse già anticipato tutto. Mi chiesi nuovamente se fosse possibile che fosse proprio stata lei a chiedergli di cercare di parlarmi, conoscendo il fatto che lui era sempre stato abile a farmi aprire e che tutto sommato eravamo sempre andati d’accordo. In fondo, parlare con un uomo loquace e scaltro come Roberto si rivelava sempre un’avventura interessante.

‘’Mi dispiace. Di fronte a simili tragedie, purtroppo, anche le parole rischiano di diventare inutili’’, mi disse, quasi scusandosi per non poter confortare il mio dolore, ma leggermente sollevato per essere riuscito a farmi aprire.

‘’Fidati, anche i pensieri rischiano di diventarlo’’, aggiunsi, ben conoscendo il mio tormento, e realizzando in quel momento quanto in realtà fosse inutile.

Ormai la mia amica era malata, io non potevo far nulla per salvarla o almeno alleviare una qualche sua sofferenza e ciò che avevo pensato su di lei fino a qualche giorno prima era stato un mio grave errore, che avevo già riconosciuto e di cui mi ero ampiamente e profondamente pentito. Ma, nonostante questa nuova consapevolezza, non riuscivo davvero a star meglio, o almeno a tirarmi su un attimo il morale.

Almeno ero certo di aver imparato la lezione; mai sparare giudizi o farsi precise idee senza prima avere la certezza che tutto ciò sia fondato.

Stava di fatto che, in ogni caso, il dolore provocatomi per ciò che stava accadendo ad Alice era tanto, e il dispiacere immenso.

‘’Capisco. Se ti va di parlarne…’’.

‘’Non vedo cosa ci sia da parlarne’’, obiettai io alla cortese proposta del mio interlocutore.

‘’Parlare ad un altro dei nostri tormenti interiori a volte aiuta molto, e ci fa stare meglio. Se ti va, e se ti fidi di me, sai che io ti ascolterò sempre’’, aggiunse Roberto, pacatamente.

Sospirai.

‘’Il dolore per ciò che è accaduto ad Alice è immenso, forse troppo per essere razionalizzato. Lei mi ha salvato dalla mia solitudine, qualche mese fa, e mi ha aperto molte porte… aggiungendo che mi ha fatto anche conoscere Jasmine. Poi, però, tutt’a un tratto ha cambiato repentinamente comportamento nei miei riguardi, e subito io ho pensato a una qualche forma di gelosia provata nei confronti miei e di Jasmine, la sua migliore amica, poiché siamo sempre andati profondamente d’accordo fin da quando ci siamo conosciuti.

‘’Ammetto che per giorni, anche se solo le riservavo un pensiero, mi si metteva in subbuglio lo stomaco. Poi, ieri ecco la doccia fredda e l’amara scoperta… la mia amica non era cambiata per via della gelosia e dell’invidia, ma a causa di un male che le opprimeva il cervello. Ecco, ora puoi trarre da te le conclusioni, e capire perché non mi do pace da ieri sera’’, conclusi, dopo aver narrato tutti i punti principali della vicenda e del mio tormento interiore.

Roberto mi aveva ascoltato con la sua solita e matura impassibilità, e annuì alla fine del mio breve riassunto.

‘’Capita a volte di farci certe idee su qualcuno. Idee che alla fine si rivelano sbagliate e molto lontane dalla verità. Non tormentarti per un tuo errore! Siamo umani, e sbagliamo a volte. L’importante è che tu abbia compreso che hai commesso uno sbaglio e che ti sia pentito di tutto ciò. Il resto verrà da sé. E a riguardo della malattia della tua amica, beh… Alice non è ancora morta, quindi su col morale, e speriamo assieme che questo maledetto e subdolo male non l’abbia vinta su di lei! E so che anche quella ragazza combatterà duramente per riprendersi in mano la sua vita’’, mi disse il mio interlocutore, cercando di passarmi un po’ di speranza.

‘’E’ vero. Ora è incosciente, sotto l’effetto di potenti sedativi… ma credo che se si risveglierà, lotterà con tutta sé stessa. Il più sarà risvegliarsi dopo l’intervento dei giorni scorsi’’, dissi, ricordando le parole udite all’ospedale il giorno precedente e riconoscendo che effettivamente Roberto aveva ragione, in quello che mi aveva detto poco prima.

‘’Non perdere la speranza, mio caro e giovane amico. Non perderla mai. Alice era una brava ragazza e comprendo dalle tue parole che era una persona dall’animo gentile e piena di cortesia, e che ha fatto del bene anche te. Vedrai che Dio ne terrà conto’’.

Sobbalzai a quelle parole.

‘’Non dubito di ciò che hai detto e ti do ragione su tutto, ma… tu mi avevi detto che non credevi in Dio’’, gli feci notare, ancora leggermente stupito dalla sua affermazione a sorpresa di poco prima.

‘’Non credo in Dio come entità, così come lo vuole la religione, ma credo in Dio come bene e speranza. Non credo quindi che esista un Signore che sta in Cielo e che da lassù ci guarda, ci giudica, ci perdona e quant’altro… ma voglio credere che una scintilla primordiale di bene, molto potente e imparziale, viva qui tra noi, su questa Terra, e che non sia poi così tanto distante. Non so se mi sono spiegato bene’’, proseguì Roberto, tornando a elargire un piccolo e tirato sorriso.

Annuii, lasciando che il mio sguardo scivolasse lentamente verso il pavimento della stanza, di un bianco quasi accecante.

Incredibilmente, dopo quella conversazione mi sentivo davvero molto meglio, come se condividendo il mio tormento e ascoltando il parere di un uomo colto, intelligente e razionale come Roberto mi avesse aiutato ed illuminato. Infatti, in quell’istante nel mio cuore e nella mia mente si era fatta spazio la speranza, e davvero, io avrei creduto nella guarigione e nel sollievo di Alice fino all’ultimo, fin quando ce ne sarebbe stata la possibilità.

Le sarei stato mentalmente vicino, pensandola e sperando che tutto potesse andare bene. Non l’avrei mai più lasciata sola, neppure nei miei pensieri, che in fondo mi piaceva pensare che anch’essi avessero una loro forza, oltre ad avere un peso in grado di schiacciare il nostro povero mondo interiore.

‘’Grazie per queste belle parole. Mi hai illuminato’’, dissi all’uomo, poco dopo. Stavo davvero molto meglio.

Roberto sorrise ancor più apertamente.

‘’Grazie a te per avermi ascoltato, come al solito. Non ho fatto niente di che’’, mi rispose l’uomo, sincero.

A quel punto, tornai ad oscurarmi nuovamente.

‘’Temevo che te la fossi presa con me, poiché erano più di due giorni che non mi avevi rivolto la parola’’, dissi, esprimendo quei dubbi che mi avevano tormentato fin dai momenti successivi alla mia colluttazione finale con Federico.

Il mio interlocutore, udendo quelle parole, parve per la prima volta leggermente sorpreso, poi scosse leggermente la testa.

‘’No, non ero per nulla arrabbiato con te. Tu non hai alcuna colpa. È che purtroppo ormai mi sono rassegnato io… e vedere i frutti di tutto quello che ho cercato di fare negli ultimi vent’anni abbondanti è stato davvero tremendo. Non preoccuparti, sul serio, ero io che avevo bisogno di stare sulle mie, e mi scuso se ti ho tenuto poco in considerazione nei giorni scorsi’’.

A seguito di quel breve discorso, fu il mio turno di scuotere leggermente la testa.

‘’No, assolutamente… ciascuno di noi ha i propri problemi a cui pensare, e non devi scusarti di nulla. Volevo solo sapere se te l’eri presa con me per tutta quella vicenda oppure no… ma mi hai già risposto’’, conclusi, timidamente e in modo impacciato. Non volevo di certo che Roberto mi facesse da balia o mi stesse sempre dietro, d’altronde tra me e lui si era instaurato un buon rapporto, ma io non ero nessuno per lui, ed era pur sempre un estraneo che aveva anche una sua famiglia a cui pensare, tra l’altro piena di problemi.

‘’No, non ero arrabbiato con te, come ti ho già detto. Non dovevi nemmeno pensare ad una cosa del genere. Ora, comunque, vado a prepararmi un caffè… a più tardi’’, mi disse l’uomo, strizzandomi leggermente l’occhio destro some suo solito e dileguandosi con gentilezza.

Ed io, rimasto lì solo, non potei non lasciarmi scivolare di nuovo nel limbo dei miei pensieri, che questa volta erano più leggeri e meno opprimenti, poiché in essi aveva preso spazio anche la speranza. E si sa, la speranza quando radica è poi l’ultima a morire, dentro l’animo umano.

Rivolsi quindi un pensiero ad Alice e sperai con tutto me stesso che la vicenda non finisse in tragedia, ma che il sole potesse tornare a spuntare di nuovo su di lei, perché davvero non meritava tutto quello che stava passando.

 

Quel pomeriggio fu da incubo.

Ancora mi ricordo in modo perfetto ciò che accadde. Infatti, subito dopo pranzo, tornò a casa nostra Stefania, che dopo quel giorno in cui si era beccata una percossa da mio padre non si era fatta più vedere né sentire.

Non fui io a farla entrare in casa, bensì il mio stesso padre, forse convinto che la ragazza si fosse decisa a mettere fine alle ostilità seguendo i suoi consigli. Stefania, dal canto suo, doveva essere venuta in quell’orario inusuale per le visite proprio per non incontrare mia madre, che logicamente non era in casa, ma era al lavoro. Io avevo osservato l’ingresso dell’ospite dalle scale, stando attento a non farmi scorgere, ma tanto non corsi minimamente il rischio, giacché i due che fino a poco prima dovevano aver formato una coppia erano interessati solo l’uno all’altro.

Sergio le si avvicinò, quasi come volerle dare un bacio conciliatorio sulla guancia, ma lei si ritrasse con sdegno. Da quel momento in poi mi fu chiaro che la giovane era giunta fin lì per portare avanti la sua guerra personale.

I due si ritirarono silenziosamente in cucina, dove chiusero la porta dietro di loro, e cominciarono a parlare.

Io, ancora imbambolato sulle scale di casa, mi chiesi se per mio padre fosse un vizio quello di avvicinare donne molto più giovani di lui, magari seducendo ignare studentesse o ragazze che potevano apparirgli abbastanza ingenue da essere sottoposte al suo misero e vigliacco gioco. Pure la mia povera madre doveva aver vissuto, anche se magari in modo un po’ meno drammatico, ciò che stava vivendo Stefania in quel momento.

Scuotendo la testa da solo e senza saper offrirmi una risposta, mi chiesi dove dirigermi, e lì sul posto fui praticamente folgorato da una voglia assurda di suonare. D’altronde, mio padre aveva da discutere con la sua ex, e i due coniugi Arriga erano al piano di sopra, ritirati nella loro stanza, forse anch’essi a bisticciare come avevano cominciato a fare assiduamente nell’ultimo periodo, ed io avevo campo libero.

Col cuore in gola, e con una voglia assurda di riprendere possesso del mio strumento musicale, raggiunsi la mia saletta e mi tappai al suo interno.

Prevedendo che il mio genitore sarebbe stato occupato per un po’, mi feci forza e spalancai i vetri della finestra, facendo così uscire l’aria viziata rimasta intrappolata da settimane tra quelle quattro mura, quasi gelosamente custodita dal freddoloso Sergio, e poi, per la prima volta dopo più di un mese, mi avvicinai al mio pianoforte. Fu una sensazione strana, anzi, un mix di sensazioni differenti, ma in grado di rendermi piacevolmente inquieto.

Un leggero strato di polvere ricopriva tutto quanto, e facendomi coraggio ripulii tutto in un batter d’occhio e con il panno apposito, ancora conservato all’interno del mobiletto vicino. Poi, giunse il momento tanto atteso; quello di sedermi di nuovo lì, di fronte al mio amico di sempre, e tornare a dargli vita e voce.

Deglutii, senza più pensare a chi mi circondava su quel misero mondo, e con una ritrovata voglia di suonare mi misi a sfiorare i tasti del mio strumento preferito e tanto amato.

La sinfonia mi venne subito perfetta e accorta, ma soprattutto corretta e piacevole da udire, e in quegli istanti colmi di gioia mi lasciai un po’ andare, senza seguire alcuno spartito o altro.

Spartiti che, tra l’altro, avevo lasciato dentro al mobiletto, senza neanche tentare di estrarli, correndo quindi poi il rischio di dimenticarli e di farli individuare da mio padre, che magari per ripicca me li avrebbe pure rotti, e io non potevo proprio correre rischi del genere. Meglio che stessero al sicuro, e che io avessi la possibilità di sfogare ciò che avevo dentro in tutta libertà, ritrovando quindi quell’armonia che mi mancava da un bel po’ di tempo.

Suonai per un po’, innalzandomi finalmente libero nell’infinito splendore della musica, e lasciandomi scivolare addosso tutti i problemi che avevo accumulato negli ultimi mesi, sentendomi fin da subito davvero molto meglio e più felice e soddisfatto. Stavo ritrovando la mia pace interiore.

Dopo un po’, il mio ritmo s’allentò, anche a causa dei rumori che avevano cominciato a circondarmi con maggior insistenza e a disturbare la mia attenzione. I rumori in questione giungevano dal piano superiore, proprio sopra alla mia testa, dove i due coniugi Arriga avevano cominciato a litigare a voce più alta del solito, e dalla cucina dove Stefania e Sergio pareva che stessero per scannarsi a vicenda.

Quel pensiero violento mi bloccò definitivamente, lasciando che le mie braccia smettessero di muoversi assieme alle mie dita ad un ritmo da me voluto e ricercato.

Mi chiesi se fosse meglio che andassi a fare un giretto in corridoio, magari controllando che la situazione nella stanza attigua non degenerasse come durante la scorsa volta, dov’erano volati anche schiaffi, ma poi decisi di non muovermi da lì, tanto non avrei potuto davvero far nulla per calmare un probabile eccesso d’ira del mio genitore.

Udendo anche il litigio in contemporanea degli Arriga, mi sentii oppresso in quel luogo che un tempo era stato il mio rifugio dal mondo e dai suoi urti. Mi chiesi se anche Federico fosse in ansia per quello che stava accadendo tra i suoi genitori, ma logicamente lasciai perdere quella domanda, dato che colui che era stato il mio più acerrimo nemico ormai sembrava aver perso le forze anche per tirare avanti. Da due giorni era il fantasma di sé stesso, muto e sfuggevole, sempre rinchiuso nella sua stanza.

Aveva perso tutto, e anche lui stava affrontando una caduta, finalmente, e di certo del rapporto dei suoi genitori non doveva importargli molto, d’altronde non gli era mai importato troppo di loro, dalle impressioni che avevo sempre avuto.

La situazione effettivamente degenerò dopo poco, e quasi all’improvviso, quando mio padre urlò qualcosa e udii la porta della cucina che si spalancava.

Tremai, ancora seduto alla mia postazione, senza sapere come reagire. L’uomo non aveva ovviamente accolto l’appello mio e di mia madre ad andarsene, e continuava così a causarci problemi, sia lui che la sua amante.

Stefania un po’ mi faceva pena, però la sua ingenuità a tratti mi faceva innervosire e sorridere. Ed inoltre, anche se lei aveva dentro al suo ventre una sorta di parte di me, attendendo un mio fratellastro, non riusciva a convincermi della sua più totale buonafede nei confronti di mio padre. Chissà se tra i due c’era mai stato qualche sentimento sano, oppure se tutta la loro falsa relazione fosse stata instaurata per bisogno e necessità di entrambi, quasi mentendosi doppiamente e reciprocamente.

‘’Sei davvero un uomo schifoso! Non ti cercherò mai più, fidati, e non vorrò mai più rivederti!’’, urlò Stefania all’improvviso, nel bel mezzo del corridoio, poiché la voce mi giunse molto chiara e nitida alle orecchie.

Mio padre, dal canto suo, mugugnò qualcosa dalla cucina, per poi dirigersi anch’egli nel corridoio e sbottare un’orribile e irripetibile bestemmia disperata.

Schifato da tutta quella scenata, mi venne l’impulso di appoggiare le mie dita sulla vicina tastiera e di emettere qualche suono, e quasi involontariamente lo feci, come se anche il mio corpo in modo autonomo volesse proteggersi e tutelarsi da tutto quel violento e volgare pandemonio.

‘’E smettila di strimpellare con quel dannato coso, altrimenti poi lo spacco, porca…’’, ruggì l’imbestialito Sergio, udendo subito le mie note appena suonate, logicamente aggiungendo un’altra impronunciabile robaccia sul finale della frase.

Coprendomi le orecchie e cercando di salvarmi da quell’ambiente malato, potei soltanto udire altri rumori soffusi provenire dal piano di sopra, meno violenti di quelli prodotti dal mio genitore però, mentre le strida acute di Stefania rimbombavano ovunque attorno a me. La ragazza doveva essersi portata già davanti alla porta d’ingresso, pronta anch’essa a dileguarsi dopo le ennesime e brutali promesse che stava facendo al suo ex amante, poiché da quel che gli stava dicendo intesi chiaramente che non aveva più intenzione di cercarlo o di rinstaurare qualcosa con lui.

Mi venne spontaneo chiedermi le sorti del mio fratellastro, che in quegli istanti dovevano già essere state decise, ma davvero in quel momento non potevo preoccuparmi di altri o di altro se non di me stesso e della mia incolumità mentale, tentata da quegli orribili, volgari e violenti litigi. Intanto, un rapido tramestio provenne anche dalle scale, segnale che qualcun altro voleva andarsene da quella casa e uscire all’aperto.

Ormai dimentico pure del mio pianoforte, tornai ad agire come un pazzo, pur di fuggire da quel posto che puzzava di malsano e di male.

Sfruttando quindi la finestra aperta della stanza, per fortuna al piano terra, uscii frettolosamente in giardino e mi dileguai in fretta senza che nessuno se ne accorgesse, raggiungendo senza intoppi il cancelletto e lasciandomi alle spalle e con un sospiro di sollievo tutto quel patatrac. Volevo solo fuggire da lì, e in quei fatidici istanti pensai di poterci riuscire.

Ma in strada dovetti affrontare l’ennesimo ostacolo, prima di poter raggiungere una qualche sorta di piccola libertà.

Nulla, nella vita, è mai troppo semplice o scontato.           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Salve a tutti!

Continuo a ringraziare chiunque sia giunto a leggere fin qui, e tutti i gentilissimi recensori che mi seguono sempre con grande puntualità ed attenzione. Grazie, davvero!!

Grazie di cuore a tutti e per tutto, e buona giornata! A lunedì prossimo.

   
 
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