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Autore: sofismi    18/10/2016    2 recensioni
Sono un'artista, dipingo. Sono sola, sono arrabbiata, o almeno lo ero. Nel momento in cui ne avevo più bisogno è arrivata una persona e ha scombinato l'intero ecosistema, è un male o un bene? Non lo so, so che non dovevano andare così le cose, non a me. Non a me che sono così grigia, e rossa. Lo so che rischiavo di diventare nera, ma ne vale davvero la pena? È giusto soffrire così, adesso? Vorrei arrendermi al nero, perchè allora non ce la faccio? È come se fossi sott'acqua, ma non riesco a capire se sto risalendo in superficie, o se sto inesorabilmente scendendo verso il fondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto
Come sempre quella mattina bevvi il mio solito caffè, freddo. Mi ostinavo ad abbandonare in giro la tazzina, non importava cosa stessi facendo: avrei sempre, puntualmente, incondizionatamente dimenticato il caffè da qualche parte. Quella mattina stetti a fissare la tazzina bianca con il bordino blu fino ad imparare a memoria la sequenza dei fiorellini stampati sopra, ero completamente persa nella mia mente: ogni qual volta passavo una notte insonne mi veniva sempre difficilissimo concentrarmi anche sulla cosa più piccola e sciocca.
Rimasi con lo sguardo perso nel vuoto e pensai a quanto in quel momento mi stavo odiando. Non riuscivo nemmeno ad essere coerente con me stessa, avevo sempre pensieri orrendi ma agivo di continuo nella maniera opposta. Quanto deve essere crudele una persona per torturarsi in questo modo?
Ripensai ai mesi precedenti, a tutti quei mesi passati con un vuoto nel petto, sintomo di una persona che ha perso l’anima, o come nel mio caso: sintomo di quando l’anima viene letteralmente strappata dal corpo, assieme a tutta la vita a cui era legata. Avevo sofferto così tanto che non volevo più nemmeno essere felice, per paura di poter essere accoltellata di nuovo.
Le lacrime mi pizzicavano gli occhi, sapevo cosa stava succedendo ma non lo avrei mai ammesso. Negavo sempre il mio dolore, con l’idea che non fosse abbastanza valido da essere considerato tale. Incolpavo sempre il cambio di stagione, una giornata storta, un gesto maleducato da parte di chiunque; non avrei mai ammesso la gravità della situazione. E nemmeno in quel momento fui in grado di concedermi una lacrima, un singhiozzo, per alleggerire il peso di quella situazione così sottovalutata.
- Buongiorno- disse Felix entrando in cucina, spettinato e con un sorriso in volto che invidiavo con tutta me stessa. Avrei voluto esserne capace anche io: sorridere la mattina, che meraviglia.
-‘Giorno.- mi stropicciai gli occhi e feci finta di sbadigliare, per camuffare gli occhi lucidi.
- Tutto bene?- mi guardava in modo strano, ma il sorriso non abbandonò il suo volto. Aveva uno sguardo così gentile, il poco che sapevo su di lui non si addiceva per niente all’impressione che mi aveva dato, eccetto forse per il nostro primo incontro sul treno.
- Vuoi del caffè? Qualcosa da mangiare?- cercai volontariamente di cambiare discorso, non sono mai stata brava a mentire.
- Ti ho sentita, stanotte. – mi disse serio.
Il mio cuore perse un battito, il suo sorriso scomparve, lo sguardo triste.

- Mi sono stancata! Sono stanca, e delusa. Non hai le palle per continuare questa relazione, non hai le palle per continuare ad amarmi. Non lo meriti. Io non lo merito. Se pensi di non farcela vattene, e non tornare mai più. Vattene senza voltarti. Sai cosa mi fa più arrabbiare? Mi stai facendo sentire una scema: nonostante la difficoltà del momento io sono qui, e ti amo, e il pensiero di vivere senza di te non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello. Per me sei sempre stato indispensabile, evidentemente per te non ero così importante.- le emozioni mi turbinavano nel petto come impazzite, non ragionavo più lucidamente. Stavo guardando la mia vita voltarmi le spalle, lo stavo aiutando a prendere il coraggio per prendere le sue cose e chiudersi la porta alle spalle.

Ricordo l’esatto momento in cui realizzai di essere rimasta sola. Il momento in cui mi strappò l’anima dal petto con violenza. Ho sempre odiato i luoghi comuni ma in quel momento mi sentii morta. Non c’era un altro modo per descrivere come mi sentivo. Semplicemente non mi sentivo.
Che cosa avrei fatto? Dove sarei andata? Il mondo intero mi aveva voltato le spalle: prima la mia famiglia, adesso anche lui.
L’ansia che mi attanagliava lo stomaco era pressoché impossibile da gestire, era proprio un dolore fisico. L’ansia stava diventando il mio peggiore incubo. L’ansia era l’unica compagnia che mi meritavo. L’ansia mi ricordava ogni giorno quanto stupida fossi stata.

Ormai erano mesi che non esisteva più un noi. Ero sola, e non vivevo. Giornate grigie trascorrevano lente, e notti ancora più buie mi inghiottivano. Le persone che pensiamo di amare, e quelle da cui pensiamo di essere amati, sono sempre le prime a voltarci le spalle, a farci del male, a tradirci. E non parlo solo carnalmente, il tradimento emotivo è peggio: è quello che ti fa pensare “io non ti amo più”, “tu non sei quello che voglio”; è questo quello che ci uccide, quello che ci fa odiare la vita. E questo non è che l’apice del mio malessere, la punta dell’iceberg contro il quale il mio cuore si era schiantato. Mille altri pensieri che ero solita a lasciare nella stiva della nave tornarono a galla con lo schianto, le pareti lacerate del mio cuore lasciarono evadere memorie nascoste e segrete che ricominciarono a mangiarmi da dentro. E piano piano iniziai a morire davvero. Il cibo divenne un bisogno secondario. L’unica cosa di cui avevo bisogno era la mia arte: sentivo la costante necessità di buttare su quelle tele, su quelle pareti, tutti i demoni che mi portavo dentro. E piano piano mi isolai.


- Ti ho sentita, stanotte.- mi disse serio.
lo guardai con dispiacere:
- Ne parliamo un’altra volta, va bene? Promesso.- sinceramente dispiaciuta pensai a quanto fosse difficile da mandare giù una confessione del genere e non me la sentii subito di mettere questo ulteriore peso sulle sue spalle.
- Tranquilla, mi sono solo preoccupato. Tutto qui.-
Erano forse anni che non sentivo una frase del genere, mi scaldò il cuore ma mi fece paura: fortunatamente la paura era l’unica emozione che riuscivo a non tradire. Ho sempre cercato di stare ad una certa distanza dalle persone, a causa del mio passato. Questo ragazzo però stava esercitando una sorta di potere su di me, forse non volontariamente, eppure lo stava facendo. Stava succedendo qualcosa dentro di me, e io non capivo cos’era, ero curiosa e spaventata. Paura e contentezza. Distanza e riavvicinamento. Ero spezzata a metà.
- Vestiti, ti porto fuori a dare una svolta alla tua vita.- dissi, non sicura se fosse riferito a me o a lui.



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Cari lettori, buonasera.
Intanto volevo ringraziare per le recensioni, mi fa un sacco piacere sapere cosa ne pensate. Mi sto prendendo questo piccolo spazio per un motivo ben preciso: vorrei spiegare come prima cosa che questo è un "esercizio" per allenare la mente a rimanere concentrata su un solo personaggio, e per dimostrare (a me stessa) che posso iniziare una cosa e prortarla a termine.
Volevo anche spiegare che la triade io-lui-noi è fatta apposta per simboleggiare i gradini presenti nella mente di Helena: dove il primo apparteneva al "noi" (lei e il suo ex fidanzato), sul secondo c'era "lui" e infine veniva lei. E il mio obbiettivo è proprio quello di ribaltare la gerarchia e far sì che Helena riesca mettere se stessa al primo posto.
Un bacino a tutti,
Ann Marie.
  
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