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Autore: Pedistalite    19/10/2016    3 recensioni
La fic è ambientata in un alternative universe non meglio precisato, nel quale SPN è uno show ormai concluso e Jared e Jensen hanno smesso di frequentarsi assiduamente.
Un crash test è una forma di test distruttivo di solito eseguito per verificare la sicurezza delle…
Genere: Angst, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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*** Rollover (cappottamento): in cui si testa l'abilità dell'auto (specificamente i montanti che sorreggono il tetto) a sopportare il proprio peso in un impatto dinamico. ***



 

Tutta la tua rabbia evapora. E forse sei un figlio di puttana egoista e costruito, ma non puoi restare distaccato dinanzi alla sua sofferenza.

Perchè sta soffrendo.

E si taglierebbe un braccio pur di non fartelo vedere, ma ha avuto un crollo, non sai perchè ma sai che è così. Si è intaccata la sua armatura, e vorresti inserire le dita e aprire di più quella breccia, ma sai che ti odierebbe se tu lo facessi, e ti sforzi di essere maturo e civile, e di rispettare la sua privacy e accettare ciò che vuole, o non vuole, dirti.

 

Lo tiri su di peso.

Sei confuso, voi non siete mai stati così. Lui non ti ha mai mostrato vulnerabilità. Non sai quale sia la tua parte su questo nuovo palcoscenico, e come recitarla. Quando gli passi le mani sotto le braccia per rimetterlo in piedi senti le sue giunture scricchiolare. Ti sembra di avere l’opportunità di toccare qualcosa di fragile e misterioso. Non hai la capacità di esercitare la giusta pressione, la dovuta delicatezza. Manderai tutto a monte. Questa tregua, questa specie di dimensione parallela in cui siete entrati quando lui stanotte ti ha telefonato, ha i contorni evanescenti, sembra un foglio di carta velina, temi che si accartoccerà sotto le tue manipolazioni inesperte.

 

Lo trascini praticamente di peso verso il bagno, e lui te lo consente. Strano, è sempre stato così orgoglioso… E tu dopo tutto, ti senti improvvisamente, vertiginosamente sobrio. Grato che questa fiducia ti sia concessa. Grato che Jensen ti si mostri così.

“Fa con calma, ti aspetto fuori,” esali.

Ti proibisci di parlare troppo, come faresti di solito, se sei nervoso. Sei diretto, sintetico. Avete entrambi bisogno di una pausa, riprendere una parvenza di controllo, prima di potervi parlare, o scopare, ma in ogni caso prima di ritornare rispettivamente alle vostre vite.

Concludere questa disastrosa nottata.

Della quale speri di non mantenere alcuna memoria.

Sogni dieci minuti di solitudine per raccogliere i pensieri, prendere un advil.

 

Ti mordi la lingua perchè sei un uomo adulto, di fronte a un uomo con cui hai avuto una relazione (era una storia, fanculo, non ve lo siete mai detti, ma scopavate e tu lo amavi, perciò era una relazione) e non vuoi raccoglierlo tra le tue braccia. Non vuoi chinarti sulle ginocchia e baciargli le punte delle dita, no, sarebbe imbarazzante, Jensen ne sarebbe infastidito, come tutte le volte in cui tu hai mostrato il bisogno che avessi di lui.

Jensen voleva che tu la prendessi alla leggera. Ti voleva, e ti cercava, ma si spaventava quando gli facevi capire che per te poteva esserci anche altro.

Per questo alla fine ti sei sposato.

Perchè Genevieve poteva salvarti e tu, idiota, non glielo hai permesso.

 

“Dove pensi di andare?”

Jensen ti avvolge la mano attorno al polso, “Muovi il culo ed entra in quella doccia con me.”.

Sembra essere marginalmente più controllato adesso. O, almeno, non devi essere tu a mantenerlo in piedi per non farlo cadere.

Ti inizi a spogliare, come in trance. Te lo ha chiesto e boom, non valuti nemmeno di potergli dire di no. (Ti ha chiesto di scoparlo per tutto il tempo che vuole, fino a che non torna tua moglie, e la cosa ti fa incazzare, ed eccitare, e mortificare, e sai già che lo farai…)

 

Ti rendi conto di quello che fai quando senti il clang della fibbia della sua cintura che batte contro le maioliche: tu e lui, nudi, sotto la doccia. È l’idea più stupida che potreste avere.

Riconsideri velocemente le tue opzioni, ma Jensen si puntella su di te, le dita affondate attorno alla curva del tuo bicipite. “Stai ancora pensando troppo. Lascia perdere. Questa notte è mia, me la devi” conviene, entrando nel box, sotto il getto potente e portando nel movimento anche te oltre il bordo.

 

Fanculo a tutto. Ti viene offerta questa cosa, e allora te la prenderai.

Tanto starai male comunque.

 

Gli aderisci in un istante alla schiena. Una schiena liscia, e bagnata, e costellata di lentiggini. Ha sempre avuto la pelle delicata… sempre il primo a ricoprirsi di graffi e lividi sul set.

Senti i suoi muscoli irrigidirsi al contatto e poi rilassarsi. “Ho bisogno di questo,” ti supplica, in quel suo modo troppo orgoglioso per supplicare davvero. (Sai benissimo cosa prova in questo, potresti rispondere alle sue emozioni confuse con le tue. Non lo fai, sei incoerente e vigliacco. Non intendi rendergli le cose facili). Ed è lui, e non è lui. Non lo riconosci più.

 

“Ho bisogno di questa notte. Del tuo cazzo.”

Ah, ecco… ora lo riconosci, consideri con discreto cinismo. (Sei stanco di sperarci e la disillusione ti mette a tuo agio, ti dona.). Gli serve una sveltina per superare la paura del matrimonio. Probabilmente per chiudere col sesso promiscuo, votarsi alla monogamia.

Per lui sarà come una specie di addio al celibato.

 

Ed è troppo. Troppo.

Spingi con forza la testa sotto l’acqua, per confondere la traccia di una lacrima. Vorresti urlare, fotterlo, gridargli che lo odi, vorresti esplodere e spegnere il cervello, ustionarti sotto il getto bollente, per purificarti e sradicarlo da dentro di te.

Tu e lui avete una storia lunga e banale. E quello che c’è tra voi non finirà mai. E di questo potresti morirne. Ma non importa a nessuno. Aspetti con ansia il giorno in cui potrete finalmente cominciare ad odiarvi per ciò a cui vi sottoponete.

E sei un fottuto, esagerato, incoerente re del melodramma.

Ti devi solo dare una calmata. Dormire qualche ora. Superare la notte (e il prossimo giorno, tutto il prossimo giorno, quello che Jensen ti ha chiesto di passare a letto, a infradiciare le lenzuola…) indenne. Rimanere solo, per ricominciare a dimenticarlo.

 

Dovresti volerti più bene, buttarlo fuori, dissentire.

Ma d’altro canto puoi avere questo adesso...

“Ok, va bene. Va bene Jen.”

Ti concedi di esprimere un poco di dolcezza. Hai sempre cercato di non farlo tutte le volte che avete scopato, tutte le volte che lo hai guardato e ti sei imposto di non fargli capire che se te ne avesse dato modo lo avresti stretto fino a inglobarlo dentro al tuo corpo, unire le vostre cellule, le vostre anime… Non volevi sembrare un ragazzino con una cotta,non volevi che lo capisse, che ti aprisse il costato e affondasse le mani.Poteva farlo. Quasi certamente lo avrebbe fatto.

Avevi, all’epoca, un certo orgoglio.

Jensen rabbrividisce (ha freddo, è provato, è imbarazzato? Non ne hai idea. Non lo capisci. Lui lo sa che tu non lo capisci, e non fa niente).

E tu lavi tutta la pelle che riesci a raggiungere agevolmente, gli passi il sapone e la spugna sulle braccia, sul torace, sui fianchi.Te lo permette.

Questa notte è tutta così. Tu azzardi e lui te lo permette.

Lavi velocemente, efficientemente te stesso, senza dedicarti la stessa devota attenzione e poi gli giri intorno, ti pieghi nella cabina capiente abbastanza da accogliere entrambi, per passargli la spugna sulle gambe, sulle cosce, indugi probabilmente più del necessario sui glutei.

Jensen sussulta contro di te. “Usciamo di qui, Jay. Muoio di freddo.”

Sai che non è vero. La temperatura dell’acqua potrebbe cuocervi, ma annuisci. Rigiri le manopole in senso contrario, esci per primo e grondi sul pavimento, afferri le spugne per entrambi. Gliene avvolgi una attorno, ti passi distrattamente l’altra addosso, poi tra i capelli.

Nella camera la temperatura regolata dal condizionatore è alta, la aumenti di un altro paio di gradi, Jensen si drappeggia sulla tua schiena. Odore di bagnoschiuma industriale, e poi di erba tagliata di fresco e cuoio (come i suoi stivali da cowboy), odore delle sue tante giacche di pelle, inspiegabilmente, di fumo di sigaretta. Il suo odore pare quasi rimanerti addosso, impregnarti.

Lo riconosceresti tra mille.

Socchiudi gli occhi, inspirando fino a poter scoppiare, un po’ arrabbiato con te stesso.

 

“Dormiamo?” ti chiede, quasi infantilmente, accenna un sorriso e ti dà una spinta.

Per il momento ne avrà abbastanza dei drammi anche lui.

Ed è questo che ti manca più di tutto. Più del sesso, (che pure era spettacolare), più della chimica che avevate, del vostro modo di esprimere fisicamente una compatibilità che era anche mentale. Ti manca il tuo amico. Quello capace di offrirti un pompino e una birra in due frasi, una di seguito all’altra. Di farti ridere e di farti venire. Di capire come prenderti, quando insistere e quando glissare. Di trovarti attraente anche dopo aver visto che rutti, e ti gratti, e ti addormenti, e ti puzza l’alito di cane morto al mattino. Tu, queste cose, di Jensen non le hai mai notate. Le farà anche lui, perché è umano, (puzzerà se suda, andrà al cesso e di sicuro non cagherà rose e viole, rutterà e si gratterà…) ma lo hai sempre considerato perfetto, infallibile, inarrivabile.

 

Ti precede nell’altra camera e si proietta sul materasso. Così com’è. Nudo.

Tu esiti. Non la trovi una buona idea.

Jensen vuole forse qualcosa da te, (oltre al sesso)? Non lo sai, non sai un cazzo. Non sei convinto di poter assecondare quale che sia la sua richiesta. Hai paura. Vorresti non averlo mai incontrato stanotte. Vorresti non sapere.

(Jensen non ti dirà mai che cosa vuole da te veramente. In fondo lo sai bene. Lo hai già ammesso con te stesso molto tempo fa. Continuerà a sfuggirti, come ha sempre fatto e tu…)

E tu sei più lucido adesso, la sbornia l’hai quasi smaltita del tutto e un mal di testa di tutto rispetto ti sta martellando le tempie. E perché è qui veramente, cosa vuole davvero da te e come mai non ti lascia in pace?

 

“Jared…” bisbiglia, una mano a coprire uno sbadiglio, (se non fossi nello stato in cui sei, lo troveresti adorabile, assonnato e un po confuso, con i capelli umidi e la pelle calda…).

“Vieni a letto, Jared.”

Non ha alcuna esitazione. Sa che andrai da lui, sai che lo farai.

 

E chi diavolo si crede di essere? Perché pensa di poter riversare su di te le sue frustrazioni, la sua solitudine, le paure che lo attanagliano e dalle quali vorrebbe che tu lo curassi… Le sue paure a una settimana dal suo matrimonio...

Non sei un buon samaritano. Vorresti avere il controllo delle tue emozioni, decidere finalmente se amarlo o odiarlo. Vorresti riuscire ad usarlo. Scoparlo, buttarlo fuori domani.

Vorresti osservare le sue efelidi, e non provare nulla, senza sognare di poterle tracciare con la lingua. Ma la verità è che conosci la loro posizione a memoria, potresti disegnarle se te lo chiedessero, se fossi bravo con una matita.

Sei patetico.

 

Jensen dal letto getta un’occhiata alla radiosveglia. Segna le quattro e quaranta. E tu ti senti completamente esausto. Fanculo a tutti.

“Smettila. Smettila di pensare,” ti invita, l’accento più marcato, come quando è particolarmente provato, o stanco. Ma tu ancora non riesci a muoverti.

“Avanti… vieni, big boy.” Solleva le coperte disordinatamente e ci sguscia in mezzo.

Ha gli occhi cangianti, verde cupo come una pietra di onice. Vorresti carpirne ogni segreto, possederlo e divorarlo. Rinascere in lui.

Ti si mozza il fiato in petto, e non capisci se è un infarto o una crisi di panico, o l’amore che provi che potrebbe finalmente, inevitabilmente soffocarti. E non sei pronto.

Vorresti essere un uomo migliore di quello che sei, e non avere paura, e ammettere i tuoi errori, e chiedere perdono a Genevieve, andare da lei a genufletterti e a dirle che è una donna fantastica e che non la meriti e che sei tu quello sbagliato. Quello che ha provato a sfuggire a questa voragine per vigliaccheria e ha fatto solo casini.

Rabbrividisci e tutto è ineluttabile e chiaro, per la prima volta da molto tempo, davanti a quest’uomo, che ti si offre come se potesse essere un episodio isolato, come se tu potessi averlo un’ultima volta e trovare una sorta di pace, come se potesse bastare. Lo trovi offensivo. Riduttivo.

 

“Regalami una notte Jay. Una notte e un giorno intero. Ti prometto che non ti chiederò più niente.”

 

Sembra averti letto nella mente. Ti volti di spalle un istante. Non lo puoi guardare.

Ha già chiuso gli occhi, ma il suo respiro è regolare, controllato. Ti aspetta.

Non avete mai dormito insieme. O meglio, sì certo, l’avete fatto, ma sempre come amici, o come amici che scopano. Supponi che sarebbe diverso stavolta.

 

Forse dovresti arrabbiarti, mantenere una posizione più salda, o farti desiderare… Ti piacerebbe esserne capace. Chiedergli cosa gli fa credere di poter venire da te nel bel mezzo della notte, con le sue richieste inappropriate, come se avesse un protettorato sull’estensione dei tuoi muscoli, sulla lunghezza delle tue ossa, come se se lo potesse permettere... ma per ora non ce la fai più.

Non dichiari forfait, ma ti serve un time-out.

 

Avanzi come in autopilot, entri tra le lenzuola e in un istante sei sommerso e invaso da lui. Troppi stimoli che non puoi cogliere, troppe cose che vorresti intrappolare nella tua mente, per richiamarle un giorno a comando, ricordarle quando ne avrai più bisogno, soffocarle quando ti sembrerà insopportabile. Ma non riesci a fare nulla. Sovraccaricato, il cervello ti va in corto circuito.

L’ultima cosa che senti è Jensen che si sistema comodamente accanto a te, i vostri corpi un contatto perfetto di vuoti e pieni, un’alchimia inspiegabile, come la densità dell’acqua.

“Shhh Jay, dormi. Sei mio, per queste ultime ore della notte e per tutto il prossimo giorno, sei soltanto mio.”

 

Lo sono.

Lo sono, vorresti concordare.

Ma non sarebbe vero.

   
 
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