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Autore: nikita82roma    19/10/2016    3 recensioni
Kate sta per tornare al distretto riprendendo ufficialmente il suo ruolo di capitano e separarsi da sua figlia e da suo marito sarà più difficile di quanto pensasse. Non appena rientra al distretto le si presenta subito un caso scottante che tratterà in prima persona: il figlio di un famoso narcotrafficante di origine venezuelana è il colpevole di alcuni efferati delitti di giovani donne. Si troverà davanti a decisioni difficili e a dover combattere una battaglia alla quale è impreparata che la metterà davanti a nuove e vecchie paura, a dover scegliere ancora una volta quale direzione dovrà prendere la sua vita...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Kate non dormì quasi mai quella notte. Ogni volta che chiudeva gli occhi e le sembrava di essere vinta dalla stanchezza nella sua mente tornavano solo prepotenti gli incubi dei suoi giorni peggiori con una sola differenza, non era lei a morire, ma era quella che rimaneva sola, in una stanza che diventava sempre più buia e sempre più stretta, con le pareti che si avvicinavano e la intrappolavano, mentre l’oscurità inghiottiva Rick e Lily cancellandoli dalla sua vista. E urlava e non aveva voce per farlo. E si sentiva la gola bruciare dallo sforzo di urlare la sua disperazione che rimaneva intrappolata dentro di se, come se fosse anche incapace di dire al mondo quanto stava male. Era un’angoscia muta, una paura così grande da non riuscire nemmeno a spiegarla.

Quando apriva gli occhi si alzava di scatto nel letto e si voltava da una parte e dall’altra, sperando che fosse solo un sogno. Ma non lo era. Era sola.

Andò in bagno e si mise sotto la doccia, lasciando che l’acqua, che scorreva forte sul suo corpo, coprisse anche le lacrime che si concedeva di far uscire. Pensava a se stessa, alla visione che avevano gli altri di lei, che doveva essere sempre quella forte, quella determinata, quella che trasformava il suo dolore in rabbia e grinta per andare avanti. Non sapeva, però, se era più quella. Lo era stato, per tanto tempo, per tanti anni, ma poi Castle aveva lentamente scardinato il suo muro dietro quale nascondeva i suoi dolori e le sue paure, l’aveva messa a nudo, innanzi tutto a se stessa, pezzo dopo pezzo ed ogni volta, rialzarsi e combattere era stato sempre più difficile. Glielo aveva fatto fare la forza della disperazione nel non arrendersi quando a Washington doveva trovare l’antidoto per salvarlo ed era stato ancora più difficile combattere quando lui era sparito, in quei due mesi in cui sola contro il mondo si ostinava a credere in lui, nonostante tutto dicesse il contrario. Era stata una violenza fisica doverlo lasciare con la scusa che era solo per il suo bene e per proteggerlo, quando le mancava come l’aria. Quanto tempo buttato, sprecato.

Dopo la nascita di Lily, poi sapeva di aver fatto un altro passo avanti e lasciato altre scorie alle spalle, Rick glielo ripeteva spesso, che sarebbe stata la loro piccola despota a farla cedere del tutto, lei obiettava ma sapeva che aveva ragione.

Ma quella Kate, era la Kate solo di Castle e di Lily.

Per tutti gli altri era sempre Beckett e in quel giorno si era resa conto come per tutti era sempre la stessa Beckett, anche per i suoi amici più cari. Era schiava di quella figura che si era abilmente costruita negli anni, per non prestare il fianco alle debolezze, agli attacchi, per essere impassibile ed impenetrabile, quella corazza che in poche occasioni aveva tolto e si era lasciata vedere scalfita e ferita. Così ora doveva essere Kate quella forte, quella che incurante del suo mondo che le cadeva intorno doveva andare avanti, si aspettavano questo da lei. Tutti. Ripensò alle parole di Alexis, anche lei la vedeva così, come quella che doveva fare qualcosa. Non era la madre di Lily e la moglie di Rick. Era Kate Beckett e doveva fare qualcosa, perché lei questo faceva, prendeva le situazioni di petto ed agiva, incurante dei suoi sentimenti. Questo era quello che pensavano tutti di lei, perché questo era quello che lei aveva sempre mostrato a tutti. Sentiva come se non le fosse concesso nemmeno di aver paura, di non saper cosa fare o di aver paura di fare qualsiasi cosa. Uscì dalla doccia e si guardò allo specchio cercando qualcuno che non vedeva più o che non voleva vedere. Vedeva il suo corpo, nudo, cambiato, segnato ed ogni traccia sulla sua pelle l’avevano portata ad essere quello che era ora, una donna vulnerabile, una madre ed una moglie, prima che un capitano della polizia di New York. Questo era quello che vedeva lei, quello che vedeva solo lei. Si passò le mani tra i capelli lunghi e bagnati, sentendo l’acqua che si staccava scorrere sulle dita. Si pettinò a lungo, fissando la sua immagine allo specchio, come se ogni colpo di spazzola insieme all’acqua che schizzava via dovesse eliminare anche uno strato di se. Chiuse gli occhi e poggiò le mani sul bordo del lavandino, stringendolo forte come se volesse staccare la base di marmo dal resto e farla diventare creta morbida tra le mani. Respirò, lentamente e profondamente e quando aprì di nuovo gli occhi non si guardò più. Legò i capelli in una coda alta, tornò in camera, accese tutte le luci fino a rimanere abbagliata. Si vestì, con foga, jeans, maglietta, stivali ed un giacchetto di pelle. Prese distintivo e pistola che mise dietro i pantaloni e pochi altri effetti personali. Chiavi, soldi, cellulare, tutto nelle tasche della giacca. 

Uscì dal loft che era ancora notte.

 

 

- Voglio sapere cosa state facendo. E lo voglio sapere ora. - Era arrivata al distretto, entrata nella sala delle riunioni che era diventato il quartier generale dell’FBI per quel caso.

- L’agente Sorenson non c’è, non so se sono autorizzato a dirle qualcosa. - Rispose un altro agente presente in quel momento.

Kate si allontanò e prese il cellulare per chiamare Will

 

- Beckett! Che succede è notte fonda. - Disse la voce assonnata del suo ex dall’altra parte del telefono.

- Voglio sapere cosa sta accadendo e nessuno mi dice nulla. Quindi o vieni qui e mi dici tutto tu, o dici ai tuoi di informarmi.

Fu una conversazione breve, perché in pratica non c’erano novità. Nulla. Nessuna traccia, nessuna richiesta. Aspettavano solo i risultati della scientifica per vedere se nell’auto o nel parcheggio c’erano tracce particolari. Avevano anche sequestrato le telecamere esterne di alcuni edifici lì vicino, ma la zona dove era parcheggiata la macchina di Castle era in un cono d’ombra per tutti i dispositivi. Si vedeva solamente quando la macchina arrivava, ma nulla più, nè niente all’interno. Guardò e riguardò quei video decine di volte. All’ennesima visione si alzò di scatto dalla sua postazione ed andò nella sala riunioni.

- Toyota Corolla, blu, vetri oscurati targata di New York EV1110 - Kate andò da un agente al computer e gli sbattè davanti una schermata del video stampata.

- Cosa è Capitano Beckett? - Chiese calmo

- Questa auto esce dal parcheggio 4 minuti dopo che il cellulare di Castle smette di funzionare e viene dalla stessa zona d’ombra dove era parcheggiata la sua auto. Era arrivata lì circa 15 minuti prima di lui. - Lui sembrava non capire.

- È una macchina che non dà nell’occhio se non per i vetri oscurati che non sono usuali, ma è un’auto che passa inosservata, ce ne sono decine, centinaia di migliaia in città! - Era spazientita che non capivano l’ovvio.

- Cosa dobbiamo fare?

- Trovatela. Voglio sapere tutto. Dell’auto, dei suoi spostamenti e del suo proprietario. - A Kate non importava che quegli uomini fossero dell’FBI e non i suoi. Aveva trovato qualcosa, poteva essere un buco nell’acqua, ma per ora aveva questo tra le mani e non l’avrebbe lasciato per niente al mondo.

L’agente inserì i dati nel computer ed apparve subito la schermata relativa al suo proprietario.

- Emma Vladic, 33 anni non sposata, nessun figlio. Lavora come centralinista per una società che vende pizze surgelate. Qualche piccolo precedente per possesso di droga anni fa e fermata un paio di volte per guida in stato di ebbrezza. - L’uomo le lesse diligentemente la scheda

- L’indirizzo. - Chiese perentoria

- Ma non abbiamo nulla…

- Dammi l’indirizzo. - Visto che quello non rispondeva, girò il foglio che aveva stampato prima e ci appuntò sopra l’indirizzo copiandolo dallo schermo ed uscì dalla stanza e dal distretto. Quello prese subito il telefono e chiamò il suo superiore.

- Agente Sorenson… Sono Clark, c’è un problema… Il Capitano Beckett ha trovato un indizio, una sospettata ed è andata da sola a prenderla.

 

Kate tornò al distretto poco più di un’ora dopo. Aveva fatto quello che tutti volevano da lei. Aveva agito. Era andata a casa della Vladic, da sola, l’aveva presa e portata al distretto. Quando la pattuglia mandata in appoggio da Sorenson era arrivata, Kate stava già uscendo di casa con la donna ammanettata ed ora lui la aspettava, braccia incrociate e sguardo truce, nel corridoio davanti all’ascensore. Incrociarono i loro sguardi, ma Beckett tirò dritta, portandola fino alla sala interrogatori e facendola sedere dentro. Poco prima di entrare anche lei, però, sentì Sorenson afferrarle il braccio e costringerla ad uscire.

- Cosa vuoi Will? - Gli disse strattonandolo per fargli lasciare la presa che però lui non mollò, anzi diventò ancora più forte.

- Cosa ti sei messa in testa di fare eh Kate?

- Quello che non fate voi. Faccio il mio lavoro.

- Questo caso non è il tuo lavoro.

- Hai ragione, è molto di più. E non sarai tu a dirmi quello che posso o non posso fare. - Spostò con decisione la mano del suo ex dal suo braccio.

- Sai che ti posso far allontanare, vero? - La minacciò

- Sai che non mi fermerei comunque, vero? - Lo sfidò e poi senza dirgli altro entrò nella sala interrogatori pronta ad un altro round.

 

Mise una foto di Castle sul tavolo tra lei e la donna facendo attenzione a non incrociare mai con lo sguardo la foto, sapeva che sarebbe stato tutto più difficile e non sapeva, invece, se avrebbe potuto reggere le emozioni.

- Conosce quest’uomo? - Chiese nel modo più impersonale possibile. La Vladic prese la foto e la guardò, la cosa che più stupiva Beckett era come non fosse per niente preoccupata di quella situazione. Era stata prelevata alle prime luci dell’alba dalla polizia, portata in centrale ed interrogata ed era come se fosse ad un incontro qualsiasi.

- Sì, certo, è quello che scrive i libri gialli, Castle. Li ho letti tutti.

- Lo ha mai visto… di recente?

- In tv, una volta, qualche tempo fa… Parlava del suo nuovo libro, qualcosa per bambini, non è il mio genere, meglio i gialli.

- Dico di persona. Lo ha visto?

- No! - disse convinta e stupita della domanda - Dovrei?

- Dov’è la sua auto? La corolla blu?

- Ah mi avete portato qui per la mia auto? Eppure non ho ancora fatto la denuncia! Sa, me l’hanno rubata due giorni fa, ma sono stata molto impegnata con il lavoro eh… - Beckett la interruppe

- Quindi lei mi sta dicendo che la sua auto le è stata rubata, casualmente due giorni fa, la stessa auto che era sul luogo di un sequestro di persona ieri mattina… Furto che lei, tra l’altro non ha denunciato… Che coincidenza!

- Eh sì, coincidenza… Ma cosa vuole da me Capitano?

- Voglio sapere dove sono Richard Castle e sua figlia, perché l’ultima volta che sono stati visti erano proprio vicino alla sua auto, in un parcheggio sull’East River!

- Io nemmeno ci sono mai andata lì! Cosa ne posso sapere?

 

- Beckett, puoi venire un attimo? - Ryan era entrato nella sala interrogatori interrompendo il confronto tra le due donne con un fascicolo in mano. Kate lo seguì nella stanza adiacente guardandolo con la faccia di una che vuole solo dirgli “Spero per te che sia importante”.

- Nel sedile posteriore dell’auto di Castle hanno trovato dei capelli lunghi e biondi, vicino al poggiatesta. - Spiegò il detectie

- Come quelli di Emma Vladic… 

- Già, la scientifica sta facendo un riscontro adesso sul dna, quello della Vladic è in archivio e…

- Kate, ti posso fare un paio di domande? - Sorenson aveva interrotto i due Ryan si era immediatamente fatto da parte

- Sai se Castle frequentasse qualche donna con i capelli lunghi e biondi che potrebbe essere stata sulla sua auto? - Le chiese Will senza girarci troppo intorno

- Mi stai chiedendo se so se mio marito frequentava qualche altra donna?

- Magari solo persone che corrispondono che possano essere stati nella sua auto…

- No, l’unica che mi viene in mente è Gina, la sua ex moglie ed ex editor ma so che non ha rapporti con lei, nemmeno di lavoro, da mesi. 

- Ne sei sicura? Non potrebbe aver avuto qualche motivo per stare in macchina con Castle?

- No, Will, non lo avrebbe avuto. Ma fai come vuoi.  - Disse andandosene. 

 

Passò in sala relax prima di tornare da Emma Vladic. Aveva allentato la tensione un paio di minuti, solo un paio di minuti in cui lei era tornata dall’altra parte e sentiva di nuovo il suo fisico e la sua mente cedere, schiacciata di nuovo dall’oppressione della paura e del non sapere. Si era seduta per qualche momento sul divano fissando la macchina del caffè, come se dalla sua mente potesse materializzarsi Castle che gliene preparava uno, proprio di quelli che a lei piacevano tanto, come solo lui li sapeva fare, con il suo ingrediente segreto che non avrebbe voluto scoprire mai. Decise, alla fine di farselo da sola, più per necessità che per altro, perché le faceva male male fisicamente ed emotivamente compiere quei gesti così quotidiani ma che per lei avevano un senso completamente diverso, erano loro. Gli sembrava di sentire le mani di Castle sulle sue, quando la vedeva armeggiare con quella macchina e si precipitava da lei, per aiutarla e finire lui l’opera. Riuscì anche a sorridere, per un attimo, pensando ai loro primi tempi di amore “clandestino” al distretto, quando lui usava ogni stratagemma, anche solo porgerle una tazza, per poterle accarezzare brevemente la mano, in quel gesto che avevano codificato volesse significare ben altro. Quanto Rick fosse l’elemento centrale della sua vita da quando ne era entrato a far parte, lo vedeva chiaramente anche nelle piccole cose quotidiane, soprattutto in quelle, perché tutto quello che riguardava lei, gli parlava solo di lui, non c’era cosa che non facesse che non riusciva a ricondurla a loro.

Era persa in questi pensieri sorseggiando quel caffè non così speciale, quando Ryan la interruppe di nuovo.

- Purtroppo il dna non corrisponde e quello ritrovato non è in nessun database. - Kate annuì senza dire nulla. - Con questo non credo che possiamo trattenere Emma Vladic ancora a lungo, c’è solo una mancata denuncia per furto d’auto e tra l’altro di quell’auto fino a quando non la troviamo non sappiamo se è realmente coinvolta in qualcosa con questa storia. 

Kate rigirò per un po’ la tazza tra le mani senza dire nulla, poi si alzò e ne svuotò il contenuto nel lavandino.

- Sì, falla andare ma Kevin… - Lo richiamò prima che uscisse - Voglio che scavi nella sua vita e mi trovi tutto di lei, qualsiasi cosa, anche la più piccola. È l’unica cosa che ho adesso e non voglio che ci sia anche un millimetro della sua vita che non sia analizzato.

- Ok Capo - Kevin uscì e Beckett da dietro le veneziane della stanza osservò anche Emma Vladic andarsene dal distretto, impassibile come era arrivata qualche ora prima insieme a lei.

 

Kate stava per rientrare nel suo ufficio, quando si sentì chiamare da una coppia che era appena uscita dall’ascensore. Ci mise un po’ a capire chi fossero, fino a quando non si presentarono. Anna e James Robben, i genitori del ragazzo trovato morto in un coffeshop. Aveva completamente dimenticato il loro caso.

- Mi dispiace signore ma non abbiamo novità ancora in merito. I detective Franklin e Huges si stanno occupando del caso - Beckett li chiamò e i due giovani detective arrivarono con il fascicolo riguardante quello che ormai a tutti sembrava sicuro essere un caso di omicidio. Kate li presentò e Huges prese la parola, tra i due era il più intraprendente, erano una coppia giovane ma brava, da come li aveva visti lavorare vedeva molto affiatamento tra loro e gli ricordavano Esposito e Ryan nei primi anni di lavoro.

- Ecco, vede, suo figlio è stato visto in quel coffeshop insieme ad un altro ragazzo, di cui abbiamo solo un identikit, lo riconoscete? - Mostrarono il foglio ai genitori ma nessuno aveva mai visto quella persona e non sembrava nemmeno il genere di frequentazioni del figlio 

- Uno dei camerieri del locale ci ha detto che vostro figlio andava spesso lì, vi risulta? - Ancora una volta ricevettero una risposta negativa.

- Signori, vi assicuro che faremo il possibile per scoprire cosa è accaduto a Mark - Disse Kate cercando di svincolarsi da quella situazione e risultando più sbrigativa e impaziente di congedarli, ma fu la voce della madre di Robben a riportare la sua attenzione su di loro.

- Cosa c’è, capitano, adesso che avete da indagare su qualcuno famoso la vita di mio figlio vale di meno? - La donna guardava verso il fondo del corridoio e Kate si voltò a seguire la sua stessa linea di sguardo, vedendo Esposito che sulla loro lavagna stava mettendo le foto di Castle e ricostruendo tutta la situazione. Fisso quella scena senza dire nulla e la donna prese il suo atteggiamento come un’ammissione di colpa. 

- Quello che è stato ucciso è mio figlio, lei non immagina nemmeno come ci si sente. - Quelle parole erano uno schiaffo dietro l’altro per lei ed il tono alto della voce della donna avevano attirato l’attenzione di tutti gli altri agenti e detective.

- Andiamo signora, venga con me… Mi parli di suo figlio, magari ci aiuterà… - Beckett le mise una mano intorno alle spalle e la accompagnò in un’altra stanza, dove erano sole. Quella donna le sembrava ancora più piccola e fragile di quanto fosse in realtà appena la toccò. Sembrava consumata dal dolore. La usò per uscire da se stessa. Da quando si era arruolata in polizia il suo scopo era sempre stato questo: dare risposte e giustizia ai parenti delle vittime e quella donna ne aveva bisogno. Lei in quel momento la capiva, più di quanto volesse o potesse dirle, ma non c’era bisogno di farlo, non era il momento del compiangersi e poi lei era certa che sua figlia l’avrebbe ritrovata, in un modo o in un altro. Anche se le ore passavano mute.

Non fu una conversazione lunga, parlarono per poco ma Kate pensò di aver trovato qualcosa su cui ampliare il raggio di azione per quell’indagine. Mark Robben era stato adottato a pochi mesi di vita. Avrebbe detto a Franklin e Huges di cercare anche in questa direzione. Salutò quindi i genitori del ragazzo e la madre si scusò per il suo comportamento di prima. 

Poi potè tornare ad essere se stessa e a farsi sommergere dalle sue paure.

 

- Kate! Ma cosa sta succedendo? Siete impazziti? - Alexis aveva spalancato la porta del suo ufficio, seguita da un’imbarazzata Martha da Javier e Kavin che assistevano a tutto stupiti. 

- Cosa hai fatto Kate! - Urlò la ragazza - Mio padre è su tutti i notiziari accusato di sottrazione di minore!

   
 
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