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Autore: Il_Signore_Oscuro    23/10/2016    2 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter seven – Fill the void.

-È bellissima. – Commentò Jeanne, osservando la pietra del sigillo a lume di candela. – Nessuna sorpresa che il mio amico la cercasse con tanta insistenza. – Alzò poi gli occhi verso di me. – Domani mattina scriverò la tua raccomandazione e la invierò all’Università, te la sei davvero meritata.
-Grazie. – Risposi, abbozzando un sorriso poco convincente.
Sarei dovuto essere entusiasta, avevo compiuto un ulteriore passo verso la meta tanto agognata: l’ingresso a pieno titolo nella Gilda dei Maghi. Eppure non riuscivo ad essere felice, non dopo ciò che era successo nelle rovine.
C’era poca luce, il mio viso si vedeva appena, ma Jeanne notò comunque la mia espressione cupa.
-Ragnar – mi chiese, con tono improvvisamente serio e preoccupato – ti senti bene?
-Sì, Jeanne. Sto bene. – Dissi, abbassando lo sguardo.
Lei si avvicinò, mi prese il viso fra le mani candide e fresche e mi costrinse a guardarla negli occhi. La sua voce era dolce mentre mi parlava, mentre mi consolava dicendomi che ogni male era passeggero, che ogni cosa sarebbe passata. “Tutto si risolverà” e io, intanto, pensavo che alla morte non esisteva un rimedio: era qualcosa di definitivo, qualcosa da cui non si poteva tornare indietro. Mi guardava con quegli occhi verde scuro, il corpo piccolo e  gracile, era così indifesa.

La strinsi a me e la baciai con irruenza: all’inizio esitò, sentivo le sue labbra serrate contro le mie, poi le dischiuse e la sua lingua si intrecciò alla mia. La sua bocca aveva ancora il sapore speziato della cena consumata mezz’ora prima, non era un aroma gradevole ma neanche così cattivo. A guidarmi era la forza di un bisogno impellente, più che un desiderio, e lei non si oppose, lasciando che le mie mani tremanti le slacciassero i lacci del bustino, mentre il mio sesso premeva contro le braghe di cuoio leggero. Insinuai le dita fra i suoi seni: due pesche acerbe, dalle areole chiare e i capezzoli turgidi. Strinsi il suo petto al mio, una mano dietro la schiena arcuata, l’altra che le sfilava la gonna, lasciando nudo il pube  dalla peluria irsuta. Sul letto le divaricai le gambe e mi insinuai dentro di lei, la presi con la forza.
Era tutto così diverso dalla prima volta con Therese, la ricordavo come in un sogno: il suo alito aveva il sapore delle foglie di menta che masticava dalla mattina alla sera, con lei il tutto durò non più di qualche minuto ma fu intenso, magico, idilliaco quasi. Con Jeanne invece c’erano state tutte le imperfezioni di un qualcosa d’improvviso, inaspettato, niente che somigliasse a un sogno, eppure, anche con lei fu a suo modo qualcosa di speciale. Quando il mio seme le si riversò nel ventre, lei si sdraiò, porgendomi la schiena e io la abbracciai: sentivo il disperato bisogno di avere un corpo accanto, le baciai il collo e lei mi accarezzò lievemente i capelli.

Sentii il torpore avvolgermi: qualche altro minuto e mi sarei addormentato, con il suo respiro cadenzato ad accompagnarmi come una nenia. Nel vortice di ricordi che imperversano ogni notte, agli sgoccioli della veglia, quella volta uno si impose sugli altri: era qualcosa che Jauffre mi aveva detto alcuni anni fa, dopo che gli avevo chiesto perché si fosse preso la briga di seppellire un passerotto trovato stecchito nei pressi della Great Forest, “restituire un corpo alla terra, beh, lo vedo come un atto d’amore, caro Rag. Credo che la morte lasci un vuoto che solo un atto d’amore può ricolmare”, quando pronunciò quelle parole ripensai ai soldati che tornati da una battaglia, la prima cosa che facevano era giacere con una puttana. Credevo fosse un po’ la stessa cosa, anche se questo paragone lo tenni per me.
L’uccisione del khajiit, la morte di Morg, la crudeltà con cui avevo annientato quel Dremora nelle rovine, tutto questo si era fatto un po’ più distante da me dopo Jeanne.
Un vuoto che si era riempito, almeno un pochino, e un animo un po’ più leggero che finalmente mi concedeva di riposarmi dalla stanchezza e dal dolore.

Stavo per chiudere gli occhi quando lei si voltò, tenendomi le mani.
-Ti senti un po’ meglio adesso? – Disse, con voce sottile, come per non farsi sentire da qualcuno.
-Ora sì. – Sorrisi. – Scusa se-
-Non hai niente di cui scusarti. – Mi passò una mano sotto il mento, lasciandola scivolare lungo il collo. – Lo volevo anch’io. Però, non vorrei ti facessi illusioni, sei un caro ragazzo Rag, ma io non voglio legami, almeno per il momento.
-Non preoccuparti. – La rassicurai. – È stato l’amore di una notte. Domani lascerò Bruma.
-Va bene. – Concluse, con un certo sollievo.
Rimanemmo in silenzio per un po’, poi Jeanne prese a giocherellare con i miei capelli arricciandoseli fra le dita.
-C’è tanta magia in te, tanto potenziale. Lo si avverte al primo sguardo. Vorrei avere avuto la stessa fortuna ma, ahimè, non tutti nascono con questa attitudine naturale e alcuni non la sviluppano mai, temo che questo sia il mio caso. – La sua bocca si era incrinata in un sorriso amaro.
-Non dire così, forse hai solo bisogno di fare più pratica.
-Sei molto dolce Rag, ma credo che non sia proprio cosa per me. Il mio unico dono è persuadere le persone e ho la fortuna di avere un bel corpo, un bel visino, con queste qualità ho raggiunto la posizione che occupo. – Socchiuse gli occhi, abbassò lo sguardo. La bocca tremolava. – Sai, alle volte mi sento così in colpa, sento di non meritare ciò che ho. Credo che i miei sottoposti abbiano ragione: non sono altro che una povera incapace. – I suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime.
Non avrei mai immaginato di vederla piangere, non mi sembrava il tipo, eppure eccola lì: con gli occhi umidi e le guance rigate. Raccolsi le gocce sul suo volto con il pollice, le asciuga sulla pelle, pensando a cosa dire.
-Jeanne, tu tieni alle persone. – Cominciai. - Mi hai dato tutta te stessa nel momento in cui ne avevo più bisogno, rispettando il mio silenzio quando non desideravo parlare. Forse non sei una grande maga ma sei sicuramente una bella persona ... sei umana e con quel che si vede in giro, ti assicuro, non è cosa da poco.
In ciò che dissi avevo volontariamente omesso la parte in cui aveva messo a repentaglio la mia vita, spedendomi a recuperare un oggetto magico in delle rovine infestate da non morti e trappole a ogni angolo, ma il mio obbiettivo al momento non era essere pacato e sincero, quanto consolarla dopo che lei si era presa cura di me.

La mattina seguente scesi al piano di sotto che Jeanne dormiva ancora. Mi ero svegliato di buon’ora, sperando di consumare la mia colazione e andar via senza perdermi in convenevoli vari con chicchessia. Ma quando entrai in camera da pranzo trovai un khajiit seduto al tavolo, intento a mangiare del formaggio stagionato con del pane appena sfornato. Il suo viso felino si distese in un sorriso quando mi vide arrivare, sollevò appena la punta delle orecchie, appesantite da due vistosi orecchini d’oro.
-Buongiorno, associato. Non credo di aver avuto il piacere di conoscerti, ma Volanaro mi ha parlato tanto di te.
-Immagino non abbia detto niente di lusinghiero. – Dissi, a mezzo sorriso.
-Già, ma alle volte quell’elfo è un pizzico pizzico permaloso, – replicò con una risatina – comunque piacere di conoscerti, il mio nome è J’skarr.
Avevo già sentito quel nome, girando per le strade di Bruma. Sembrava che fosse  l’unico mago di un certo talento all’interno della succursale della città, peccato perdesse il suo tempo giocando scherzi infantili ai suoi superiori, insieme a quell’idiota di Volanaro.
-Ragnar’ok Wintersworth, il piacere è tutto mio.
-Prego, Ragnar, vuoi favorire? – Mi chiese, porgendomi una fetta di pane con sopra del formaggio.
-Mi basta un po’ d’uva, grazie.
Mi guardava con occhi divertiti, come se dentro di sé stesse ridendo per qualcosa e cercasse di nasconderlo.
-Hai intenzione di partire da Bruma oggi stesso, non è vero?
“Come diavolo fa’ a saperlo?” pensai.
-Sì, sono diretto verso Cheydinhal. – Ammisi, dissimulando lo stupore.
-Uh, allora ho una buona notizia per te, associato. Proprio oggi, a mezzogiorno, una carovana di mercanti partirà verso Cheydinhal, lungo la Silver Road. Ho saputo che sono alla ricerca di una scorta e da quel che so’ non te la cavi male quando si tratta di metter mano alle armi. Ho saputo che pagano piuttosto bene e ti forniranno un cavallo, se non ne hai uno.
-Uhm, interessante, grazie della dritta, J’skarr – dissi, sospettando tuttavia che ci fosse qualcosa sotto – con chi dovrei parlare per la guardia alla carovana? – Chiesi, masticando un acino d’uva.
-Vai allo Zippo e il Chiodo di Olav, chiedi di una certa Tertia Viducia. – Sorrise. – Siamo vecchi amici, se le farai il mio nome sono sicuro che ti prenderanno con loro.
Pur non fidandomi del tutto di quel khajiit, l’offerta di cui mi parlava sembrava alquanto vantaggiosa: un paio di septim in più mi avrebbero fatto comodo.

Di tutti gli imperiali che avessi mai incontrato in vita mia, la donna che Olav mi indicò come Tertia Viducia era certamente fra le più stravaganti: in primo luogo perché non sembrava affatto una donna, difatti, non fosse stato per i seni che si delineavano sotto il grembiule da fabbro, l’avrei scambiata tranquillamente per un uomo. Aveva le braccia robuste, le mani callose, con tracce di fuliggine fra le dita; portava i capelli cortissimi e la sua fronte era cinta da una striscia di stoffa, di quelle che i soldati usavano per impedire che il sudore appannasse loro la vista, scivolando sugli occhi.
Stava bevendo un boccale di birra nell’angolo più appartato della locanda, quando mi sedetti al suo tavolo.
-Prego? – Mi chiese, stranita da quel gesto sfacciato.
-Tertia Viducia?
-In persona, tu chi saresti? – Mi domandò lei, mal celando un certo sospetto.
-Il mio nome è Ragnar’ok Wintersworth, sono un amico di J’skarr. – Anche se forse “collega” sarebbe stata la parola più adatta.
-Ah, quel gattaccio è ancora in circolazione – disse, con una luce negli occhi – io e lui ne abbiamo passate tante insieme. – Aggiunse, sbuffando. – Come se la passa quel furfante?
-Bene, almeno credo. Mi ha detto che proprio oggi una carovana sarebbe partita verso Cheydinhal.
-Esatto, è lì che intendo spostare la mia attività. Qui a Bruma gli affari vanno a rilento e io devo pur campare. Qualche amico mi aiuterà con il trasporto della merce fin laggiù. Perché ti interessa?
-So’ che sei alla ricerca di una scorta che vi accompagni lungo la strada, sono qui per questo. – Dissi, con la massima serietà.
-Tu, proprio tu – scoppiò in una risata fragorosa, schizzandosi qualche goccia di birra sulle vesti – torna a casa ragazzino! Hai deciso di farti ammazzare per caso? Ho bisogno di guerrieri validi, non di mocciosi a cui fare da balia e poi  ho già ingaggiato tre uomini della Gilda – immaginavo si riferisse alla Gilda dei Guerrieri.
Non mi ci volle molto per capire che Tertia non mi stava prendendo sul serio, tuttavia non avrei rinunciato a quel lavoro, per me era diventata una questione personale, ne andava del mio onore.
-E se ti dicessi che sono io l’uomo fatto per questa missione? – Insistetti.
-Come vorresti dimostrarmelo, scusa? Scatenando una rissa da locanda con gli ubriaconi del primo mattino? Te l’ho detto ragazzo, tornatene a casa.
Non l’avrei convinta a parole, questo l’avevo capito, dovevo fare un gesto eclatante che la convincesse delle mie abilità. Allora decisi: presi il sacco di iuta che portavo al fianco, lo aprii e lasciai cadere sul tavolo la testa del Dremora che avevo decapitato: sul volto violaceo c’era ancora quella spaventosa smorfia di rabbia e odio che aveva qualche attimo prima che Durendal mettesse fine alla sua vita.
Quando la vide, per poco Tertia non caracollò giù dalla sedia, avevo suscitato il suo interesse e non solo, nella locanda tutti avevano gli occhi puntati verso di noi, c’era un silenzio di tomba.
-Woh! Questo, questo è-
-Esatto, una creatura dell’Oblivion. – Dissi, con un ghigno dipinto in volto. - Posso assicurarti che non è stato un lavoro semplice. Penso basti come prova delle mie abilità, non credi?
-Ma come-
-Ha importanza? – Incalzai.
L’imperiale si ricompose, guardò negli occhi del Dremora, accesi come tizzoni ardenti, con un po’ di inquietudine e poi spostò lo sguardo verso di me. Si schiarì la voce, cancellando ogni traccia di derisione dal suo tono.
-Suppongo di no. E va bene ragazzo, mi hai convinta, sei assunto. Partiremo a mezzodì.



NOTE DELL'AUTORE
E così si conclude la seconda parte di Prologue, spero vi sia piaciuta. Ragnar ha ottenuto la sua raccomandazione da Bruma e ora si prepara per un nuovo viaggio, stavolta verso la città di Cheydinhal. Cosa lo aspetta? Devo ancora scriverlo *sgrunt*. Spero vi piaccia leggere la mia storia tanto quanto a me piace scriverla!

PS Dopo questi capitoli ho deciso di alzare il rating perché sono entrato nei particolari durante scene piccanti o particolarmente truculente, ho già cambiato alcune caratteristiche della storia perché la descrizione sia più fedele alla trama :)
   
 
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