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Autore: Testechevolano    23/10/2016    3 recensioni
Una bambina viene abbandonata misteriosamente sulla porta di un monastero con una croce che sembra portare il peso di quell'azione. Viene chiamata Suryan, come il sole che sembra portare dentro.
Sembrava che quella croce le volesse cadere addosso ma era solo un'incisione, non poteva. Ma la donna sapeva che se avesse potuto l'avrebbe già schiacciata[...]Se lo meritava.
Ella viene allevata dalle suore del convento e segue le loro orme insieme alla sua inseparabile amica Judit.
Judit, nonostante fosse contro le regole, aiutò Suryan a sistemarsi. Sapevano che la vera arma per mantenere un segreto era quella di non farne parola nemmeno fra di loro.
Il passato di Suryan però non ha niente di più lontano dalla chiesa, anzi. Il suo passato parla di perseguitazioni, di superstizione, mistero ma soprattutto di una profezia.
Beatrix fece volare il bicchiere con un solo gesto e lo face finire in grembo al cugino, che sorridendo lo fece fluttuare alzando semplicemente lo sguardo. Il contenuto del bicchiere tremò. I due cugini si guardarono negli occhi.
Bombe. Spari. Urla.
-Benvenuto all'inferno, cugino.

Coppie principali femslash ed het.
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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IV


Appariva sfocata, ma pur sempre occupava la sua visuale, l'immagine di una stanza dalle pareti ocra e i mobili in mogano; dalle finestre filtrava abbastanza luce da illuminare la sagoma che le stava di fronte, che tuttavia non era identificabile con il resto dell'arredamento.
"Judit, vieni qui" la sua voce era ovattata, a malapena riusciva a comprendere ciò che diceva mentre la figura allungava le braccia verso di lei.
Avanzò non sentendo il suolo sotto i piedi, pensando alla scena e trovò che l'avesse già vissuta. Comprese la dolorosa realtà quando sua madre svanì insieme alla luce e lasciò un vuoto incolmabile, accompagnato ad una morsa dolorosa.
Judit era immobile, sola nel suo dolore ed ingabbiata da vesti nere che le coprivano il corpo e non permettevano allo spettatore di ammirare i suoi capelli, che tanto le bambine della sua età le avevano invidiato a scuola.
Non riusciva a respirare né a guardare lo spazio intorno a sé, che si stava riempiendo di nuovo: sapeva ciò che sarebbe successo, dopo aver visto il passato e il presente. Provò a chiudere le palpebre, ma nei sogni anch'esse erano trasparenti.
Con sua grande sorpresa, l'ambiente non era freddo come si aspettava ma la metteva di buon umore, era quasi felice.
Dinanzi a lei, un cavaliere faceva volteggiare una dama da un lungo abito azzurro e dietro di loro un'altra coppia e un'altra ancora. Il salone dorato era pieno di persone felici, spensierate.
Improvvisamente, si mosse. Le parve dapprima molto strano, dal momento che quando sognava il futuro non aveva né la facoltà di trovare qualcosa molto strana né tantomeno quella di muoversi.
Mosse un piede, poi l'altro, iniziò a volteggiare nella stanza accompagnando il passo di danza con le braccia sollevate, distendendole in seguito e facendo un giro del punto in cui era ferma. Sebbene la musica non fosse udibile come sarebbe dovuta essere, non arrestò il passo e proseguì al centro del salone.
Accarezzò il morbido e lungo tessuto verde e si rese conto di avere il collo scoperto: l'acconciatura era alta e ben elaborata, di quelle che sua madre le faceva d'estate.
Non si era mai sentita così libera, in vita sua, come se avesse ali sulla schiena che le permettessero di librarsi per aria e in quel sogno le sembrò proprio di volare attorniata dall'oro e dallo splendore.
La sua mano divenne calda all'improvviso e subito Judit associò quel calore ad un altro corpo. Un braccio lungo e protettivo le circondò la vita e l'attirò verso il petto della persona che la teneva stretta, indubbiamente quello di un uomo.
La guidò in una danza sconosciuta ed ella si abbandonò a lui completamente, provando un senso di familiarità che raramente nella sua vita aveva preso in considerazione. I loro corpi si muovevano all'unisono come fossero uno.
Era così presa, che quasi non si accorse quanto il volto dell'uomo che la teneva da dietro fosse vicino al suo orecchio. Una voce calda, questa volta ben distinta, le sussurrò: "Non dimenticarti di me, principessa."

Le mani toccavano terra come il resto del suo corpo, freddo e immobile. Judit non riusciva a trovare la forza necessaria per sollevarsi o semplicemente stringere con i pugni la sporcizia che l'attorniava.
La sua teoria era quella di esser stata trascinata in un bosco da pazzi schizzati, ma non udiva alcun rumore, nessun fischio d'uccello o richiamo delle cicale. Era in un luogo chiuso, sotto i palmi polvere, non terra.
Tossì procurandosi conseguenzialmente dolore in gola e allo stomaco, le orecchie che le fischiavano e l'impressione di non avere più gli arti inferiori.
Constatò, nel dolore, di essere a pancia in giù e con le braccia intorno alla testa. Boccheggiò qualcosa, nel tentativo di attirare l'attenzione di qualsivoglia individuo: non le importava di essere uccisa, le avrebbero fatto un favore ponendo fine alla sua sofferenza.
Mentre si dimenava, tanti ed indistinti rumori le fecero intuire di non esser mai stata sola, o che se lo fosse stata, presto avrebbe avuto compagnia.
Tirò un sospiro quando si sentì sollevare da forti braccia. La testa dava l'impressione di essere più pesante di quanto in realtà non fosse e le orecchie le fischiavano, tanto che non riuscì immediatamente a distinguere le voci che le si rivolgevano.
Strinse gli occhi procurandosi ulteriore fastidio, come se le palpebre potessero alleviare il dolore antecedente alla morte: l'avrebbero uccisa, ne era certa.
I passi, che si facevano sempre più distinti, confermarono il suo presagio. Chinò il capo e cominciò a rivivere gli attimi più felici della sua esistenza: il suo quinto compleanno, la puledra della madre, la lode del maestro a scuola, l'amicizia con Suryan..
Qualcosa di morbido sfiorò la sua guancia destra e un profondo respiro diede inizio ad uno stato di benessere che fece rilassare il corpo. Judit aprì gli occhi e fu sorpresa nel costatare che non le bruciassero e che la vista fosse perfetta. Le sue gambe erano fasciate dalla stessa gonna nera, che aveva indossato come il protocollo le imponeva prima di uscire dal monastero -chissà quanto tempo era passato da quella mattina, sentiva fossero giorni ed era quasi convinta fosse così-, sotto di esse vi era un pavimento in pietra scura e un po' trasandata, come quella delle catacombe descritte a lezione e di cui aveva visto sfocate immagini.
Si sforzò e guardò dritta davanti a lei le due figure che si stagliavano sullo sfondo di un enorme portone a sbarre. Judit rimase quasi ammaliata dallo sguardo della più alta delle due; in monastero si parlava tanto di angeli acorporei raffigurati come esseri antropomorfi bellissimi e se a Judit fosse stato chiesto come avesse immaginato un angelo antropomorfo, l'avrebbe descritto come la donna che le si presentava davanti.
I capelli biondi e lisci le arrivavano poco più sotto delle spalle: dovevano essere molto morbidi. Il viso di porcellana era caratterizzato da un paio di occhi pallidi, del colore del cielo dopo l'aurora.
Una luce proveniente da un punto indistinto risaltava il colore acceso delle vesti: un vestito giallo semi coperto da un'ampia giacca rosso fuoco, che faceva proprio a pugni con il viso pallido. Al collo brillava l'oro di un sole dai tanti raggi che si spandevano ancor più all'esterno di quelli che ornavano la collana degli uomini in nero.
Judit quasi non aveva fatto caso alla vecchietta che le stava accanto, il viso segnato dagli anni e le vesti simili a quelle dell'altra donna, tranne forse per le strisce dorate che arricchivano il manto rosso e il grande cilindro dei medesimi colori. In mano reggeva uno scettro dorato che terminava con un grosso smeraldo attorniato da aspidi.
Sebbene la vista delle due l'avesse ammaliata, il volto di Judit non doveva aver trasmesso loro il suo stupore, oppure erano abituate, poiché la loro espressione non era mutata.
Lo sguardo duro della bionda si posò su di lei, come stesse guardando uno scarafaggio. - Qual è il tuo nome?
La voce armoniosa che proveniva dalle labbra rosee di lei fece sorridere Judit, un sorriso sprezzante ed esasperato. - E una volta che te l'ho detto, cosa cambia?
La donna fece un cenno elegante col capo ad una delle guardie che -si era resa conto da poco- tenevano su Judit, immediatamente le diede un calcio nello stomaco e le fece sputare sangue. La mora non si diede per vinta e continuò a sfidare con lo sguardo, una volta ripresasi.
- Eri con Beatrix di Osternia, sei sua complice?
La novizia riconobbe in Beatrix la ragazza del treno: era veramente una malvivente! La rabbia s'impadronì di lei quando constatò che avrebbe potuto evitare tutto questo se non fosse andata dietro alla prima persona che avesse incontrato.
No, l'avrebbero presa comunque.
La disperazione quasi la indusse ad urlare, quando la voce le uscì ferma inaspettatamente: - No, l'ho incontrata lì per caso.
Sembrava una scusa, ma era la pura e semplice verità.
Sembrò pensarci su un attimo, valutare se fosse il caso di crederle o meno, poi si rilassò e si volse dall'altra parte. - Bene, uccidetela.
Judit sgranò gli occhi e iniziò a tremare. Sapeva, in cuor suo, che il momento della resa dei conti sarebbe arrivato, ma viverlo ed in piena coscienza era tutta un'altra cosa. Quando la presa delle guardie si allentò, si preparò mentalmente, ma in realtà davvero non riusciva ad accettare che stava per morire.
- Aspettate!
Venne risollevata ed emise un gemito, forse di sollievo.
A parlare era stata l'anziana signora, la mano protesa verso le guardie. Anche la bionda ritornò sui suoi passi, riaffiancandola.
- Somma Kendra, spero sia importante.
La Somma Kendra annuì e si diresse nella direzione di Judit. La ragazza osservò attentamente la vecchietta poggiare per terra lo scettro dorato, lo smeraldo a pochi centimetri da lei.
La pietra vibrò, poi cominciò a brillare di un verde intenso, che quasi riempì tutta la visuale di una Judit atterrita -o sbalordita.
Gli occhi grandi e grigi della donna anziana si riempirono di soddisfazione, mentre si posavano sullo sguardo incredulo della bionda. - Signorina Carol, i miei poteri percettivi non sono ancora del tutto esauriti. Costei non è una strega, nemmeno un'ignorante: è in grado di vedere il futuro!
Judit deglutì all'istante, comprendendo pienamente di non trovarsi in un posto qualsiasi e in presenza di persone qualsiasi. Non si era mai ritenuta una persona del tutto normale, ma le andava bene finché fosse stata ella soltanto a conoscere quel suo segreto.
Non ebbe il tempo di proseguire il suo soliloquio che subito Carol prese parola: - Mi stai dicendo che potrebbe discendere da una strega che è stata Madre?
Kendra annuì, convinta della sua teoria. La mora non sapeva cosa dire; non che fosse sorpresa, in realtà aveva sempre creduto che esistesse una forza soprannaturale e ne aveva avuto conferma su quel treno, ma sentirlo dire era piuttosto sconcertante.
Da piccola, una sera illuminata da numerose lampade poste sul suo giardino, aveva visto una lucciola cambiare forma, le zampette che erano diventate gambe sottili e la punta luminosa ali. Nora, in quell'occasione, le aveva detto: "Nessuno ha mai potuto affermare con certezza l'inesistenza della magia; essa va ben oltre la scienza e spiega i fenomeni che la seconda non riesce a giustificare. Magia non è ignoranza, è dare un senso a qualcosa."
Si soffermò sul punto in cui la luce diramava. Due palle di fuoco galleggiavano per aria illuminando la prigione scura.
- Non uccidetela, potrebbe tornarci utile. È molto raro, al giorno d'oggi, possedere un dono simile.
La bionda sembrò pensarci su, sotto gli sguardi impazienti di Judit e della Somma Kendra. - E sia, ma per ora starai qui.
Quando le palle di fuoco scomparvero, la novizia rammentò la sfida lanciata a Suryan due mesi prima: "Vince chi guarda più a lungo il sole!", ma Suryan si era allontanata, visibilmente contrariata, lasciandola sola.
In quel momento, era sola.
Quando non sentì più la presa delle guardie, cadde per terra. Si tirò a sedere dolorante e si appoggiò contro una parete fredda. Tentò inutilmente di rimuovere la polvere dai vestiti e dai capelli, ottenendo come unico risultato uno starnuto.
- Che schifo - si lamentò, stufa marcia di quel sudiciume.
- Non dirlo a me!
Sobbalzò, sorpresa e spaventata: qualcuno aveva parlato. Iniziò a tremare e gli occhi, che si stavano già abituando al buio, si spalancarono.
No, non era sola.


Carol amava tre cose: il brodo caldo d'inverno, il colore verde e le persone utili.
Ecco, quella ragazza si sarebbe rivelata una persona utile. Le era sembrata così piccola, non appena l'avevano trascinata nelle segrete, eppure si era risollevata e aveva mostrato uno sguardo da guerriero, quel tipo di guerriero che, non importa quante volte lo si ferisca, sarà sempre in grado lottare con il sangue che esce copioso dalle ferite.
Decisamente, le piaceva. In tutta Ghiran, non una persona aveva osato mai sfidarla con lo sguardo e con le parole. Forse, amava una quarta cosa: le persone che credevano di poterle tener testa. Certo, bisognava mettere in conto che quella ragazza sembrasse ignara della posizione di Carol, ma nonostante ciò ella non era proprio nella posizione di sfidare qualcuno. Chiunque egli fosse.
Sorrise e si fece strada tra gli arazzi dorati raffiguranti soli e ombre scure schiacciate da essi. Passando per i lunghi corridoi si fermò per qualche secondo nell'immenso salone; vide la sua immagine riflessa su un grandissimo specchio dorato con rifiniture rosse. Si chiese se fosse bella come la madre. Alla sua immagine vide solo difetti; come potevano dire gli altri che la sua presenza sembrasse angelica? O che addirittura fosse la ragazza più bella incontrata? Si era sempre risposta che lo facessero per onore alla corona e per paura della sua persona. Mai una volta le sfuggì per la mente che fosse realmente bellissima.
Ogni cosa, in quel luogo, era rossa, arancione o dorata. In verità, tutto quello sfarzo le dava noia da ormai cinque anni, ma farlo notare non l'avrebbe portata a nulla.
Sorpassò l'immenso salone e si ritrovò in un corridoio dai muri pallidi nei quali erano affissi numerosi quadri. C'erano tutti i ritratti di famiglia. La sua era una stirpe lunghissima, ma soprattutto la più antica di tutti. Le legende narravano delle prime streghe verso Occidente, guidate dal Sole, grande Maestro di vita e guida. Tra di esse ne emerse soprattutto una; si chiamava Fiore. Dalle carte si evinceva che ella fosse una sua antichissima parente. Fiore era una donna piena di spirito, di tenacia, forza d'animo, astuzia e ingegno. Era così pure lei?
Oltrepassò il ritratto di una sua trisnonna vestita di rosso e si fermò dinanzi un portone bianco bloccato da una serratura incantata a forma di sole dai raggi a spirale.
Carol sfiorò con un'unghia la superficie dorata e i raggi girarono intorno al sole, facendo scattare la serratura. Il portone si aprì rivelando una stanza simile al resto del palazzo, gli stessi colori, il medesimo mobilio. Un divanetto in pelle era posto al centro, dinanzi una lastra di vetro che galleggiava, con sopra una bottiglia rossa nella quale il liquido scuro della Rhimen -bevanda alcolica di Ghiran- frizzava rumorosamente.
Lanciò uno sguardo fugace all'ingresso delle stanze della madre, non soffermandosi affatto su quello che dava accesso alle camere che un tempo erano state del padre.
Gettò malamente sul parquet la pesante giacca e si sedette sul divano, accavallando le gambe. Sospirò, prima di dar voce ai suoi pensieri: - Somma Kendra, in che modo pensi di usarla?
L'anziana, che l'aveva seguita in silenzio, sembrò osservare con attenzione Carol che versava, in un bicchiere che aveva teletrasportato dalla cucina, il liquido bruno. Come la signorina se lo portò alle labbra, ella rispose: - Devo prima valutare le sue capacità. Lasciate fare a me, il tutto si risolverà in breve tempo!
- E se dovesse fallire?
- Non vi dispiacerebbe tenerla?
A Carol quasi non cadde il bicchiere di mano. Si era aspettata dicesse che avrebbe potuto, in tal caso, farla uccidere, ma mai di porla accanto a sé.
- E di grazia, cosa ci guadagnerei?
L'ombra di un sorriso diede più espressività alla vecchietta. - Vi conosco da quando veniste al modo, signorina. Da piccola, volevate tanto un'amica che si sentisse sul vostro stesso piano e non sottoposta, ricordate?
Gli occhi di Carol si soffermarono su un punto indistinto, la mente persa nel ricordo di una bambina bionda che indossava una corona troppo larga per la sua testolina, attorniata da volti sognanti, più per la presenza della corona che per la sua, di presenza. Ricordava gli estenuanti allenamenti, i suoi fallimenti puniti sempre di più dalla mancanza dell'affetto della madre. Più falliva, meno le voleva bene, mentre Carol gliene aveva sempre voluto infinitamente.
Scacciò quei pensieri. - Mia madre non approverebbe e nemmeno lei: l'ho rapita, interrogata e minacciata di venir uccisa!
L'anziana scosse la testa e mormorò in tono ovvio: - Crede seriamente che preferirebbe morire che stare accanto a lei, principessa?
Posò il bicchiere sul tavolo e si rivolse di nuovo a lei: - Ho sentito delle voci, Kendra.
- Che voci, signorina?
Kendra posò i suoi occhi neri in quelli chiari di Carol, attenta ad ogni sua espressione. Mosse il braccio per sdraiarsi completamente sul divanetto in pelle e, in sequenza, tossì.
- Kendra, dicono che i miei poteri abbiano avuto un calo, uno di questi giorni, e che non è possibile se..
Carol apprese uno sguardo truce ma allo stesso tempo schifato al solo pensiero di sapere quella ragazza viva, quella ragazza che le aveva rubato tutto: l'essere speciale in tutto e per tutto ma soprattutto i suoi genitori. La madre era ossessionata da quella ragazza.
- Sua madre sta provvedendo per capire se sia quel problema o semplicemente qualcos'altro di meno importante.
Kendra si mosse in modo nervoso e aveva la faccia di quella che non voleva più parlare di quell'argomento.
- È questo il punto: mia madre! Mia madre è stanca di correre dietro ai fantasmi ed è costretta dalle circostanze. Io per lei posso fare ben poco. Ammetto che ordinare alle truppe di seguire Beatrix di Osternia ed obbligarla a confessare, chiedendo se è vero o no che quella ragazza sia viva, facendo tutte quelle vittime non è stata la migliore delle mie idee, ma a mali estremi..
Un lieve bussare la interruppe. Il portone si aprì permettendo l'ingresso di un'inserviente. - La signorina Carol Sonya è richiesta dalla Strega Madre, lei sa dove.
Carol sgranò gli occhi. Persino la sua genitrice era sottoposta alla Strega Madre, la più anziana e potente di tutte. Si chiese se la sua bravata non avesse causato troppi danni e se non fosse nei guai.
Guardò la Somma Kendra con rassegnazione, poi l'inserviente: - Fammi portare una giacca nuova, quella è sporca.


- Chi c'è? - la voce le tremava e, decisamente, non andava bene. La prima regola era non farsi cogliere sorpresa, tantomeno spaventata.
La persona dall'altra parte del muro doveva aver sogghignato. - La tua nonnina, bambina.
Judit s'imbronciò all'istante, trovando alquanto fastidioso il tono scherzoso dell'altro. Era un uomo, non v'erano dubbi.
- Che voce acuta che hai, nonnina! Bisogno di qualcosa? Magari di focaccine? Magari spalmate in faccia?
Al di là del muro, egli rise. Era una risata isterica, divertita solo lievemente, esasperata come quella di un pirata abbandonato su un'isola dalla ciurma.
- Riesci ad essere spiritosa anche in una situazione del genere.. potremmo anche andare d'accordo, io e te.
- In effetti potremmo. Non so il tuo nome.
Non aveva né la forza né la volontà di respingerlo. Si sentiva smarrita, sola in quella cella buia situata chissà dove e attorniata da streghe. Quella voce era così.. umana, calda nel suo tono forte ma amichevole. Per un istante, le era sembrato di averla già sentita, più limpida, più decisa. Anche preoccupata. E piena di desiderio.
- Se te lo dicessi, non credo saresti ugualmente invogliata a discorrere con me: il mio nome porta con sé tante maledizioni.
Judit sbuffò. - Beh, se sei rinchiuso in carcere di sicuro o sei un martire o un malvivente, oppure un povero cristiano che è finito in mezzo ad una faccenda di cui non gliene può importar di meno, come me.
L'uomo rise nuovamente, questa volta di cuore. - Non ho mai incontrato una femmina come te! Diciamo pure che sono un martire, comunque Hector di Osternia.
La ragazza sussultò sorpresa.
Hector. Mai avrebbe potuto pensare di trovare un nome così bello. Forse era l'abitudine a sentire continuamente nomi femminili nel monastero a portarla alla meraviglia.
Le piaceva un ragazzino, da piccola. A scuola, arrivava sempre in ritardo perché si fermava ogni volta a comprare dolciumi di nascosto. Dopo il rimprovero della maestra, c'era sempre il suo sorriso, a confortarla. Aveva i capelli ricci e biondi e gli occhi di un verde intenso indimenticabile. Poi c'era stato l'incidente e successivamente il monastero.
- Anche io sono di Osternia, mi chiamo Judit - rispose semplicemente, in tono nostalgico.
Hector picchiettò qualcosa nel muro, forse una pietra, prima di parlare. - Deduco che tu non sappia chi io sia: meglio così. Ad ogni modo, queste maledette mura sono incantate, non riesco proprio ad usare la magia. Non è che puoi prevedere come fuggiremo, Jude?
A Judit parve davvero strano prima di tutto il modo in cui l'aveva chiamata, soprannome che le veniva affibbiato da Suryan e da nessun altro. Tornò lucida dopo un attimo di smarrimento. - Non è così semplice. Non chiedo io di vedere il futuro. Tra i due, sei tu lo stregone, fa qualcosa tu!
- Noi non veniamo chiamati stregoni.
- Maghi?
- No, non abbiamo un nome. La nostra magia è più debole, siamo come sottomessi. Probabilmente è più una questione mentale che fisica.
Per la prima volta, Judit rise. - Ci credo, voi uomini non avete molto cervello.
L'altro sembrò offeso. - Ehi, bada a come parli. Non so se lo sai, ma stai parlando con l'uomo più desiderabile dei Tre Mondi.
- Tre Mondi?
- Caspita, non sai proprio nulla. Magari in cambio di una predizione ti dò lezioni di geografia.
La ragazza era rassegnata, ma anche più serena. La sua presenza non le faceva poi così male, si ritrovò a pensare. Era un uomo di cui non conosceva nulla se non il nome e la provenienza, poteva anche essere un assassino, ma stava bene, ed era questa la cosa più importante. Dopo anni, stava bene.
- Non ho svelato il trucco a loro e vuoi che lo sveli a te?
- Nessun trucco, è solo magia. Non è nulla di estraneo, impari a conviverci in poco tempo.
Sorrise una seconda volta. - Vedo.. vedo.. che io uscirò da qui, sposerò il principe azzurro e governerò sulle streghe! - rise.
Anche Hector si unì alla risata. - Beh, non dimenticarti di me, principessa.


Carol Sonya
Judit
Somma Kendra

   
 
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