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Autore: Elphie94    24/10/2016    2 recensioni
«Devo essere pazza per seguirti. Secondo te lo sono?» gli chiesi con voce appena udibile oltre il flusso inondante dei miei pensieri.
Si voltò verso di me – nel buio, i suoi occhi erano come stelle sulla distanza.
«Mia cara, tu sei sana di mente quanto me.»

Meg è la figlia di Madame Giry, la migliore amica di Christine Daaé, un'anonima ballerina di fila. Quando il giornalista Gaston Leroux la rintraccia trent'anni dopo gli strani accadimenti dell'Opera Garnier, lei - vedova di un barone, senza figli - gli racconta la sua versione, in cui è finalmente protagonista. Insieme a un uomo che era diverso da tutti gli altri...
[Correntemente in fase di revisione.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erik/Il fantasma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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xxix.

la ragazza di tenebra

 

 

 

I corridoi del palazzo inghiottivano le nostre ombre con le luci dei grandi lampadari che rimbalzava alle pareti, e apparivano simili a immense bocche di fuoco venute per divorare le tenebre dentro di noi. Seguivo la scia di Selene, la (finora) muta ancella di Ezzat, dove ella mi conduceva, superando rampe di scale e larghi androni dorati. Mi stava portando in un'ala del palazzo che di rado veniva utilizzata: quella per gli ospiti. O perlomeno, un certo tipo di ospiti.

«Almeno avremo stanze tutte per noi. Ho già sopportato troppa compagnia per i miei gusti, su quella nave sette volte maledetta.»

Inutile dire a chi appartenessero queste parole. Fulminai Erik con un'occhiataccia – in fondo, Darya ed Amir e l'equipaggio tutto erano stati più che cortesi nei nostri confronti – e tutti fecero finta di non averlo udito. Forse era proprio così: mi aveva parlato quasi nell'orecchio, di modo che quelle parole sembravano rivolte solo alla sottoscritta. Se era stanco della mia continua presenza, presto non gli avrei più dato noia, visto che mi stavo per lanciare in una missione suicida–omicida tale che avrebbe fatto storcere il naso (se ne avesse avuto uno) persino a lui, che di questi atti di follia era un esperto.

Presto ci separarono dagli uomini, diretti verso diversi alloggi. O perlomeno, tentarono di separarci, ma Darya fu irremovibile, e così Amir: volevano rimanere insieme. Non avevo mai visto coppia più unita, se non Raoul e Christine, decisi a sacrificare tutto l'uno per l'altra. Ancora, questa dimostrazione d'amore mi turbò. Lanciai uno sguardo contrito ad Amir e la sua banda, Nadir e soprattutto Erik, che mi rivolsero un piccolo cenno di saluto. «A dopo» lessi sulle labbra rovinate di quest'ultimo, ed io annuii, rimanendo sola con Selene. La fanciulla mi guidò attraverso un camminamento esposto al sole accecante del tramonto fino a una serie di appartamenti il cui lusso esagerato mi dava le vertigini. Da quel momento in poi – capii – sarebbero appartenuti a me.

«Non sarete sola, Madamoiselle.» Sobbalzai: solo in un secondo momento mi resi conto che quella voce delicatamente accentata veniva dalla giovane ancella al mio fianco. Lei scosse i folti riccioli che teneva coperti dal consono velo e sorrise, timida. «Ci sono molti servitori qui al castello che faranno di tutto per farvi sentire ben accolta e riverita.»

«Non voglio sentirmi riverita» risposi in modo fin troppo brusco. La squadrai da capo a piedi. «Conosci il francese? E bene, anche.»

Lei chinò il capo. «Sono l'interprete di corte, Madamoiselle, nonché una delle ancelle personali di Sua Maestà la regina.»

«Ah, per questo ti ha mandato qui da me: affinché qualcuno capisse ciò che dicevo» riflettei ad alta voce. «Chiamami Meg. Tu sei Selene, giusto?» le dissi, più amichevole di quanto fossi in realtà.

Lei annuì, stupita dalla mia considerazione. Era una bella ragazza: probabilmente era abituata a ricevere attenzioni di tutt'altro tipo, e avevo l'ovvia sensazione che non le piacessero. «Sì, Meg» rispose infine, con un pizzico di esitazione.

Non le sorrisi. Non ero proprio in vena: mi sentivo la bocca cementata da una forza innaturale. Inoltre, odiavo i convenevoli.

«Dove posso fare un bagno? Da sola» precisai, in caso non l'avesse intuito. Ma la giovane serva era ben più lungimirante di quanto apparisse. «Ci avevo già pensato. Conosco il posto giusto. Venite con me.» Poi soggiunse, come ripensandoci: «Che forse vogliate sistemarvi prima nei vostri alloggi?»

«Più tardi. Voglio sentirmi pulita. E dei vestiti ben lavati.»

«Così sarà fatto.» Mi fece cenno di seguirla ancora e questa volta scendemmo in basso, dove il sole del tramonto non arrivava con i suoi spicchi di luce rubata. Giungemmo a una sala da bagno apparentemente vuota, dalle pareti di marmo chiaro: vasche ampie almeno il doppio di un letto matrimoniale facevano capolino qua e là, e l'acqua emetteva un vapore stagnante. I muri erano umidi proprio per questo, e così le piastrelle decorate finemente a motivi orientali.

«Che posto è questo?»

«I bagni personali di Sua Maestà e sua sorella. Appartenevano a loro quando erano fanciulle e ancora nubili, e vivevano entrambe in questo castello. Prima che l'attuale Khanum si trasferisse nel palazzo di Mazenderan» spiegò concisamente Selene.

«Ah. Ora capisco perché sono inutilizzati.» Feci per avanzare tra le grandi vasche e sceglierne una per me, quando mi accorsi di qualcosa. Nel bel mezzo del vapore, non lo avevo notato.

«L'acqua proviene direttamente dalle sorgenti più calde e pulite della città» stava spiegandomi Selene, ma si avvide che qualcosa non andava e che ciò aveva attirato la mia attenzione.

«Oh, non siamo soli.»

Notai il mucchio di abiti neri abbandonato sull'orlo di un'ampia vasca fumante e ne riconobbi la provenienza, o meglio, il proprietario. Un sogghigno malevolo si distese sul mio volto, e il sentore di un'idea si diffuse nella mia mente.

«Chi va là?» chiese una voce profonda che conoscevo bene, tra le ondate di vapore.

Scoppiai a ridere, con gran disagio di Selene, che aveva tutta l'aria di volersi liquefare sulle piastrelle di preziosa ceramica del pavimento.

«Che fortuna. Ci ritroviamo sempre, noi due, anche nei posti più impensati» dissi, facendomi strada tra le volute di vapore acqueo.

«Meg cara, devo darti una spiacevole notizia: sparisci. Questo non è il momento giusto.»

«Davvero?»

Feci segno all'ancella di allontanarsi, dato che ormai avevo trovato quel che cercavo. Il vapore emanava dall'acqua in aliti appena visibili. «Vai pure, Selene» dissi in un sussurro. La giovane serva annuì, lanciando un'occhiata obliqua all'ombra di Erik, appena visibile. Questi era tutto intento a sistemarsi la maschera sul viso – doveva averla tolta per rilassarsi almeno per qualche minuto, ed ecco che arrivavo io a rovinare i suoi bei propositi. Scorgevo appena il suo profilo. Avanzando nel vapore, si fece più evidente. Selene, percependo le avvisaglie di un litigio, si dileguò col suo usuale passo lieve, felpato.

Erik si agitò nell'acqua, immergendosi così a fondo che solo la testa era visibile. «Che cosa hai in mente?» disse in un tono che voleva sembrare di dura autorità, ma che non m'ingannò. Potevo udire infatti il fremito di sgomento, quasi paura, nella sua voce.

«Mi pare ovvio» dissi allargando le braccia. «Voglio farmi un bagno.»

«Fallo in un secondo momento.»

«Sono sudicia e stanca, mi va di farlo adesso.»

«Meg, giuro che…» Gli si strozzarono le parole in bocca quando vide che armeggiavo coi pantaloni di cotone che lasciai cadere ai miei piedi, dopodiché passai alla camicia sbrindellata che indossavo. Erik emise un singulto ben udibile, al che sogghignai.

«Che diavolo stai facendo?»

«A te cosa sembra?»

Alla fine mi sfilai anche la camicia con movimenti lenti, anchilosati dagli antichi lividi e dalla stanchezza. Erik mugugnò un'imprecazione in una lingua che non conoscevo e si schermò gli occhi.

«Vattene.»

«Non se ne parla. Ho diritto di stare qui quanto te.» Avanzavo verso la grande vasca centrale – quella occupata da Erik – i piedi nudi sul pavimento umido, emanante calore. Anche tutto il resto del mio corpo era nudo, con enorme disagio di Erik.

«Buon Dio, mettiti qualcosa addosso.»

Mancò poco che ridessi sul serio. «Quarant'anni in giro per il mondo e non hai mai visto una donna? A chi vuoi darla a bere?» chiesi alzando un sopracciglio. Avanzai ancora, diretta alla grande vasca fumante. Era terribilmente invitante.

Erik si allontanò il più possibile dalla sottoscritta, con movimenti strenui perché non cogliessi – vano desiderio – neanche un centimetro del suo corpo.

«Devi proprio usare questa vasca, piccola dannata?»

«Questa mi piace.» Mi lasciai scivolare nel caldo abbraccio dell'acqua, che mi rigenerò all'istante, sfiorando distrattamente uno dei tanti lividi che costellavano le mie braccia ossute.

«Ecco, ora puoi guardare» dissi dopo che mi fui immersa del tutto nell'acqua, la frangia di capelli neri che mi gocciolava sugli occhi. Erik guardò, tentennante, e scostò subito gli occhi altrove, benché entrambi fossimo immersi nell'acqua fino al mento.

«Non temere, non attenterò alla tua virtù» sogghignai ancora. Le orecchie di Erik divennero di uno straordinario color rubino. Ridacchiai: quella situazione era folle, ma in fondo perché no? Ormai nulla aveva più logica nella mia vita.

«Perché conservi ancora la tua virtù, o sbaglio?» chiesi con insano divertimento. Dovevo essere ubriaca, perché ero ben consapevole che, se lui fosse stato ancora senza scrupoli come un tempo, mi sarei ritrovata col collo spezzato in meno di un battito di cuore.

Erik mi folgorò con il suo sguardo dorato, le orecchie e il collo paonazzi. «Non sono domande che una ragazza dovrebbe porre a..!.»

«Io non sono una ragazza» lo interruppi col mio tono più sferzante, ed era vero. Non mi sentivo più tale da tanto tempo. «E non mi importa un accidenti di quel che dovrei o non dovrei dire e fare.»

«Sì, l'avevo notato» rispose Erik in un mormorio, in qualche modo a disagio.

Non voleva rispondermi, ma era chiaro che non aveva mai conosciuto donna, o almeno questo mi suggeriva l'intuito. Si comportava come una vergine prima della sua notte di nozze – lo pervadeva lo stesso nervosismo.

E poi, con quell'aspetto, chi avrebbe mai…?

«Nadir mi ha parlato di quando la sultana ti ha fatto dono di una schiava, e della tua reazione. Tanti anni fa… E di quel che accadde dopo» dissi lentamente.

«Il daroga parla troppo» sibilò Erik, chiaramente contrariato. Si passò le lunghe dita tra i capelli neri e umidi, senza alcuna intenzione di sfilarsi la maschera, anche se con l'umidità di quella sala doveva esserglisi appiccicata addosso.

«Il daroga voleva solo convincere me e se stesso della tua nascosta umanità, in un momento in cui entrambi non eravamo tanto certi potesse esistere.»

«E il tuo verdetto qual è, Meg? Sentiamo.»

Ponderai bene le mie parole. «Dopo ciò che accadde a quella ragazza...» esitai, ma fu solo per un istante. «Davvero non hai mai pensato di...» feci un gesto vago ma eloquente.

I suoi occhi, dietro la maschera, divennero schegge di pietra dura. «Perché avrei dovuto?»

«Molti uomini al posto tuo l'avrebbero fatto. Anche parecchie donne, se è per questo.»

«Io non sono molti uomini

«Sì, di questo mi ero accorta.» Inclinai il capo, come per osservarlo meglio. Le sue spalle ossute emergevano appena dall'acqua perché scorgessi il colore della sua pelle cadaverica.

«Sei un uomo singolare.»

«Solo perché non voglio comprare le attenzioni di una donna? E per cosa, per sopportare altri sguardi d'orrore? Non è piacevole, te lo assicuro. Inoltre, senza un minimo di sentimento per me non ha senso. Non proverei nemmeno il desiderio di...» lasciò la frase in sospeso, a disagio, ma io intuii subitaneamente i sottintesi.

«Ho sempre visto le due cose da una prospettiva diversa, come se fossero separate.»

«Non io.»

Strano uomo. Non aveva mai avuto remore nello sporcarsi le mani di sangue, ma la prospettiva di trovarsi tanto vicino ad un altro essere umano lo lasciava allibito e spaventato come un fanciullo. L'unica donna con la quale aveva provato a stabilire una vera e propria connessione, fallendo miseramente, era Christine. Le lacrime di lei, mischiate alle sue, lo avevano fatto sentire umano. Mi chiesi se da allora per lui le cose fossero mutate. Aveva utilizzato la violenza più e più volte nel corso della sua vita, se tale si poteva definire, ma a quanto pareva quella carnale lo disgustava e lo lasciava inorridito. Non potei non apprezzare questa sua ennesima sfaccettatura. Era un curioso binomio.

«L'unica donna alla quale chiesi un bacio fu mia madre» disse lui in un sussurro a malapena udibile. «Due, anzi. Uno subito, l'altro per riserva.» Poi rise amaramente, con voce più sonora. «Non dovrei dirti queste cose.»

«Lo stai facendo comunque» risposi io in tono moderato, freddo, più calmo di quanto mi sentissi in realtà. Lui si fece serio, gli angoli della sua bocca si teserò per istinto all'ingiù.

«E quale fu la sua risposta?» ebbi il coraggio di chiedergli.

Erik sollevò le dita lunghe e magrissime, nervose, della mano destra, e tra esse fluì l'acqua, più rapida del pensiero. Si rimirò con un'attenzione improvvisa – che, devo dire, non mi convinse affatto – le unghie giallastre, la pelle di pergamena.

«Puoi immaginarla da te.»

In effetti, la mia era stata una domanda ottusa. Le uniche labbra che avessero mai toccato la sua carne erano quelle di Christine. E le mie, quando mi aveva salvato sei anni prima dal mio tentato suicidio, respirandomi sulla bocca – un'immagine che non riuscivo nemmeno a figurarmi nell'occhio della mente.

«Cosa pensi?» mi chiese lui con voce d'un tratto dolce, modulata.

«Che non deve essere stata un granché come madre.»

Emise un lieve sbuffo. Le sue spalle spaventosamente ossute si sollevarono in un gesto di incredibile noncuranza. «Non più di tante altre, immagino.»

«Non ti ha mai battuto?»

«Spesso. La esasperavo. A dire il vero, era sufficiente la mia sola presenza per questo.»

Sbuffai anch'io, lievemente alterata. «Questo non giustifica…»

«Non era violenta con me, se è questo che intendi. Non lei. Gli aguzzini nella mia vita sono stati altri, almeno nel senso che intendi tu.»

«Capisco.» Mi arrotolai un ricciolo sull'indice. Fremevo dal desiderio di farmi più vicina a lui, ma mi trattenevo, sebbene stentassi in questo. Non mi spiegavo questo bisogno: non avevo mai sofferto la solitudine. La mancanza di mia madre doveva darmi alla testa.

«Sei triste, ora. Perché?» La sua voce era così terribilmente angelica che non potei non guardarlo negli occhi di bragia accesa.

«Stavo pensando… se io sarei riuscita ad essere differente, a comportarmi diversamente. In una situazione simile a quella di tua madre, intendo.»

«Se avessi avuto un figlio come me?» Lui sibilò tra i denti, emettendo un verso a metà tra una smorfia e l'ennesimo sbuffo incredulo. «Tu cosa pensi?»

«Non so se avrei avuto il coraggio di…» Mi arrestai, come in trappola fra il dire e il fare. Il coraggio di fare cosa? Di baciarlo e di stringerlo a me come sua madre non aveva mai potuto, qualcosa in cui solo Christine era riuscita? Io, avere il coraggio e la compassione della mia vecchia amica?

«Cosa, Meg?» I suoi occhi erano così intensi, così pieni di vita in confronto al suo corpo morto, che quasi mi ritrassi fisicamente. Eppure ero stata così priva di inibizioni con lui pochi attimi prima. Era un gioco di controllo, di sguardi – c'era tensione fra noi, ora che eravamo letteralmente nudi e senza difese, questo era palpabile.

«Saresti una buona madre» mi confessò lui, sprofondando di un altro paio di centimetri nell'acqua ormai tiepida.

Esplosi in una risata sguaiata. «Questa è bella. Da dove ti esce fuori?»

«Dico sul serio. Sei…» fece un gesto inconsulto con le lunghe dita pallide, «… molto leale e protettiva.»

«Protettiva? Ma se non sono riuscita a proteggere mia madre, e a stento me stessa? Protettiva io, quando ho fallito con Chris…» mi fermai appena in tempo, mordendomi la lingua. Se fosse stato possibile, lo immaginai impallidire ancor di più dietro la maschera. «Insomma, hai capito.»

«Non è colpa tua. Sei riuscita in molte cose, Meg.»

«Non è vero. Non ho concluso nulla. Sono utile solo a farmi salvare la vita da te, nient'altro.»

Christine si è salvata da sola, pensai, ed era vero.

«Sei riuscita a toccarmi dove nessuno era mai giunto prima.»

Trattenni il respiro a queste parole, pronunciate con lentezza e tanta serietà – a cosa le dovevo? – da parte sua. Ma non cedetti.

«A vederti mezzo nudo, intendi? Questa sì che è una grande impresa da parte mia.»

Le sue orecchie divennero di nuovo paonazze. «Concedimi la grazia di fare a meno del sarcasmo.»

«Impossibile, è incorporato.»

«Non fare del vittimismo, adesso. Non è da te.»

«Prima sarcasmo, ora vittimismo. Di cos'altro vorresti accusarmi, sentiamo?»

«Di avermi fatto sentire umano per la prima volta. Involontariamente, ma è così.»

Rimanemmo per qualche attimo in un silenzio teso come la corda di un arco. Si sentiva solo lo sciacquio della vasca piena dei nostri corpi, stranamente elettrici.

«Che intendi dire?» sillabai in un soffio.

«Quando ti salvai la vita per la prima volta, anni fa…» esitò, chinando lo sguardo. Quando ti baciai, furono le parole non dette ma sottintese. Mi agitai al pensiero. «Si stabilì un legame fra noi, lo avvertii, Meg.» Mi fissò a lungo, con i suoi occhi come fari nella notte. «Mi sei stata amica quando nessun altro sarebbe rimasto, scagliandomi in faccia la verità su me stesso – la mia stoltezza, la mia follia, la mia rabbia.» Esalò una risata che era come un respiro. «Sono stato proprio – passami il termine, sono certo che non ti offenderai – un bastardo, vero, Meg?»

Risi anch'io, giocherellando con le mie dita intrecciate. «Eri davvero ingestibile.»

«Ci vuole coraggio per essere amica – un'amica delle più oneste e sincere – di qualcuno come me.»

«Forse» accolsi quella nuova prospettiva, non avendola mai presa in considerazione prima.

«Oh, guarda. Quella fanciulla ti ha lasciato dei vestiti puliti.»

«Intendi Selene?»

«Si chiama così?»

«Sì, ed è un'interprete qui a corte, oltre che un'ancella della regina.»

Feci per alzarmi, al che lui si portò una mano agli occhi immediatamente, schermandosi il viso fintanto che non mi rimettevo qualcosa addosso.

«É stata gentile, non trovi?» dissi mentre mi asciugavo con un morbido panno di lino, piacevolmente caldo e odoroso di lavanda.

«Ha solo eseguito il compito che le è stato affidato.»

«Prima sono stata brusca con lei. Forse non avrei dovuto» proseguii, infilandomi la tunica di delicata seta imperlata dalla testa. Era di un color pesca magnifico, ma troppo graziosa per una figurina anonima quanto la mia.

Mi voltai verso Erik, ancora immerso nella vasca fino al mento. «Ecco, ora puoi guardare.»

Lui esitò.

«Niente scherzi, stavolta» gli assicurai con un sorrisetto. «Non ci tengo a sentirti urlare come una gallo strozzata.» Il mio sogghigno si allargò all'idea.

«E va bene.» Aprì gli occhi, che risplenderono nella penombra della sala da bagno, nel vapore che ancora si sollevava dalle acque di sorgente.

«L'idea di questo bagno è stata, a ragion veduta, pessima.»

Scossi il capo, fingendomi offesa. «E dai. Adesso siamo compagni. Condividiamo tutto, no?» Risi vedendo che le sue orecchie arrossivano ancora. Chissà come deve essere buffo in viso, pensai. Se il suo si può chiamare viso, aggiunsi cupamente tra me e me.

«Compagni.» Scandì bene ogni lettera, come a tastarne il sapore sulla lingua. Ci rifletté sopra, e la cosa sembrò piacergli, poiché scorsi l'ombra di un sorriso sulle sue labbra di carta.

«Sì, compagni» ribadii io. E non mentivo.

 

 

Quei giorni trascorsero in relativa tranquillità. Non vidi più la regina né lo Shah suo figlio, com'era giusto che fosse: una nullità come la sottoscritta non aveva posto tra il sangue reale. In compenso, Darya e Selene si rivelarono ottime compagnie. Parlavo con la giovane ancella – più giovane di me, a quanto pareva – del mondo che mi ero lasciata alle spalle, e che lei avrebbe tanto desiderato vedere con i propri occhi. Le descrivevo le mie lezioni di danza, e lei rimaneva in ascolto, affascinata, mentre il mio cuore veniva stretto nella morsa dolorosa della nostalgia. Erik e Monsieur Nadir erano impegnati negli incontri con l'Ombra di Dio e sua madre. Darya mi aveva rivelato quanto quest'ultima fosse esperta nell'arte della guerra, un genio di strategia e calcolo che finora aveva vinto tutti gli scontri che si erano tenuti fra la sua schiera di soldati e quella della sorella e del nipote. Era stata lei stessa a istruire il figlio nell'ars bellandi – un termine che appresi da Erik, il quale conosceva bene il latino, mentre io non masticavo che le parole delle preghiere e delle funzioni religiose, senza conoscere appieno il loro significato.

Darya mi offriva sempre lezioni di scherma, ed io imparavo ogni nuova mossa con ansia febbrile, macerata internamente da un tormento interiore al quale non sapevo dare nome, se non vendetta, o perlomeno il suo desiderio accecante.

Custodivo nella mente la bozza di un'idea, audace e stolta al contempo. Ma in quali altri termini potevo descrivere il mio comportamento se non questi?

La possibilità di metterla in atto si presentò quando, ormai da ore nella sala che Darya mi aveva presentato come il nostro teatro per le esercitazioni con la spada, si udì un avvicinarsi di passi e uno sparo che riecheggiò nell'aria con un rimbombo atroce. La sala – esagonale, dalle pareti di freddo marmo, un tempo utilizzata come armeria e pertanto adattissima allo scopo alla quale l'avevamo adibita Darya ed io – sembrò tremarne.

Imprecai.

Alle mie spalle udii una risata familiare.

Imprecai di nuovo.

«Meg, tieni a freno quella lingua. Quante volte dovrò ripetertelo? Non si confà a una fanciulla.»

Mi voltai per veder entrare Erik – abbigliato come d'usuale di nero, la maschera ben appiccicata al viso devastato, così che mi era impossibile vederlo. Ma conoscevo l'orrore che si ostinava tanto a celare.

«Fanciulla un corno. Te l'ho già detto: me ne frego di quello che dovrei o non dovrei fare.»

«Sì, rammento che mi accennasti alla cosa.» Si guardò intorno con fare circospetto. «Non dovresti maneggiare da sola quell'arma.» Indicò la pistola dal manico istoriato in argento e di ottima fattura che reggevo tra le mani, ancora tremanti per il contraccolpo, al quale non ero abituata.

«Dov'è la tua insegnante?»

«Darya è andata a farsi un giro con suo marito. Sono peggio di due piccioncini alla prima cotta, quei due.»

Lui fece una smorfia, dimostrando chiaramente cosa pensava di piccioncini alla prima cotta. «Non hai mai visitato il palazzo, Meg?»

«Perché questa domanda?»

«Volevo accordarti l'occasione di giocare all'esploratrice, quest'oggi, ma vedo che hai altro da fare.» Accennò con il capo alla pistola. Giocherellai con l'arma ancora calda tra le mie mani.

«Selene mi ha mostrato qualcosa, ma sono sempre stata confinata qui o nella mia stanza, sebbene io sia libera di andare e venire dove e come mi pare, in teoria. Non mi piacciono le occhiate delle sentinelle di guardia e della servitù: mi guardano tutti come se fossi un pezzo di carne.»

«Almeno con te non distolgono lo sguardo in preda al panico, fuggendo via a gambe levate» commentò lui, mordace e amarissimo.

Sorrisi all'idea. «Preferirei di gran lunga che mi temessero, invece.»

«Non c'è rispetto nel timore che ispiro.»

«É pur sempre qualcosa.»

«Per questa ragione vuoi imparare a sparare, oltre che a duellare con la spada? In quest'ultima arte sei già diventata alquanto discreta, malgrado le notevoli pecche.»

Inghiottii quel complimento a metà. «In questo momento vorrei spararti.»

Lui rise, con quella sua risata musicale che mi tintinnava nei timpani. «Quale violenza vedo in te, giovane Artemide. A cosa miravi, prima?»

Indicai il punto sopra un arazzo di scene da caccia che pendeva proprio dalla parete dinanzi a me. Erik emise un lieve fischio. «Hai mancato di due piedi il bersaglio. Che pessima mira.»

Mi morsi un labbro, offesa. «Cosa ti aspettavi? È la prima volta che maneggio una pistola.»

«Quando la utilizzai io per la prima volta, tanti anni fa, non mancai il colpo.»

«Tu hai la vista di un falco, è un'altra cosa.»

«Lo prenderò come un complimento.»

Mi si avvicinò, squadrandomi con subitanea attenzione. Io mi accigliai. «Cosa c'è? Perché mi guardi a quel modo?»

«Sbagli la presa. È così che si tiene in mano una pistola. Così» insistette, afferrandomi le mani e sistemando la mia presa sull'arma, le sue dita fredde intrecciate alle mie. Era straordinariamente vicino a me in quel momento, tanto che potevo sentire il suo odore. Deglutii e mi scostai, percependo in lui il medesimo turbamento.

«Scusa.»

«Figurati.»

Forse pensava che il suo tocco mi causasse ancora gli incubi, ma erano ben altri i sogni che insinuava dentro di me… Mi vergognavo moltissimo al pensiero. Non sapevo se volevo stargli vicino oppure fuggire via a gambe levate.

«Suvvia, prendi un'altra volta la mira. Fammi vedere quello che sai fare.» Questa volta fu lui a sciogliere la tensione creatasi tra di noi come una lastra di ghiaccio.

«É una sfida?»

«Prendila come ti pare, Meg.»

Annuii e mi concentrai, prendendo la mira e stendendo le braccia, un unico punto dinanzi a me che quasi pulsava ai bordi della mia vista. Contai fino a tre, dopodiché premetti il grilletto – ci volle una certa pressione da parte delle mie dita magre per riuscirci – e, di nuovo, sbagliai. Il proiettile andò a conficcarsi almeno due piedi più a sinistra dell'obiettivo che mi ero preposta.

Erik scoppiò a ridere. «Ribadisco che hai una pessima mira.»

«Ma stai zitto» mugugnai, innervosita dal suo palese divertimento. Ecco cosa gli risollevava l'umore, in quei giorni: assistere alle disgrazie altrui. Non molto diverso da com'era stato all'Opera, prima di Christine, prima di tutto. Eppure, adesso qualcosa era mutato.

«Lasciamo perdere questa cosa» dissi in tono irritato, gettando via la pistola nel mucchio d'armi in cui l'avevo pescata, come un oggetto dimenticato.

«Ti arrendi così facilmente? Non è da te» si premurò di pungolarmi Erik.

Lo guardai in tralice. «Se pensi che mi stia arrendendo, ti sbagli.» Afferrai la mia spada – più una daga lunga, leggera, maneggevole – e gliela puntai contro. Lui fissò la punta acuminata con attenzione e un'espressione che, dietro la maschera, immaginavo sorpresa e incredula al contempo.

«Allora?»

«Allora…» mi rigirai l'elsa della spada tra le dita. Ormai vi avevo acquistato una certa familiarità, dovuta al numero di ore che trascorrevo con in mano quell'arma, che non era da sottovalutare.

«Se ti colpisco almeno una volta – senza trafiggerti da nessuna parte, beninteso – non farai storie come un bimbo viziato e mi lascerai andare in guerra in santa pace.»

Lui s'irrigidì, come avevo previsto. «Non posso permetterti una cosa simile, Meg. E lo sai. Mi stupisco che siamo qui a parlarne.»

«Me ne stupisco anch'io, invece, perché – sai – non credo proprio tu possa avere alcun comando su di me.»

«Ho promesso a tua madre che ti avrei protetta. È l'ultimo giuramento che ho compiuto, l'ultimo e il primo al quale mai presterò fede.»

«E allora sei un idiota, niente di meno e niente di più.»

«Insolente come sempre, vedo» sbuffò lui, mentre io cominciavo ad accerchiarlo, simile a un avvoltoio goloso della sua preda.

«Smettila di girarmi intorno.»

«Non se ne parla.»

«Potrei torcere quel tuo collo delicato senza neanche accorgermene.»

Darya mi aveva detto che mi avrebbero sottovalutata tutti, per le mie origini, il mio sesso, il mio fisico mingherlino. Vedranno, oh sì, se vedranno…

Erik non fece in tempo a proferire altra parola che mi avventai contro di lui con un ringhio; evitò a malapena il mio ardore. Giocammo al gatto col topo per almeno dieci minuti: era chiaro che, fossi stata un altro, lui avrebbe già tirato fuori il suo laccio del Punjab e per me sarebbe finita. Tutto sarebbe finito. Mi morsi un labbro fino a farlo sanguinare.

«Non riuscirai mai a colpirmi. Adesso smettila con questi giochetti.»

«Non sto giocando!» lo aggredii in un singulto di rabbia. Poi feci una cosa molto stupida e al contempo molto coraggiosa: stanca di quel peso inutile, gettai via la spada e mi avventai su di lui in un unico e slanciato salto che ci fece rotolare entrambi sul pavimento. Lo sentii sbattere il cranio a terra, con mia piena soddisfazione. Eppure non si lasciò sfuggire un gemito.

«Ti ho preso!» Con le mani gli afferrai il polso sinistro, quello con cui utilizzava il laccio del Punjab. Non sarebbe riuscito ad estrarlo fin quando io non avessi abbandonato la presa.

In un battito di ciglia gli ero saltata addosso, affondandolo – più per la sorpresa che per altro, dovevo ammetterlo. Gli feci cascare sulla faccia una furia di calci che lui riuscì a fermare a stento – se così non fosse stato, gli avrei fatto saltare qualche dente.

«Meg, ho capito – ho capito! Adesso smettila!»

Mi fermai prima di fargli male sul serio.

«Capito cosa?»

«Che non sei debole. Ma non è questo tuo essere diventata un uragano di carne e ossa ad avermi convinto.»

«E cosa, allora?»

Non feci in tempo ad avvedermi del luccicare pericoloso nei suoi occhi. Inghiottii a stento un'imprecazione quando con un colpo di reni mi girò sulla schiena. In un attimo fu sopra di me, imponente, mentre io scalciavo sotto il suo corpo magro e nervoso come un infante tra le braccia di uno sconosciuto.

«Non ti arrendi mai. Neanche dinanzi alla follia.»

«Sai benissimo che mi spaventa a morte.» E la follia sei tu, e tutto quel che comporta starti vicino, Erik.

«Sì, ma la combatti. Questo è…» con un ansimo soffocato, riuscì a evitare l'ennesimo calcio. Mi imprigionò i polsi in una morsa silente e letale, da cui non riuscii a districarmi. Mi ero fatta acciuffare: come lui prima di me, avevo abbassato la guardia, solo perché per un attimo avevo creduto di avere la meglio.

«É cosa?» sibilai tra i denti, la saliva come bile sulla lingua, tanto era amara.

«Molto coraggioso da parte tua.»

«Vorrai dire molto stupido.»

Con le gambe gli circondavo i fianchi strettamente, intrappolandolo a me. Sentivo il cuore battergli nel petto, il suo respiro sulla mia bocca, e la sua maschera mi sfiorava il naso.

Repressi un brivido d'eccitazione per quella vicinanza inaspettata. Involuta? La risposta mi turbava.

«Sono comunque riuscita a colpirti.»

«No, mi sei saltata addosso, il che – ammetterai – è differente.»

«Non se ne parla, Erik! Tu mi avevi promesso…»

«Ed Erik mantiene sempre le sue promesse, certamente.»

Sbuffai, cercando di non guardare troppo a lungo le stelle che erano i suoi occhi. «Certo, come no.»

«Meg…» Con la mano, egli seguì il profilo del mio viso, sfiorando – solo sfiorando – la mia pelle. Rabbrividii internamente.

«Se è la morte che stai cercando…»

«No. Non voglio morire. Non come mio padre, mai come lui…»

«E allora perché blateri follie?»

Respirai a fondo, per quanto lo spazio ristretto tra noi due lo permettesse. Non sembrava essersi accorto, come in altre occasioni, dell'effetto che la sua vicinanza aveva su di me. Tuttalpiù, doveva aver capito che non mi faceva più paura da un bel pezzo, oramai.

«Non avrò pace fin quando non avrò stretto nel mio pugno il cuore della sultana. Di questo abbiamo già parlato. Non mi farò fermare da nulla. Nemmeno da te, se sarà necessario.»

«E io ti ho già detto che avrai un cuore, se è questo il tuo desiderio.»

«Non ti sguinzaglierò come un cane rabbioso giù per la china della mia follia, Erik. Appartiene solo e soltanto a me. Apprezzerò il tuo aiuto, se vorrai prestarmelo, ma sarò io a dettare le condizioni.»

«Non voglio comandarti. Voglio aiutarti.» Me lo disse in un sussurro tale che avrebbe spezzato il cuore a un angelo.

«Lo so» sospirai, reprimendo l'istinto bestiale che mi aveva conquistato – averlo tra le cosce così a lungo mi stava dando alla testa. «Allora fa come dico, per una volta. Lasciami andare.»

«Sei così piccola. Potrei ucciderti con un solo respiro…» Questa volta mi toccò – toccò davvero – l'incavo della gola. Da come aveva parlato, dai suoi occhi dal luminare sfocato, sembrava perso nei suoi pensieri.

«Erik, lasciami andare» dissi in tono più imperioso, al che lui obbedì in perfetta sincronia, sollevando il suo corpo e separandolo dal mio. Mi tese una mano per aiutare ad alzarmi, ed io la strinsi di buon grado.

«In qualunque cosa tu voglia immischiarti, sappi che ti starò vicino come un'ombra. Lo capisci, questo, vero?»

A tali parole, a malapena sussurrate e forse sognate, annuii con forza. Aveva ragione. Il mio desiderio di vendetta mi consumava, ma anche se non avevo più nulla per cui vivere, dovevo farlo. Mia madre avrebbe voluto così. E anche mio padre. Dopo tutto il male che era stato fatto alla mia famiglia, non potevo restare a guardare mentre la sua ultima componente si autodistruggeva nell'odio per qualcun altro. Per quanto sembrasse impossibile che ci fosse qualcosa oltre questo… ebbene, c'era. La danza, pensai, devo tornare a danzare. Per i miei genitori e per me stessa.

E poi non ero sola. Erik e Monsieur Nadir mi erano amici: singolari amicizie, avrebbe detto qualcun altro, soprattutto nel caso del primo, ma ad ogni modo… Erik mi aveva salvato la vita più volte di quante si potessero contare sulle dita di una mano. Stava dimostrando che perfino una persona come lui – al limite del mondo, di se stesso, di tutto – poteva mutare in qualcosa di migliore. Perché nonostante dentro di lui qualcosa fosse inesorabilmente incrinato, uno spiraglio di luce illuminava col suo lieve chiarore le crepe buie della sua anima in decomposizione. L'amore lo aveva distrutto, e poi salvato, come solo il vero amore può fare. Lui lo aveva provato, aveva lasciato andare Christine, aveva rinunciato a distruggere centinaia di vite solo per l'egoistico desiderio di morte che lo perseguitava da sempre. Aveva aiutato me e il Persiano, per quanto…

Era indiscutibilmente cambiato.

Ci stringevamo ancora la mano. Il freddo delle sue dita mi permeava le ossa.

«Restami vicino, se vuoi. Che tu mi faccia pure da sentinella, se la cosa ti aggrada. Ma ricorda: uno si salva sempre da solo, alla fine.» Fui molto chiara in proposito.

Lasciò andare la mia piccola mano dalla presa della sua, molto più grande e bianca e perfino più magra. Mi toccai le dita, un ronzio nelle orecchie del cuore.

«Ah, eccovi. Selene ha detto che avrei potuto trovarvi qui.» All'udire la voce del Persiano, Erik e io aumentammo notevolmente la distanza tra i nostri corpi, quasi si trattasse di un contagio. Non parlammo più del modo in cui eravamo stati così terribilmente vicini, quell'oggi.

«Meg, dovrai insegnare a quella ragazza il concetto poco persiano di privacy» disse Erik, riferendosi senza dubbio all'innocenza di Selene nel condividere quell'informazione con Nadir, inconsapevole di farci “beccare” occupati in una conversazione così seria, così tra noi due.

Nadir si accigliò. «Vi disturbo?»

«Nessun disturbo, Monsieur. Erik stava proprio per andarsene. Non è vero, Erik?» gli rivolsi un sorriso astuto, a cui lui rispose con uno dei suoi sogghigni più sinistri. «Certo, certo.»

Nadir si grattò la testa, rinunciando a capire cosa stesse succedendo tra gli unici amici che gli rimanevano sulla faccia della terra. Bella coppia di pazzi, pensai con sarcasmo.

«Erik, dovresti ricordare che tra queste mura non esiste privacy. In fondo, le hai progettate tu stesso a questo scopo.»

«Sì, e tutt'ora me ne pento più di qualsiasi altra sciocchezza abbia mai compiuto nella mia vita.»

«La lista è lunga» dissi io con un cipiglio eloquente, ricordando i guai che mi aveva fatto passare ai tempi dell'Opera. Non volevo immaginare cosa avesse combinato nei quarant'anni che precedevano quei mesi incredibili.

«Cercavate anche me, Monsieur?» mi rivolsi al Persiano con la maggiore gentilezza. Gliela dovevo, in fondo. Anche lui mi aveva aiutata molto con la sua presenza rassicurante.

«A dire la verità sì, Meg. Madame Darya mi manda a dirvi che dovrete allenarvi da sola, oggi. È impegnata altrimenti.»

«Spero che non centri Amir in questo» dissi io contrariata, mentre Erik scuoteva la testa, divertito, e il Persiano si apriva in un sorriso imbarazzato.

«Oh, no, Meg. È impegnata con noi sul versante battaglia. È per questo che ti sono venuto a chiamare, Erik: le Loro Maestà desiderano vederti. Hai terminato quella mappa che ti avevano richiesto?»

Erik annuì, apparentemente annoiato.

«Bene, allora dobbiamo fare in fretta. Fra non molto comincerà l'incontro, al quale saranno presenti le Loro Maestà e i comandanti dell'esercito.»

Quindi anche Amir e Darya, pensai.

«Voglio venire anch'io» m'interposi tra loro, seria. Erik sghignazzò ancora, mentre il Persiano ammiccava, sorpreso.

«Non credo sia una buona idea, Meg. Non è un posto adatto a una fanciulla come voi…»

Non volevo discutere su quel punto. «A Darya è permesso, però.»

Erik rise più forte – si stava divertendo a mie spese, il maledetto. Gli dardeggiai contro un'occhiataccia. «Darya è difficilmente paragonabile a una fanciulla.»

«Sì, ma…»

«É una guerriera esperta, Meg» mi spiegò il Persiano con la sua usuale pazienza. «Nessuno deve certificarlo per lei.»

«Che la ragazza partecipi pure, daroga» ribattè Erik, a braccia incrociate. Tutti e due gli rivolgemmo uno sguardo sorpreso: Nadir perché non si aspettava quella novità da parte del suo vecchio ed eccentrico amico, io perché non pensavo di trovare in lui un così facile alleato.

«Se vuole annoiarsi con discorsi che nemmeno capirà, sono affari suoi. Non ti pare?»

«Erik, ma non è appropriato che…»

«A chi vuoi che importi? Oramai…»

«Sì, infatti» annuii io con convinzione. Davvero non volevo rimanere fuori dai giochi ora che si era deciso che, in qualche modo contorto, ne facevo parte.

Nadir guardò prima lui, poi me, e infine sospirò. Sembrava che qualcuno gli avesse fatto espellere a forza quel po' di aria dai polmoni. «Oh, Allah… E va bene. Venite pure, Meg.»

 

 

Con mia grande soddisfazione, raggiungemmo tutti insieme la Sala del Trono seguendo Erik attraverso una scorciatoia che dall'arsenale conduceva alla grande e ampia stanza reale. Oltre una porta a vetri, decorata con fini mosaici che formavano un caleidoscopio di colori, il passaggio era in antico salnitro, simile – ma molto più largo e illuminato, e soprattutto più pulito – a quello che mi aveva mostrato Figaro ai tempi dell'Opera. Quando ne uscimmo, tutti e tre respirammo l'aria afosa ma pura della bella Persia, e sbucammo da dietro una porta laccata in legno di mogano – una bruma rossastra nel bianco marmoreo della Sala del Trono. Ci accostammo ad Ezzat e alla compagnia di generali, mercenari e quant'altro con un inchino frettoloso. Roshak mugugnò con aria autoritaria qualcosa che non compresi.

«Non preoccupatevi, è solo leggermente adirato per il ritardo» mi rassicurò una voce dolce e femminile alle mie spalle. Era Selene, l'ancella della regina e interprete di corte, che mi strinse delicatamente una mano tra le sue, altrettanto piccole e scure. Il Persiano soggiunse qualcosa che, anche questa volta, non capii. Fu in seguito Selene a raccontarmi nei dettagli l'esito dell'incontro. Il tavolo al quale tutti erano riuniti attorno era coperto da alcune mappe precisissime del Paese: ben visibile era la regione di Mazenderan, dove dimorava la Khanum con suo figlio, il giovane Shah Naser.

«Dovremmo partire a breve, Vostre Maestà» disse uno dei comandanti dell'esercito, a giudicare dalle medaglie che esibiva sul petto e dal modo in cui faceva penzolare i folti baffi bianchi. Nessuno mi prestò attenzione.

Ezzat annuì: «Sì, è di vitale importanza. Erik» riconobbi il nome del mio amico, «mostraci la mappa.» Certo non perde tempo.

L'ex spettro dell'Opera aprì proprio sotto il naso della sultana una pergamena sulla quale era disegnato a tratti finissimi un palazzo, che in meraviglia non poteva che superare quello in cui ci trovavamo adesso.

«Esistono vari passaggi per entrare nel palazzo» spiegò Erik in un persiano assai eloquente. «Consiglio di prendere questo qui.» Indicò un punto sulla mappa.

Ezzat rimase a rimuginarvi per un po', poi annuì gravemente.

«Non vedo il problema» s'interpose Roshak con la sua voce tonante e sicura. «Attaccheremo di notte, quando meno se lo aspettano.»

«Ci aspetteranno eccome, invece» Ezzat rivolse al figlio uno sguardo che stava a significare: “Devi ancora imparare molto.” «Sappiamo di quanta forza possono disporre?»

«Un esercito minore del nostro, Maestà» rispose Amir, stringendo le dita attorno all'elsa della sciabola che portava sempre al fianco destro, quasi a voler combattere in quel preciso momento un nemico invisibile.

«Allora non ci sono problemi, come vedete, madre.» Roshak appariva molto sicuro di sé e della propria futura vittoria sulla zia e il cugino maledetti.

«Mai sottovalutare il nemico, figlio. Specialmente se quel nemico è…» deglutì leggermente, sfiorando con dita affusolate ed eleganti il prezioso disegno di Erik – un coacervo di botole travestito da palazzo reale.

Roshak annuì, così come gli altri comandanti. Non dava loro alcun fastidio essere influenzati in tal modo da una donna? Forse si fidavano davvero molto della risaputa saggezza della regina. Tutti, notai, riponevano grande fiducia in lei.

«Tra queste, perché ci consigli la strada che hai appena indicato, Erik?» La futura Khanum si rivolse di nuovo a colui che un tempo veniva chiamato “il signore delle botole”.

«Quella attraverso le fogne è la migliore, perché è anche la più segreta e difficile da difendere. Esistono diverse uscite. Una botola è proprio nelle prigioni, a ridosso dell'ingresso, ma bisogna superare le guardie per passarvi attraverso. Sempre dritto, e poi si sbuca all'esterno del palazzo. Le fogne hanno numerose vie e botole che ho progettato appositamente per depistare eventuali aggressori. E molte trappole, anche. Qui sono segnati i percorsi principali.»

«Dovremmo dividere l'esercito in parti uguali per attaccare da diversi lati, così da confondere il nemico» concluse Ezzat in tono grave. Aveva un cipiglio che riconoscevo: era immersa in una profonda riflessione, ma il suo teatro era il campo di battaglia, e le luci della ribalta non erano altro che le grida di guerra dei suoi uomini.

«Sarete voi a guidare l'esercito?» chiesi senza pensare, nel mio francese incomprensibile alla maggioranza dei presenti. Tutti si voltarono verso la figurina anonima che aveva parlato, ma io non arrossii, sebbene messa a nudo dagli sguardi scrutatori degli astanti. Godetevi pure lo spettacolo. Ecco una straniera che ha il coraggio di rivolgersi direttamente a Sua Maestà.

Erik mi scagliò un'occhiata indecifrabile. Ezzat si limitò a sorridermi – un sorriso tagliente come una lama: «No. L'Ombra di Dio avrà il comando; io resterò nelle retrovie, come si confà al mio ruolo e al mio sesso.» Era palesemente sarcastica al riguardo, tanto che non capivo come gli altri comandanti non potessero accorgersi di essere stati tutti abbindolati da lei. Erano sotto il suo diretto comando – il comando di una donna – e neanche se ne avvedevano. Darya tossicchiò, celando una risatina. Selene si agitò, a disagio, al mio fianco. Monsieur Nadir nascose un sorriso sotto i baffi.

«Manderemo avanti una compagine ben nutrita contro le mura del castello, a sud, per condurre la battaglia verso più fronti.» La regina riprese il suo discorso in persiano e indicò un punto sulla mappa di Erik. Tutti si sporsero per guardare meglio.

«Erik, tu guiderai i soldati nei cunicoli delle fogne.»

«Avverto, però, che il lezzo lì è terribile.»

«Non ci spaventa.» Ezzat gli rivolse un grazioso sorriso al miele.

«Mia signora, le pare… saggio affidare a lui il comando delle sortite più importanti?» disse un altro generale, sempre in persiano, lo sguardo fisso su Erik come se fosse un enorme cumulo di letame. Strinsi i pugni.

«Lui è l'unico che conosca quel percorso a menadito. In fondo, è una sua invenzione.» Roshak non sembrava nutrire per Erik particolari simpatie, a differenza della madre, ma parlò in modo giusto.

Era più pratico dei pregiudizi.

«Ci sono domande?» la sua voce tonante riecheggiò nella sala d'ombra e pulviscolo. Tutti scossero il capo all'unisono, in preda ai mormorii. Nessuno ebbe il coraggio di replicare. La parola del Re dei Re era legge, in quel Paese. «Bene.» Roshak si rilassò sullo scranno accanto alla madre. Le si rivolse con baldanza: «Darò onore al nostro sangue col mio valore in battaglia.»

«Così sia, figlio.» Ezzat gli pose una mano sul braccio, ma non lo accarezzò. Egli non glielo avrebbe permesso dinanzi ai suoi uomini.

«E l'avanguardia vicino alle mura sud? Dovremmo porre grande attenzione agli zamburak

«L'avanguardia resisterà fino all'arrivo dei rinforzi, che giungeranno presto. Anche il nemico si attende un attacco a sorpresa, ma non sa da dove attaccheremo. È uno specchio per le allodole, almeno fino alla riuscita delle sortite.»

Tutti annuirono in silente comprensione. «Allora è deciso. L'incontro è concluso. Domani partiremo all'alba.» Roshak appariva alquanto soddisfatto all'idea, Ezzat un po' meno. La marmaglia si sciolse come neve al sole, sparpagliandosi in tutti gli angoli della mastodontica Sala del Trono. La regina si eresse dal suo scranno, massaggiandosi le tempie in un gesto di debolezza che non si sarebbe concessa se fosse stata consapevole che qualcuno – ossia io – la stava guardando. Si avvide della mia insolenza e ne sorrise.

«Immagino che tu non starai con le mani in mano, fanciulla, ad aspettare la giustizia del Re dei Re.»

Deglutii, mentre le sillabe del suo francese accentato ma grammaticalmente perfetto mi sibilavano nei timpani.

«Attenta, ragazza di tenebre: il cammino nell'oscurità è arduo, e questa vecchia signora, che si nascondeva al buio imparando a memoria L'arte della guerra quando aveva la tua età, invece di eseguire i propri doveri di moglie e madre, ne sa qualcosa.»

Erik e il daroga apparivano sgomenti che la regina in persona mi avesse rivolto la parola.

«Ho perso quattro figli prima della nascita di Roshak.» Accennò con lo sguardo al giovane, che ora studiava le mappe, perso nel suo mondo di guerra e sangue.

«Non perderò anche lui. Vinceremo questa battaglia, e anche quelle a venire, se sarà necessario. E tu avrai la giustizia che meriti, come il mio popolo.»

Io voglio vendetta. Voglio strangolare la Khanum, tua sorella, con le mie stesse mani.

Ma tacqui. Mi limitai ad annuire e ad allontanarmi con un inchino, senza attendere il permesso per congedarmi. Selene mi si affiancò.

«Vado a infilzare qualcos'altro con la spada nell'arsenale. Se Darya mi cerca, mi troverà là. Puoi dirle questo?» chiesi alla giovane ancella. Ella annuì con gentilezza. Io le rivolsi il lampo di un sorriso, ma era ombra e detriti sul mio volto macerato dalla sofferenza. Sognavo la morte di mia madre – e quella di mio padre – ogni notte, oramai. Solo la vicinanza di una bestia mio simile, Erik, riusciva a placarmi: la consapevolezza di non essere sola in quell'inferno. Ragazza di tenebre, pensai. È un buon soprannome. Sempre meglio di Faccia di Scimmia, comunque.

Avrei fatto onore alla fama che questo comportava? Avrei davvero ceduto ai miei istinti più oscuri?

Partirò per la guerra, conclusi. Non c'è altra soluzione.




Note dell'autrice:
* Il titolo è tratto direttamente da quello di un capitolo di uno dei miei romanzi preferiti, Storia di una ladra di libri, che consiglio a tutti di leggere.

Mi scuso per il lieve ritardo, ma l'università mi sta stressando anche se non ho ancora cominciato a studiare come si deve (non so come farò quando questo accadrà): ho avuto qualche problema classico dei pendolari, io che non sono abituata ad esserlo, e qualche crisi esistenziale degna di me. Insomma, non è stato un periodo facile, questo, ma ho iniziato a scrivere il 35° capitolo e vi annuncio che ne mancano due e mezzo (compreso l'epilogo) alla fine di questa storia a cui sono tanto affezionata.
Mi sono divertita tantissimo nello scrivere la scena del bagno dal punto di vista di una maligna e beffarda Meg (e non credo che Erik non abbia mai visto una donna nuda, comunque; il mio personale headcanon è che abbia studiato anatomia o che perlomeno si sia interessato alla materia in gioventù, e che quindi conosca anche l'anatomia femminile, ma che comunque non abbia mai avuto rapporti veri e propri con una donna, questo mi pare ovvio). La seconda scena tra loro – quella ambientata nell'armeria – trasuda tensione sessuale da tutti i pori (scusate) e ne sono perfettamente consapevole, ma prima che i nostri due eroi si arrendano a suddetta tensione ci vorrà ancora un po' di tempo, logicamente.
Ah, sorry per la mia poca esperienza nello scrivere scene di strategia militare, ma come avrete notato proprio non è il mio campo, non ho mai letto libri sull'argomento quindi mi sono basata sulla fantasia, e si nota. Grazie per la comprensione.
E ora, le fantastiche recensioni:

ondallegra: Davvero credi che Erik sia IC? È molto difficile per me gestirlo, perché nonostante conosca bene il personaggio (che in questo caso è sì, più modellato sul libro, ma ha anche qualcosa del musical), qui affronta un suo percorso personale completamente nuovo – una redenzione che però non deve snaturarlo del tutto. Insomma: più Erik diventa umano, meno Meg si sente umana. Più avanti vanno, e più diventano simili, paradossalmente. Volevo giocare su questo punto. Mi fa piacere che trovi la trama originale (secondo me non lo è; voglio dire, è un miscuglio tra Il conte di Montecristo e Il trono di spade, che stavo leggendo nel periodo in cui inventavo la trama di questo “secondo atto”, quindi ne sono rimasta influenzata). Ti aspetto nei miei incubi in caso non terminassi la storia, ma come ho detto prima sono a buon punto! :D Un bacio! **

bibliofila_mascherata: Lieta di averti fatto piacere questa ship da pazzi (Erik e Meg, ossia). Comunque sei proprio una brava lettrice: in effetti Cime Tempestose è uno dei miei libri preferiti in assoluto e sì, il rapporto tra Erik e Meg si basa sulla stessa sintonia di quello di Cathy e Heathcliff, con la differenza che è molto più salutare e mentalmente stabile del secondo. Insomma, se i protagonisti del romanzo della Brontë hanno una relazione distruttiva, spero che traspaia dalla mia storia che quello di Meg ed Erik non lo è, anzi. Fa bene ad entrambi, credo – non che siano normali, quei due, eh… Era solo per precisare. Complimenti per aver notato il riferimento ad un classico della letteratura inglese! Un bacione! <3

debbythebest: Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo. Il prossimo sarà denso di avvenimenti, ma sì, sto trattando con più lentezza il rapporto tra Erik e Meg e il suo svolgersi e i sentimenti di lei per lui. Capisci che adesso la testa di Meg è da un'altra parte, ma il suo cuoricino (col quale lei non è molto in sintonia) le sussurra di emozioni indicibili all'orecchio… Ci vorrà ancora un po' perché la coppia “scoppi”, ma arriverà il momento giusto, vedrai. Baci baci :*

Malinconica: Grazie per i complimenti! *piange di felicità* E devo dire che aspettavo una tua recensione, ma non scusarti. Mi dispiace che tu abbia avuto dei problemi, li ho avuti anch'io in questo periodo (e quando mai non li ho? Ho degli sbalzi d'umore allucinanti), ma scrivere e leggere le vostre recensioni così entusiaste mi risolleva il morale. Meg, come hai notato, sta subendo un'evoluzione caratteriale, e così anche Erik e il loro rapporto. Che ne dici della scena del bagno? A me ha fatto ridere un sacco, perché mentre scrivevo mi immaginavo l'espressione scioccata di Erik, ahaha. XD Un bacio anche a te! :333
   
 
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