CAPITOLO 31
Non appena varcai il cancelletto, pronto a riversarmi in
strada assieme a tutta la mia voglia di lasciarmi quella casa alle spalle, m’imbattei
quasi per caso in Livia.
La donna, tutta torva e agitata, si stava approssimando a
salire sulla sua auto, ed io rimasi davvero molto sorpreso per essermela
trovata di fronte così all’improvviso.
Molto probabilmente, lo scalpiccio nelle scale che avevo
udito poco prima doveva essere stato prodotto da lei, che dopo l’ultimo e lungo
litigio col marito si voleva allontanare di lì, proprio come stavo facendo io,
ma quella volta senza il figlio. Doveva essere uscita direttamente, magari
passando immusita davanti a mio padre e a Stefania, il cui dibattere potevo
ancora udirlo pure da fuori.
L’aristocratica mi rivolse uno sguardo agghiacciante, mentre
io ero rimasto come imbambolato di fronte a lei, senza neanche avere la forza
per rimproverarmi per non aver prestato maggior attenzione mentre uscivo in
strada. Se fossi stato più attento, magari l’avrei potuta notare, ed avrei
avuto modo di soffermarmi una frazione di secondo in più nel mio giardino,
attendendo che se ne andasse. Ed invece, purtroppo, anche quella volta mi ero
lasciato andare ciecamente all’ansia frettolosa provocata dai miei sentimenti.
‘’Sei felice ora, che hai combinato tutto questo casino? E’
tutta colpa tua. Ma tu, nella tua stupidità e nel tuo egoismo, te ne stai lì ad
addossare la colpa agli altri, e a fare la vittima. Contento del risultato?’’,
mi pungolò incessantemente la signora, con perfidia, richiudendo lo sportello
dell’auto e muovendo qualche passo verso di me.
Compresi solo in seguito che forse avrei fatto meglio ad
ignorarla, invece di soffermarmi un attimo a ribattere, poiché non ne valeva
davvero la pena. Ma, sul momento, ebbi un moto di stizza che non riuscii
affatto a contenere.
‘’E’ tutta colpa mia, vero? Colpa mia se mio padre è una
bestia, se ha messo incinta una ragazza che ora ci tormenta continuamente, se
tuo figlio è uno schifoso e stupido bullo e te e lui avete avuto l’idea di
mettervi a coltivare droghe in casa nostra?’’, le sputai con brutale decisione
in faccia, mentre sentivo il mio volto che s’imporporava in fretta, quella
volta soprattutto a causa della rabbia che provavo. Un nervoso eccessivo per
essere riprodotto col semplice pensiero.
‘’Senti ragazzino, mi fai davvero schifo. Sappi che io ti
odio con tutta me stessa, anche se sei solo una pulce e un verme umano, che non
meriterebbe neppure di essere visionato dai miei occhi. Ti odio perché hai
fatto del male a me e a mio figlio! Me la pagherai’’, mi sputò in faccia la
signora, con una prepotenza assurda.
Ero allibito all’indescrivibile.
Sapevo che quella persona disgustosa che mi stava di fronte
era una vera stronza, ma non mi aspettavo un assalto così violento da lei.
Constatai in modo superficiale e frettoloso che l’aristocratica, nel corso
degli ultimi giorni, pareva fosse cambiata davvero tantissimo, molto
probabilmente per il fatto che il suo amato figlioletto era stato finalmente
messo praticamente con le spalle al muro.
‘’E come, sentiamo?’’, quasi sussurrai, intimorito, anche se
non volevo assolutamente mostrarlo.
La donna mi sorrise, e giuro che in quel momento mi parve
davvero una strega indemoniata, con quei suoi occhiacci da arpia spalancati e
spiritati più del solito ed un piccolo e curioso ghigno impresso sulle labbra.
‘’Un modo lo troverò, vermiciattolo. E allora, finalmente
finirai schiacciato come uno scarafaggio, proprio come meriti. E non demorderò
fintanto che non avrò avuto vendetta per mio figlio’’, disse quella maledetta,
tornando verso la sua auto e allungando una mano verso lo sportello, già pronta
ad aprirlo di nuovo.
‘’Io a tuo figlio non ho fatto nulla; al massimo è stato lui
a fare del male a me’’, dissi, quasi in modo pietoso.
In quel momento mi ero davvero spaventato. Sarà stato che
quella donnaccia perfida era riuscita abilmente ad inculcarmi una discreta dose
di paura, nella mia povera mente frastornata.
‘’Poverino! Tu sei un santo, sei l’unico innocente della
vicenda. Beh, allora la mia vendetta ti renderà un martire’’.
E così dicendo, non senza uno spicchio di schifosa ironia,
Livia s’infilò nella sua Panda e la mise in moto, per poi andarsene in un
attimo.
Io, ancora interdetto sul marciapiede, deglutii a fatica,
chiedendomi come quella strega avrebbe cercato di colpirmi. Sapevo che se me lo
aveva promesso l’avrebbe fatto. Non avevo idea di come tentare di difendermi,
poiché quella volta nessuno avrebbe potuto aiutarmi e nessuno avrebbe accolto
una mia richiesta d’aiuto. Non avevo neppure prove tangibili a mio favore.
Fui costretto a riconoscere con maggior convinzione che Livia
era cambiata tantissimo, da quando ero riuscito a mettere in guai seri suo
figlio, guai che tra l’altro si era ampiamente cercato. Sembrava che la donna,
ferita nel fatto che uno sfigato come me avesse contrastato il suo amato
pargolo, sangue del suo sangue e perfetto ai suoi occhi, mi odiasse davvero con
tutta sé stessa e stesse follemente cercando per davvero un modo per colpirmi
alle spalle, e per farmi del male.
Come avrebbe fatto, però, non lo sapevo, essendo più
imprevedibile di suo figlio, immaginando che nel caso di quest’ultimo mi
sarebbero aspettate solo delle botte. Infatti, era stata proprio quella
prevedibilità e un pizzico di fortuna a salvarmi dalla vendetta di quel
pazzoide. Ma la signora era totalmente impossibile da comprendere fino in
fondo.
Sospirai e m’imbronciai, cominciando ad allontanarmi da casa
mia e sempre seguendo il marciapiede, comprendendo anche che quella persona
schifosa credeva per davvero che nella vicenda fossi io il cattivo e il mostro,
quando in realtà lo erano lei, suo figlio e mio padre, quell’uomo che sapeva
sempre farla sorridere quando mi urlava contro qualcosa o raccontava qualche
particolare selezionato del mio passato.
Mi parevano soltanto loro i mostri, in tutta quella vicenda.
Forse quella donna perfida credeva di mandarmi totalmente in
confusione, in modo da diventare una sua più facile preda, e magari farmi
uscire di senno, ma quella strega si era davvero sbagliata, se credeva di facilitarsi
ancor di più la vita in quel modo. O, forse, la pazza della situazione era lei.
Cercai di smettere di riflettere sulla discussione accesa
affrontata pochi istanti prima, ma la rabbia era tale che non riuscivo davvero
a sopirla. Dovevo sfogarmi, ma sapendo che questo forse mi avrebbe portato a
farmi ancor più male, scelsi di cercare in modo concreto un po’ di compagnia.
Lì per lì rimasi perplesso dalla mia idea, che fino a poco
tempo prima avrei considerato balzana vista la mia timidezza eccessiva e la mia
totale chiusura interiore, ma sapevo che in quei giorni un po’ di amici ce li
avevo, e potevo contattarli.
Decisi subito di lasciar perdere Melissa, e optai per non
incontrare Jasmine, poiché le vicende e le scoperte del giorno prima erano
ancora troppo fresche per essere rimestate, e ciò sarebbe di certo accaduto se
l’avessi rincontrata.
Un po’ temevo pure di rovinare il nostro rapporto ormai
ufficialmente dichiarato anche ai suoi genitori, dovetti ammetterlo. Pensai,
sempre mentre camminavo lentamente verso una meta ancora imprecisata, che
sarebbe stato cortese da parte mia fare chiarezza con mia madre, e farle
conoscere quella che era per davvero la mia ragazza, la prima della mia vita,
ma scartai quell’eventualità fin da subito. Tutto ciò non era caso di
affrontarlo in quel momento troppo delicato.
Decisi quindi con risolutezza che avrei per davvero contattato
Giacomo; erano giorni che non ci incontravamo, e non ci eravamo neppure visti a
scuola. Mi mancava, in fondo, e la sua compagnia era sempre qualcosa di
eccezionale.
Sorridendo tra me e me, estrassi il mio cellulare dalla tasca
destra dei jeans e gli mandai un sms.
La risposta non si fece attendere più di un secondo, e sempre
sorridendo mi incamminai verso un luogo che effettivamente conoscevo poco, ma
che poteva rivelarsi piacevole per trascorrerci un pomeriggio in compagnia di
un amico.
Incontrai Giacomo al parchetto pubblico, un piccolo spazio
simile a quello che avevo a pochi passi dalla mia dimora, ma situato ancor più
in periferia.
Non di molto, in realtà restava a dieci minuti di camminata
sostenuta dalla mia abitazione, ma era posizionato proprio al confine con
l’aperta campagna e con l’inizio dei campi coltivati, e lì si respirava per
davvero l’odore di libertà tipico dei luoghi agresti, non essendo comunque
infossato tra varie abitazioni e inquinato dalle strade e dalle auto. Era per
questo, credo, che nonostante fosse ormai pieno inverno il mio amico aveva
optato per recarci in quel posto pacifico e rilassante.
Quando lo raggiunsi, lo trovai in compagnia di Stefano, il
ragazzo più volgare del liceo, e Francesco, uno dei più timidi. Avevano già in
mano i loro telefonini, e i sorrisi impressi sui loro volti, uniti al fatto che
Stefano stava narrando qualcosa con un tono di voce già piuttosto alto, nel
complesso mi suggerirono che il più volgare dei tre avesse nuovamente cominciato
a narrare qualcosa di ridicolo.
Non appena mi scorsero, però, mi salutarono e tutto finì lì.
‘’Antonio, sono già due giorni che manchi da scuola. Non è
che hai intenzione di far buco anche il giorno dell’esame di maturità,
vero?!’’, esordì Giacomo, sfoggiando un tono di voce petulante e l’espressione
tipica della professoressa Carlucci.
Non riuscii a trattenere un sorriso, che sbocciò in fretta
sulle mie labbra.
‘’No, no, tranquilli… e poi sai che cosa mi è accaduto poco
più di un paio di giorni fa. Mi sto fisicamente rimettendo solo ora’’, dissi
loro, parlando alla platea dei tre e accomodandomi sulla vicina panchina, non
prima di aver passato una mano sulla sua superficie ed essermi accertato che
non fosse bagnata.
Ricordo che una volta, cinque o sei anni prima di quello che
sto ricordando ora, mi sedetti su un’altra panchina senza essermi accertato del
suo stato, e rialzandomi in fretta mi ero ritrovato coi pantaloni tutti bagnati
proprio nell’area del sedere. Stando poi in piedi e cercando di rimediare,
l’umido aveva conquistato un altro pochino di terreno e pareva che mi fosse
successo un imbarazzante incidente.
Da quel giorno in cui mi ero vergognato tantissimo, dato che
ero in gita scolastica ed ero stato costretto a gironzolare in quello stato
fintanto che il bagnato non si era asciugato, sono sempre stato attento alle
panchine, analizzandole attentamente prima di utilizzarle.
‘’Sai vero che quello stronzo non è più tornato a scuola?
Anche i suoi due amici… li abbiamo proprio messi nei guai! Mio zio poi mi ha
anche detto che si cercherà d’indagare il più in fretta possibile, poiché ormai
la questione è stata presa davvero a cuore dalla preside, che non vuole simili
incidenti nel suo istituto. Poi quello che ti è accaduto è successo fuori dalla
scuola, e a lei non resta altro che immaginare che le ostilità fossero
cominciate proprio nel suo ambiente scolastico, e ciò è comunque un gravissimo
reato.
‘’Nei prossimi giorni le scriverò un’altra lettera anonima’’,
terminò Giacomo, serio.
‘’Una letterina d’amore?’’, domandò Stefano, non lasciandosi
sfuggire l’occasione propizia per aprir bocca e tentare di fare lo sciocco.
‘’Sì, se vuoi la firmo a tuo nome però!’’, sbottò Giacomo,
dapprima con sembianze irritate, per poi finire col ridere.
‘’Lascia perdere quella megera… utilizzatela per lanciarla
contro quel pazzo scemo di Federico e dei suoi amichetti’’, tornò a dire il
burlone dopo qualche risata, mentre tutti noi eravamo ovviamente d’accordo con
lui.
‘’E’ proprio quello che intendiamo fare. Io, personalmente,
mi lavorerò anche la Carlucci. È già molto irritata nei confronti del bullo, e
sarà una missione facile. Anche la preside lo è, quindi non dovremmo
riscontrare problemi nella nostra battaglia contro il nemico. Spero veramente
che lo espellano’’, aggiunse poi Giacomo, come sempre molto risoluto quando si
trattava di colpire Federico. Lo odiava e il suo astio era sempre più
palpabile.
‘’Sai che in questi giorni non l’ho neppure visto in giro? Se
ne sta sempre chiuso in camera sua, da quando è tornato dalla caserma… sembra
davvero che sia molto giù di morale’’, dissi, riprendendo a pensare allo strano
comportamento del nemico.
Fui costretto a pensare che forse si trattava di una qualche
nuova strategia, dato che ormai era stato quasi del tutto smascherato e ben
presto gli sarebbero piovuti addosso solo tanti altri problemi e guai.
Capii improvvisamente che, molto probabilmente, il suo
atteggiamento da depresso che stava cercando d’indossare in quei giorni poteva
anche trattarsi di una semplice tattica per far innervosire la madre nei miei
confronti, e in quelli di chiunque lo aveva contrastato.
In effetti, Federico era sul punto di essere sconfitto, ed
ormai era già nel bel mezzo di problemi con la Legge per quello che aveva fatto
a me e in strada, e ben presto sarebbe potuta giungere un’altra mazzata dalla
scuola e dalle forze dell’ordine a riguardo degli atti vandalici degli scorsi
mesi. Quindi ciò che gli restava era proprio la madre, l’ultima carta da
giocare e l’ultima difesa contro tutti, una sorta di scudo umano.
Livia infatti, grazie al suo repentino cambiamento, sembrava
fuori di sé dalla rabbia, forse anche perché seguiva il suo istinto materno e
protettivo, che le imponeva di difendere con tutta sé stessa il proprio figlio,
prendendosela ovviamente anche con me.
‘’Bene, allora dobbiamo prepararci a dargli il colpo finale,
legalmente s’intende’’, riconobbe Giacomo, sempre molto attento e riflessivo.
Riconobbi che la sua figura che fino a qualche mese fa mi era
sempre parsa frivola in realtà nascondeva una personalità forte ed
intelligente. Era davvero un bravo ragazzo e un buon amico.
‘’Solo che ora quella stronza di sua madre pare avercela con
me e con chiunque sfiori il suo figlioletto anche solo con un pensiero
malvagio. Si è messa in testa di farmela pagare…’’, quasi sussurrai alla
platea.
‘’Cosa?!’’, dissero quasi all’unisono i tre ragazzi, pure il
sempre muto e silenzioso Francesco, dal tanto che erano rimasti colpiti dalla
mia rivelazione.
Feci una smorfia e poi, con rassegnazione, raccontai loro
l’episodio di poco prima, e notando la loro attenzione ne approfittai anche per
narrare ciò che copriva la madre, non nascondendo ai tre amici neppure la
vicenda riguardante la marijuana.
Dopo qualche istante, a seguito della conclusione della mia
narrazione, i tre ragazzi erano ammutoliti e sbalorditi. Chiesi cortesemente
loro di non far chiacchiere e di tenere tutto quanto per sé.
Non mi avrebbe fatto piacere che tutti nel liceo sapessero
ciò che accadeva in casa mia.
‘’Fidati, non ci tengo a raccontare in giro una storia del
genere. Mi prenderebbero per matto! Ma sono quegli Arriga dei veri matti…
devono finire in carcere! Sono un pericolo pubblico!’’, gridacchiò Stefano, con
la sua solita enfasi.
Io sorrisi, sapendo che anche di lui mi potevo fidare. Se con
Giacomo ero in una botte di ferro, lo ero anche col taciturno e silenzioso
Francesco e col bonaccione casinaro di Stefano, che avevo imparato a conoscere
un pochino, e sapevo della sua lealtà nei confronti di chi conosceva.
‘’Solo madre e figlio sono così. Il padre è una brava
persona’’, dissi loro, nell’intento di far chiarezza.
‘’Senti Antonio, questi hanno traffici di stupefacenti, il
figlio è un bullo che sta in giro tutta la notte a compiere atti vandalici e la
moglie è visibilmente pazza e magari gli fa un sacco di corna… e lui non sa
niente e non sospetta neppure nulla?! Non è possibile’’, negò Giacomo.
Mi ritrovai a non sapere che dire. Roberto mi era sempre
parso limpido, gentile e corretto, e non riuscivo proprio a vederlo in un’ottica
simile a quella dei suoi familiari. Eppure, anche a me tutto puzzava un poco,
ma io volevo davvero riporre un’immensa fiducia in quell’uomo.
Sapevo che Roberto era una brava persona, ma che a volte
peccava un po’ d’ingenuità, e volli attribuirgli questa causa alla sua mancata
comprensione dei problemi interni alla sua famiglia. In realtà, magari
sospettava qualcosa e non me l’aveva mai detto, ma io ero più che certo che
quel brav’uomo non centrava nulla in tutta quell’orribile vicenda.
‘’Roberto, il signor Arriga, è una bravissima persona. Ha
fatto tanto per me, e non mi sento di giudicarlo. Lui non è come loro’’,
ribadii, quella volta con maggior sicurezza. Nessuno avrebbe potuto scalfire
l’idea che mi ero fatto di quell’uomo, anche perché era sempre stato così
attento, gentile e premuroso con me che io non potevo assolutamente neppure
permettermi di fargli il torto di pensar male di lui e di sparlargli alle
spalle con degli estranei, anche se essi erano miei amici. Restava quindi
un’icona di perfezione, nella mia mente.
‘’Sarà… ma sta di fatto che devi liberarti di quei pazzi. Non
devi lasciare che quella donnaccia ti calpesti a suo piacimento, soprattutto
ora che siamo ad un passo dalla giusta fine del figlio’’, rincarò Giacomo,
davvero molto arrabbiato nei confronti dei miei inquilini.
Non potei far altro che annuire, senza aggiungere altro.
Il mio amico aveva ragione; quella donna non doveva
assolutamente neppure intromettersi nella mia vita o cercare di fare delle
ripicche. Suo figlio era un gran prepotente e maleducato, di questo io non ne
avevo colpa, e logicamente se sarebbe stato punito nessuno doveva punire me,
tantomeno la madre di quello stronzo.
Tuttavia, il mio ragionamento logico e la mia voglia estrema
di non finire vittima dell’aristocratica si scontrarono contro la realtà dei
fatti, ovvero che non avevo la benché minima idea di come fare a premunirmi dal
suo possibile e promesso attacco imminente.
Decisi quindi alla fine di non stare a pensarci troppo su in
quel momento, e di godermi un po’ la compagnia dei ragazzi, svagandomi in quel
posto che profumava di campagna. Al solo ricordare quest’ultima parola, mi
torna ancora in mente la scampagnata al lago con Roberto, in quel giorno ormai
parecchio lontano ma mai dimenticato, facendomi sfuggire un sorriso.
Inutile dire che m’impegnai per cambiare discorso.
I miei piccoli sforzi non furono inutili, poiché ben presto
quasi ci scordammo di Livia, della sua perfidia e di suo figlio, e ci
trastullammo in quel parchetto dicendo sciocchezze, di quelle tipiche che si
dicono tra ragazzi coetanei, e lasciando che Stefano si scatenasse con le sue
brutture e il suo baccano, che in fondo non era male e a tratti pure simpatico.
Poi, infine, quando già il sole cominciava a calare
all’orizzonte, decidemmo di salutarci fermandoci un attimo al bar lì vicino,
dove avremmo potuto fare una partitella a biliardino e acquistare qualche
Goleador, le fantastiche e gustosissime caramelle gommose che ancora oggi sono
amatissime da me e dai miei amici e conoscenti.
Nonostante tutto, il pomeriggio era passato in fretta ed io
mi ero divertito un po’, forse meno il povero Francesco che se n’era sempre
stato zitto, ma tuttavia sapevamo che lui era fatto così ed era sempre
taciturno, e in fondo molto probabilmente era stato bene in compagnia.
Ci dirigemmo quindi mestamente verso il bar più vicino, che
in realtà era l’unico nei pressi del parchetto. Il mio piccolo paese contava
solo tre bar di numero, di cui uno nel piccolo centro, ed un altro in una
viuzza laterale ad esso. Il terzo era proprio quello, quasi in periferia, il
meno trafficato e quello anche più riservato e tranquillo.
Eravamo sfiniti, avevamo parlato tutto il tempo e neppure
Stefano riusciva più ad aprir bocca.
‘’Sarà meglio che mi prenda anche un bicchiere d’acqua,
altrimenti qui chissà come va a finire’’, continuava a ripetere il più casinaro
e manesco dei quattro, mentre attraversavamo la strada che divideva il
parchetto pubblico dalla nostra vicina meta.
Giungemmo in fretta al bar semideserto, come suo solito, ma
per fortuna dotato di un biliardino all’aperto, che quel giorno era tutto
umidiccio ma utilizzabile e libero. I più giovani, infatti, frequentavano quel
locale solo saltuariamente ed esclusivamente per passare un po’ di tempo
giocando con esso, che di certo era più utilizzato delle tazzine da caffè.
Il vecchio barista, un uomo oltre la settantina che faticava
a portare avanti la baracca per via dei debiti, secondo quanto affermavano tutti,
ci osservava attentamente di là dalla vetrata del suo locale, totalmente vuoto
a parte una coppia di persone sedute ad un tavolo lontano dalla porta, un uomo
adulto e una donna che ci dava le spalle.
Sapendo che giocare era gratuito, e che il vecchio era un
vero tirchio, per cortesia prima di scatenarci mandammo Stefano a comprare
Goleador per tutti e a bere un po’, così da non apparire almeno formalmente
come scrocconi.
‘’Io e te stiamo in squadra assieme’’, mi propose Giacomo
durante la breve attesa.
‘’Gestisco la difesa?’’, chiesi, già tacitamente accettando e
informandomi.
‘’Portiere e difensori. Io proverò a far goal a Francesco’’,
tornò a dire il mio amico, dando una leggera gomitata al ragazzo timido e
taciturno, che anch’esso stava attendendo assieme a noi. Ci rivolse un
sorrisetto impacciato.
Stefano interruppe le nostre macchinazioni in modo brusco,
piombandoci addosso da dietro e facendo di nuovo baccano.
‘’Caramelle per tutti, bambini! Ah ah, mi sono ripreso,
visto! Un sorso d’acqua ed eccomi come nuovo!’’, strillò il nostro compagno
casinaro, donandoci una nuova ed indispettita occhiataccia dell’anziano
barista, che pareva essersi calmato dopo aver visto che almeno uno del gruppo
aveva comprato qualcosa, ma che era tornato all’erta non appena aveva udito
quegli schiamazzi.
‘’Stefano, dai, smettila un po’… il vecchio altrimenti ci
caccia’’, fece notare Giacomo, cercando di farlo rinsavire da uno di quei suoi
soliti momenti di eccessiva euforia.
Il ragazzo se ne accorse anch’esso, notando lo sguardo
irritato del barista disoccupato, che con un asciugamano tra le mani si era
posizionato proprio a fissarci in modo diretto.
‘’Avete ragione. Ma non garantisco che riuscirò a stare
calmo, durante la partita’’, disse poi Stefano, piombando sul biliardino, dopo
aver frettolosamente consegnato un pacchettino da due caramelle a ciascuno di
noi.
Io e Giacomo ci guardammo, e dopo aver scrollato la testa
prendemmo anche noi posizione, mentre Francesco raggiungeva tacitamente il
compagno di squadra.
All’improvviso però, il cellulare di Stefano squillò.
‘’Scusate, ragazzi’’, disse il nostro amico, imbronciandosi
per un attimo e rispondendo.
Subito, una voce roca e squillante giunse fino alle nostre
orecchie, che pareva stesse bruscamente sgridando il ragazzo, per poi
riattaccare dopo un istante.
‘’Chiedo scusa, amici, ma ora non posso davvero più fermarmi
qui a giocare con voi, neppure una partita. Mia madre si è incavolata perché le
avevo promesso che entro le cinque sarei stato a casa, ed invece sono quasi le
sei di sera… e il fatto che io ho tante materie sotto non mi aiuta affatto ad
avere un po’ più di libertà, e vuole sempre che io studi qualche ora. Quindi,
per evitare ulteriori casini in famiglia e a scuola, è meglio che io torni a
casa’’, disse Stefano, sconsolato, non riuscendo neppure a guardarci e tenendo
lo sguardo basso, verso terra. Poi, ci passò qualche altro pacchettino di caramelle,
come per volerle aggiungere alle sue scuse.
‘’Capiamo, e ci dispiace. Sarà per un'altra volta, ora vai a
casa’’, acconsentì in fretta Giacomo, comprendendo al volo la situazione.
‘’Lunedì ci vediamo a scuola, poi magari organizziamo un
altro pomeriggio o un’altra serata in questo modo’’, aggiunse il nostro amico,
che in quel momento era davvero molto mogio e senza entusiasmo, mettendosi in
fretta il cellulare in tasca e già cominciando ad allontanarsi da noi a piedi.
‘’Sì, certo’’, rispondemmo io e Giacomo quasi all’unisono,
per poi salutarlo a distanza.
Dopo un istante si era già volatilizzato nella penombra di
quella gelida e prematura sera d’inizio dicembre.
‘’Ragazzi, mi sa che devo proprio andare anch’io’’, ci disse
Francesco, prendendo la palla al balzo.
Per nulla sorpresi da quella sorta di forfait, lo salutammo e
lo lasciammo andare, a quel punto non del tutto convinti che avesse passato un
pomeriggio piacevole in nostra compagnia. Ma si sapeva che lui era un ragazzo
fatto così.
Rimasti solo noi due, io e Giacomo, con un sorriso spento ci
fissammo l’un l’altro.
‘’Non resta altro da fare che salutarci anche noi, immagino…
che facciamo, altrimenti?’’, gli chiesi, tiepidamente.
‘’Una partitella in due, che dici?’’, mi propose, mentre una
nuova scintilla d’interesse luccicava di nuovo nelle profondità dei suoi occhi.
‘’Mah, non mi va di stare qui, osservato dal vecchio
irritato… meglio tornare a casa. Tra poco sarà buio’’, gli dissi accennando
leggermente verso il barista, che pareva un mastino da guardia, e cercando di
dileguarmi. In fondo, anch’io avevo ancora tutti i compiti da fare a casa, e da
recuperare gli ultimi giorni in cui non avevo fatto un bel nulla per la scuola.
Giacomo annuì, un po’ rattristato per il fatto che alla fine
tutti l’avevamo piantato in asso, ma non disse nulla e mi sorrise
amichevolmente. Era giunto il momento dei saluti anche per noi.
‘’Ci vediamo lunedì, allora’’, mi disse il mio amico, mentre
pian piano prendevamo le distanze dal biliardino e imboccavamo rapidamente il
marciapiede.
‘’Sì, sì. Se tutto va bene, lunedì dovrei…’’.
Avrei voluto dire che lunedì ci sarei dovuto essere, ma non
ci riuscii. Infatti, un qualcosa aveva attirato la mia attenzione, e quasi come
se fossi stato sotto l’effetto di un antico sortilegio, non riuscii neppure a
concludere la frase o a farfugliare qualcos’altro.
Ad avermi colpito era stato un qualcuno che dapprima avevo
intravisto solo con la coda dell’occhio, mentre mi stavo allontanando col mio
amico dal bar, e poi, girandomi e osservando meglio, ero riuscito a riconoscere
una figura a me amaramente nota.
Sul marciapiede, una decina di metri dietro di noi, la
signora Arriga stava parlando animatamente con un uomo, quello che avevo
intravisto all’interno del bar poco prima, e riconobbi che Livia era la donna
che mi aveva dato le spalle in lontananza, seduta allo stesso tavolino interno
al locale, in compagnia del tizio.
Improvvisamente, lì vicino alla strada, i due si
abbracciarono con uno slancio che aveva un che di amoroso.
Ancora inebetito a causa della sorpresa, cercai di tornare in
me e non appena mi volsi verso Giacomo, notai che anche lui stava fissando la
medesima scena con interesse.
‘’Ma quella non è la stronza che ti vuole creare dei
problemi? La madre di Federico? L’ho intravista l’altro giorno quando usciva
dall’ufficio della preside’’, disse il mio amico, splendidamente perspicace.
‘’E’ proprio lei. E quello non è suo marito…’’, annuii,
confermando le sue ipotesi e lasciandomi sfuggire una piccola osservazione
stupita.
Nel frattempo, i due non accennavano a sciogliere il loro
abbraccio, e non parevano intenzionati a farlo, almeno nell’immediato.
L’uomo che Livia stava abbracciando appassionatamente era di
tutt’altro aspetto del marito, poiché era alto, slanciato e con un fisico
prestante, anche se doveva avere anche lui più o meno la stessa età di
quest’ultimo, ed in più non aveva alcuna traccia di barba ed era dotato di una folta chioma liscia ed ingrigita. Non ci
misi molto a comprendere che i due stavano mettendo le corna al mio carissimo
Roberto.
Ebbi paura di essere riconosciuto, e siccome non volevo aver
problemi o dover dare spiegazioni alla signora, rischiando quindi di inasprirla
ancor di più nei miei confronti, ammetto solo ora che fui sul punto di darmela
a gambe.
Devo solo ringraziare la dea bendata, che in quel pomeriggio
inoltrato mi aveva lasciato a mio fianco Giacomo, un ragazzo davvero
intelligente, sveglio e sempre pronto all’azione, che non si fece affatto
intimorire da ogni pronostico e, senza tanto titubare, strappò il mio cellulare
dalla tasca dei miei pantaloni e si mise a paciugare per un istante, per poi dirigersi
prontamente verso la coppietta affiatata, che non stava di certo badando ad un comune
passante.
Non feci in tempo a dire nulla, non sapendo neppure cosa
aspettarmi, e non avendo avuto neppure il coraggio di alzare la voce o di
richiamare indietro il mio amico, m’imboscai in tutta fretta in una viuzza
laterale poco distante. Ero atterrito, non sapevo che aspettarmi da Giacomo e
non volevo essere riconosciuto da Livia ed essere ancor più in pericolo.
Sbirciando dalla mia sorta di compassionevole nascondiglio,
nel quale mi sentivo davvero un verme, provando il classico miscuglio di
sentimenti negativi che mi addossavo in ogni situazione simile, notai che i due
pure si baciavano in quel momento, mentre Giacomo, che appariva un qualunque
ragazzo intento a scrivere un messaggio col suo cellulare e totalmente
assorbito dal suo oggetto tecnologico, passava a malapena a qualche passo da
loro, con grande disinvoltura.
Alla prima traversa, la imbucò e scomparve alla mia vista,
mentre anche Livia e il suo amante, poiché ormai ero certo che si trattasse di
ciò, si lasciavano andare e scioglievano il caloroso abbraccio ricco di baci,
per poi salutarsi vivacemente e riprendere ciascuno la propria strada.
La Panda della signora la scorsi in lontananza, non appena vidi
che lei si stava muovendo verso di essa, per poi probabilmente tornare a casa e
indossare di nuovo quella maschera da donna perfetta ed aristocratica che aveva
la puzza sotto al naso. Mi fece quasi venire il vomito anche solo il pensiero
che di lì a poco avrei dovuto rincontrarla tra le mura domestiche.
Ritornando rapidamente in me, e avendo via libera, pensai che
l’unica cosa che potevo fare in quel momento era cercare di ritrovare quel
burlone di Giacomo e farmi restituire il cellulare, per poi tornare alla mia
dimora.
Imbucai quindi con decisione la direzione che mi avrebbe
riportato di nuovo davanti al bar in cui avevamo sostato poco prima, col chiaro
intento di mettermi sulle tracce del mio amico, anche un po’ infuriato nei suoi
confronti, ma fu lui a sorprendermi, sbucandomi alle spalle col fiatone.
‘’Ah, caro Antonio, quanti sforzi mi costi! Possibile che
debba essere sempre io a tirarti fuori dai guai?!’’, mi disse, sghignazzando e
sorridendo, mentre riprendeva fiato. Doveva aver percorso quasi di corsa tutte
le stradine laterali limitrofe, per non ripassare di fronte ai due amanti e per
raggiungermi in fretta, col timore che io rovinassi tutto con la mia ingenuità.
‘’Perdonami, ma non capisco’’, gli dissi infatti, perplesso.
‘’Guarda cosa ho scattato col tuo cellulare. I due non mi
hanno dedicato neppure uno sguardo, troppo concentrati sui loro baci per
prestare attenzione ad un giovane passante che s’intratteneva col telefonino,
ed io ne ho approfittato per scattare loro qualche primo piano, di cui uno in
particolare non mi è venuto sfocato… ero in movimento, capisci che non potevano
venirmi perfetti, e con questo cellulare vecchio poi è ancora peggio’’, mi
disse Giacomo, realmente divertito, andando subito nella galleria del mio
telefono e mettendomi sotto al naso alcuni primi piani in cui si vedeva e si
riconosceva distintamente il volto di Livia, mentre baciava con passione e stava
stretta al suo misterioso amante.
‘’Con queste in mano, puoi neutralizzare quella strega.
Mostrale a suo marito, se cerca di crearti problemi, dato che hai detto che non
sa nulla e non sospetta niente a riguardo. A lunedì, caro amico’’, proseguì colui
che per l’ennesima volta mi aveva messo tra le mani una sorta di salvezza, che
io avrei dovuto saper fare fruttare, mentre mi riconsegnava frettolosamente il
cellulare e si dileguava nella penombra della sera, lasciandomi solo a fissare
quelle foto compromettenti.
Restai un po’ lì imbambolato sul posto, come a voler cercare
di far chiarezza nella mia mente, e alla fine decisi di spegnere lo schermo del
telefono e di rimetterlo in tasca, per poi mettermi in movimento verso casa.
Non sapevo che ne avrei fatto di quegli scatti clandestini, né se li avrei mai
utilizzati, sempre nel rispetto di Roberto, siccome della moglie non me ne
importava un fico secco, e mugugnando qualcosa senza senso ripresi a dirigermi
verso la mia dimora.
Mi dispiaceva infinitamente per Roberto; lui non meritava
tutto quello. Per giunta, era stato cornificato da un uomo davvero molto
diverso da lui, sia nell’aspetto fisico che nel modo di fare.
La mia mente era di nuovo immersa in un’addolorata
confusione, e decisi quindi drasticamente di non pensare più per un po’ alle
foto appena scattate, alla signora Arriga e al suo orribile tradimento, ma solo
ed esclusivamente allo studio e ai compiti che mi attendevano a casa, giacché
quello era l’anno più importante delle superiori e nonostante tutto a giugno mi
attendeva un tosto esame.
Se poi il destino mi avesse costretto, avrei potuto tentare
di far fruttare ciò che avevo tra le mani, oppure di cancellare tutto e farlo
sparire per sempre.
In quel momento non potevo di nuovo lasciarmi andare e
distrarmi, e decisi stranamente di rincasare con un bel sorriso sicuro sulle
labbra, cosa che per altro alla fine feci. Era come se avessi voluto cercare di
dissimulare tutto ciò che avevo avuto modo di vedere fino a poco prima.
NOTA DELL’AUTORE
Buongiorno, cari lettori e care lettrici,
e grazie, come sempre, per continuare a seguire il racconto.
Forse alcuni di voi già immaginavano che Livia tradiva il
marito… beh, spero che il capitolo che avete letto vi sia piaciuto comunque e
anche questa volta.
Continuo a ringraziarvi tutti, e buona giornata. A lunedì
prossimo!