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Autore: Sara27031    26/10/2016    0 recensioni
[Dylan O\'brien]
[Dylan O\\\'Brien]Brooke Miller, una ragazza di 17 anni, sta per iniziare il suo ultimo anno di liceo a Phoenix, Arizona, insieme alla sua migliore amica Nina Davis. Presto Brooke incontrerà quello che potrebbe essere l'amore della sua vita, Dylan O'Brien, e fiati lo è. Più tardi succederà qualcosa che metterà a dura prova il loro rapporto e forse li costringerà a porre fine ad esso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-The best night of my life




L’orologio segnava le 17.00 passate da poco, e Brooke non aveva ancora iniziato a prepararsi. Non aveva ancora fatto la doccia e non aveva la minima idea su  cosa mettere. Non stava facendo niente per prepararsi per la serata, e Dylan tra meno di un’ora sarebbe venuta a prenderla. Stava in piedi davanti alla finestra con il telefono mi mano. Lo accendeva e lo spegneva in continuazione, con lo sguardo perso a guardare il giardino dove suo fratello e Annabeth stavano giocando.

Pensava e ripensava, non si toglieva dalla mente il modo in cui ha conosciuto Dylan. Prima al centro commerciale, poi a scuola, in classe, in mensa, alla palestra e poi alla stazione dell’autobus. A quanto hanno parlato prima che lei scendesse per andare a casa, a come si sono salutati. 

Dylan era sceso con lei, l’ha abbracciata per almeno due minuti, due minuti che sono sembrati due secoli, e poi ha preso il suo viso tra le sue morbide e un po’ sudaticce mani e gli ha stampato un bacio in fronte, si sono salutati e le loro strade si sono divise. 

Nina:” Non credi che avresti iniziarti a preparare? E’da quando siamo tornati a casa  che non parli e non ti muovi da quella finestra.” Non si era nemmeno accorta che Nina la stava osservando già da qualche minuto appoggiata sulla porta della sua camera. 
Brooke:” Si, hai ragione, vado a fare un doccia. Scusa.” E senza dire altro prese l’asciugamano dietro la porta e si diresse in bagno. Aprì l’acqua, aspetto qualche minuto e dopo essersi tolta i vestiti entra in doccia. L’acqua le scorreva lungo la schiena provocandole qualche brivido, prese lo shampoo e iniziò a strofinaselo tra i lunghi capelli. 

Ad un certo punto sente il rumore di una porta che si apre, la porta del bagno e Nina vi ci entrò con molta nonchalance.
Brooke:”MA CHE DIAVOLO STAI FACENDO?? Ti pare il modo di entrare in bagno mentre c’è qualcun’altra a fare la doccia? L’azione ‘bussare’ esiste nel tuo dizionario.” Stava urlando. Odiava quando qualcuno non rispettava la propria privacy, sopratutto quando era Nina a farlo.
Nina:” Beh… allora cosa c’è tra te e il nuovo arrivato?” Chiede lei, facendo finta di non aver sentito cosa Brooke aveva detto. Aveva un sorrisetto malizioso stampato in faccia e stava lì in piedi ad aspettare impaziente una risposta.
Brooke:” Ti pare l momento di farmi una domanda del genere??” Continuava ad alzare la voce, era abbastanza infuriata. 
Nina:” Perché siamo sole in questo momento e nessuno può venire a interromperci. Non credo che Josh e Annabeth vorrebbero mai entrare in un bagno dove tu stai facendo la doccia, o almeno spero.” Ed eccola qui, la solita battutina che mette alla fine di ogni stramaledetta frase. 
Nina:” Dai, dimmi, cosa è successo oggi fra voi due?”
Brooke:” Niente, non è successo niente. Sta mattina quando siamo scese dall’autobus correndo come forsennate, sono caduta sopra di lui. Abbiamo parlato per un po’, ci siamo alzati e siamo andati in classe. Abbiamo passato la giornata insieme,poi mi ha offerto di venire a casa sua stasera. A fine scuola siamo andati in stazione, sei arrivata tu e te l’ho presentato, tutto qui.” Conclude con una certa fretta. Era da almeno un quarto d’ora che era sotto la doccia. Si sciacqua, esce, avvolge l’asciugamano sulla pelle bagnata e si dirige in camera sua con sguardo furioso. Sbatte la porta con forza e la chiude a chiave.

Apre l’armadio e cerca qualcosa da mettersi. Pende in mano il cellulare per vedere l’ora, 17. 20. Dopo dieci minuti buoni a fissare perplessa l’armadio decide di indossare un paio di jeans azzurri con una canottiera bianca. Si posiziona davanti allo specchio e inizia a pettinarsi i capelli. Li asciuga e comincia a provare qualche acconciatura; prova a fare un coda, uno chignon anche le trecce, ma niente le sta bene e decide di lasciare i capelli sciolti. Per il trucco invece, ha già in mente cosa fare: un po’ di mascara e matita nera per gli occhi e un rossetto rosso acceso per le labbra. Prende uno zaino nero dove mettere il telefono e il portafogli e una felpa in caso faccia freddo la sera e scende in salotto. Prima di sedersi sul divano, indossa un paio di Converse bianche e si siede. 

Rimane per un po’ a fissare la finestra, aspettando che Dylan arrivi. Apre il telefono e si mette a controllare un po’ tutti i social, per far passare il tempo. Dopo un po’ molla tutto e corre di nuovo in camera sua in preda all’ansia. Inizia a ripettinarsi i capelli, si rifà il trucco da capo, ancora un po’ e si sarebbe cambiato. Si ferma quando sente dei passi sempre più vicini a lei. Era Josh. 

Josh:” Brooke, che stai facendo?” Chiede gentilmente. Aveva un voce da farti sciogliere il cuore all’istante. Era sempre gentilissimo con il prossimo e molto premuroso. Adorava passare le serate con sua sorella e la sua migliore amica, Annabeth. Erano inseparabili.
Brooke:” Josh, che ci fai qui, non dovresti essere da Nina?” Cerca palesemente di cambiare discorso.
Josh:” Non cambiare discorso. Sono qui per capire come mai sei così in ansia.”
Brooke:” Vieni qui, ti spiego.” Li fa segno di sedersi sul letto. 
Brooke:” Sai quando ieri sono andata al centro commerciale? Appena ho visto Nina le sono corsa incontro e siamo finite abbracciate a terra, una sopra l’altra. Un ragazzo si è avvicinato e ci ha chiesto se serviva aiuto per alzarci. Nina ha risposto subito di no, mentre io sono rimasta a fissarlo incantata dal suo sorriso, così lui se ne è andato. Mi sono pentita di non aver aperto bocca, e pensavo di non vederlo mai più, di non avere più la possibilità di rivederlo. Poi, stamattina, quando sono scesa correndo dall’autobus, sono caduta sopra un ragazzo… Indovina chi era? Proprio lui. Abbiamo passato un buon quarto d’ora a parlare stesi a terra, e poi ci siamo alzati. Abbiamo passato tutto il giorno insieme, sia a scuola clemente tornavamo a casa. Parlando del più e del meno mi ha invitato a casa sua sta sera. Sono ansiosa, perché non ho idea di cosa succederà e non saperlo mi turba. Voglio dire, non che non lo voglia vedere, anzi, è l’unica persona con cui vorrei stare oggi, ma ho paura di farmi prendere dalla paura e coì facendo di allontanarlo. Tu che mi consigli?”

Josh:” Io ti consiglierei di andare giù in salotto ad aspettarlo, di non avere paura di aprirti con lui, insomma, è da parecchio tempo che non passi un po’ di tempo con qualcuno che non sia io o Nina. Credo tu abbia paura di relazionarti con qualcuno perché pensi di finire per farlo soffrire.” Lui sa sempre come farla stare a suo agio e calmarla.
Brooke:” Grazie, nanerottolo.” Dice e lo soffoca in un abbraccio. 
Brooke:” Augurami buona fortuna, allora.” 
Josh:” Divertiti sorellona!” Dice subito prima di stampargli un bacio sulla guancia e poi lasciare andare sua sorella.

Il campanello suona. Brooke prossima ad un infarto mentre scende le scale. Si affretta a prendere lo zaino e va ad aprire la porta. Dylan era lì, davanti a lei, bello come non mai. Indossava una maglietta bianca a maniche corte un paio di jeans azzurri simili quelli di Brooke un paio di Adidas bianche. Si guardarono per un po’, dalla testa ai piedi, e scoppiarono a ridere. 

Brooke:” Tu si che hai stile, O’Brien!” Dice per rompere un po’ il ghiaccio.
Dylan:” Anche tu non sei niente male Miller. Allora, che ne dici, andiamo? Ti voglio portare in un posto prima di andare a casa, se non ti dispiace.” Allunga la mano in attesa che anche lei faccia lo stesso. Non se lo fa ripetere due volte.
Josh:”Basta che andate via di qui!” Urla dalla finestra sopra l’entrata. 
Brooke:”Ma che ca… !? Fila dentro Josh!” Urla sua sorella. E lei che pensava che si sarebbe comportato bene. Intanto Dylan stava ridendo della scena che si era creata.
Dylan:” Quindi sei tu Josh, tua sorella mi ha parlato di te! Tranquilla, anche io ho una sorella come lui.” 
Brooke:” Quando torno te la faccio pagare, vedrai.” 
Josh:” Come vuoi!” Dice sorridente, noncurante della figuraccia che aveva fatto fare a sua sorella.

Dylan e Brooke si allontanano e salgono sulla Jeep azzurra di lui. Era un po’ vecchiotta, ma era ancora comoda e neanche tanto rovinata a dire il vero. Dylan stava ancora ridendo della conversazione di Brooke e suo fratello. Lei se ne accorse e gli tirò una leggera gomitata sul fianco per farlo smettere.
Brooke:” Scusa, non avrei voluto urlare a mio fratello davanti a te. Ma quando fa così giuro che lo manderei dall’altra parte del mondo, a forza di schiaffi.”
Dylan:” Tranquilla. Scusami tu. Mi sono a messo a ridere, non avrei dovuto.” Fino a quel momento aveva tento la testa bassa, anche mentre rideva, ma appena finita la frase alzò la testa e rivolse a Brooke uno sguardo mortificato e gli prese la mano.
Brooke:” Scherzi, non dirlo neanche.” Lo rassicura lei con un sorriso alla fine.
Brooke:” Basta parlare di mio fratello adesso. Dove mi vuoi portare di bello?” 
Dylan:” Beh, diciamo che è un posto speciale per me, ma non ti dico altro.” Si vedeva dalla sua espressione che era super euforico.
Brooke:” Bene allora. Andiamo!”

Il viaggio durò si e no mezz’ora. Mezz’ora passata a ridere e scherzare come amici di vecchia data. Si capiva che tra loro c’era già un legame molto forte.La macchina si fermò vicino all’entrata di un parco poco lontano dal Lago. Dylan scese per primo ed andò ad aprire la porta a Brooke, cosa che le fece molto piacere, ma sopratutto la fece diventare tutta rossa.
Dylan:” Permetti?”
Brooke:” Certo.”

Scesa anche lei, Dylan fece uno scatto verso il bagagliaio della Jeep e prese una coperta e poi andò a recuperare Brooke. La prese per mano e si incaminarono verso il parco. Brooke conosceva quel parco. Ci andava ogni estate con suo fratello e la famiglia di Nina.Era il solito parco dove i bambini durante l’estate andavano a giocare.Un’ altalena, due scivoli e le solite pareti in cui arrampicarsi e un paio di alberi qua e la e un prato immenso in mezzo, dove non c’era niente di niente.

Dylan:” Bene, qui direi che è perfetto. Mi aiuti per favore?”
Brooke:” Ovviamente.” Distesero la coperta per terra e vi si sederono sopra. 
Brooke.” Come mai mi hai portata qui?” Chiede lei ingenua. 

Dylan.” Da quando mi sono trasferito , vengo qui ogni giorno quando mio padre non è a casa. Ho passato pomeriggi interi a fissare bambini che giocavano, che facevano a gara chi arrivava prima allo scivolo, che litigavano perché uno era partito prima dell’altro. Questo mi ha fatto rivivere in prima persona tutto quello che mi sono perso durante l’infanzia. 
Quando mia madre è morta, avevo 5 anni, mia sorella, Sara, era appena nata, aveva più o meno 5 masi. Si chiamava Maddison, ma tutti la chiamavano Maddie.  Soffriva di demenza fronto-temporale, una forma di demenza che solitamente colpisce gli adolescenti. Passavo giorno e notte in ospedale con lei, e più tempo passavamo insieme, più lei si dimenticava di chi fossi. Il giorno in cui è morta, ero andato in segreteria a chiedere un foglio e dei pastelli, me li chiese lei stessa. Aveva detto di volermi insegnare un nuovo gioco che aveva inventato. Sarò stato via si e no, 3? Massimo 4 minuti. Nel frattempo, si staccò le flebo dalle braccia e andò sul tetto dell’ospedale. Aveva anche strappato un’ago delle flebo e lo aveva portato su con lei. Fu quando arrivai in stanza che capii perché mi aveva mandato via. Corsi il più velocemente possibile verso il tetto, ma arrivai troppo tardi. Si era già tagliata le vene del polso.La trovai stesa a terra in una pozza di sangue.
Cercai di fare come fanno si solito i medici. Le misi le mani sopra il torace e iniziai a spingere, su e giù, ma niente da fare. Le presi il polso, strappai parte del suo camicie e glielo legai intorno. Pensavo funzionasse, così scesi freneticamente le scale e andai a chiamare un’infermiera. La portai da lei,ma non mi fece avvicinare. Fece finta di fare il possibile per salvarla, solo per non farmi stare male, anche se sapeva che non avrebbe risolto niente. Mi disse di andare a chiamare un suo collega, e lo feci. Arrivato anche lui, si fiondò su mia madre, e dopo qualche minuto mi fece segno di avvicinarmi. 
Mi disse che non potevano fare niente, che ormai lei se ne era andata, e di salutarla per l’ultima volta. Lo feci, anche se non ne capivo bene la ragione. Arrivò un gruppo di quattro medici con una barella, la presero per braccia e gambe e la fecero distendere sopra, poi la portarono via. Dopo qualche ora arrivò mio padre, e solo lì capì che era morta.Che no la avrei mai più rivista. E mi misi a piangere anche io insieme a lui. 
Dopo il suo funerale, mio padre mi mandò da uno psicologo, da cui vado ancora oggi. Come ti ho detto a scuola, mi ha consigliato di passare una serata con mio padre e raccontargli come mi sentivo, cosa provavo. E ha funzionato, per un po’ di tempo. Poi è peggiorata. Ricordo che una notte mi alzai, presi la macchina e andai in ospedale a chiedere di lei, come quando ero piccolo. Quando mi dissero per la millesima volta che era morta, persi il controllo. Ci vollero quattro medici e due fiale di anestetici per farmi calmare. Mi alzai il pomeriggio seguente, incatenato al letto d’ospedale. Mio padre entrò qualche minuto dopo essermi svegliato , con sguardo terrorizzato e le lacrime agli occhi, e mi raccontò tutto quello che era successo. Fu quel giorno che decise che saremo venuti a vivere qui.” Mentre lo raccontava, a tratti la voce li veniva a mancare a causa di certe lacrime che li scivolavano sul viso. Era la prima volta che una persona si apriva così con lei. Brooke ne rimase sconcertata. Non sapeva che dire. Poi trovate le parole, iniziò a raccontare la sua storia.

Brooke:” La mia si chiamava Teresa. E’ morta quando io avevo 7 anni, mentre Josh ne aveva 2. All’inizio le avevano diagnosticato un cancro alla pelle, ma col passare del tempo si è espanso. Non si ricordava più di chi fossi io, o mio fratello, non si ricordava persino di mio padre. Ha passato 3 anni in ospedale tra chemio terapia, interventi continui e tanti altri trattamenti. Erano circa le due di notte quando ad un tratto ha iniziato a muoversi freneticamente, io dormivo di fianco a lei e per poco non mi fece cadere dal letto. Stava avendo un attacco epilettico. Quando l’ho capito sono corsa in corridoio disperata a cercare qualcuno che mi aiutasse, che aiutasse mia madre. Dopo qualche minuto ho sentito dei passi venire verso di me, era un infermiere. Corse in camera, ma mi lasci fuori dalla porta, non voleva che io asistessi. Dopo un po’ arrivarono altri tre o quattro medici con un cartello dove sopra c’era un defibrillatore. Li sentivo che davano ordini a voce alta, le scariche elettriche che partivano da quel macchinario, tutto. Un’infermiera è uscita e mi ha chiesto dove fosse mio padre, non potevo più stare lì da sola. Così le dissi che era a casa con mio fratello. Lei andò a chiamarlo, ma non correva come gli altri, anzi, camminava. Ne rimasi un po’ schioccata all’inizio, così decisi di entrare dentro, senza che ne avessi il consenso. Vidi i medici mettere via tutto, spegnere tutti quelle macchine che aveva attorno, posare sopra il suo viso un telo bianco. Allora capii che era tutto finito. Che era morta. Qualcuno mi notò, vide che avevo ricominciato a piangere e che stavo correndo verso di lei, ma nessuno mi fermò. Lasciarono che io le stingessi la mano. Le continuavo a dire di svegliarsi, di non mollare così facilmente e di combattere contro il mostro che le stava crescendo dentro. Dopo sentì sulle spalle delle mani che stava cercando di allontanarmi da lei. Cercai di ribellarmi, ma crollai sulle braccia dell’infermiera. Mi portò fuori e cercò di tranquillizzarmi, finché non vidi arrivare mio padre di corsa con Josh in braccio ancora addormentato. Mi abbracciò e poi  andò da lei. Rimase per almeno dieci minuti lì dentro a piangerla. Poi chiamò anche me e mio fratello. Josh non poteva capire cosa era successo ma cercai di spiegarglielo, e sembra che capisse, perché aveva iniziato a piangere anche lui. 

Dopo la sua morte cercammo di farcene una ragione, di andare avanti, ma la situazione peggiorò radicalmente. Mio padre diventò uno schizofrenico alcolizzato, tornava a casa la mattina dopo, e io ero costretta a passare la giornata da mia zia e al tempo stesso pensare a mio fratello. Quando diventai più grande iniziai a occuparmi io della casa. L’ultimo giorno di terza media, appena tornata a casa, corsi in camera mia.Dovevo andare con delle mie amiche al centro commerciale. Aperta la porta mi ritrovai mio padre, impiccato al centro della stanza. Iniziai a urlare, chiama il 911, arrivarono subito dopo, ma lui era già morto. Per me è stato uno shock, e fu allora che iniziai ad andare dallo psichiatra, quattro volte alla settimana. Ci vado ancora oggi, ma solo quando ne sento il bisogno. Ci andava anche mi fratello, ma a lui è andata bene. Ne è uscito infetta, a differenza mia. Alle volte, durante la notte mi alzo urlando e piangendo e lui corre in camera mia per calmarmi. Ora soffro di terrori notturni.” Anche lei mentre lo racconta si era fatta prendere dall’emozione. Era una cosa pesante da dire ad alta voce. Dylan era la prima persona a cui raccontava tutta la storia per intero. Neanche Nina era a conoscenza dei suoi terrori notturni. 

La mano di Dylan era ancora stretta alla sua, e ora lo era ancora di più. Con la mano che era ancora libera, Dylan l’ avvicinò al suo viso, e con il pollice le asciugo parte delle lacrime che la ricoprivano, come aveva fatto a scuola. Brooke subito dopo gli saltò addosso in un abbraccio che li fece cadere entrambi per terra, sulla coperta.

Si misero uno di fronte all’altra, abbracciandosi fortemente. Dopo un po’ si mollarono e iniziarono a fissare le stelle. Brooke si appoggiò alla spalle di Dylan, e poi fece incrociare di nuovo le loro mani. Non parlarono, ma Dylan continuava ad accarezzare i lunghi capelli biondi di Brooke. 
Rimasero lì, distesi in silenzio per più di un’ora, poi Dylan le sussurrò qualcosa all’orecchio.

Dylan:” Ti va se ora andiamo? Non so te ma io muoio di fame, e voglio finire la serata con grande stile.” 
Brooke:” Anche io muoio di fame. Non sapevo come dirtelo.” Dice, finendo la frase ridendo.
Dylan:” Pizza o cibo Cinese?” Chiede cortesemente.
Brooke:” Mhh… Vada per la Pizza.” 
Dylan.” Che gusto preferisci?”
Brooke:” 4 Formaggi? Qualunque Pizza va bene.” 
Dylan.” Come desideri tu, Brooke.” Prima di alzarsi le stampa un bacio sulla fronte. Lei ricambia con un dolce sorriso.
Brooke:” Grazie, Dylan. E’ la serata migliore della mia vita.”
Dylan:” Aspetta a ringraziarmi. Questo era solo l’inizio della splendida serata che ci aspetta.” E iniziano ad avviarsi verso la macchina.







Aww**… Adoro come la storia sta prendendo forma! Spero che anche a voi piaccia!Sono indecisa su quando fargli dare il primo bacio… Consigli??





 
   
 
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