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Autore: Eirynij    26/10/2016    0 recensioni
È davvero possibile che nasca qualcosa tra due persone così diverse come Perona e Zoro? Certo che due anni sono lunghi e, se passati a stretto contatto sull’isola di Kuraigana, potrebbe succedere qualsiasi cosa... anche un miracolo! E cosa è più miracoloso dell’amore? Il confine tra la mancanza di sopportazione e l’attrazione può essere labile. Tra liti, incomprensioni, risate, paure e momenti di tenerezza, dal forzato percorso condiviso nascerà un sentimento che va oltre il semplice affetto…
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Perona, Roronoa Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un arrivo, una mancata partenza e diverse impressioni inattese
 
Perona, 77 bpm
 
Sentivo il freddo del pavimento sotto la mia schiena e i suoi occhi puntati su di me. Mi affrettai a sistemarmi, rialzandomi e lisciando nervosamente la gonna. Sapevo che sulla sua testa pendeva una notevole taglia ma non sapevo realmente quanto potesse essere pericoloso. Gli avevo sottratto le spade e le avevo nascoste sotto il letto della stanza che avevo ribattezzato come camera mia, ma anche senza quegli arnesi rimaneva minaccioso.
‹‹Beh, che hai da guardare, tu?›› sbraitai.
‹‹Dove sono le mie spade?›› ripeté.
‹‹Non ti dirò dove le ho messe, dimenticati di loro›› ribattei e mi voltai pronta per andarmene.
‹‹Hai paura di me?›› domandò. Probabilmente sogghignava e mi irritai al solo pensiero che si stesse burlando alle mie spalle quindi inclinai la testa e lo guardai con la coda dell’occhio. Era serio, nessun ghigno sfigurava il suo volto. ‹‹Sono prudente›› risposi ‹‹e tanto non ti servono, probabilmente così mal ridotto non saresti nemmeno in grado di reggerle in mano!››. Saltellai fino alla porta, la aprii e mi voltai indietro perché non potevo dargliela vinta: ‹‹E figurati se io, la nobile Perona, ho paura di uno come te!››. Gli mostrai la lingua e velocemente uscii dalla stanza avviandomi per il tetro corridoio decisa a dimenticarmi di quella sgradita presenza, ma feci solo pochi passi prima che una voce rauca mi raggiungesse: ‹‹Ragazzina! Ragazzina! Torna qui subito!››. Sicuramente era quello spadaccino testa d’alga che rivoleva le sue spade ma nemmeno con le suppliche mi avrebbe convinto a restituirle, inoltre i modi sgradevoli e il tono prepotente non mi incentivavamo affatto a prestargli ascolto, così proseguii facendo finta di non sentire. Ma un nuovo suono, un tonfo, raggiunse le mie orecchie. Indispettita per tutto questo frastuono tornai sui miei passi, pronta ad ammonire il pirata di smettere di schiamazzare.
Lo trovai riverso al suolo con la faccia incollata al pavimento e un braccio schiacciato sotto il corpo massiccio. Risi: ‹‹Horo, horo, horo, visto? Non ti reggi nemmeno in piedi!››. E ancora una volta il suo silenzio, invece di soddisfarmi, fece nascere in me una certa compassione, così lo aiutai a rimettersi seduto sul letto. Lo sforzo del movimento lo faceva ansimare e aspettai che il suo respiro tornasse regolare prima di chiedergli cosa voleva.
‹‹Dove sono?›› una domanda per una domanda.
‹‹In un castello su un’isola della rotta maggiore, abitata da me e me soltanto, soddisfatto? Quindi sei pregato di non disturbarmi più di quanto tu non abbia già fatto››.
‹‹Non ti ho chiesto io di aiutarmi›› protestò.
Che scortesia! E pensare che avrebbe dovuto solo ringraziarmi e baciare la terra su cui camminavo perché senza di me sarebbe morto sicuramente e per sdebitarsi sarebbe dovuto diventare il mio schiavo. Ovviamente glielo feci notare ma non reagì, in effetti sembrava non ascoltarmi proprio. Così ripetei il discorso da capo ma ancora nulla, aveva lo sguardo fisso sul pavimento. Gli schioccai le dita davanti agli occhi chiedendo se mi aveva sentita ma non feci in tempo a finire la domanda che mi afferrò il polso: ‹‹Ho sete, dov’è la cucina?››.
‹‹Al piano di sotto›› risposi meccanicamente e lui fece per alzarsi ma le gambe non ressero e ricadde sul letto trascinandomi con lui. Tock. Le nostre teste cozzarono e lo spadaccino lasciò libero il mio polso portandosi entrambe la mani sulla fronte. Anche io mi tastai con le dita il punto dolorante proprio sopra l’occhio sinistro: ‹‹Se mi cresce un bernoccolo ti uccido!›› e, con lo sguardo più minaccioso che ero in grado di produrre, lo fissai dritto negli occhi. Fu proprio in quel momento che mi accorsi di quanto eravamo vicini. Troppo vicini. Gli diedi una spinta, poi, in fretta e furia, mi alzai e mi avviai verso la cucina. Tornai nella stanza dopo qualche minuto. Lo spadaccino testa d’alga si era coricato nuovamente. Gli porsi un bicchiere d’acqua fresca ma lui invece di bere rimase ad osservarlo stupito e ribadì: ‹‹Ho sete!››.
‹‹E io ti ho portato l’acqua infatti!›› risposi senza capire.
‹‹Arrugginisco! Ho bisogno di alcol! Rum, Wiskey, quello che vuoi… Basta che mi porti da bere!›› grugnì.
‹‹Se hai sete bevi l’acqua e poi nelle tue condizioni non dovresti tracannare liquori!››. Quindi pensai: nota per me, nascondere anche l’alcol. Avrei fatto di tutto per rendergli sgradevole la permanenza al castello.
‹‹Le mie condizioni? Da quando ti interessano le mie condizioni?›› ma appena finì la frase un tremendo attacco di tosse lo piegò in due e io colsi l’occasione per fuggire a gambe levate appoggiando il bicchiere con l’acqua sul comodino. Ero estenuata. Mai, mai in vita mia ho dovuto confrontarmi con qualcuno, i servitori servivano e i nemici, attraversati dai miei negative-horo, si prostravano al suolo scusandosi per la loro inettitudine (eccetto il nasone compagno dello spadaccino, ma quell’esperienza eccezionale avevo deciso che non faceva testo e che non meritava nemmeno di essere ricordata). Ma questo Roronoa Zoro aveva la bocca per parlare, controbattere e io ero impotente, non ubbidiva ai miei ordini e attaccarlo coi negative-horo vedendolo moribondo era troppo vile anche per me. La ritirata era l’unica via di salvezza.
 
***
 
Zoro, 51 bpm
 
Quando smisi di tossire scivolai nel sonno. Non so per quanti giorni alternai il riposo alla dormiveglia, però quando avevo sete c’era sempre dell’acqua in un bicchiere sul comodino e spesso trovavo pane e carne fredda in un piatto vicino al bicchiere. Ritenevo improbabile che fosse la ragazzina a portarmi acqua e cibo, più esattamente ritenevo improbabile che lei fosse in grado di svitare un tappo o accendere un fornello, ma, siccome aveva specificato che solo lei abitava il castello, non mi veniva in mente un organismo vivente più plausibile.
Pian piano riacquistavo le forze, le ferite si rimarginavano e il vuoto al mio fianco diventava sempre più insopportabile: il mio bisogno primario era riavere le mie katana. Mi alzai e andai in cerca della ragazzina chiamandola a gran voce. Camminai per non so quanto tempo finché, raggiunto il fondo dell’ennesimo corridoio, vidi una porta che non era polverosa come le altre e quando l’aprii non cigolava nemmeno quanto le altre. All’interno tutto era pulito e in ordine e un pungente profumo di cioccolata impregnava l’aria. Doveva essere la stanza della principessa da strapazzo, pertanto mi misi a cercare le mie spade. Le avevo appena trovate quando mi sentii strattonare, battei il ginocchio, caddi, venni schiacciato da qualcosa ma tenni stretto il mio tesoro tra le mani, non le avrei mai più lasciate andare. Misi a fuoco la cosa che mi stava addosso, era la ragazzina: ‹‹Che fai? Perché mi stai addosso?›› chiesi.
‹‹Come ti sei permesso di entrare in camera mia?›› urlava lei dimenandosi, battendo i pugni sul mio petto e scalciando per aria.
‹‹Cercavo le mie spade e le ho trovate›› risposi, non ero arrabbiato, stupito forse, sicuramente scocciato dagli inutili schiamazzi. ‹‹E adesso, se mi vuoi scusare›› e la scaraventai a terra senza troppe cerimonie mentre mi alzavo ‹‹ per me è ora di scoprire cosa c’è su quest’isola e poi andarmene››. Di nuovo in piedi, con le spade al mio fianco mi sentivo invincibile e mi avventurai fuori. L’unico inconveniente in questo idilliaco quadretto era la presenza di quel fastidioso esserino rosa che volteggiava poco sopra la mia testa: non l’avrei mai ammesso ma io e il senso dell’orientamento eravamo agli antipodi e, per riuscire ad uscire dal castello, dovetti farmi guidare dalla ragazzina. Il fatto che mi seguisse era molto sgradevole, addirittura molesto e, soprattutto, imbarazzante perché sentivo ancora il peso del suo corpo sul mio. Mi strofinai le mani sul petto per scacciare quella sensazione che proprio non voleva andarsene. Sentivo pizzicare la pelle sotto le bende ma non era a causa delle croste sulle ferite quasi rimarginate. La guardai di sottecchi, poi mi guardai e respirai profondamente ma, oltre all’odore umido della foresta che stavamo attraversando, percepii il profumo della cioccolata e un intenso fetore. La principessa non si lava ridacchiai tra me e me ma solo allora mi accorsi che il lezzo non veniva da lei, ero io. La vergogna mi assalì e sperai che la ragazzina non se ne accorgesse, non era per paura che mi prendesse in giro, è che non volevo che mi giudicasse male. Puzzare mi feriva nell’orgoglio, ma non nell’orgoglio di spadaccino, l’unico orgoglio che avessi avuto fino a quel momento, mi feriva nell’orgoglio dell’uomo.
Le mie elucubrazioni sulla relazione col mio cattivo odore furono interrotte da un urlo proveniente dagli alberi. ‹‹Cos’è?›› domandai guardandomi attorno freneticamente, ma la domanda era superflua, eravamo circondati da un gruppo di scimmioni schiamazzanti armati fino ai denti. Il primo si avventò su di me.
 
***
 
Perona, 80 bpm
 
‹‹Attento!›› urlai quando il primo scimmione gli si scagliò addosso. Io mi alzai in quota e sotto i miei piedi si scatenò uno scontro cruento. Altro sangue iniziò presto a sgorgare dalla pelle dello spadaccino e squarci si aprivano nelle bende e nella carne. Per ogni scimmione che veniva sconfitto, due prendevano il suo posto. Sembravano non finire più. I miei negative-horo non hanno alcun effetto sugli animali e non potevo  fare nulla. Inutile per l’ennesima volta. Lo spadaccino era alle strette ma fu allora che gli scimmioni fuggirono sparendo tra lo scuro dei rami, una figura si avvicinava nella nebbia della sera che stava scendendo.
‹‹Drakul Mihawk!›› esclamai. Il pirata appoggiandosi alle spade cercò di rialzarsi.
‹‹Tranquillo Roronoa Zoro, non sono qui per combattere›› disse Mihawk.
‹‹Cosa fai qui, allora?›› lo spadaccino era visibilmente teso.
‹‹Un tempo questa era casa mia, ma io potrei farti la stessa domanda››.
‹‹Orso Bartholomew mi ha spedito qui››.
‹‹Capisco, ecco perché Cappello di Paglia è arrivato a Marineford con quell’altro gruppo›› affermò Occhi-gialli e raccontò degli avvenimenti dei giorni precedenti e di come morì Ace Pugno di fuoco e anche Moria era dichiarato morto sebbene non vi fossero prove. Non mi restava nessuno da cui tornare. Ero sola al mondo.
Il giorno dopo arrivò il giornale. Lo spadaccino dopo lo scontro con gli scimmioni chiamati Umandrilli non era in grado di muovere nemmeno un muscolo così gli ressi il giornale davanti agli occhi. Ci stava mettendo troppo tempo a leggere e sentivo che le braccia mi andavano in cancrena, tanto che mi venne anche il dubbio che fosse analfabeta.
‹‹Sicuramente c’è un messaggio, qualcosa mi sfugge!›› continuava a mormorare.
‹‹Non mi interessa, muoviti e basta›› dissi. Aspettai ancora qualche secondo e ripiegai il giornale. Lo fissai mentre rifletteva con lo sguardo perso nel vuoto e le sopracciglia aggrottate. Non era brutto, i lineamenti erano decisi ma non sgraziati, il corpo che avevo già medicato più volte era definito e forte. Chissà come sarebbe stato essere abbracciata da quelle braccia muscolose? Mi sorpresi di questo pensiero e me ne vergognai arrossendo violentemente. Svelta me ne andai sperando che lo spadaccino non avesse visto la porpora sulle mie guancie, ma probabilmente era troppo preso dai suoi pensieri per accorgersene.
 
***
 
Zoro, 54 bpm
 
Ecco l’illuminazione! Il “2D” cancellato con affianco il “2Y” indicavano che l’incontro era posticipato a tra due anni invece che tra due giorni. Avevo tempo due anni per diventare più forte, per essere all’altezza, per essere in grado di proteggere i miei compagni. Stavo per dire alla ragazzina che sarei rimasto, sicuro che ne sarebbe stata contenta, ma vidi solo il suo profilo allontanarsi. Era rimasta per tanto tempo su quest’isola da sola che un po’ di compagnia non le sarebbe dispiaciuta e io avevo tempo, riflettei. Un secondo e negai il mio pensiero: il mio tempo doveva essere solo dedicato all’allenamento, non ne avevo da offrire a una sciocca principessa incapace, irritante e infantile. Anche se, forse, potevo utilizzare un minuto per ringraziarla per tutte le volte che mi aveva fasciato le ferite. Mi guardai le mani bendate e ripensai alla ragazzina che, con le sue dita agili, si destreggiava con disinfettante e garze, avvolgendo le mie membra con delicatezza e attenzione. Ripensai al suo sguardo assorto, gli occhi scuri che inghiottivano il mondo, avidi di luce, al naso delicato in perfetta armonia con le labbra rosse, ai capelli lunghi che, sfiorandomi per caso, alleviavano il dolore con carezze fugaci e leggere. In quei momenti non era poi così incapace ed infantile. Mi ero distratto un attimo e non potevo più considerarla un nemico.



Angolo autrice: Il velo dell'indifferenza si sta strappando e le prime emozioni contrastanti iniziano a nascere negli animi dei nostri protagonisti. Grazie di avere letto il secondo capitolo, attendendo le vostre opinioni, un bacio!
 
   
 
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