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Autore: Always_Always    27/10/2016    6 recensioni
Harleen Quinzel sta per sposarsi. Ha un ragazzo perfetto, un matrimonio perfetto e una vita splendente che l'aspetta.
Cosa potrebbe andare storto?
(...) «Non dici niente?»
«Auguri e figli maschi».
E quello , l'aveva immaginato. Ma quanto aveva sperato di sbagliarsi (...)
{Storia partecipante al “Red Wedding —o di matrimoni deviati” contest indetto da Bellatrix_Indomita sul Forum di EFP}
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Catwoman aka Selina Kyle, Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier, Nuovo personaggio, Poison Ivy aka Pamela Isley
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Would you marry me? Will you?
Nickname autore EFP: Always_Always
Nickname autore Forum: Always_Always
Personaggi/Coppia: Joker/Harley Quinn, Pamela Isly/Poison Ivy, Selina Kyle/Catwoman, Jack Ryder, Edward Nigma/Enigmista, Guy
 Kopski, Nuovo personaggio
Raiting: giallo
Betareading (sì/no): no
Introduzione:
Harleen Quinzel sta per sposarsi. Ha un ragazzo perfetto, un matrimonio perfetto e una vita splendente che la aspetta.
Cosa potrebbe andare storto?
«Non dici niente?»
«Auguri e figli maschi».
E questo sì, l'aveva immaginato. Ma quanto aveva sperato di sbagliarsi.
Note dell’Autore: la storia fa riferimento a fumetti, film e videogiochi dell'universo di Batman. Non avendo particolari preferenze, ho deliberatamente scelto di non descrivere le caratteristiche fisiche dei personaggi in modo da permettere a chiunque di immaginarli nella versione che più preferisce.
L'episodio della rosa è un riferimento al fumetto Mad Love e la parte finale della storia si ispira a un episodio della prima stagione della web serie TheJokerBlogs. Si citano anche Metropolis e Superman. Pamela Isley non è ancora diventata Poison Ivy. Guy Kopski è un personaggio dei fumetti, ma non avendo letto niente in merito ho soltanto preso in prestito il nome e niente di più. 


 

Prologo


 

In principio è il niente.
Un nulla gassoso e offuscante che le riempie gli occhi e la fa sentire vuota, come se le sue stesse viscere fossero schizzate fuori dalle orbite lasciandole nient’altro che la pelle moscia.
Morte. La sente tutt’attorno a sé. Una baccante dai capelli annodati che alza le braccia, muove i fianchi e balla. La sente canticchiare, ma non è una voce definita: è un coro dissonante, un concerto disarmonico di brividi e sudore freddo. Lei resta a guardare quel volto che non è umano e ci rivede una vecchia amica. O forse un amico… quel volto cambia talmente spesso: lineamenti sottili, occhi taglienti, sorriso sfacciato…
Le sta tendendo la mano, la Morte. Tra le dita, c’è un fucile.
"Coraggio cara: qui moriamo dalla voglia di sapere…"
Harleen è sempre stata un’amante delle sorprese, dell’inaspettato, dell’imprevisto che piomba all’improvviso. Ma adesso…
Adesso è cambiato tutto.



 

Would you marry me?
Will you?


Capitolo 1. Ain’t no rest for the wicked



 

«Scegli. Quando vuoi, come vuoi, con tutta la calma che puoi concederti.
Ma non pensare che potrai dilungarti nell’incertezza in eterno. Dovrai scegliere, prima o poi.
E quando lo farai, sarà per sempre».



 

Harleen Quinzel è una bambola di porcellana che tutti vogliono possedere.
Mani straniere s’insinuano tra i suoi capelli dorati, le toccano il viso rotondo e scivolano sui suoi fianchi morbidi, sulle spalle esili, sui suoi piedi minuti, perché è una bambola e tutti vogliono renderla perfetta.
"No, il trucco più fine! Tira su quell’abito, tu! Ma dove diavolo è il bouquet! Vi licenzio tutti se non fate come dico! E quel rossetto? Levatelo subito. Mia figlia non è certo una sgualdrina!"
Sgualdrina. Bambola.
La differenza è tutta una questione di prospettiva.
Harleen distoglie lo sguardo dal suo stesso riflesso - un riflesso nel quale non si riconosce - per lanciare una muta preghiera all’unica persona rimasta in disparte fino a questo momento: Pamela ha i capelli mossi e sciolti, come un fuoco che sibila in aria. Infilata in un vestito verde aderentissimo, trasuda sesso e ostenta con forza la sua femminilità - la sua identità - come Harleen non è mai stata in grado di fare.
Pamela è libera. Libera di essere chi vuole.
Harleen ha avuto una possibilità e non l’ha colta al volo. E nonostante si convinca che sia stata la scelta migliore, si chiede se riuscirà mai a conviverci.
"Ora basta," Pamela ha il tono calmo e la mano ferma, "la sposa ha bisogno d’aria."
L’odore della sera può sicuramente distrarla, ma non basta per cancellare il ricordo, soprattutto non dalla sua testa.
«Mi sposo…»
Gliel’aveva proprio detto, alla fine? Aveva sempre saputo di essere una che parla troppo, ma pensava che con il tempo fosse maturata abbastanza da avere un discreto controllo del suo corpo. E invece…
«Mi sposo».
L’aveva ammesso così, senza preavviso. Durante la solita seduta, nella solita cella, con i soliti appunti sterili che aveva continuato a prendere per mera abitudine - per facciata, per inganno, per autoconvincersi che le cose fossero le stesse di quando avevano cominciato.
Gliel’aveva detto, ignorando quello che sentiva dentro - così terrorizzata da quello che provava da imporre dei paletti invalicabili tra lei e tutto quello che avrebbe mai potuto definirsi un loro.
Il silenzio che era calato dopo lo ricorda più tagliente di uno dei suoi sorrisi migliori - lui non si era mosso, non aveva fatto una piega; era rimasto sdraiato a fissare il soffitto come se non l’avesse sentita.
Ma oh, eccome se l’aveva sentita.
«Non dici niente?» una preghiera, quella di Harleen - disgustosamente incoerente, a quel punto.
«Auguri e figli maschi».
E quello , l’aveva immaginato. Ma quanto aveva sperato di sbagliarsi.
"D’accordo, signori," sua madre ha la fermezza di un generale, "dieci minuti di pausa per tutti."
Harleen avverte il peso del suo velo gravarle sulla testa fino a schiacciarla.



 

∞∞∞


 

C’è qualcosa di stonato in tutta questa faccenda.
Osservazione doverosa: stonato è spassoso, stonato è splendido. Ma non questa volta, perché non è caotico, o divertente, o elettrizzante; è soltanto scomodo e lui ha sempre detestato le scomodità.
"Sai che giorno è questo, mostro? Certo che lo sai. Scommetto che ci hai pensato tutta notte. La dottoressa sarà bellissima in quell’abito bianco ed è un peccato che tu non possa assistere."
Stupido Julio, insaccato in quella divisa da soldatino. Stupido, idiota, troglodita, inetto, incapace, inutile, insulso…
"Forse riuscirò a rimediarti una fotografia, se farai il bravo."
Stupido, idiota, troglodita, inetto, incapace, inutile, insulso…
"Che c’è?" le dita di Julio Gonzales sono salsicciotti rosa che si attorcigliano alle sbarre, "non ridi più adesso?"
Uno scatto improvviso, urla strazianti, rumori di carne che si squarcia; ed ecco che il salsicciotto indice di Julio va a decorare il sorriso insanguinato del Joker.
"La tua ironia di basso livello mi annoia a morte, Gonzales. Ti direi di puntare sull’aspetto, ma anche quello lascia a desiderare…"
Julio continua a urlare - unico tratto interessante della sua personalità. Il Joker sa che presto arriveranno i rinforzi e che lo pesteranno per vendicare quella poltiglia di lardo putrescente che si contorce sul pavimento. Non gli interessa. Non gli è mai interessato, ma oggi soprattutto: oggi non è incline alla quiete. Oggi prova una rabbia incandescente che brucia la sua lucidità in un fuoco rosso e nero. C’è soltanto una cosa che pretende, ora, e continuerà a mordere dita e a spaccare ossa fino a quando non gli permetteranno di ottenerla.
«Non dici niente?» una preghiera, quella di Harley - disgustosamente innocente, nonostante tutto.
"Piccola ingenua sposina," mormora il Joker calpestando l’indice strappato di Julio, "non si comincia un matrimonio senza la benedizione di papà."



 

∞∞∞


 

La navata centrale della chiesa è avvolta in un fascio di luce opalina e crea un’atmosfera surreale che fa sentire Harleen improvvisamente meglio. Pamela è andata a parcheggiare la macchina che hanno usato per arrivare fin qui, anche se non era particolarmente entusiasta della volontà di Harleen di fermarsi in chiesa prima dell’arrivo degli invitati. Una sposa si fa aspettare, ha detto, ma Harleen ha sempre trovato snervante quel ritardo dato dalla tradizione. E poi non aveva altra scelta: ha bisogno di esserci, prima di qualsiasi altra persona. Ha bisogno di percepire l’eco della navata deserta e respirare la sacralità di questo luogo immobile, per capire cosa l’aspetta. Al contrario di molte altre donne che ha avuto modo di incontrare durante la sua vita, non aveva mai fantasticato sul giorno del proprio matrimonio; niente vestiti da principessa, niente limousine bianca, niente ricevimento in grande stile degno di Maria Antonietta. Non si era mai fermata a pensare seriamente cosa volesse dire legarsi a qualcuno per sempre, ma ora, mentre sfila accanto alle cassepanche decorate di drappi bianchi e guarda l’altare ricoperto di fiori, si rende conto di cosa significhi.
La signora Kopski. Harleen Kopski.
È come se fosse in dirittura d’arrivo: davanti a lei ci sono candele, e fedi d’argento, e una vita per due che profuma di felicità - manca pochissimo al momento in cui afferrerà tutta quella bellezza e la reclamerà come sua.
Fino a quando non diremo: "Lo voglio".
"Allora," Pamela sbuca fuori dal portone laterale con la pochette sotto braccio, "vuoi prima la notizia buona o quella cattiva?"
Harleen riapre gli occhi e si accorge di averli tenuti chiusi fino a questo momento. "Credevo che nel giorno del proprio matrimonio non ci fossero notizie cattive.
"Vada per quella buona, allora."
Pamela sfiora un mazzo di camelie con una delicatezza materna; è stata lei ad occuparsi dei fiori. Harleen non ha dubitato nemmeno un istante delle sue prodigiose capacità quando le ha affidato l’incarico e non è rimasta delusa: garofani, calle, ortensie… ha provato a insistere sulle rose, ma Harleen le ha categoricamente bocciate. Niente rose, nessuno minimo particolare che possa farle pensare a qualcosa che non sia questo giorno, l’abito bianco e gli occhi di Guy.
Però…
«E questa come è arrivata nel mio ufficio?»
I ricordi si insinuano dappertutto.
«Ce l’ho messa io, non ti piace?»
Harleen ricorda di aver pensato alla semplicità spiazzante di quella confessione. Mr J avrebbe potuto lasciare qualsiasi cosa sulla sua scrivania: un cadavere, una bomba, un arto a sua scelta di un’ipotetica vittima - omaggi molto più nel suo stile, a pensarci bene - e invece le aveva lasciato una rosa bellissima, con tanto di bigliettino e dedica, come se fossero stati al liceo.
«Quindi dovrei credere che tu sia uscito dalla tua cella, abbia infilato la rosa nel mio ufficio evitando le guardie e poi sia rientrato nella cella prima che qualcuno potesse accorgersene?»
«Mi lusinghi, tortina. Bastava dire 'grazie'».
«Io sono il tuo psichiatra, non un giocattolo. Non mi lascerò manipolare da te».
«Oh, non oserei mai. Tu sei troppo sveglia per certi stupidi giochetti mentali. Per questo mi piaci».
Forse era stato quello, lo scivolone fatale. Quella prima, unica volta in cui Harleen si era convinta di averla spuntata, di averlo controllato e di poterlo fare in futuro. Ora è quasi certa che fosse tutto un suo maledetto scherzo, che lui avesse capito fin dall’inizio e che fin dall’inizio avesse cominciato a tessere le fila del loro destino.
"Harl," Pamela le tocca una spalla con una mano; con l’altra, ha il telefono rivolto contro il petto, "è l’Asylum. È tutto il pomeriggio che vogliono parlare con te. Dicono che sia urgente."
Harleen tira su con il naso e le rivolge un sorriso. "Non sono reperibile. E se dovessero chiamare ancora, ignorali. Ti ho dato il mio cellulare per una ragione."
"Evitare le chiamate scomode," recita Pam, riattaccando la telefonata.
"Evitare le chiamate scomode, esatto." Harleen si sistema la gonna dell’abito, poi, accortasi di essere nel centro esatto della navata, comincia a ruotare su se stessa, con gli occhi chiusi e le braccia spalancate. Il vento gonfia la gonna e il velo dandole la sensazione di volare.
Sono felice, sono felice. Sarò felice.
"Allora, questa notizia buona?" domanda, ancora roteando.
Ma Pamela continua a guardarla senza parlare, la osserva con gli occhi smeraldo grandi e profondi, con le labbra aranciate lievemente all'insù e una tenerezza nello sguardo che le ammorbidisce il volto.
"Sai cosa? Lascia perdere. Non era poi così importante."
Poi si alza e afferra le mani di Harleen, imitando i suoi gesti e ruotando su se stessa. Così entrambe si ritrovano a girare e a ridere come se fossero tornate indietro nel tempo, come se fossero ancora delle bambine.



 

∞∞∞


 

L’Arkham Asylum è un posto nato da solo e che da solo vivrà in eterno.
Larry Myers ha raggiunto questa consapevolezza la seconda volta che ci ha messo piede. Il primo giorno, fresco di assunzione, con il comitato di benvenuto, la stretta di mano del direttore e il fascino della nuova divisa, l’aveva scambiato per un lavoro come un altro: sottopagato e noioso.
Aveva rassicurato Katy - che aveva tentato invano di dissuaderlo dall’accettare l’offerta perché "Lì c’è la gente matta, tesoro, finisce che impazzisci anche tu!" - e si era crogiolato nell’illusione di una monotonia senza problemi.
Quando il secondo giorno, nell’ultimo disperato tentativo di far zittire tutte quelle voci, Emily Bennet aveva sbattuto la testa contro il muro fino a farsi schizzare le cervella, Larry Myers aveva capito che quel posto, se non fosse stato attento, l’avrebbe condotto dritto dritto nell’oblio.
Nessuno aiutava l’Arkham Asylum. Nessuno indagava sull’Arkham Asylum. La gente se ne stava alla larga perché lì c’erano i matti e a nessuno importa cosa succedeva loro.
Larry ha avuto un periodo della vita in cui ha provato pena per le persone come Emily; poi anche quel sentimento è sfumato nella più totale disillusione e a lui non è rimasto altro che una vita costantemente sull’orlo del pericolo, un lavoro sottopagato e un divorzio.
"La dottoressa, voglio la mia dottoressa! Dov’è la mia dottoressa? Avevi detto che sarebbe tornata! Sai che odio i bugiardi, Larry."
Occhi taglienti. Lingua lunga. Schiena ricurva come una belva inferocita. Il Joker è l’unico di quei matti che nonostante i quarant’anni di servizio riesce ancora a fargli venire la pelle d’oca. Ostenta calma e ironia, ma Larry sa quanto sia rabbioso e imprevedibile. Detesta quel sorriso.
"Allora, con quel telefono!?" sbraita a gran voce.
Dall’altra parte del corridoio, con un velo di sudore che gli ricopre la fronte e gli bagna la divisa all’altezza delle ascelle, c’è Jamie Collins che regge tra le mani tremanti un cellulare. Puzza di latte, di impacciato e di inappartenenza. Larry gli dà una settimana al massimo.
"Ha… ha riattaccato!"
"Prova ancora!"
Balbettii. "Non r-risponde!"
Merda.
Larry si passa una mano sulla fronte e pensa in fretta: potrebbe agire con violenza, ma se non è autorizzato le cose potrebbero mettersi male per lui. L’unica opzione possibile, quindi, è chiedere il permesso al pezzo grosso in persona: per questo motivo afferra il cellulare e compone il numero del direttore Arkham. Dovrebbe già essere tornato a casa, a quest’ora.
"Chi parla?"
"Mi dispiace disturbarla direttore, ma qui abbiamo un problema."
"Di chi si tratta?"
"Del—" Larry viene interrotto da una cantilena infantile.
"Larry Larry Larry… facciamo gli spioni, adesso?"
"… si tratta del Joker, signore."
Jeremiah Arkham sta in silenzio un istante e poi sospira. "Chi, questa volta?"
"Gonzales. Gli ha strappato un dito a morsi."
Il Joker ride di nuovo. "Batti il cinque, Julio! Oh beh… il quattro!"
"Non riusciamo a calmarlo, signore, e innervosisce gli altri pazienti. Due di loro hanno già avuto una crisi psicotica e Vincent Foster ha tentato di strangolarsi con le lenzuola per qualcosa che lui gli ha detto. Continua a ripetere che uscirà e farà una strage se non gli diamo subito quello che vuole."
"E cosa vuole?"
"Harleen Quinzel." Larry deglutisce. "Signore… non l’ho mai visto così… instabile."
Silenzio. Soltanto la risata isterica del Joker che s’insinua nel cervello e lo gonfia fino a scoppiare.
"Posso procedere con i tranquillanti se lei mi—"
"No." Arkham è irremovibile. Ogni volta che si tratta di sedare la bestia, Arkham dice 'no'. Nonostante la grande responsabilità data dalla sua posizione, Larry è convinto che il direttore abbia un insano interesse verso quel mostro, tanto da chiudere un occhio sulla sicurezza generale; come se lo volesse sempre vigile per poterlo studiare e magari - chissà - riuscire a trovare una cura per la sua psiche irrimediabilmente compromessa - se davvero ne esiste una.
La verità è che anche i medici, in questo dannato manicomio, sono matti da legare.
"Signore," tenta di nuovo Larry, "la dottoressa non è raggiungibile. È il suo matrimonio, non credo che avrà tempo per una visita di cortesia."
Ora assecondiamo le richieste degli psicopatici. Come ci siamo ridotti.
"Non servirà la dottoressa Quinzel," risponde Arkham, perentorio. "Scortatelo in isolamento. Sto arrivando."
E prima che Larry abbia il tempo di ribattere che è una pessima idea o di constatare che il direttore gli abbia piantato il telefono in faccia, si ritrova di fronte il ghigno iracondo del Joker al di là delle sbarre e sente i brividi scorrergli lungo tutta la colonna vertebrale.
"Larry… perché non vuoi farmi contento? Lo sai che sono intrattabile quando mi sento offeso."
Jamie Collins gli si avvicina lentamente, attentamente, con gli occhi di un coniglio che guarda in faccia una volpe. "Che cosa ha detto Arkham?"
Il Joker ride - costante snervante. Ha i muscoli contratti e gli occhi infiammati; i denti ingialliti sembrano più aguzzi, come quelli di una iena. È arrabbiato - no, è iracondo. Larry lo può dire: conosce abbastanza il linguaggio del suo corpo da interpretare i segnali più lampanti.
Non mi è mai capitato di vederti in questo stato. Sempre così imperscrutabile, sempre così illeggibile. Ecco perché Arkham ti vuole sveglio: per studiarti ora che non hai il controllo. Questi vostri giochetti di potere mi faranno rimettere la pelle.
"Che cosa ha detto il direttore?" ripete Jamie debolmente senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Ti fa paura, figliolo? Guardalo bene: quello è il volto del diavolo.
"Isolamento," ribatte Larry, "poi si vedrà."
Scortarlo in isolamento quando è in questo stato è come firmare una condanna a morte, ma non può certo mettersi a discutere gli ordini del direttore. Ha le mani legate. E che Dio li aiuti.
"Va bene!" ringhia il Joker, "facciamo una passeggiatina. Vediamo quale piccolo indiano resterà fino alla fine."
Larry è attraversato dal tristissimo pensiero che se qualcosa dovesse andare male per lui, oggi, a nessuno importerebbe.



 

∞∞∞


 

«Parliamo di amicizie, Mr J. Hai mai avuto qualcuno che consideri tuo amico?»
«C’è stato un tale, una volta. Grandissimi amici. Gli ho regalato uno di quei sorrisi che non vanno più via».
«Non parliamo dei tuoi omicidi, ma delle tue relazioni».
«Come quella che c’è tra me e te?»
Harleen Quinzel si lascia andare a un lungo e lento sospiro. Ritagliarsi un angolino di beata solitudine non è stato facile, ma con Pamela Isley che legge le sue intenzioni soltanto con un’occhiata, la situazione si è risolta per il meglio.
"Vado a controllare il Generale," ha detto, ed è sparita dalla sua vista. Harley sa che tra lei e sua madre non scorre buon sangue e che forse avrebbe dovuto impedire una possibile guerra planetaria; ma questo è il suo giorno e lei ha così bisogno di un istante di totale silenzio che alla fine l’ha lasciata andare.
Chissà come farò senza di te, sempre pronta a guardarmi le spalle.
Harleen esce dal retro della chiesa e cammina in mezzo al cortile fino alla fontana circolare che spruzza acqua con un’innata leggerezza. I fari subacquei, che ne illuminano il fondo, creano uno strano gioco di luci che si spande su tutta la struttura. Harleen si siede sul bordo di marmo stando attenta a non bagnare il vestito e carezza con la mano la superficie dell’acqua; riflessi in quello specchio rivede lei e Mr J, seduti uno di fronte all’altro - sempre così vicini.
«La nostra relazione è strettamente professionale, Mr J».
«Oh, smettila di fare la timida. Non c’è niente di male, sono un bel ragazzo».
Era uno dei suoi giorni no. Uno dei suoi tanti giorno no, in cui era particolarmente portato all’irritazione e alla scarsa collaborazione - ma lei piano piano aveva imparato a rigirare la frittata.
«Parliamo di Batman, allora,» gli aveva detto.
E, come ogni volta, l’attenzione di Mr J si era riaccesa come fuoco vivo. Batman era un punto fisso, un’ossessione morbosa e incessante che lo divorava dentro. Un ratto - volante - che rosicava le sue interiora fino ad arrivare al cervello e fomentare, ingrossarsi, farsi morbo e incubo.
Batman era. Harleen non aveva mai capito cosa, esattamente. C’erano infinite teorie, certo, alcune più verosimili di altre, ma ad ogni nuova seduta scopriva un dettaglio che ribaltava tutto.
Era probabile che Mr J imbastisse intenzionalmente la storia con aneddoti poco ortodossi per il solo gusto di confonderla, ma la sensazione di Harleen era che nemmeno lui sapesse fino in fondo cosa fosse Batman in realtà; semplicemente, ogni volta cambiava prospettiva.
«Batman, Batman! È un incoerente, ecco cosa. Un vile traditore. Un codardo abbindolatore. Batman. Un impostore. Un virus da espellere. L’ipocrita della coppia, Ha!»
Harleen ricorda di aver pensato che quello sguardo intenso, quasi devoto, era quanto di più affettuoso gli avesse mai visto. E ricorda di aver provato qualcosa, in quello stesso istante, qualcosa di pungente e fastidioso e poco professionale lì all’altezza del petto. L’aveva ignorato - ci aveva provato.
«Batman è un eroe, Mr J. Salva Gotham ogni notte».
«Stupida Harley,» - Stupida Harley. Era sempre la Stupida Harley quando non afferrava qualcosa che per lui era lampante. «Batman rovina Gotham ogni notte. Cosa crede, che le persone un giorno si sveglieranno e diventeranno angioletti beneducati? Gotham è marcia, Harley, è falsa e dannata ed è perfetta così. Lui si ostina a volerla cambiare, ma non la puoi cambiare. E io glielo farò capire».
«Come? Cercando di ucciderlo?»
«Portandolo a quel tanto che basta per fargli vedere la verità, Harley cara. È intelligente, sai? E divertente, anche. Un degno compagno di giochi».
Ed ecco che l’aveva sentita di nuovo: gelosia.
«Parli di lui come se parlassi di te stesso».
Solo allora Mr J aveva taciuto. L’aveva osservata con il silenzio di chi ha la mente altrove - ma Mr J aveva sempre la mente altrove - e poi era scoppiato in una delle risate più genuine che gli avesse mai sentito.
«Sai, Harley? Credo che Batman sia mio amico».
E, inspiegabilmente, Harleen era scoppiata a ridere insieme a lui.
"Che c’è di tanto divertente?"
I ricordi svaniscono sotto i suoi occhi e quando si volta vede Selina - abito nero in pizzo, trucco pesante che risalta gli occhi di fluorite, unghie e labbra laccate di rosso.
"Niente," risponde Harleen, annullando il sorriso, "pensavo a quello che succederà dopo oggi."
Selina la guarda torva e le sembra quasi di sentire la voce ammonitrice di Mr J dentro la testa.
Stupida Harley, si vede subito quando menti. Quel piccolo viso d’angelo è come un libro aperto!
"Vuoi sapere quello che succederà dopo?" riprende Selina sedendosi accanto a lei. "La tua vita diventerà un’immensa noia. Sarai così insensibile che cercherai emozioni forti ovunque: sport estremi, corsi intensivi di psichiatria criminale, lezioni di yoga. Ma niente funzionerà. Diventerai sempre più irritabile e nervosa e ti sfogherai su Guy, tanto che la vostra convivenza diventerà tremenda. Allora cercherai conforto in tresche clandestine che finiranno per distruggere il tuo matrimonio e dopo mille peripezie degli avvocati per ottenere il divorzio tornerai qui a Gotham per ritrovarti al punto di partenza."
"Cazzo, Selina. Non ti sembra di esagerare un po’?"
"Forse sul corso di yoga."
"Dovresti essere contenta per me."
"Sai che non lo sono."
Selina non ha mai avuto un briciolo di tatto, fin da quando Harleen ne ha memoria. Ha sempre pensato che grazie a questa sua caratteristica fosse un’amica fidata, ma ora non è del tutto convinta: non serve essere spietati, per essere sinceri.
"Parli come se non esistesse vita fuori da Gotham."
"Non per noi. Non per chi scappa."
"Si chiama 'trasloco', Selina."
"Non si trasloca da Gotham. Ci si prende una vacanza, al massimo, ma poi si torna sempre."
La solita solfa complottista. Selina è così attaccata a Gotham da credere che chiunque nasca in questa città sia marchiato a fuoco e destinato a restarci per sempre. Forse ha ragione, forse Gotham sceglie i suoi abitanti e li sceglie bene: matti, corrotti, speciali. Forse Gotham è la città del peccato e forse Mr J ha ragione quando dice che è perfetta così, ma Harleen è convinta di poter fare a meno di tutto questo buio.
"Guy ha accettato l’offerta di lavoro e—"
"E tu lasci il tuo - che per inciso, adori - per fare un favore al tuo uomo. Ah, se le femministe potessero parlare."
Harleen alza il sopracciglio e il velo le svolazza davanti agli occhi quando scuote la testa. "Posso fare la psichiatra anche a Metropolis."
"Il tuo caso più interessante sarà una madre di famiglia con problemi di sonno. Che colpaccio per la tua carriera."
"Guarda che le persone impazziscono anche lì."
"Ne dubito, visto che un alieno svolazza sopra le loro teste e nessuno dice niente."
Harleen vorrebbe ribattere che anche a Gotham c’è uno psicopatico in calzamaglia che vaga per le strade senza che nessuno dia di matto, ma le parole di Mr J rimbombano ancora una volta nella sua mente.
«È colpa sua, di Batman. Lui ha cominciato i giochi. Si è nominato re salvatore e gli serviva qualcuno che gli dimostrasse di avere torto».
Questa storia del Joker nella sua testa è andata fin troppo oltre.
"Voglio avere una vita normale, Selina," dice infine, con il cuore in mano. "Una famiglia, una casa, un cane, un lavoro che non mi risucchi tutta intera. Voglio i pranzi in giardino la domenica pomeriggio, i giocattoli dei miei figli sparsi per le stanze. Voglio svegliarmi la mattina e non avere paura di niente al mondo e so che Gotham non me lo permetterebbe, perché qui le cose non sono mai semplici. È così sbagliato desiderare altro oltre a questa città?"
E Selina non risponde, la osserva e addolcisce lo sguardo perché è quello che vorrebbe anche lei, che vorrebbe anche Pamela, che vorrebbero tutti, ma soltanto Harleen ha avuto la forza di ribellarsi, di guardare i suoi sogni e afferrarli. Chissà che lei non riesca davvero a voltare le spalle a Gotham. È sempre stata la più determinata, Harleen.
Selina si allunga verso di lei e le concede un abbraccio impacciato. "Gotham non sarà più la stessa, senza di te."
Ad Harleen viene quasi da piangere.



 

∞∞∞


 

Punto primo: scegliere la data, le location, il catering.
"Abbiamo un appuntamento, Larry, devi darti una mossa."
Punto secondo: trovare il vestito, gli anelli, le bomboniere.
Com’è difficile la vita di un Wedding Planner.
"LAR-RY! Spingi su quell’acceleratore, altrimenti il mio coltello potrebbe scivolare sulla tua gola e mi si sporcherebbe il vestito. Vuoi che mi si sporchi il vestito?"
Larry scuote la testa e mantiene le mani ben salde al volante - non che possa fare altrimenti, con quelle manette attorno ai polsi. È diventato improvvisamente muto da quando sono evasi dall’Arkham Asylum. Povero vecchio, non ha più il carisma di una volta ed è un vero peccato: aveva un grande potenziale.
"Larry, guarda che è Jamie quello senza parole, non tu."
Finalmente, una reazione: la guardia socchiude gli occhi un istante, li rotea verso il sedile del passeggero e poi mugugna qualcosa. Un insulto, probabilmente.
"Ti stai chiedendo perché sia toccato a lui invece che a te?"
Non sta piangendo, non ancora. Se dovesse cedere, il Joker si indispettirebbe parecchio.
"Oh, Larry, ma perché tu sei speciale!" il Joker si allunga verso il corpo di Jamie ed estrae il coltello dalla sua bocca slabbrata. Per un istante, quegli occhi sbarrati hanno uno spasmo. "E poi non potevo fare questa cosa da solo. Sai, c’è un momento nella vita di ogni uomo in cui bisogna compiere un viaggio per uscirne illuminati. Ma lo si deve fare con una persona fidata, il che escludeva il novellino. Con te invece c’è una certa intimità."
"Va’ al diavolo!"
"Ecco, adesso ti riconosco."
Punto terzo: selezionare gli ospiti, spedire gli inviti, ingaggiare gli animatori.
L’animatore numero uno è lui. Due barzellette ben piazzate e tutti cadranno a terra dalle risate. Ha!
"Che poi, se ci pensi bene, è tutta colpa del sistema."
Larry in risposta sputa contro il vetro e la saliva si spiaccica sul parabrezza per poi colare giù. E-si-la-ran-te. Il Joker sapeva che portare pazienza avrebbe dato i suoi frutti: sa essere lungimirante, quando si tratta delle persone.
"Seguimi un momento: se il sistema non ritenesse sbagliato quello che sono, non sarei costantemente braccato. Se non fossi costantemente braccato, non sarei finito in manicomio. E se non fossi finito in manicomio, ora tu non saresti qui con me, Jamie-mano-fredda e un coltello pronto a sgozzarti come un maiale. Hai proprio ragione ad essere arrabbiato: io sarei furioso."
"Tu non sei un criminale qualunque che ce l’ha a morte con la società. Tu sei un pazzo sociopatico che si diverte a fare massacri."
"Visto che c’è intimità tra noi?" il Joker ridacchia e gli picchietta la spalla. "Hai ragione. Sarebbe una caduta di stile avere delle motivazioni tanto banali."
"Che cosa vuoi da me? Perché non sei scappato? Perché non mi hai ucciso?"
Il Joker, dal sedile posteriore, si sporge verso lo specchietto retrovisore e si sistema il papillon nero. "Te l’ho detto: mi serve qualcuno che mi accompagni. Non s’è mai visto che uno sposo guidi da solo per arrivare al proprio matrimonio."
Larry assume una faccia da pesce lesso che gli fa venire voglia di ridere di nuovo. "Andiamo, Larry, non dirmi che sei davvero così stupido come sembri."
"Tu vuoi uccidere la dottoressa."
Ucciderla, mmh. Forse.
"Perché mai dovrei farlo?"
"Perché sei pazzo."
"Troppo scontato. Ritenta e sarai più fortunato."
"Perché…" Larry sospende la frase, poi stringe la presa sul volante, "… perché se n’è andata."
Con uno slancio, il Joker punta la lama sulla sua gola e comincia a premere, senza il minimo accenno di sorriso. "Attendo alla lingua, Larry: sei utile ma non indispensabile."
La guardia si ammutolisce e l’auto sfreccia sull’asfalto nel completo silenzio, costeggiando appartamenti, parchi e uffici. La sera va scurendosi sempre più e la luna, dietro i grattacieli, comincia a brillare di bianco panna.
Punto quarto: presentarsi all’altare, scambiarsi le promesse, fare festa con un grande, unico BOOM.
Harley Quinn non è una puttanella sprovveduta, merita qualcosa in grande stile.
"Tra me e la dottoressa Quinzel c’è un gioco in sospeso," riprende il Joker, infine. "Non si abbandonano mai, i giochi, soprattutto quando sono interessanti."
"Quindi è questo il motivo? Lei è interessante?"
"Accidenti, no: è stupida, appiccicosa, snervante e con un senso dell’umorismo che fa venire voglia di uccidersi."
"E allora perché stiamo andando al suo matrimonio?"
Il Joker non controbatte subito. Arriccia le sopracciglia, si passa il coltello tra le dita quattro o cinque volte e poi schiocca la lingua. Molla un pizzicotto sulla guancia di Larry facendolo quasi andare fuori strada.
"Per dimostrare una teoria," risponde. "E ora sta’ zitto: la tua voce è troppo fastidiosa."
E per sottolineare che la conversazione è finita si allunga sulla radio e schiaccia il pulsante di accensione.
Ain’t no rest for the wicked esplode con prepotenza proprio sul ritornello.







 

   
 
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