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Autore: Margo_Holden    27/10/2016    0 recensioni
Con un passato travagliato alle spalle, mai del tutto superato, Hazel si trascina ogni giorno nel diner in cui lavora come cameriera, cercando di evitare tutti, perfino la vita stessa. Ma il destino è inarrestabile ed imprevedibile.
Così un giorno mentre si reca a lavoro, incontra lui.
Alex è un criminale, con una montagna di cicatrici e tatuaggi che parlano per lui, del suo passato, che come una tempesta lo ha corrotto dentro, fino a divorarlo, a distruggerlo, a cambiarlo.
Queste due anime che sembrano pianeti opposti, finiranno per convergere, nel modo più improbabile possibile.
Ma il loro non sarà amore, perché il cuore di Hazel è infestato dal veleno della vendetta, che l'acceca e la rende sorda. Nel suo personale inferno infatti, torreggia come un re, fra tutti i mostri, Alexander.
Così mentre una guerra tra gang divampa per la grande mela, e mentre Hazel sente su di sè, la costante presenza di due losche figure che sembrano reclamare il proprio sangue, i due riusciranno finalmente a lasciarsi il fantasma del passato alle spalle, per tornare a vivere?
[DA REVISIONARE]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 17

 

Stava seduto, con le mani a stringere il volante del Suv, mentre aspettava che i minuti passassero velocemente. Con sua grande sorpresa l'aveva richiamato. Si erano dati appuntamento al solito posto, al solito orario.
Le carte ormai erano state scoperte. Lei sapeva chi era, cosa faceva per vivere e lui, dal canto suo, glielo aveva chiarito molto bene.

Durante quell'attesa aveva fumato tre sigarette di seguito.
Era nervosissimo come non lo era stato mai in vita sua e non sapeva il perché.
Forse il solo pensiero degli occhi di lei che lo guardavano e lo giudicavano per l'anima nera, gli procurava un docile dolore al torace, in prossimità della cavità in cui stava il cuore.
Alex non aveva mai avuto tanti momenti felici nella sua vita.
Dalla madre costretta ad una vita infame, il cui artefice altri non era che il padre, all'arrivo improvviso della povertà che aveva reso Dimitri, quell'uomo che chiamava padre, ceco e sordo.
Una cosa però era rimasta immutata nei suoi opprimenti ricordi: la neve.
Nei suoi ricordi c'era sempre stata la neve.
In quel continente così esteso e freddo era normalissimo vederla cadere, scendere giù dalle nuvole così bianche, ma per Alex era sempre stata qualcosa di più, che della semplice acqua ghiacciata.

Era la felicità.

Mai avuta, desiderata e ardentemente cercata. E poi arrivava e cadeva libera, leggera dal cielo. Seguiva una traiettoria senza curarsi di nessuno. Era indolore e placida, come la notte.
Nell'aria pungente di quel delizioso freddo invernale, l'olfatto veniva colmato da un profumo genuino, diverso dal terreno nevoso.

Era il profumo di casa, di tradizioni e di babushka, babà, Anija.

Se la ricordava appena, appena, solo quando chiudeva quelle pozze distanti, che avevano lo stesso colore del mare. E allora risentiva il profumo del borscht¹, mentre sua nonna china sulla vecchia tavola di legno, tagliava con mano svelta sedano, carote, cipolle e altre verdure. Amava quella zuppa, il sapore delle verdure che si mischiavano rilasciando, insieme alla barbabietola e al pomodoro, un colore vivo, di un rosso scarlatto. Nella sua bocca, il sapore delle carote e della carne, si andava poi a mischiare con l'acidità fine, della smetana² e del pane nero.
Vagamente tornava a galla anche il pungente odore di vodka che vestiva ogni uomo russo. In quegli anni scalpitava per poter divenire come quegli uomini della campagna, radicati nella religione della famiglia e dalla mafija.
Arrivava poi il sorriso limpido e muto di sua madre.
Bella come il sole e silenziosa come la luna.
Pelle di porcellana, capelli biondi come il grano e occhi grandi, di un verde prato. Negli anni della fanciullezza Alex non sapeva che dentro il cuore di sua madre un fuoco ardeva e la stava consumando. Avrebbe però conosciuto quel fuoco solo più avanti, quando la violenza si sarebbe sostituita al ricordo della zuppa.

Tornare alla realtà non fu facile, non quando ripensava alla Russia e quello che aveva significato per lui.
Inconsapevolmente i suoi occhi si fermarono sull'inchiostro nero e ancora una volta la mente tornò lontano, ma questa volta ad un passato più vicino.
A quando era arrivato in America e aveva trovato altra fame e altra violenza.
Così in un giorno particolarmente uggioso di quindici anni prima, guardando da lontano, quasi di nascosto un uomo dai tratti visibilmente dell'Est, vestito di nero come le ali di un corvo, si era ritrovato a muovere qualche passo e a voler essere come lui. In quel preciso istante, mentre la pioggia scendeva a bagnargli il cappuccio rosso, aveva capito che l'unico riscatto da quella vita penosa e amara, era non avere riscatti.
Si era lasciato trascinare dal buio, dall'orrore e dalla vigliaccheria.
E quello sarebbe stato solo l'inizio perché l'inferno chiamava e pretendeva. Con il passare del tempo avrebbe imparato a dimenticare i sentimenti, a scordarsi degli amici perché non se ne avevano. L'unica cosa che contava era il richiamo del sangue e dell'onore.
Ma quella sera un altro richiamo più forte anche del sangue, lo aveva invaso da capo a piede. Quella forza si chiamava Hazel, aveva venticinque anni e vive a Brooklyn ed aveva gli stessi occhi dolci di sua madre.

Il bip dell'orologio lo avvertì che erano le 16:00 in punto. Ora non gli restava che aspettarla.
Il nervosismo ben presto si trasformò in ansia, che gli stringeva le budella.
Tamburellando sul cruscotto della macchina che profumava di fragola, la vide.
Il passo cadenzato, le spalle infossate, i capelli mossi un po' per il vento e un po' per la natura di essi.
Seguì la sua figura per intero ma nel momento in cui entrò nell'abitacolo, distolse lo sguardo. In quel momento si sentiva vulnerabile. Lui che uccideva e picchiava e che faceva della vulnerabilità degli altri, la propria forza. Si sentiva come si sentono i cechi, si sentiva come si sentono i sordi. Perché vedeva e sentiva un'altra realtà. Quella ragazza gli era entrata nell'anima, aveva preso il posto di quei segni che aveva disegnato sul corpo e tutto questo in poco tempo. La conosceva da meno di un mese, eppure sentiva di conoscerla da sempre, da una vita. Non era amore quello che provava, era solo che quando guardava i suoi occhi, si sentiva capito.

Hazel non disse nemmeno un misero "Ciao" semplicemente portò lo sguardo al paesaggio che aveva di fronte e stette in silenzio.
Dall'altro canto anche Alex stava in silenzio e guardava la strada davanti a se.
La macchina era ferma dove era stata parcheggiata, così come le loro menti, erano ferme al giorno precedente.
Si azzuffavano, si ricorrevano parole, frasi, toni, urla, significati. La sua mente era un aggrovigliato di sensazioni diverse, mal celate. 
Hazel sentiva che il giorno che tanto aveva desiderato, era finalmente arrivato. Ma questo lei non lo sapeva, poteva soltanto immaginarlo.

L'inverno è freddo e duro. 
La realtà è crudele e avara.

─ Chi sei?─ chiese lei con voce flebile ma dal tono sicuro.

─ Sono il lupo cattivo. Il mostro sotto il letto. L'uomo che ha venduto l'anima al diavolo. L'angelo caduto dal paradiso. L'uomo sbagliato.

Se l'era immaginata quella domanda e come un dovere, aveva dovuto rispondergli e per una volta provare ad uscire dal muro che si era costruito per difendersi.
Si guardarono. Infiniti attimi di silenzio erano sufficiente a parlare per quelle due anime chiuse, barricate in loro.
Alex distolse lo sguardo e guidò fino a raggiungere il motel per poi entrarvi e fare come sempre. Lui che sedeva sulla sedia in legno, lei sul materasso poco usato.

─ Chiedi e io ti darò risposte.

Quello strano invito non fu assolutissimamente rifiutato dalla giovane e così iniziò l'interrogatorio. Hazel chiedeva e Alex, sempre con quella sigaretta stretta tra le labbra, rispondeva.
Clash gli aveva detto, ma glielo aveva confermato anche lui, che aveva iniziato quindici anni prima, quindi la prima domanda che gli rivolse fu: ─ Da quanto tempo...fai quello che... che fai?

Lui, dopo aver succhiato del fumo dalla carta, dopo aver incastrato i suoi occhi nei suoi, rispose.

─ Quindici anni, ma credo di avertelo già detto.─ rispose lui, sorridendogli sornione, con quelle strette labbra all'insù.

─ Non ti sfugge mai niente, vero?─ rispose di getto lei, colorando le labbra con un sorriso di chi la sapeva lunga.

─ Se fai quello che fai, sei costretto a ricordare nomi, codici, parole...persone.

Hazel annuì, mentre il sorriso si spegneva lasciando spazio alla preoccupazione. Era stata tanto impulsiva da non rendersi nemmeno conto, che Alex era davvero quello che diceva di essere e che quell'uomo davanti ai suoi occhi non era di certo un imprenditore o il moderno principe azzurro; piuttosto era il cavaliere oscuro, che cavalcava le fiamme dell'inferno e che era capace di tutto. Infatti, con l'accento dato a quell'ultima e ben precisa parola, glielo aveva fatto capire bene. Era come se gli avesse detto "non fidarti mai di me, nemmeno se giurassi di amarti" e lei gli credeva, eh come se gli credeva.
Ma il suo compito in quel momento era un altro e fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto nella sua miserabile vita, beh l'avrebbe portata a termine.

Si e poi? E poi credi sul serio che lui, dopo tutto quello che ti avrà rivelato, ti lascerà libera di andare? Sei una sciocca Hazel, se credi agli unicorni che volano!

─ Quante persone ho ucciso? Ho risparmiato qualcuno? Porti sempre armi con te? Hai mai picchiato qualcuno? So che stai pensando a questo, mia carissima ragazza ma risponderò alle tue domande...─ ma non riuscì a terminare la frase, perché una Hazel incavolata per essere stata trattenuta, ancora prima di parlare, rispose al posto suo.

─ MI hai detto che avresti risposto a tutte le domande che ti avrei posto ma...─ questa volta fu bloccata dal russo, che per niente infastidito dal comportamento impertinente della ragazza, la blocco.

─...se tu risponderai ad una mia, personale e curiosa domanda.

La sua replica non ammetteva risposte e questo Hazel lo aveva imparato molto bene. 
Con un gesto di stizza della mano, lo intimò a continuare.

─ Come sai chi sono io?

Una volta nella sua vita, si era ritrovata a percorrere una strada mal asfaltata e sabbiosa. Ad un certo punto, mentre era in macchina con Chris, dovette fermarsi. Sulla via erano apparse due diverse strade: una che portava a destra e l'altra a sinistra, in quel momento si sentì persa.
Si sentiva in quell'istante come quel lontano giorno di agosto, dove il sole era cocente e l'afa si attorcigliava sulla pelle scoperta come una coltre di nube spessa.
Dire la verità o mentire? Rischiare o non rischiare? Il bivio ora si presentava davanti ai suoi occhi e lei avrebbe dovuto scegliere, non aveva altre possibilità.
Scelse la via della verità a metà, quella che mette a tacere la coscienza solo per poco.

─ Ti ho visto entrare e distruggere. Fare appezzi l'anima di un povero vecchio. Hai minacciato con dimestichezza e semplicità, insieme al tuo amici. Oh il tuo amico...non bastano parole per descriverlo.

Infatti non servivano, perché Sam era quello che era e lui però, non ne era da meno.Era questo che sembrava non aver capito la ragazza. Non si rendeva conto di che razza di bastardo fosse Alex.
Per la prima volta, da dieci anni, sentì una debolezza scuotergli il corpo, come se sarebbe caduto svenuto su quel pavimento, da un momento all'altro.
Che cosa gli stava succedendo?

Che stai facendo?! Stai davvero raccontando tutto a quella puttanella? Alex smettila di pensare con le palle!

─ Ho ucciso e ucciderò fin quando ne avrò le forze. Sono sempre armato, perché vivo con il terrore del "un giorno o l'altro, occhi di ghiaccio, ti faranno secco". Ho picchiato e sono stato pestato e picchierò e continuerò a picchiare. Sono il cattivo delle favole, mia dolce principessa.

Una piccola lacrima solcò il viso liscio e pallido di Hazel.
Si sentiva morire dentro mentre lo guardava e non trovava altro che ghiaccio e risentimento, per quella vita che come lei, lo aveva distrutto.
Non riuscì a giudicarlo, certo giudicava le barbarie commesse, ma lo capiva perché era esattamente quello che era successo a lei, solo che lei una scelta ce l'aveva avuta. O almeno si convinceva con quella bugia.

─ E la vita? Hai mai salvato qualcuno?

Alex stava per rispondere di no, quando si fermò.
Vide una luce strana attraversare il grigio delle iridi di Hazel e si sentì completo perché in realtà una vita lui l'aveva salvata. Però se la ricordava vagamente, come un sogno sfocato, come se una nebbia si fosse impossessata della memoria e allora aveva creato questa patina, grigia e a tratti nera, spessa e voluminosa, che gli permetteva di ricordare solo pochi elementi.

─ Sì, ma non ricordo il suo nome.

Quella risposta fece solo che stuzzicare la curiosità di Hazel.

─ E chi era? Voglio dire...era maschio o femmina?─ poi però non sapendo come continuare stette in silenzio.

Dal canto suo, l'uomo la guardò di sbieco, sempre inespressivo ma leggermente irritato.
Non gli piaceva rievocare l'accaduto, figurarsi parlarne. Però una promessa era una promessa e per un uomo come lui contava molto.

─ Era una ragazzina. Credo che avesse undici o dodici anni. Eravamo entrati in casa sua, era una villa sai...il padre era uno ricco, aveva un impresa di petrolio in Texas ma aveva fatto l'errore di inimicarsi le persone sbagliate e così fummo costretti ad uccidere lui e tutta la sua famiglia. Dopo aver ucciso il figlio maschio, non ci restava altro che occuparci della ragazzina. Mi avevano dato il compito di cercarla e ucciderla ma poi niente. Sapevo che era lì, nascosta nell'armadio e proprio quando stavo tornando da lei, perché stupidamente si era fatta sentire, ho guardato una sua foto e non ce l'ho fatta. Aveva questi occhioni proprio come i tuoi e i capelli biondi, la pelle leggermente abbronzata e una scia di lentiggini evidenziate dal sole. La cosa che più mi colpì però, furono quegli occhi. C'era caparbia, speranza e si vedeva che quella bambina fosse una combattente, non poteva far morire una persona così, una che salva vite solo con tutto quell'ottimismo.

Una notte, mentre tornava a casa ubriaca, si era ritrovata in macchina con tre dei suoi amici. 
C'era Seline, Clarissa e Chirs.
Alla guida c'era Clarissa la quale disgraziatamente l'alcol aveva alterato i sensi e la mancanza di sonno, aveva poi ampliato il tutto.
Andavano forte, troppo forte.
Era notte fonda, non si vedeva bene la strada.
Quello fu letale.
La macchina si ribaltò, cozzò, rotolò sull'asfalto.
Non si sentivano più le risate perché furono interrotte da urli di terrore.
Hazel picchiò la testa prima sul tettuccio, poi schizzi di vetro gli tagliarono le braccia scoperte e una porzione di viso, che scattante aveva cercato di riparare come poteva con le mani, dove anche lì, il vetro aveva inciso piccoli solchi sanguinanti. Quando la macchina era stata buttata al contrario, aveva sentito un vuoto allo stomaco e gli organi sballottare insieme all'abitacolo. Un dolore acuto poi, si irradiava per tutta la testa mentre qualcosa di caldo e viscido le colava giù per la tempia destra.
Nel girare la testa vide Seline, che le sedeva di fianco.
Seline aveva la fronte piena di sangue, che colava sul mento e che andava a macchiare il top bianco. Gli occhi erano spalancati, aperti e deceduti. Chiamò il suo nome nella disperata ricerca del pezzetto della sua anima, ma trovò solo che un triste silenzio. Era ormai morta.

In quel momento si sentiva allo stesso modo.
Si sentiva come strattonata da una parte all'altra.
Tutto in torno a lei si muoveva alla velocità delle parole dette, che gli si buttarono addosso come macigni.
Si sentiva debole e fiacca.
Quella bambina altri non era che Hazel.
Quell'uomo altri non era che suo padre.
I fili si erano ricollegati e allora le risposte a quelle domande nella sua testa furono finalmente date.
E allora ecco doveva aveva sentito per la prima volta quel profumo così intenso. Ecco perché quell'uomo gli sembrava così famigliare.
Negli occhi di Hazel si accese una fiamma. 
Aveva il colore della rabbia, dell'odio e della vendetta.
Fu proprio mentre ripensava al sangue incrostato sulla porta della cameretta, al suo fetore ferroso e al viso pallido, bianco del cadavere di suo fratello, che un'idea dissonante si fece spazio nella mente.
Era la vendetta, la cara sordida e sprezzante vendetta, l'unica vera risposta a quelle domande, alla possibilità di trovare nella vita e nella causa che tanto in quegli anni l'aveva tormentata, l'unica possibilità di riscatto.

Era il sangue che bramava altro sangue.

Una vita per una vita.

 

¹In Russia una delle pietanze portanti per la tradizione sono le zuppe, anche a causa del freddo. Cucinate, create in modi diversi. Alle verdure solitamente si unisce anche la carne (come in questo caso) ma anche il pesce o addirittura possono essere cucinate solo con le verdure. Questa zuppa in particolare, è una delle più famose ed è fatta appunto con brodo, pomodoro, barbabietole e verdure varie. Solitamente accompagnato dal pane (altra particolarità russa, data dal fatto che ancora oggi i cereali con i suoi derivati, sono l'alimento alla base della cucina Russa e alla loro economia).

²una panna acida dal sapor simile allo yogurt, solo con un sapore più delicato e acidulo. Accompagna la colazione e la zuppa borscht.

   
 
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