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Autore: DonnaBart    27/10/2016    0 recensioni
E se uno sfortunato incidente si rivelasse ciò che aspetti da sempre?
La spumeggiante Magda Liquore è un'artista del pasticcio e dea del danno. Mollata dal fidanzato e licenziata in tronco, vanta un bagaglio più ricco in corna che ex.
Proprio non è un caso che il padre la consideri un talento del fallimento, per non parlare della zia stralunata e sempre allegra, che le affibbia profezie sul futuro rosee in teoria ma disastrose nella realtà.
Insomma, parrebbe che fortuna e amore non fanno rima con Magda Liquore... sino alla svolta: trasferimento in Australia per un lavoro temporaneo ed un incontro tutto testosterone e antipatia; è Nathan Green, un concentrato di erotismo e diffidenza allo stato puro.
E chissà, che la lungimirante zia ci abbia azzeccato, stavolta?
Prepara le valigie e vieni a scoprirlo!
Romance contemporaneo autoconclusivo, un pot-pourRIRE di temi attuali e idee fantasiose racchiuse in un cofanetto romantico e brillante.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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"Magda? Apri gli occhi."
Neanche morta.
"Forza."
No.
"Su, aprili."
Ho detto di no, maledetta voce dell'aldilà! Adoravo bearmi dello stato di completa incoscienza in cui fluttuavo leggera, spensierata e... rincitrullita.
Magari la bocca impastata guastava un tantino l'idillio, ma quella condizione fra il non vivo e il non morto era troppo piacevole per decidere d'abbandonarla.
D'un tratto avvertii un tocco leggero sugli occhi, a sollevarmi una palpebra.
Poi successe.
"Il tunnel di luce", sussurrai attonita, atterrita.
Abbagliante, luminoso.
Capii all'istante.
"Sto per morire."
"Oh, molto peggio!"
Rimbeccò la voce dell’aldilà. "Ti conviene aprirli, o la luce ti forerà una retina. E allora sì che morirai, di dolore!"
Santissima verza! L'aldilà faceva schifo, ma aveva ragione: non avrei resistito a lungo. Quell’abbagliante tunnel di luce doleva eccome!
"Molto bene, bentornata."
"Grazie, grazie mille." Ovunque fossi andata, dovevo essermi trasformata nella De Filippi. "Ma, tornata da dove? Dove sono andata?"
Mi voltai verso il lato da cui proveniva la voce, lo stesso in cui trovai il coordinatore Calli scrutarmi con perplessa apprensione. Frattanto, un effluvio di chiuso misto a disinfettante si preoccupò di diffondersi su per le narici.
"Magda, io sono il Signor Calli, coordinatore dello stage cui hai preso parte. Adesso ci troviamo a Sidney, Australia. Mi riconosci?"
Scandì tutto in un rallenty insostenibile, neanche mi avessero ibernata per un secolo e mezzo.
"Considerato che a momenti un faro mi rendeva orba, direi ancora per poco."
Almeno la mia schiena ringraziava, adagiata su quello che, al tatto, avrei dichiarato un morbido e comodo materasso.
"Sei tornata combattiva, noto." Gongolò il coordinatore, perdendo improvvisamente l'aria pacioccona. "Tornata, nel senso, fra noi: devi sapere che rincasando da lavoro hai beccato una buca. Un accidentale incidente..." masticò con quella che aveva tutta l’aria di essere una critica, mentre la testa mi vorticava dolorosamente per i suoi irritanti scioglilingua.
Materasso, tunnel di luce, sentori di Amuchina, buche...
Cazzarola.
Ero in ospedale!
"Se non l'avesse sottolineato, avrei pensato di essermici fiondata di spontanea volontà."
Bofonchiai seccata fra me e me, salvo che lo stato di semi incoscienza mi avesse fatto parlare a voce udibile da tutti, compreso il coordinatore, che a ben dire pareva offeso.
"Magda, se a me piacciono i giochi di parole, a te non dovrebbero affatto."
Che permaloso. Neanche c'avesse il monopolio.
"Ci sei caduta in pieno! E ti saresti lussata una caviglia, se non avessi indossato i tacchi."
Nefasto peggio di una Cassandra, ma l'uso del condizionale mi rasserenò. "Be’, dal momento che li indossavo, niente lussazione!"
Sfoderai un sorriso speranzoso, tagliando corto per ringraziare mentalmente la mia sorte fortuita, quindi per dare credito al legame positivo stabilito fra me e il karma mi issai a sedere, in procinto di alzarmi.
Uhm, che strano. La caduta doveva avermi talmente prosciugato le forze da lasciarle al livello approssimativo di un bradipo assonnato.
Riprovai un'altra volta, ma di nuovo qualcosa andò storto nell'operazione. Qualcosa che mi tratteneva dal basso, impedendomi nei movimenti.
"Per l'appunto, fortunatamente niente lussazioni. In compenso l'hai direttamente fratturata, la caviglia."
La gola si serrò in una morsa. Una scossa di shock si dipanò dal fondo della schiena paralizzandomi i muscoli, bloccando l'ugola che avrebbe avuto tutto il diritto di prorompere sonoramente il suo disappunto, la mia testa si fiondò diritto, laddove una gamba ingessata, dalle parvenze letteralmente mummificate, giaceva immobile schiaffeggiandomi il volto con la realtà peggiore che mi fosse potuta capitare in un continente che conoscevo a stento e che mi ospitava per un’unica, principale ragione: lavoro.
Porca barbabietola, il lavoro! L’ansia mi assalì sotto forma di nausea, impedendomi di produrre qualsiasi pensiero razionale, qualsiasi idea risolutiva di quella disgraziata vicenda.
"Mag!"
Il fracasso provocato da voci strozzate mi costrinse ad abbandonare lo stato di shock per ripiegare l’attenzione alla mia sinistra. Nemmeno il tempo di percorrere con lo sguardo la sagoma di una porta bianca spalancata, che le mie coinquiline sfrecciarono impazzite, tuffandosi sul letto per travolgermi nel loro abbraccio. No, per soffocarmi, a giudicare dal collo tirato alla massima potenza, moderna riproduzione più che di un Modigliani, del cappone finito tra le mani del Tramaglino.
"Come stai? Come ti senti?"
Schioccarono convulse contemporaneamente.
Da schifo, ragazze.
"Oh, non saprei" buttai lì con nota ironica, intenzionata ad alleggerire la tensione che traspariva dai loro sguardi. "Direi, be’, come se mi fossi rotta...—
"Una caviglia."
Antecedette improvvisamente mogia Fabiana, palesando un certo senso di colpa, fraintendendo i miei intenti ironici. "È colpa mia. Eravamo a pochi passi, non avrei dovuto distrarti. Avresti visto quella buca e ora non saresti qui."
Attuando un'espressione scettica, la incalzai di slancio.
"Ma no, che hai capito! Intendevo dire, le scatole. Che mi son già rotta le scatole in questo postaccio barboso!"
Quando i loro volti mi riservarono sorrisi rasserenati, tirai un sospiro di sollievo; lo scopo di stemperare la loro preoccupazione, fortuna volle, andò a segno.
"Ehi, Luc."
Con fare cospiratorio Fabiana bisbigliò all'orecchio dell'amica, poco dopo. "Guarda un po' lì." Un cenno del mento indicò l'altro capo della stanza.
"Ah, sì! Dev'essere il tizio dell'incontro, quello per la faccenda dell'appartamento."
La replica circospetta di Lucrezia.
Con tutte quelle cerimonie, avrei avuto interesse a sbirciare anch'io, se solo non avessi avuto la visuale ingombrata dai loro corpi e non mi fossi sentita tanto affaticata da dover restare qualche altro minuto sdraiata.
"Come avrete notato, c'è una persona che vorrei presentarvi. Ora che Magda è tornata fra noi, prego, Signor Green."
L’annuncio di Calli manifestava una certa nota di riverenza, cui le mie colleghe reagirono alzandosi di tutta fretta per ricomporsi, liberandomi finalmente del loro peso, e io potei tornare a inalare ossigeno a polmoni piani. Almeno credevo, perché, si sa, in certi giorni anche riuscire a concedersi una boccata d'aria è un lusso impraticabile, soprattutto quando ciò che ti ritrovi dinnanzi è in grado di mozzare l’aria al centro della gola e accartocciare lo stomaco come una lattina vuota.
"Freccia... verde?"
L’esalazione evocava tutta l’incredulità di cui ero capace, perché non poteva essere reale che la persona meritevole di avermi salvata da una caduta fuori da un ristorante di Pisa e che si dava il caso essere lo stesso incontrato al locale la sera del brindisi precedente alla partenza, fosse davvero lì, in Australia, in quella stessa stanza d’ospedale, di fronte a me.
In quel clima confusionale, trassi la conclusione che l’uomo - ancora in dubbio se si trattasse di realtà o solo di una stordita riproduzione mentale - non doveva avermi riconosciuta, stando al cipiglio indifferente ostentato dal suo volto, e questo era l’unico fatto plausibile di quell'assurda situazione: rammentando le picche riservatemi quella sera, la cosa non mi colse certamente alla sprovvista.
Io, però, me lo ricordavo eccome. A dirla tutta, mi era capitato di ricordarlo almeno un paio di volte nei giorni seguiti al disastroso incontro...
Già, ma in tutto ciò una domanda costante mi assillava: e lui che porca cicoria ci faceva lì?!
Accadde quando prese a marciare verso il mio letto che il suo sguardo si animò, come colto da un’intuizione, e lo fece di colori tetri, simili a quelli dello scontento, contrarietà, anche una buona dose di imprecazioni fluì attraverso i suoi occhi grandi che puntavano con la precisione di un cecchino nient'altro che me.
Brividi di agitazione mi pungolarono il corpo alla realizzazione che Freccia Verde, riproduzione mentale o meno, adesso doveva avermi riconosciuta. E che proprio no, non era affatto contento di riconoscermi...
In un gesto istintivo mi ritrovai a lucidare le palpebre come fossero una lampada di Aladino, l’auspicio che sfregando come una matta il tizio potesse scomparire nei meandri della stessa fantasia che gli aveva dato vita, ma più frizionavo, più lo vedevo farsi vicino, e a ogni passo sempre più alto, sempre più minaccioso.
Subentrò la fase della disperazione a farmi ficcare sotto le lenzuola, issate sulla mia testa con la stessa prontezza con cui Frodo aveva celato se stesso e il suo fedele Sam alle porte di Mordor, con la sola differenza che quanto stavo vivendo, sforzandomi di crederci, non era affatto un film. E, a reazioni inconsulte come la mia, la stanza non potè reagire con altro che inquietato silenzio.
Il salvatore di donne dal passo impacciato e stagiste fuori sede, preso per molestatore di ragazze prima e a pugni subito dopo, non era decisamente entrato empatia con me. E in quel momento ci separava niente di più che un sottile strato di lenzuolo immacolato...
Okay, magari non ero completamente lucida: e se mi avessero somministrato medicinali per il dolore, invasivi da prevedere le allucinazioni fra le controindicazioni? Era probabile, mi trovavo in ospedale, avevo contratto una frattura, forse una lieve contusione alla spalla se assecondavo il pulsante fastidio, la somministrazione di simili medicinali era a dir poco scontata. La supposizione mi rasserenò, infondendomi coraggio per portare la testa fuori dal nascondiglio. Il cuore prese a battere furioso mentre prendevo atto che...
Per tutte le cipolle di Tropea, menomale! Mi accorsi solo in quel momento di aver trattenuto il respiro per la durata del mio soggiorno sotto il reame delle lenzuola, così il petto poté sgonfiarsi dal sollievo; fu il panorama metà bianco per l'immaginario orizzonte creato dalle lenzuola in cui ero ancora parzialmente trincerata, e per l'altra metà sempre bianco, del colore intonso delle pareti ospedalizie a tranquillizzarmi del tutto. Sondando il punto in cui lo avevo immaginato, mi regalai un buon numero di profonde boccate d’aria, quindi sgusciai completamente fuori dalle lenzuola e mi risistemai in posizione composta, meno faticosa per la gamba compromessa e la spalla dolente.
Date le circostanze della nostra conoscenza e la sua allegria nel rivedermi - seppur solo in una mia fervida allucinazione, l'avevo proprio scampata bella!
Ahimè, la ruota della fortuna riprese a girare proprio in quel momento e, quando il signor Calli schiarì la voce attirando la mia attenzione, capii che anche in quel caso mi aveva irrimediabilmente mancata, totalmente ignorata, perché un sopracciglio graffiato e un corpo scolpito da dèi malefici mi stavano spaventosamente sovrastando dall'alto.
Fu il caos.
"Magda!"
L’invocazione scalpitante di Lucrezia. "Sei bianca come un fantasma! Si sente male!" Strillò, rivolgendosi alla ciurma al seguito con timbro allarmato. Non mi venne concesso diritto di replica né parola: Lucrezia aveva già avviato una sequenza rapida di movimenti che la videro in fine posizionarsi di fronte al mio letto, minacciandomi con qualcosa serrato tra le mani, il braccio che caricava ferocemente all'indietro. Calcolai di avere pochi istanti prima che il cannone mi venisse sparato addosso, quindi con movimenti convulsi, impossibilitati dalla gamba fuori combattimento, tentai di eludere qualsiasi cosa intendesse scagliarmi contro; sudai freddo nel tentativo di strisciare via da quel dannato letto, da quella dannata situazione, da quei dannati occhi incredibilmente celesti che si stavano godendo lo spettacolo della mia disfatta come fosse una pena equa per i nostri dissapori.
"Ah!"
Come lo scoppio che scuote mille ali in fuga dalle fitte fronde di una foresta, mezzo reparto udì un urlo secco. Il mio.
Tempo scaduto, missione fallita: acqua fredda scoccò sulla mia pelle con l’incisività di una frustata riducendomi in pochi secondi ad un pezzo di carne grondante acqua e sconcerto. Ciliegina finale, le goccioline che mi solleticavano la mascella, quasi irridendomi, scivolando verso il mento per sgocciolare denigratorie al centro del petto.
"Ora ti senti meglio?"
Completamente infreddolita, trascinai con lenta meccanicità lo sguardo sul mittente della richiesta: Freccia Verde aveva parlato.
Per tutta replica, un rivolo fresco si avviò verso il collo, evaporando nello stato psicologico debilitato, allibito, sul punto di crollare che avevo cercato di ripudiare dall’istante in cui avevo aperto occhio; lo scintillio sollazzato affatto mascherato di Freccia Verde sancì la mia trasformazione a moderna giullare destinata al suo trastullo.
"La perdoni, è provata."
Suggerì piccato Calli a Freccia Verde constatando l'ovvio. "Sa, l'hanno abbattuta come un cavallo... non sapessi che l'hanno imbottita di analgesici e chissà che medicinali, penserei che una caduta di quella portata le avesse toccato il cervello."
"Ma non le orecchie!"
Strepitai acuta, scuotendo le braccia per scrollare l'acqua in eccesso.
Afferrato l'asciugamano che Luc mi stava tendendo, per un istante e solo uno tornai a quella sera al locale: lo strisciai lungo un braccio, rievocando il modo in cui mi aveva fatta sentire l'uomo quella sera, lo passai sul viso, rivangando il calore bruciante delle sue mani sulla pelle, talmente vivido da percepire il bisogno di ricevere un’altra secchiata raggelata. E poi mollai l'asciugamano, perché adesso avevo di fronte solo il sensuale guscio di un uomo che mi puntava come fossi la peggior sfiga che gli fosse potuta capitare in quel periodo.
"Mi sento meglio, grazie."
Mi forzai a dire, per evitare l’intensità sprezzante con cui mi sentivo scrutata, ammantata da una patina di disagio da cui non ero in grado di uscire.
"Benissimo, torniamo a noi. Nathan Green è il socio maggioritario della compagnia per cui lavora Lucrezia e Fabiana, nonché la persona che, in un atto di generosità e altruismo assoluti, ha messo le stanze di un suo alloggio personale, ora inabitato e prossimo alla vostra sede aziendale, a vostra disposizione."
Rifilandogli una sbirciata, notai che il colorito di Freccia Verde era sbiadito più o meno quanto il mio poco prima, e pur munendomi di tutta l'energia positiva presente sul globo, l'espressione pentita dell'offerta riservataci era un fotogramma fisso sul suo bel viso.
Neanche avessi zecche e pappataci.
"Condizione imprescindibile, trattare il luogo che vi ospita coi guanti e il dovuto rispetto. Che tradotto nel gergo di voi giovani significa evitare comportamenti pericolosi, incivili e indecorosi, mantenendo altresì la perfetta salubrità della casa quotidianamente. In caso contrario, l'affitto del vostro attuale appartamento è pagato, ogni permanenza gentilmente offerta verrà annullata, e tornete ad alloggiare nell'appartamento che vi è stato assegnato, percorrendo mezza Sidney a piedi se necessario. Cosa dite, ragazze?"
"Grazie, ma no, grazie."
Proruppi di getto, improvvisandomi capo gruppo. "Non possiamo accettare, noi amiamo i festini alcolici e un po' sguaiati, personalmente non rinuncerei mai alla mia dose di sconcerie giornaliere." Argomentai tutto d'un fiato.
Freccia Verde sollevò un sopracciglio, nascondendo l'ombra di un ghigno di stampo lungimirante, ma il modo con cui i suoi occhi mi tramortivano non aveva nulla di divertente, diceva chiaramente che se io non avevo voglia di alloggiare presso una sua proprietà, lui era il primo a non avere l'intenzione di ospitarmi e correre il rischio di avere eventualmente a che fare con la sottoscritta.
"Non le dia ascolto!"
Con occhi sgranati e animi scandalizzati dalla mia replica, le mie coinquiline si precipitarono a ingiungere. "Va' a letto alle sei la nostra Magda, è solo una burlona!" Risolse Fabiana, con la stessa espressione preoccupata di un cerbiatto al centro della strada colpito dai fari di un auto. "Dillo, Mag, che sei una burlona!" Finì per intimare con tono supplichevole, gli intenti minacciosi che risultavano dolci e buffi, strappandomi una sommessa risata.
"È affaticata, capiamo l'esigenza di fare dell'ironia. Dopo le recenti sventure, in fondo le spetta!"
Riferì Lucrezia, gestendo la situazione con più calma e freddezza di Fabiana.
"Ma, mettendo per un attimo da parte gli scherzi... la sua trovata è ciò di cui avevamo disperato bisogno."
"Sarà nostra premura comportarci in modo adeguato e decoroso. Ci ha davvero salvato da una vita di calli!"
Cinguettò ora più rilassata Fabiana, provocando il corrucciamento del coordinatore che, amante dei giochi di parole, aveva frainteso il significato dell’affermazione.
A quel punto, in un battibaleno tutti trasferirono le loro iridi eccedenti di aspettative su di me.
"Rin-gra-zia."
Mimò con esilaranti espressioni Lucrezia, mentre Fabiana mi incitava ad eseguire il suggerimento con uno strano tic della testa ripetutamente rivolto in direzione di Green, il tutto sotto lo sguardo indagatore del coordinatore, esasperato dal mio atteggiamento irresponsabile.
"Grazie."
Tirai fuori a denti stretti, perché se non avessi messo a tacere la mia inclinazione indisciplinata, ci sarebbero andate di mezzo le ragazze. D'altra parte, a dispetto del nostro misero incontro, conoscevo troppo poco quell'uomo per compromettere l'offerta ricevuta e tanto sperata per un'antipatia a pelle, che con ogni probabilità nutriva con maggiore intensità lui nei miei riguardi.
"Ah, no, spiacente, per te il discorso non vale, Magda."
Le sopracciglia mi si aggrottarono istantaneamente. Quel bizzoso di un coordinatore stava sperimentando su di me tutte le tecniche per mandare in crisi respiratoria una persona, guadagnando ad appannaggio esclusivo l'ansia di cui ero capace.
"Il signor Green non ci ha raggiunti qui per caso; è stato difatti messo al corrente anche della tua delicata situazione, ebbene, per il tempo di guarigione, alloggerai nella sua casa."
E la stanza prese a volteggiare come quella di Dorothy...
Quella buca. Voglio tornare a quella buca. Ho bisogno di tuffarmici, di testa! "La situazione non è grave, le spese sanitarie sono naturalmente coperte, ma i medici hanno imposto riposo assoluto. Necessiti pertanto di assistenza se intendi rimetterti in sesto entro il minor tempo possibile, dunque godrai dell'aiuto della sua domestica. Prevedibilmente, non appena starai meglio tornerai a condividere l'alloggio con le tue compagne."
'La stiamo perdendo, la stiamo perdendo!' Un dottore inveì nella sala rianimazioni. La mia, di rianimazione. Sfortunatamente, solo nella mia immaginazione.
"Devi essere grata al signor Green, Liquore. Non fosse per la sua gentilezza, il tuo stage rischierebbe di essere concluso per ovvi motivi."
Inveì Calli al mio indirizzo, spostando poi l'attenzione sull'uomo più caritatevole di tutto l'emisfero australe. "Le rinnovo la mia gratitudine e mi scuso", tuonò servile, occhieggiando in mia direzione carico di biasimo. "Le sono debitore."
Nella lista aggiornata dei miei fans, Calli occupava il podio.
"Se non c'è altro, dovrei andare."
Tutto ciò che pronunciò il sexy salvatore degnandolo di uno stentato assenso, l'aria di volersela dare a gambe da quel covo di matti il prima possibile.
Calli mi rivolse l'ennesimo sguardo ammonitore in attesa della mia dose di educazione; Freccia Verde non sembrava altrettanto coinvolto né smanioso a riguardo, ma, carpite le pretese di Calli, prese a osservarmi incuriosito, sfidandomi silenziosamente a oltraggiare i poteri superiori dai quali dipendeva il mio destino o a rispettarli servilmente, col talento di uno zerbino.
"Grazie."
Scandii con la leziosa malizia di un serpentello sibilante.
Ero cocciuta, in talune circostanze orgogliosa, in quel frangente indebolita, ma mica rincretinita! E poi, qualcosa mi diceva che sperava proprio nella seconda...
Il mio fittizio cenno di educazione pesò come un guanto di sfida, assottigliandogli impercettibilmente lo sguardo per un istante, prima che con poche falcate fosse fuori dalla stanza, rapido come un fulmine a ciel sereno nella mia vita.

~

"Vogliamo discutere del fatto che il nostro vice capo è tra gli uomini più sexy del pianeta?!"

Lucrezia esclamò in piena fibrillazione, fra un boccone di pizza ai peperoni e l'altro, il sabato sera seguente, weekend della prima settimana trascorsa in casa Green. Le ragazze avevano difatti deciso, testualmente, che le mie recenti avventure avevano raggiunto il limite di miserabilità accettabile perché lo sfondassi trascorrendo il sabato sera, oltre che immobile e allettata, anche in completa solitudine, così avevano mandato all'aria i loro piani mondani per l'avventurosa visione di un film, rintanate nella mia stanza. Optammo per Il Gladiatore; la mia silenziosa preghiera, che Massimo Decimo Meridio mi infondesse la sua determinata caparbietà per affrontare il colosseo di sfighe con cui si era avviata la mia esperienza australiana.

"Mi sono permessa di prepararti una tisana. Dev'essere stata una giornata movimentata per te."
Aveva esordito la domestica il primo giorno del mio arrivo in casa Green, una donna che aveva superato la mezza età, dalla fisicità morbida e lo sguardo gentile, mentre io studiavo la stanza che mi avrebbe ospitata di lì a tre settimane dal letto su cui le mie compagne mi avevano aiutato a sistemarmi. Agguantai la tazza tiepida trattenendomi dal sorridere: 'movimentato' non era esattamente l'aggettivo calzante... lo comprese la stessa domestica quando lo sguardo le cadde sul gesso che mi abbracciava la gamba, scoppiando di imbarazzo per la gaffe, facendo scoppiare le risa che avevo represso poco prima.

Il giorno seguente, il secondo in casa Green, fu la volta delle mie colleghe, con cui dovetti lottare per frenare le premure: loro avevano tutta l'intenzione di complicarsi la vita riposando a turni alternati nella mia stanza, io reagii borbottando qualcosa di abbastanza antipatico da farmi terra bruciata intorno. La mia tattica da Grinch, però, sortì risultati deludenti, e di fatto quella settimana trascorse fra le loro visite serali, la signora Hert e la sua disponibilità nell'aiutarmi in qualsiasi movimento e spostamento, rallegrata esclusivamente da film, serie tv da recuperare e svariate letture.
Piuttosto divertente, i primi giorni. Ma sette giorni di quella routine statica, e l'allegria... iniziava a sfumare in sangria. Nel senso che mi sarebbe servita della sangria per vivacizzare lo stato di noia in cui stavo letteralmente oziando!
Proprio perché in quella casa non accadeva niente, anche sul fronte Nathan non c'era molto da notificare: Freccia Verde, come suggerito da Lucrezia, era un uomo indubbiamente sexy, oltre che parecchio scomparso. Fu per questa ragione che, una delle sere in cui ero solita cercare una poetica crepa da studiare per conciliare il sonno, quando un rumore echeggiò in casa, mi allarmai nell'accezione più positiva che il termine avesse mai offerto: finalmente accadeva qualcosa!
Era Nathan?
Non ne avevo idea, trattandosi della prima volta in cui udivo segni di vita - che speravo vivamente non fossero di scasso - diversi da quelli della signora Hert.
Chissà se sarebbe passato in stanza...
Non molto plausibile, era quasi notte fonda. Già, ma Nathan era pur sempre il padrone di casa, e se condivideva le basi universali dell’educazione, presto o tardi sarebbe passato a farmi visita, no?
Non trascorse molto che, oltre al rumore, prese forma il suono di una voce; anche se parecchio distante per decifrarne le parole, mi bastò aguzzare l’udito comprendere che in realtà era più di una, e che se la prima apparteneva indiscutibilmente a Nathan, l’altra era di una donna diversa dalla gentile domestica.
Sommando all’ora improbabile l’elemento “compagnia”, dubitavo altamente in una sua incursione, e un paio di minuti di ascolto dal risultato silenzioso mi diedero ragione da vendere, quindi tirai giù le orecchie da segugio, dismessi i panni da agente FBI inconsciamente adottati e mi lasciai scivolare di nuovo sul materasso, proprio mentre una porta cozzava con troppo vigore contro il suo battente, scuotendo il muro di silenzioso relax di cui mi ero circondata; tirandomi a sedere, attesi l'eco di passi a suggerire l’arrivo di qualcuno, ma la casa ripiombò nel torpore silenzioso da cui era stata strappata. A quel punto non avevo la più pallida idea della linea che Nathan avrebbe intrapreso nei miei confronti, ammesso che ne avrebbe intrapreso una, ma, per intenderci, francamente a me andava bene così: forse non aveva ancora intenzione di interagire con me, ma ciò non toglieva che avrei comunque scroccato in casa sua!
Sorrisi sibillina; spensi l’abat-jour e la stanza mi riavvolse, finalmente, nelle ombre serene del relax.

Uno squarcio nella notte.

Uno strillo agghiacciante.

Il cuore pompò forsennato, minacciò di implodere, la spina dorsale venne percorsa da una scarica elettrica di puro terrore, il corpo issato dalle molle invisibili della paura.
"Aaaaaaaah!"
Mi sentii urlare di rimando ancor prima di rendermene conto, ancor prima di accedere allo stato di coscienza che segue ciclicamente quello del sonno, sprimacciando barbaramente la mano sul pulsante dell'abat-jour. Sfortunatamente, la mia vista dovette spaventare ulteriormente la donna che trovai a puntarmi con gli occhi iniettati di orrore: bionda e bellissima, l'espressione sgomenta rimandava a Tippi Hedren de Gli uccelli, sebbene io non fossi un rapace e nessuno stesse tentando di aggredirla.
"Nathan! – un milione di decibel si schiantarono contro il mio povero timpano - Dio, mi sento male."
Una mano premuta sul petto, che non smetteva di salire e scendere esattamente come il mio, la donna si sgonfiò come un palloncino contro il battente della porta, mentre dalla direzione sinistra del corridoio passi pesanti e concitati suggerivano l’arrivo in corsa dell’uomo. E, grandioso, da quello destro, anche quello della domestica...
Tutti insieme appassionatamente.
Ora riversi sulla soglia, gli spettatori si bloccarono a fissarmi come fossi la creatura del Dottor Frankenstein, chi carico di angoscia, chi di accuse. E seppure credetti negli occhi di Nathan un baluginio di indulgenza, nel vedermi stritolare il lenzuolo nei pugni e contro il petto, fu troppo fulmineo e prontamente sostituito da genuina insofferenza.
"Cosa diavolo hai fatto?"
Il tono grave e l'espressione adirata scacciarono ogni scia del torpore sonnolento in cui versavo poco prima.
"Dunque, da dove cominciare."
Battei un polpastrello sulle labbra, lo sguardo all’insu, preso a ponderare. "Più o meno sempre le stesse cose che faccio dal primo giorno: letto, mangiato, chiacchierato. Grazie per la visita di cortesia, adesso sto per aggiungere la quarta cosa che faccio in questi giorni: dormire." Esibii un sorriso rettangolare, palesemente finto.
"Cosa ha fatto?"
Rivolse esasperato alla donna, non prima di rifilarmi un'occhiata che mi consigliava l'internamento o l'incenerimento.
"Ma chi è? Natty, sono morta di paura!"
Deglutì la donna, così teatrale che mi sfiorò il pensiero stesse davvero inscenando il remake del film. Cingendo Natty con le braccia al collo, cercò sostegno nei suoi muscoli, che perfino dalla mia posizione sembravano caldi, avvolgenti.
Invitanti.
Mi sentii trattenere il respiro, mordicchiare le labbra, per fortuna il nomignolo “Natty” raffreddò con brividi gelidi i bollenti spiriti.
"Non è accaduto nulla, ma... ero per il corridoio, cercavo il bagno secondario, quando ho scorto la sagoma immobile di quella ragazza sul letto, in penombra, l'espressione così fissa davanti a sé... così macabra!" Diede volontariamente enfasi all'ultimo aggettivo, nel climax della perfetta recitazione. "Non me l’aspettavo. Mi sono spaventata, tutto qui." Non si servì di un timbro lagnato, al contrario. La trovai molto credibile, dovevo ammettere che mi sfiorò la tentazione di applaudire, salvo ricordare che ero io la protagonista del suo tetro monologo.
"Ma perché, qui in Australia quali usanze avete per dormire? A pipistrello?"
"Oddio!"
Nuovo shock per il premio Oscar Tippi. "Farnetica parole strane, in lingue... antiche!" Si accucciò atterrita nel petto possente del guerriero che l’avrebbe eroicamente tratta in salvo. "Hai portato in casa una ragazza che è in... in...—"
"Innocua, Ellen. È del tutto innocua, parla italiano."
Sbottò con spazientita calma lui, impedendomi di intercettare l'etichetta che la donna era sul punto di affibbiarmi.
"Stavo per accennarti il progetto universitario cui l’azienda partecipa di tanto in tanto." Posandole protettivamente un braccio sulle spalle la sospinse verso il corridoio con sé, congendandosi con un avviso intimidatorio, uno sguardo freddo da far rabbrividire persino la linea dell’Equatore.
Brrr, sto morendo di paura.
"Avresti potuto avvisarmi prima."
La voce di Tippi si faceva sempre più piccola, sempre più lontana, non abbastanza perché mi sfuggissero le note contrariate con cui stava accogliendo novità e rivelazione, di qualsivoglia natura fossero state.
La signora Hert, l'unica ancora rimasta sulla soglia, lanciò un'occhiata alle loro spalle, mi rivolse un cenno di solidale saluto e in fine anche lei si dileguò, lasciandomi a lambiccarmi su quale, fra macabra e innocua, fosse l'aggettivo che più si addiceva per un rincontro coi fiocchi.
Se ne prospettavano proprio delle belle.

   
 
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