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Autore: Emmastory    28/10/2016    4 recensioni
Un mese è passato, e la povera Rain si scopre sola dopo la partenza per il pericoloso regno di Aveiron da parte del suo amato Stefan, che l'ha lasciata in compagnia della loro piccola Terra, di una promessa, e di una richiesta. Conservare l'anello che li ha uniti, così come i sentimenti che li legano. Nuove sfide si prospettano ardue all'orizzonte, e armandosi di tenacia e forza d'animo, i nostri eroi agiranno finchè un'ombra di forza aleggerà in loro. (Seguito di: Le cronache di Aveiron: Oscure minacce.)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-IV-mod
 
 
Capitolo XXII

Verso la Casa

Era fatta. Un’importante decisione era stata maturata e presa, e dopo esserci preparati adeguatamente, siamo partiti. Ancora una volta, la destinazione è Aveiron, la mia bella e umile città, regno rovinato dalla violenza di gente del calibro dei Ladri, nonché da loro stessi. Il tempo scorre, il mio cuore batte, e stoica, cammino. In cuor nostro, avremmo fortemente voluto raggiungere la nostra meta in maniera diversa, ma stando ad un consiglio fornitoci dal dottor Patrick, e presente anche in una delle tante lettere di mia sorella, non avremmo dovuto farci riconoscere. Per tale motivo, ho indossato degli abiti ormai vecchi, e chiesto a Terra di seguirmi non fidandosi di nessuno oltre a me e a suo padre. L’autunno sta arrivando, e con lui il freddo. Tremo, e camminando, avverto un insolito dolore. Un veloce ragionamento mi aiuta a collegare tutto alla mia condizione. Notando la mia agitazione, Stefan non parla, ma in compenso mi stringe la mano. “Ci siamo quasi. Tieni duro.” Mi dice, sussurrando al solo scopo di non farsi sentire da nostra figlia. Mantenendo il silenzio,mi limito ad annuire, e respirando nel vano tentativo di calmarmi, resisto. Il sole è ancora alto, e la strada di fronte a noi appare lunga e infinita. Il nostro viaggio continua, e il dolore che provo non accenna a scemare. Si presenta periodicamente, manifestandosi per mezzo di alcune fitte. Sopportabile, certo, ma così fastidioso da riuscire ad allarmarmi. Di punto in bianco, il mio istinto di sopravvivenza si palesa, e parlandomi, mi impone di non farne parola con nessuno. Soffro in silenzio, sperando che non ci scoprano, ma improvvisamente, capisco di non riuscire a resistere, e arrestando il mio cammino, mi fermo. “Che stai facendo? Andiamo!” mi incalza Stefan, guardandomi e afferrandomi un polso per spronarmi. “No. Non ce la faccio.” Ho la sola forza di replicare, con la voce che trema alla pari con il mio corpo e trova la libertà per pura fortuna. “Avanti, manca poco.” Continua, non staccando il suo sguardo dal mio e fissandomi stavolta con aria più seria. “No.” Ripetei poco dopo, irremovibile e rigida come un’asse di legno. “Ho bisogno di riposo.” Aggiunsi, toccandomi il ventre e sperando che fosse in grado di comprendere quella sorta di muto linguaggio. “Va bene.” Rispose Stefan, arrendendosi al mio volere e alla stessa evidenza. Nel dire ciò, mi strinse ancora la mano, e facendomi coraggio, raccolsi le forze necessarie a compiere qualche altro passo in avanti. “Mamma, una casa!” gridò a quel punto Terra, indicando con il dito quello che identificai come un vecchio rifugio abbandonato. Avvicinandoci, provammo a entrare, e in quel momento, la fortuna ci sorrise. A quanto sembrava, l’abitazione scoperta dalla nostra curiosa bambina non era disabitata, e alla nostra vista, un uomo e una donna ci accolsero. “Non siete come loro, vero?” chiese la donna, incerta riguardo alla nostra identità. “No, non siamo Ladri.” Rispose Stefan, convinto e sicuro. Quasi non credendo alle sue parole, questa guardò negli occhi Soren, che annuendo, l’aiuto a fidarsi. “Non mente. Dice il vero.” Ci difese, con la mano sul cuore in segno di rispetto. Solo allora, l’uomo prese a parlare. “Io sono Caleb, lei è mia moglie, Carla. Perdonateci, non lo sapevamo.” Disse, presentandosi e facendo le veci della donna amata. Alcuni secondi di silenzio invasero la stanza, e apparendo perfino più serio di prima, l’uomo guardò Stefan. “Siamo diretti ad Aveiron, e vorremmo…” provò a dire, tentando in tal modo di spiegare le nostre ragioni. “Siete liberi di restare, tutti quanti.” Proruppe, interrompendolo e tacendo solo dopo la fine di quella frase. “Grazie.” Rispose in coro lui e Soren, parlando all’unisono come gemelli. Rinfrancata dalla piega presa dalla situazione, sorrisi leggermente, ma la mia felicità si trasformò presto in puro terrore. Un’ennesima fitta di dolore alla stomaco mi colpì con forza incredibile, e barcollando, per poco non caddi. “Che cos’ha?” chiese l’uomo, confuso e stranito. “È la mia bambina!” gridai in preda al dolore, scoprendomi solo dopo incapace di restare in piedi o in equilibrio. A quella vista, la donna corse in mio aiuto, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, mi mostrò subito una stanza in cui dormire. Piccola e semplice, possedeva solo un letto, ed era grande abbastanza per una sola persona. Ad ogni modo, non c’era tempo. La mia piccola stava nascendo, e dovevamo agire. Ero spaventata, e non sapevo cosa fare, e con il terrore padrone della mia anima, non sentii altro che le mie stesse urla per un tempo che non fui in grado di definire. Sdraiata su quel piccolo letto, provai a lottare contro quel dolore, ma solo allora, compresi ogni cosa. Ricordando la nascita di Terra, feci quanto il dottor Patrick mi aveva detto quella notte. Respirai a pieni polmoni, e ritrovando la calma, lasciai che la natura facesse il suo corso. Gli attimi si susseguirono veloci, e poco prima di perdere conoscenza a causa dell’immane sforzo, la vidi. La mia bella bambina, sana e perfetta. Appena nata, così piccola e fragile da somigliare ad una bambola. Sorridendo, feci un gesto con la mano chiedendo che mi venisse posata in braccio, e nello spazio di un momento, eccola. Fragile ma bellissima, la mia nuova bambina. Avvicinandosi, Terra le afferrò una manina, e abbracciandomi, sussurrò qualcosa. “Sei stata bravissima, mamma.” Mi disse, complimentandosi per il gesto che la natura stessa mi aveva permesso di compiere. Con muta ammirazione, il signor Caleb ci guardò tutti, e un attimo prima di cadere preda del sonno, potei vedere un sorriso spuntargli in volto, e accompagnare un’affatto amara lacrima di gioia. Stefan mi era accanto, e guardandolo, lottai contro i richiami del sonno stesso solo per poco, ma prima di soccombere e arrendermi, tornai a guardare la mia bambina, pronunciando quindi una singola frase. “Benvenuta in questo mondo, piccola Rose Gardner. In quel preciso istante, avvertii la pesantezza delle mie povere palpebre, e chiudendole, provai a dormire, rinunciando a farlo unicamente per formulare un semplice pensiero. Proprio come sua sorella Terra, Rose era per me una bimba speciale, poiché nata, come l’amore mio e di suo padre, fra mille pericoli e avversità, compreso un lungo e difficile viaggio verso l’ormai conosciuta e famosa Casa.
   
 
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