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Autore: alessandroago_94    31/10/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 32

CAPITOLO 32

 

 

 

 

 

Mi accingo a ricordare una delle cose più disgustose che io abbia mai fatto nel corso della mia giovane vita, uno di quei gesti che restano impressi nella memoria per anni e anni, forse per sempre.

In realtà, più che di una cosa, si è trattata di un’azione infame, vile e orripilante, ma sfido chiunque a trovare una via d’uscita da quel mondo fatto di male, odio e malumore che mi circondava ormai da fin troppo tempo.

Sapevo che gli Arriga avevano intenzione di andarsene; la signora era stata chiara a riguardo. Aveva sottolineato a mia madre che al più presto avrebbero lasciato il paesino, non appena un altro istituto scolastico di Bologna avesse accettato Federico come studente. Non so se questo continuo viaggio del mio nemico tra vari ambienti scolastici fosse mai stato redditizio, ma non credo, visto e considerando i risultati.

Sapevo pure che l’aristocratica voleva assolutamente fuggire da quella piccola realtà, e anche alcune settimane prima avevo avuto modo di udire la sua discussione a riguardo col marito. In quei concitati momenti, Livia appariva atterrita e spaesata; le forze dell’ordine stavano indagando sui vari fattacci accaduti di recente, e la vicenda tra me e suo figlio non si era ancora chiusa, dato che comunque c’era una denuncia pesante e la preside aveva scelto di compiere l’ardua scelta di separarci, iscrivendo Federico all’altra e unica quinta del piccolo liceo a parte la mia.

Logicamente sua madre non l’aveva presa affatto bene. Inoltre il prepotente se ne stava sempre chiuso in camera, così a scuola proprio non ci aveva messo più piede dopo il giorno in cui avrei dovuto fargli copiare la verifica di matematica, e invece gli avevo giocato uno scherzetto ed avevo reagito.

Io quel lunedì sarei dovuto andare a scuola, ma i fatti del sabato ancora mi turbavano, così come pure soffrivo ancora per la questione riguardante Alice, e alla fine anche quella domenica tanto attesa era stata rovinata dai brutti pensieri, ma soprattutto dall’azione più sconsiderata che io abbia mai commesso.

Giuro tuttora a me stesso che non farò mai più una scelta simile, poiché tra moglie e marito nessun estraneo deve mettere il dito. È un detto vero, in fondo.

Ma quella volta fu una tragedia, e a causarla fui proprio io.

Che fossi realmente un mostro, come mi aveva detto quella donnaccia che gironzolava per casa mia? Non lo so, alla luce dei miei ragionamenti futuri mi verrebbe da dire di no, e che ho agito in quel modo orrendo e subdolo solo perché non ne potevo più e dovevo pur difendermi in un qualche maniera, ma sta di fatto che feci direttamente del male anche a chi volevo sinceramente bene.

Trascorsi il sabato sera in ansia, nonostante mi fossi inizialmente sforzato per mantenere un’ombra di un sorriso sulle labbra, e più volte le mie mani correvano verso il mio cellulare, riposto nella solita tasca dei jeans. Quell’oggetto conteneva ciò che mi faceva agitare di più, ovvero le foto scattate da Giacomo, quelle più compromettenti.

Più volte mi chiesi se fosse giusto che Roberto venisse ingannato in quel modo dalla moglie, e se sospettasse almeno qualcosa, ma in quel momento non sapevo davvero darmi risposta. Sapevo solo che gli ero debitore di tante cose, che per me era una persona saggia ed importante per la mia vita, avendo condiviso con me la parte più movimentata e dolorosa della mia esistenza, e che per me era ormai diventato un pilastro, al cui non temevo ormai più neppure di rivolgergli la parola, sfidando anche la mia timidezza eccessiva, siccome sapevo che nella sua infinita e onesta bontà era sempre pronto ad ascoltarmi e a tenere per sé ciò che io gli rivelavo.

Insomma, non sapevo ancora con chiarezza chi fosse, e sul suo passato ancora aleggiavano tante ombre, ma nei miei confronti si era sempre comportato nel modo migliore possibile, tenendo anche presente che restava pur sempre un estraneo alla nostra ben poco affiatata famiglia.

Ho paura, di nuovo, di ricordare, ma in questo momento mi serve; devo imparare a reggere questa sequenza di ricordi, a rievocarli e a soppesarli a dovere, perché a loro modo essi nascondono ciò che di più prezioso mi sto affannando a cercare, ed imparare ad esaminarli e a valutarli, in modo da individuare tutti i miei eventuali errori ed apprendere da essi, per tentare di cercare di non compierli mai più in futuro.

In poche parole, affrontando direttamente e di petto i miei ricordi più lineari, quel sabato sera non ressi lo sguardo della signora Livia, che secondo me era ormai definitivamente andata fuori di sé. Temevo davvero che quella pazza avesse serie intenzioni di commettere qualche follia in casa nostra o contro di me.

Ricordo che a tratti pure mi seguiva, in casa, puntandomi addosso quei suoi occhiacci leggermente fuori dalle orbite, irritati e sconvolti, ma ero certo che lo facesse per intimorirmi e per spaventarmi, conoscendo la mia indole molto fragile, e non sospettava di certo che io sapessi ciò che stava combinando quando usciva, come poi ebbi modo di trovare conferma in seguito.

Se avesse anche solo immaginato che io ero in possesso delle prove schiaccianti, rese foto dal mio amato amico, penso proprio che in quegli istanti non si sarebbe fatta troppi problemi a farmi fuori lì, nel mezzo del corridoio della mia dimora, magari balzandomi alla gola come un’animale selvatico impazzito.

Lo so, stavo esagerando, ma la mia mente finì per andare in confusione, mi sentivo stressato e pedinato, oltre che in gravissimo pericolo. Chissà che poteva combinare una donna in quello stato confusionario! E fu proprio in quei concitati momenti che presi la mia decisione, molto affrettata e probabilmente errata.

Per Roberto quella doveva essere una serata come tutte le altre, lo vedevo molto tranquillo e rilassato mentre leggeva un giornale sportivo in cucina, subito dopo cena. Io, con apparente disinvoltura e con una buona dose di stronzaggine e di tremolante timore, gli passai sotto al naso il mio cellulare, con un bel primo piano della moglie che baciava l’amante.

Rendendomi subito contro del mio gesto sconsiderato, mi attesi che l’uomo si alzasse dalla sua postazione e mi desse una bella sberla, e quasi mi ritrassi, ma il mio inquilino restò per una frazione di secondo come di pietra, per poi afferrare dolcemente il mio telefonino e sfilarmelo dalle mani.

Se lo avvicinò al viso, come se non vedesse bene, ed io ammisi che mi attendevo che lo lanciasse contro il muro della cucina.

Invece, nulla.

L’uomo se ne rimase tranquillo, come se dentro di sé non vivessero emozioni ma solo amare e nuove consapevolezze, e dopo aver rimirato per un po’ le foto scattate da Giacomo, lasciò scivolare sul tavolo quel giornale che stava leggendo e si alzò definitivamente dalla sua postazione seduta, porgendomi il mio cellulare.

Non esitai un attimo a riprendere il mio oggetto e a spegnerne lo schermo, infilandolo subito nella mia tasca dei pantaloni, e tornando ad alzare lo sguardo rimasi molto scosso dall’espressione di Roberto. L’uomo che era sempre apparso sicuro di sé e sorridente in ogni situazione, oppure talmente tanto impassibile da apparire apatico a volte, aveva impressa sul viso un’espressione d’indecifrabile e cupo dolore.

Dopo un attimo, compresi il suo viso non lasciava trapelare solo dolore, ma soprattutto tanta rassegnazione.

‘’Dove le hai scattate?’’, mi chiese, lentamente e all’improvviso.

Gli spiegai rapidamente come e dove si era svolta la vicenda, a bassa voce e quasi tremando, ben sapendo che se la mia nemica pazza mi avesse scoperto mentre le commettevo quel torto non avrebbe di certo atteso oltre a colpire. Magari sarebbe pure impazzita definitivamente ed avrebbe commesso direttamente una qualche follia.

Ma, per fortuna, la signora se ne stette in camera sua e la sua presenza fisica non mi turbò assolutamente.

‘’Immaginavo… Livia è furba, non avrebbe potuto mettere in atto i suoi loschi e schifosi scopi in pieno centro cittadino. No, ha scelto come punto d’incontro il bar in periferia…’’, disse Roberto non appena smisi di parlare.

Poi, improvvisamente, la sua espressione da delusa e rassegnata tornò all’improvviso impassibile. Ed io restai immerso nella mia cupa consapevolezza di aver reagito in modo azzardato e pericoloso, nonché odioso nei confronti di una persona alla quale mi ero affezionato e a cui volevo bene.

Sapevo che in una situazione invertita lui mi avrebbe parlato, mi avrebbe spiegato per bene la situazione ed avrebbe cercato di proteggermi dall’urto della verità con la sua grande dose di bontà, sempre se avesse scelto di farmi del male raccontandomi una simile vicenda dopo avermi colpito a morte con delle foto da lui scattate.

Mi resi conto che un altro uomo mi avrebbe come minimo insultato, e dopotutto me la sarei anche meritata un’azione così, dopo aver involontariamente ficcanasato nella vita altrui, e poi sarebbero sorti nuovi guai con la moglie. Ma io avevo di fronte Roberto, una persona con una personalità tutta sua, e non reagì subito ed in nessun modo.

Dopo la sua amara constatazione, infatti, si allontanò da me, ma non andò dalla moglie, bensì si recò in giardino a fumare una sigaretta, ed io che lo guardavo da dietro le spalle, immerso nel buio sfidato dai lampioni della vicinissima strada, non riuscivo a notare alcuna traccia d’irrequietudine in lui. Questo mi permise di tranquillizzarmi, e di sperare in nessuna sua azione repentina o violenta, e non so più cosa provai dopo, perché l’ho dimenticato. O l’ho voluto rimuovere, dato che la mia coscienza per la prima volta si era macchiata in modo indelebile con quell’azione ignobile.

Adesso mi viene solo in mente che andai a letto turbato, ma che non udii alcun litigio proveniente dalla camera accanto. E la mia unica domanda fu se Roberto sapeva già che la moglie lo tradiva, considerando la sua reazione fin troppo contenuta e pacata.

 

Nel giorno immediatamente successivo al mio disgustoso misfatto, tutto era incredibilmente calmo e pacifico.

A sollevarmi momentaneamente dal pensiero di ciò che avevo commesso la sera prima, un peccatuccio assai pesante, era che i miei inquilini erano placidissimi anche durante quella domenica mattina. Federico non era uscito dalla sua camera, dove la madre ormai gli recapitava pure i pasti, però avevo sentito la tapparella alzarsi poco prima, quindi doveva essere già sveglio a continuare quella scenata che ormai perdurava da metà settimana. La signora Arriga, invece, l’avevo intravista uscire attorno alle otto, mattiniera come sempre, non senza avermi lanciato una delle sue classiche ed insopportabili occhiatacce.

Ero certo che Roberto non le avesse raccontato nulla a riguardo di ciò che gli avevo mostrato, altrimenti quell’arpia mi avrebbe di sicuro affrontato di petto. Avevo tanta paura di quell’essere adulto che ancora non avevo compreso del tutto.

Il fatto che Roberto non avesse fatto scoppiare un caos con la moglie mi insospettiva assai, ma allo stesso tempo mi faceva sentire più quieto.

A mente più lucida, rispetto alla sera precedente, mi ero preparato già di buonora ad attendere l’uomo, per approfittarne del fatto che la moglie era uscita per fermarlo e dirgli che avevo sbagliato a fare ciò che avevo fatto la sera prima, ed ero pronto pure a dirgli che quello che aveva visto era in realtà un fotomontaggio, che mi ero fatto preparare da un mio amico bravo in quel genere di cose, e tutto questo perché sua moglie a volte mi turbava coi suoi comportamenti un po’ strani. In ogni caso volevo dire che non si trattava di nulla di personale e che mi vergognavo per quell’azione insulsa che avevo messo in atto.

Insomma, sapevo che in ogni caso ci avrei fatto una figura pessima, e la mia mente in quel momento lavorava come una pazza e quasi per assurdo.

Anzi, direi totalmente per assurdo. Era l’imbarazzo estremo che provavo a farmi quasi sclerare, molto probabilmente a seguito della costante consapevolezza del pasticcio che avevo combinato. Nel frattempo, avevo già cancellato tutti gli scatti clandestini.

Mentre mio padre bofonchiava qualcosa dalla saletta del pianoforte, da solo e con un tono di voce basso e fastidioso che mi fece quasi irritare, rischiai di perdere la concentrazione sul mio obiettivo, ovvero intercettare Roberto e parlargli, poiché l’uomo aveva sceso rapidamente le scale e si stava dirigendo a tutta velocità verso la porta d’ingresso, la stessa che era stata varcata qualche decina di minuti prima dalla consorte.

Riuscii a intercettarlo solo in giardino, lontano dalle orecchie di mio padre e dopo essermi mosso con attenzione verso di lui.

L’uomo, notando che l’avevo seguito dall’interno fino a fuori, si piazzò di fronte a me con un sorriso frettoloso ben saldo sulle labbra, ed io involontariamente rabbrividii mentre mi avvicinavo a lui. Non comprendevo come fosse possibile che sulle sue labbra si mostrasse quel segno di evidente tranquillità e rilassatezza, ma il mio inquilino era un vero maestro in impassibilità e depistaggio del proprio stato d’animo da parte di occhi altrui.

Attesi fino all’ultimo per parlare, anche se sul viso dovevo avere impressa l’espressione di chi si accinge a dire qualcosa che gli preme dentro ed ha una gran voglia di uscire fuori a parole, ma la mia infinita timidezza, che a volte sa tramutarsi quasi in codardia, mi tenne bloccato fintanto che non poté più farne a meno, poiché colui con cui volevo interloquire mi stava fissando, ancora ben piantato sul posto e dall’apparenza sorridentemente rilassata.

‘’Senti, Roberto… a riguardo di ciò che ho fatto ieri sera… io non volevo… e me ne vergogno… e avrei qualcosa da dirti…’’.

Che scena penosa! Manco riuscivo a spiegarmi e a parlare con chiarezza. Inutile sottolineare che il mio viso era diventato rosso come un pomodoro ben maturo, tanto diventava quasi sempre di quel colore. Ma quella volta ne ero certo che fosse di una colorazione più marcata rispetto alle precedenti.

Roberto mi sorprese, come sempre, mantenendo la sua placidità ed allungando una mano verso di me, per poggiarmela sulla spalla destra, mettendo fine alla mia difficile farneticazione.

‘’Non devi scusarti di nulla, anzi, non ci crederai ma sono io a ringraziarti, perché mi hai aperto definitivamente gli occhi. Però, adesso sta a me dovermi scusare, perché devo proprio andare in un certo posto ed ho fretta… se vuoi dirmi qualcos’altro, me lo dirai più tardi, con calma. Ma non preoccuparti assolutamente per quello che mi hai mostrato ieri sera, e non pensarci neppure più! Non ti metterò in mezzo a questa questione con mia moglie, non temere, so quanto può essere pericolosa se provocata, soprattutto in questo periodo. A dopo’’, mi salutò, lasciando la sua debole stretta ed allontanandosi da me a passi molto decisi e con evidente fretta.

Io, ancora imbambolato nel mezzo del giardino, non potei fare altro che lasciarlo andare, per poi far cadere lentamente le mie spalle, quasi provenissi da una fatica immane. Non sapevo che attendermi dall’uomo, ma mi pareva che avesse trovato una qualche strategia, poiché il mio caro inquilino usciva di casa molto raramente durante l’arco delle giornate trascorse a casa nostra, e se lo faceva era per un motivo strettamente necessario, tipo andare a fare un po’ di spesa o a compiere qualche semplice ed ordinaria commissione.

Quel giorno andò via con la sua auto, e questo era ancora più strano, considerando che la utilizzava pochissimo.

Non volli continuare a stare a chiedermi cose di cui non avrei potuto avere un’immediata e soddisfacente risposta, e siccome non avevo affatto voglia di fasciarmi la testa inutilmente, visto che comunque me la fasciavo sempre spesso e volentieri, decisi di rientrare in casa e di andare a riprendere un libro in mano, o almeno provarci.

Da quando non dovevo più fare i compiti anche per il prepotente, la vecchia e malsana abitudine di lasciarli perdere stava ricominciando rapidamente a farsi strada in me, ma sapevo che dovevo continuare a darmi da fare con assiduità e costanza, se non volevo tornare ai livelli più mediocri degli scorsi anni.

Visto che Giacomo mi aveva mandato poco prima per messaggio ciò che era stato affrontato durante i giorni della mia assenza da scuola, avevo un po’ di nuovo lavoro su cui dovevo impegnarmi, e quindi decisi di cogliere al balzo quel mio raro momento caratterizzato da una decisa voglia di studiare, per andare subito in camera mia per tentare di prendere tra le mani i vari libri, e magari concentrarmi sullo studio e staccare un pochino dalla mia movimentata e continuamente dolorosa routine quotidiana.

 

Riuscii a studiare.

Col passare del tempo, ho avuto modo di avere la certezza che il problema più grande dell’essere umano è trovare l’ispirazione o la voglia per fare qualcosa. Una volta che si desidera davvero di inseguire un sogno, oppure di svolgere qualcosa d’importante e di più concreto, si è già a metà strada del percorso da compiere. E pareva che un po’ di voglia e di determinazione fosse tornata a vivere in me, dopo alcuni giorni parecchio scialbi, fatti solo di pensieri cupi e quant’altro.

Ricordo che dopo qualche ora di studio e nell’immediato primo pomeriggio telefonai a Jasmine, informandomi su Alice e scoprendo che versava ancora in uno stato d’incoscienza simile al coma, e che forse l’operazione non avrebbe dato alcun risultato utile, proprio come si temeva.

Ricordo anche che tagliai corto, dopo aver sentito quelle brutte notizie, e per nulla intenzionato ad incontrare la mia amata, ben sapendo che tra noi due in quelle giornate ci sarebbe stato solo spazio per una condivisione carica di dolore, la salutai quasi frettolosamente e in modo abbattuto, e forse passai un po’ per villano, ma in cuor mio sapevo che la mia Jasmine era una ragazza profondamente intelligente e mi avrebbe di certo saputo capire.

Telefonai brevemente anche a Giacomo, per raccontagli cosa ne avevo fatto delle sue foto e narrargli le mie preoccupazioni a riguardo, ma ricordo solo che rise, per poi dirmi che anche lui, se fosse stato al posto mio, avrebbe agito in quel modo, e di non preoccuparmi troppo per la sorte della famiglia Arriga.

Il mio amico sperava solo che gli Arriga se ne andassero, l’avevo capito da secoli ormai; ma io non sapevo ancora in cosa sperare. Sapevo solo che se Roberto se ne fosse andato, io sarei rimasto solo in quella casa maledetta in compagnia di mia madre, una donnina troppo fragile e indecisa, che lavorava sempre ormai, e di quell’essere volgare e disgustoso di mio padre, assieme alla sua petulante amante che di tanto in tanto si faceva viva, quando mia madre non c’era. Ed erano solo urlacci e parolacce.

Avrei voluto tenermi stretto Roberto, quindi, l’unico adulto in quel mondo in grado di capirmi e capace di starmi vicino in modo costante e gratuito. Se avessi perso pure lui, sarei impazzito.

Però, purtroppo, ero consapevole che in ogni caso del destino quell’uomo se ne sarebbe andato di casa mia, ma pregai solo che mi fosse concessa l’opportunità di averlo a fianco fintanto che quel periodo d’instabilità non si fosse finalmente stabilizzato. Prima o poi, il sereno sarebbe dovuto ritornare a trionfare su tutti quei nuvoloni cupi.

Salutai in fretta anche Giacomo, non condividendo il suo odio incondizionato riposto verso tutti e tre i membri della famiglia Arriga, poiché lui stava commettendo lo sbaglio di giudicare senza conoscere. Se Livia e Federico erano due gran stronzi folli, non era assolutamente necessario e conseguente che il marito e padre di famiglia lo fosse pure lui.

Purtroppo però non riuscivo davvero a far capire quel semplice concetto al mio amico, gasato per i grandi successi ottenuti contro il nemico e sempre in attesa della ciliegina sulla torta, ovvero il colpo di grazia, quello che avrebbe fatto espellere finalmente Federico dal liceo e magari fargli assicurare qualche pena pesantissima, poiché ormai si sapeva che almeno qualcos’altro di grave su di lui sarebbe emerso alle forze dell’ordine e alla preside. E tutto ciò si sarebbe aggiunto anche all’aggressione che mi aveva teso.

Il bullo in quel momento occupava l’ultimo dei miei pensieri, per fortuna, e quindi sorvolai su tutte le asprezze espresse da Giacomo, e dopo qualche minuto di sfogo congedai pure lui, pronto a tornare a riprendere i libri in mano dopo quella piccola pausa e a cercare di ripassare ciò che avevo affrontato nelle ore precedenti.

Dopo una manciata di minuti, però, qualcuno suonò al campanello.

Essendo solo in casa quel pomeriggio, naturalmente senza contare il prepotente che faceva la larva nella sua stanza, andai subito con due balzi al piano inferiore e mi affrettai a dirigermi alla porta, curioso di scoprire di chi si trattasse. Non aspettavamo alcuna visita, e credendo che si trattasse di uno di quei soliti venditori ambulanti già mi accingevo a prepararmi mentalmente le classiche frasi per declinare le loro offerte, senza contare che si sarebbe potuta trattare anche di una visita inattesa.

Infatti, non appena aprii la porta, notai che Melissa se ne stava proprio di fronte al mio cancelletto, con lo sguardo abbassato verso il citofono, senza sapere che esso ormai non funzionava più da anni e che mia madre non aveva voluto spendere soldi per farlo riparare.

‘’Mel! Che sorpresa!’’, mi lasciai sfuggire, attirando subito la sua attenzione.

La ragazza mi guardò e mi sorrise.

‘’Allora non ricordavo male! E’ proprio questa la tua casa’’, mi disse, evidentemente sollevata.

 La giovane non era mai venuta a trovarmi, e molto probabilmente doveva aver ricordato in modo blando la casa che le avevo indicato il primo giorno in cui ci siamo visti, ovvero quello in cui le avevo restituito il suo variopinto portafoglio ed era in compagnia delle cugine.

‘’Sì, non ti sei affatto sbagliata’’, le dissi, mentre le aprivo il cancelletto e la osservavo, notando che aveva gettato un ultimo sguardo all’indirizzo e al nome di mia madre, scritto sul campanello.

Mi venne per un attimo da chiedermi se avesse sospettato per un attimo che quello era il nome di sua zia, la moglie del fratello di suo padre, ma quasi sorrisi di fronte a quel pensiero insulso, riconoscendo che la ragazza non doveva sapere più di tanto sull’esistenza di quello zio mai presente nella sua vita, e probabilmente tenuto a distanza dai fratelli minori.

Smisi di pensare solo quando la mia cugina si piazzò davanti a me, con un sorriso delicato sulle labbra.

‘’A cosa devo questa tua improvvisa visita?’’, le chiesi, titubante. Non avrei mai immaginato di trovarmela alla porta.

‘’Mi mancavi. Dato che ti fai sentire tanto poco, e che sei sempre venuto tu a trovarmi, ho pensato di farti una sorpresa. Disturbo, forse? È una domenica, magari hai qualche programma…’’.

‘’Nessun programma, vieni pure in casa’’, le dissi, non lasciando che in lei sorgesse il dubbio di non essere la benvenuta, perché non era così.

Con un pizzico di pungente curiosità, la lasciai accomodare in cucina.

‘’Che casetta carina’’, mi disse gentilmente, guardandosi attorno.

Ridacchiai, ancora frastornato da quella presenza inattesa.

‘’Nulla in confronto a casa tua’’, mi limitai a dirle, mentre si sedeva.

‘’Mi hai detto che hai anche un pianoforte, qui a casa’’, quasi mi sollecitò Melissa, togliendosi il suo giubbotto scuro e sistemandosi leggermente con le mani la felpa rosa chiaro che indossava.

‘’Sì, sì. Vieni, se ti va te lo faccio vedere’’, suggerii, cogliendo al volo l’occasione per uscire un attimo dal silenzioso imbarazzo che stava prendendo piede dentro di me e sfruttando quel momento in cui mio padre non era in casa.

Avevo come il sospetto che l’uomo stesse tramando qualcos’altro che ancora mi era ignoto, ma non potevo neppure in quel caso supporre qualcosa di certo. Ciò che però m’insospettiva era che, ultimamente, non si assentava solo per recarsi al lavoro, ma lo faceva pure durante i giorni festivi.

La mia povera madre, invece, quella domenica era stata praticamente obbligata a svolgere dello straordinario, dato che c’era una palazzina intera da ripulire urgentemente entro il giorno successivo. Lei e le sue povere colleghe precarie erano state subito impiegate in quell’impresa che poteva apparire epica.

‘’Certo, mi farebbe molto piacere vederlo’’, rispose la ragazza, con tranquilla sincerità, dopo avermi sorriso per un attimo.

Allora la condussi nella mia saletta, dove il pianoforte troneggiava ancora al suo interno, nonostante il fatto che stesse nuovamente accumulando un po’ di polvere sulla sua superficie.

Mi sedetti sul mio piccolo sgabello, mentre la mia ospite ne sfiorava i tasti con le dita.

‘’E’ bello quanto quello di mio nonno’’, disse, con un sospiro, dopo aver osservato lo strumento per qualche istante, e allungando una mano per accarezzarne nuovamente la tastiera.

‘’Quello di… di tuo nonno è molto più bello, pregiato ed antico. Un pezzo di grande valore’’, dissi, titubante.

Su di me sentivo tutto il peso delle mie bugie. Avrei voluto saltare al collo della ragazza e stringerla forte, dicendole che ero quel cugino che lei non aveva mai conosciuto, e di cui magari non sapeva neppure della sua esistenza o non si era mai chiesta nulla a riguardo. Però, anche in quel caso dovevo tenere a freno ogni mia reazione e sentimento.

Avevo paura di interrompere quella farsa che stava continuando forse da fin troppo tempo, anche perché non avevo idea di quale reazione avrebbe potuto avere la ragazza di fronte alla mia rivelazione.

‘’Tu dici? Io sono dell’idea che uno strumento può avere anche un sacco di valore, ma solo se è utilizzato ed affidato ad una persona che ne abbia altrettanto’’, suggerì la ragazza, sapientemente.

‘’Uhm, può darsi. Comunque, io mi riferivo ad altro…’’.

‘’Anch’io lo stavo facendo, anche se indirettamente’’, quasi m’interruppe Melissa, a voce bassissima, allontanando le mani dalla tastiera.

‘’Non capisco dove volevi arrivare, allora…’’, tentai di dire, leggermente perplesso ed incrociando le braccia.

‘’Possibile che tu non l’abbia capito? Beh, volevo solo farti capire che tu vali molto, Antonio. A volte tendi a sottovalutare le tue capacità, ma fidati, tu sei davvero un ragazzo bravissimo, molto intelligente, gentile ed… ed è…’’.

‘’Ed è…?’’, chiesi, quasi sussurrando e fissando per la prima volta dopo qualche minuto il volto della mia interlocutrice.

Melissa pareva essersi inceppata, e con grande difficoltà e con un pizzico di imbarazzo riuscì a concludere la frase che già da un po’ stava cercando disperatamente di pronunciare.

‘’Ed è per questo che mi piaci. Molto’’.

Sussultai. Non me l’aspettavo davvero.

Quel molto nel finale del breve discorso aveva un suo peso, e rischiai di rimanerci intrappolato sotto, grazie anche al fatto che la mia timidezza scattò fuori dal nascondiglio dove si era momentaneamente rintanata per piombarmi addosso come una leonessa.

Arrossii tantissimo, e quasi fui lì per cominciare a borbottare qualcosa d’insensato, ma Melissa avvicinò bruscamente il suo volto al mio in un vago tentativo di baciarmi.

Prima che ciò avvenisse, riuscii a bloccare le sue labbra posando sopra di esse l’indice alzato della mia mano destra, fermando il gesto della ragazza a meno di un palmo dal mio volto.

‘’No’’, le dissi, sussurrandolo.

Lei mi guardò, inarcando leggermente le sopracciglia e allontanandosi leggermente da me, come se fosse tornata in sé dopo qualche secondo di follia. Mai e poi mai mi sarei creduto di trovarmi in una situazione del genere.

‘’Perché no?’’, mi sussurrò lei di risposta, arrossendo notevolmente.

‘’Perché io amo già un’altra ragazza’’, le risposi, debolmente.

‘’Certo. Io sono sempre la seconda, la più brutta, lo scarto che nessun ragazzo vuole…’’, disse improvvisamente Melissa, anche lei in modo debole, per poi lasciar scivolare alcune lacrime sulle sue guance.

‘’Smettila. Sei una bellissima ragazza, molto cortese…’’, tentai di dire, giustamente.

‘’Ok, ma a te non piaccio per nulla’’, mi sibilò tra i denti, nervosa.

Non capivo la causa di quel momento di teso nervosismo, o, almeno, non la capivo fino in fondo. La ragazza poi scoppiò a piangere, lasciandosi sfuggire singhiozzi sempre più decisi.

A quel punto, anch’io esasperato da quella situazione che da alcuni minuti tormentava entrambi, sfidai la mia timidezza e mi avvicinai cautamente a lei, per poi donarle un piccolo ma caloroso abbraccio.

‘’Non è questione di piacermi o meno. Noi due siamo cugini’’, le dissi, sputando fuori la mia rivelazione del secolo.

‘’Cosa… cosa stai dicendo?’’, mi chiese infatti Melissa, quasi sobbalzando e costringendomi a sciogliere l’abbraccio.

Fu così che vuotai il sacco. Posandomi una mano sulla fronte e sospirando, le raccontai tutto quello che avevo scoperto in quel mese abbondante in cui avevamo avuto modo di conoscerci.

‘’… ed io mi chiamo Antonio Giacomelli, e sono il figlio di Sergio, fratello maggiore di tuo padre’’, le dissi infine, come se volessi soltanto continuare a far chiarezza su quel concetto.

In realtà, a quel punto sapevo che era giusto che la mia cara cugina ed amica non avesse più dubbi a riguardo, e che smettesse di soffrire e di farsi delle storie inutili, quindi le mostrai anche la mia carta d’identità. Ma lei scosse ugualmente la testa.

‘’Ci sono tanti Giacomelli in Italia, non credo che tu sia proprio quel cugino che non ho mai avuto modo di conoscere’’, mi disse, cercando di non riconoscerlo a sé stessa. Capivo la sua sorpresa.

‘’Sono proprio io, te lo giuro’’, confermai, lasciandomi scivolare di nuovo sul mio sgabello, sfinito da quella conversazione.

‘’E se sei proprio tu… perché siamo dovuti giungere a questo punto, prima di conoscerci per davvero? A me sei piaciuto fin dalla prima volta in cui ci siamo visti, ed ho celato e custodito il mio amore per te, mentre tu mi hai nascosto la tua vera identità…’’, cercò di dire Melissa, lasciandosi poi sfuggire un nuovo singhiozzo.

‘’Quando ti ho conosciuta, non sapevo neppure io che ero tuo parente. L’ho scoperto solo dopo, ma… non ho mai avuto il coraggio per dire realmente chi ero. Avevo paura che tu e la tua famiglia mi aveste potuto prendere per approfittatore, o chissà cos’altro, perché nel frattempo ero già venuto a casa vostra a suonare il piano e ad incontrarti… beh, per te volevo restare un semplice amico. E poi, non sapevo neppure cosa ti avevano raccontato su di me’’, aggiunsi, con sincerità.

A me, sulla sua famiglia mi era sempre stato detto che erano persone fredde, a cui non era mai importato nulla di quel nipote generato dal figlio maggiore e più scapestrato. Immaginavo quindi che qualche freddura fosse circolata anche sui miei, almeno una volta in casa sua.

‘’Non so davvero cosa pensare’’.

‘’Ti giuro che non mi sono mai intrufolato in casa tua solo per mettere scompiglio, o per farmi gli affari vostri o per altri doppi fini. Io voglio restare ad essere per sempre un tuo amico, un tuo buon amico. Niente di più, niente di meno’’, conclusi, chiarendomi al meglio.

‘’Capisco. Grazie per avermi detto la verità, anche se un po’ in ritardo, e per avermi concesso l’opportunità di conoscerti senza alcun pregiudizio. Resterai per sempre il mio amico… e il mio unico cugino maschio. Sei un gran bravo ragazzo e una bella persona, Antonio’’, mi disse la ragazza, finalmente sciogliendosi e sfoggiando un sorriso tremolante.

Mi sentii rassicurato di fronte alla sua reazione, e proprio mentre ci rivolgevamo uno sguardo ed io stavo per ringraziarla per le belle parole che mi aveva rivolto e per dirle che le ricambiavo pienamente, ci trovammo a volgere all’improvviso lo sguardo verso la finestra della saletta, poiché tanti piccoli fiocchi bianchi avevano cominciato a cadere dal cielo con un’intensità incredibile.

Per qualche istante, ce ne stemmo entrambi così, a guardare la prima intensa nevicata della stagione, mentre i grandi fiocchi avevano cominciato in pochi istanti a cadere ancor con maggiore insistenza e rapidità, spinti dal vento che all’improvviso aveva cominciato a soffiare con violenza.

‘’Sembra una tormenta… sarà meglio che mi rechi in stazione e che prenda il primo treno, prima che tutto sia difficile da raggiungere e che ci siano dei disagi nei trasporti’’, disse la mia interlocutrice, rompendo il magico silenzio che era sceso tra noi.

‘’Sono d’accordo con te’’, fui costretto a riconoscere, notando che il tempo stava facendo le bizze, all’infuori della mia casa. Non avrei mai voluto essere nei panni della mia adorata amica e cugina, che avrebbe dovuto affrontare quel clima avverso.

Ci salutammo, lei mi diede un bacetto sulla guancia e mi disse che tra di noi era tutto a posto, e che era davvero felice di aver scoperto la mia vera identità. Non se la prese per il fatto che per lungo tempo le avevo praticamente mentito, ma forse aveva compreso davvero ogni mia motivazione e paura.

Forse, dentro di lei le condivideva.

Melissa è sempre stata una ragazza profondamente attenta ed intelligente, quindi so che su di lei ho sempre potuto far affidamento e che mi ha da sempre capito, perdonato ed amato, come un grande amico però.

Capì tutto, per fortuna, e fin quasi da subito. Sperai solo che non si stesse preparando per far del casino in casa sua, dopo quella scoperta, ma sapevo che lei era davvero una persona saggia e con la testa sulle spalle, quindi mi fidavo profondamente di ogni sua scelta. D’altro canto, in quel frangente ogni colpa era solo e solamente mia.

Melissa se ne andò così di casa mia, quasi improvvisamente come si era presentata, sotto ad una fitta e copiosa nevicata, mentre il gelidissimo vento della tempesta la sfiorava con decisione. Lei mi sorrise, prima di sparire dalla mia vista, ed ebbi come la consapevolezza che quel sorriso avesse molti significati, e che tra me e lei non si sarebbe mai concluso il nostro splendido rapporto. Quest’ultimo non sarebbe stato d’amore da coppia affiatata, bensì di rispetto e di parentale fratellanza.

Quando tornai in casa, dopo aver richiuso la porta d’ingresso alle mie spalle, mi sentii da subito come svuotato, come se mi fossi tolto un grandissimo peso di dosso, dopo aver fatto chiarezza su tutto quanto con la mia cugina. E pensai che molto probabilmente anche lei doveva condividere quel sollievo, almeno in parte, poiché le aveva permesso veramente di capirmi e di guardarmi dentro, senza più alcun velo. E forse questo era stato meglio del bacio che voleva darmi sulle labbra.

Tra me e Melissa finalmente era stata fatta chiarezza, e con un po’ di stanchezza salii nuovamente al piano superiore, soddisfatto anche del fatto che nessuno fosse stato in casa in quel momento a turbare la nostra conversazione privata, e mi sdraiai sul mio letto, osservando con indolenza i fiocchi candidi di neve che sfioravano il vetro della mia finestra, per poi miseramente sciogliersi.

Rapito dalla magia della neve, dopo un po’ mi addormentai, nonostante fosse pomeriggio inoltrato, mentre qualcuno al piano inferiore stava rincasando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Buongiorno a tutti, carissimi lettori e carissime lettrici! Grazie, come sempre, per continuare a leggere, seguire e sostenere questo racconto.

Finalmente tra Melissa e Antonio è tutto più chiaro; la situazione, infatti, a lungo andare stava per sfuggire di mano ad entrambi.

Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.

Continuo a ringraziarvi tutti di cuore, e vi auguro una serena giornata! A lunedì prossimo.

   
 
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