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Autore: Emmastory    01/11/2016    4 recensioni
Un mese è passato, e la povera Rain si scopre sola dopo la partenza per il pericoloso regno di Aveiron da parte del suo amato Stefan, che l'ha lasciata in compagnia della loro piccola Terra, di una promessa, e di una richiesta. Conservare l'anello che li ha uniti, così come i sentimenti che li legano. Nuove sfide si prospettano ardue all'orizzonte, e armandosi di tenacia e forza d'animo, i nostri eroi agiranno finchè un'ombra di forza aleggerà in loro. (Seguito di: Le cronache di Aveiron: Oscure minacce.)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-IV-mod
 
 
Capitolo XXIII

Antiche armi e celato dolore

“Buona fortuna.” Questa l’unica frase che Caleb e Carla, nostri attempati amici, hanno voluto rivolgerci poco prima di vederci andar via dalla loro casa, che aveva funto per noi da rifugio in quella così movimentata notte. “Prima di andare, c’è qualcosa che vogliamo dirvi.” Disse Stefan, guardandoli entrambi negli occhi con aria seria. Appena un attimo dopo, si voltò a guardare me, lasciandomi intuire che era ormai arrivato il mio turno di parlare. “Grazie.” Ebbi a malapena il coraggio di dire, soffiando quella semplice ma importante parola con dolcezza. “Se non fosse stato per voi, nostra figlia Rose non sarebbe qui.” Aggiunsi poco dopo, con la voce tremante e corrotta dall’emozione. “Non ringraziateci, vederla nascere è stato bellissimo, quasi come assistere ad un miracolo.” Questa volta fu solo Caleb a parlare, guardando alternativamente me e la bambina, che appena nata e avvolta in una soffice coperta regalataci da sua moglie, teneva gli occhi chiusi, e respirava lentamente. “Abbiate cura di voi, e buona fortuna.” Rispose Carla, dando manforte al marito e posandomi per un singolo istante una mano sulla spalla. “Lo faremo.” Dissi poi, avendo cura di rassicurarli entrambi. In quel preciso istante, afferrai la mano di Stefan, e voltandomi, uscii assieme a lui da quella casa. Silenziosi e tranquilli, Soren e Terra continuavano a seguirci, ma camminando, mi accorsi di sbagliarmi. Non era vero. Per quanto potesse sembrar calmo, Soren non lo era. Poteva apparire assurdo, ma fin troppi indizi tradivano il suo vero stato d’animo. La postura rigida, lo sguardo quasi assente, e il desiderio di continuare a camminare nonostante un dolore al fianco di cui si lamentava già da tempo. Chiari segni di nervosismo, e durante questo così importante viaggio, un silenzio che nessuno di noi osava rompere. Fra un passo e l’altro, posavo gli occhi su Terra. Ancora piccola e fragile, stringeva il suo orsetto di pezza, e mentre gli occhi le brillavano, venendo pervasi da una luce che mai avevo visto prima, appariva determinata. “Andiamo, non possiamo fermarci.” Diceva, sempre più decisa e sicura di sé stessa. Correndo proprio di fronte a noi, si era messa in testa alla marcia, e benché avesse ripreso a camminare, faticavo a starle dietro. “Vuoi che la tenga io?” mi chiese Stefan, riferendosi ovviamente alla piccola Rose, che vagendo, parve svegliarsi dal sonno in cui era caduta. “No, no, va bene così.” Risposi, stringendola dolcemente a me e fissando lo sguardo sui suoi occhi. Due iridi castane e uguali a quelle del padre, e in quel momento, una sorta di piccolo sorriso. Era venuta al mondo da poco, e di certo non poteva parlare, ma c’era una frase che ricordavo alla perfezione, e che lei, con quel suo dolce sguardo unito a quel bel sorriso, stava sicuramente tentando di pronunciare. “Andrà tutto bene.” Una frase che avevo sentito pronunciare ormai migliaia, forse milioni di volte, e in cui credevo fermamente. Forse era sciocco, forse persino infantile, ma no, non volevo né potevo arrendermi. I minuti scorrevano, e incredibilmente, il nostro viaggio sembrava non aver fine. Muovendoci con discrezione e prudenza, cercavamo di non dare nell’occhio e non farci notare. Il piano stava funzionando, e d’improvviso, eccola. La Casa della Leader. Il nostro obiettivo, la nostra meta, l’ancora di salvezza a cui tutti ci eravamo ormai aggrappati. Con occhi colmi di gioia e stupore, ci fermammo ad ammirarla per alcuni preziosi ma sporadici secondi, allo scadere dei quali, mi feci coraggio e provai ad entrare. Bussai, ma non ottenni risposta, e solo allora, feci un secondo tentativo. Su muto consiglio di Stefan, spinsi leggermente la porta, che cigolando, si aprì lentamente. Tutto sembrava andar bene, ma prima che qualcuno di noi potesse accorgersene, tre uomini ci bloccarono la strada. “Fermi! Cosa credete di fare?” ci chiese uno, mostrando con fierezza la spada e lo scudo che non si curava di nascondere. “Siamo qui per la Leader.” Dissi semplicemente, in tono serio e perentorio, capace di chiudere all’istante ogni tipo di discussione. “La Signora non accetta visite.” Rispose il secondo dei suoi scagnozzi, guardandoci con aria di sfida. Sentendo una giusta rabbia crescermi dentro, non abbassai la guardia, e solo allora una voce ci distrasse. “Lasciateli passare!” gridò, con la fermezza che pareva essere solita caratterizzarla. Alzando lo sguardo, scoprii a chi apparteneva. Era lei, Lady Fatima. Da molti conosciuta semplicemente come Leader, capace di gesti apparentemente crudeli, ma pur sempre dettati da una volontà di ferro, avente origine dalla sua posizione. A quelle parole, gli uomini non risposero, ma voltandosi a guardarla, si mostrarono interdetti. “Lasciateli andare, subito.” Fu la sua semplice risposta, chiara e forte come mai prima. Obbedendo a quegli ordini, ci liberarono, e avvicinandomi, ebbi finalmente modo di parlarle. “Siamo qui per chiederle aiuto.” Dissi, lasciando ancora una volta che la mia voce si spezzasse come un’ormai consunta corda. “Ero certa del vostro arrivo qui, Rain. Ora vi prego, seguitemi.” Ci disse, guidandoci sapientemente in quel luogo che da tempo immemore non visitavo. Grande e accogliente, era dotato di un certo fascino, capace di farlo assomigliare ad un regale castello. Camminando, la seguivamo tutti senza proferir parola, e poco dopo, giungemmo in una stanza nascosta e mai vista prima. “Questa, miei cari, è l’Antica Armeria. Qui sono custodite le difese dell’intero regno. Molti soldati hanno tentato e fallito, ma io mi fido di voi. Scegliete con cura e usatele al meglio.” Continuò, concludendo quel discorso con aria convinta. Allontanandosi leggermente da noi, ci mostrò dove queste venivano conservate, e mentre sia Soren che Stefan scelsero una spada e uno scudo in ferro, io ripiegai su una semplice daga, simile a quella regalatami da mia madre tempo prima. In quel preciso istante, il mio sguardo si posò sulla Leader, che quasi tentando di sfuggirmi, guardò altrove. La conoscevo bene, ed ero sicura che qualcosa la stesse turbando. In fin dei conti, i suoi occhi apparivano dolenti, e per tutto quel tempo, la sua voce non aveva fatto altro che tremare. Aveva tentato di mascherare il dolore, ma proprio come i valorosi soldati di cui parlava, non era riuscita in tale impresa. Decisa a scoprire cosa la tormentasse, nascosi la mia daga, e a passi lenti, mi avvicinai. “Potete parlarmi, lo sapete bene.” Esordii, fissando lo sguardo e l’attenzione sulle sue iridi verdi. “Adesso ascoltami, Rain. Dovete farmi tutti una promessa.” Rispose, voltandosi così da poter essere guardata meglio. “Dovete andare, combattere e farvi valere, perché…” ancora una volta, la voce le tremava, e inconsciamente, aveva chiuso gli occhi nel tentativo di non piangere. Andando alla ricerca di risposte, provai a parlare, ma avvertendo la presenza di un nodo in gola, rinunciai. “Perché non posso farcela. Non posso sopportare un’altra sconfitta, né un altro sopruso di quel calibro!” gridò, stringendo i pugni e lasciando inavvertitamente cadere qualcosa in terra. Incuriosita, fissai per un attimo il pavimento. Un piccolo monile vi giaceva, brillando intensamente. “Cosa… Cosa vi hanno fatto?” chiesi, raccogliendo nel farlo tutte le mie forze e il mio coraggio. “Non riesco neanche a dirlo. È un’offesa troppo grave per essere raccontata.” Rispose, non riuscendo stavolta a evitare la fuga di alcune lacrime dai suoi occhi. “Si faccia forza.” La pregò Stefan, sperando di infonderle quella che ora le mancava. “È successo tutto in fretta. Sono venuti qui e hanno preso Rachel. Ho cercato di impedirlo, ma era troppo tardi. Ora è con Loro, e non la rivedrò mai più.” Confessò, versando amare lacrime e chinando il capo in segno di vergogna. Recuperando poi da terra quel piccolo gioiello, me lo mostrò. “Questo è ciò che ora mi resta di lei. Pendeva dalla sua collana, e l’ha perso mentre tentava di raggiungermi. Vi prego, salvatela!” in quella storia, una verità colma di dolore, e nelle sue ultime parole, una preghiera. Avvicinandosi, non chiese che un abbraccio, e rimanendo immobile, la lasciai fare. Era una Leader, il suo potere rasentava quello di un monarca, ma ora era troppo debole. Non riusciva ad agire, e noi avremmo dovuto aiutarla. “Torneremo, e Rachel sarà con noi. Promesso.” Disse Stefan, posando di nuovo il suo sguardo su di lei. Mantenendo il silenzio, si limitò ad annuire, e poco prima che mi voltassi, una frase abbandonò le sue labbra. “Prima che andiate, lasciatemi la bambina. Sarà al sicuro con me.” Una richiesta che ascoltai in religioso silenzio, e alla quale stentavo a credere. Rose era appena nata, e dopo quanto era accaduto, ora mi trovavo costretta a lasciarla. A quelle parole, perfino Terra provò a reagire, ma stringendole la mano, la fermai. In fondo, sapevo bene che sarebbe stato inutile. Attonita, non seppi come agire, e improvvisamente, una voce nella mia testa mi spinse a ragionare. Il mio istinto materno aveva iniziato a parlarmi, e guardando per un ultima volta la mia piccola, la strinsi baciandole una guancia, e subito dopo, mi staccai da lei. La lasciai quindi  fra le braccia di Lady Fatima, e allontanandomi assieme a Terra, Soren e Stefan, piansi in silenzio pensando al mio futuro, ora diviso fra antiche armi e celato dolore.
   
 
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