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Autore: Rose Wilson    04/11/2016    3 recensioni
Ormai da tempo, la City ha conquistato l'America, distruggendo le insulse città e metropoli e devastando la vegetazione. Il motivo? Il Progresso, ovvio.
L'America è adesso priva di regioni o stati; ricoperta totalmente di cemento, è diventata un'unica enorme città, la City, che ora si appresta a invadere il resto del mondo e a portare il Progresso ovunque.
Col tempo però, un gruppo di ribelli terroristi ha fondato la Lega Anti-Progresso, votata a ostacolare i nobili progetti del Sindaco, la massima autorità della City.
Non si conosce l'identità del capo della Lega, ma senz'altro si conosce il suo agente migliore: l'esperimento 929, una ragazza con un passato ancor più oscuro del mantello che indossa…
Ora, è nelle mani della City. Ma nessuno, neppure lei, sa che le cose stanno per cambiare per sempre.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Slade, Terra, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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~CITY~






CAPITOLO 7

... MEGATTERE, DEMONI E GUAI



 
«Ehi, tutto okay pivello? Hai una pessima cera» commentò Amalia, con un tono di voce a metà tra il divertito e lo scherno.

Dopo averlo praticamente obbligato a sedersi su una delle numerose poltrone nere, quei tre avevano preso a parlottare tra loro riguardo l'onda psichica emanata da Rachel, chiedendosi e crucciandosi su quanto potessero rivelarsi spiacevoli dei possibili e per nulla improbabili effetti collaterali di coloro che la subivano, ma Luke non stava ascoltando nemmeno una parola, assillato da un pensiero costante ma sfuggente, che svaniva ogni qual volta lui cercasse di metterselo a fuoco per poi ricomparire un attimo dopo, a tormentarlo.

Si sentiva come se si fosse scordato qualcosa di fondamentale, che non riuscisse a ricordare nonostante tutti i suoi sforzi.

Per distrarsi gettò un'occhiata fuori dalla vetrata, e per poco non si spaventò nel vedere una creatura di dimensioni enormi entrare nel suo campo visivo. Era grande come minimo l'intero sottomarino, se non di più, dal manto grigio e splendente nei riflessi solari che fendevano come lame affilate la superficie del mare.

L'essere li sorpassò senza degnar loro di attenzione, per poi venire inghiottito dalle profondità oceaniche.

«Mi hai sentito o sei sordo? Sembri messo male quasi quanto lo scricciolo»

Le parole di Amalia ebbero su di lui l'effetto di una secchiata d'acqua gelata. Tara!

Di colpo non ci vide più. Balzò in piedi di scatto e si avventò su di Rachel, che, colta di sorpresa, fece appena in tempo a voltarsi verso di lui che caddero a terra entrambi. Il pipistrello cacciò un urlo acuto e fu lesto a levarsi in aria, volando in circolo sopra ai due.

«Dov'è Tara? Cosa le avete fatto?»

Il pugno di Wildebeest lo colpì in pieno sulla guancia, scaraventandolo lontano dalla ragazza e lasciandolo accasciato sul pavimento, dolorante. Quasi non vide l'energumeno aiutare delicatamente la compare a rialzarsi, e quasi non udì il caratteristico click clack che emette un fucile caricato.

«Wow. Sapevo che eri idiota, ma non immaginavo lo fossi così tanto» proferì la mora ghignante. Nonostante fosse ancora comodamente seduta aveva alzato l'arma e l'aveva caricata a velocità impressionante, mentre i muscoli che la reggevano erano rigidi, pronti a sparare in qualunque momento.

Rachel lo fissò. Nessuna emozione le attraversò il volto, nemmeno un indizio che facesse intuire se fosse arrabbiata per essere stata aggredita. Tutt'altro, sembrava quasi che lo stesse... rivalutando.

«... Come ti chiami, ragazzo?» gli chiese, con un tono che gli parve quasi ingentilito. Lui cercò di rialzarsi, invano, al che si limitò a rimanere disteso sul fianco sul pavimento.

«Dov'è. Tara» ringhiò lui, sputando a terra un grumo di sangue nerastro.

Un lampo scarlatto illuminò per un secondo le iridi viola della ribelle.

«La ragazza starà bene» si limitò a dire. Luke avrebbe voluto chiederle di più in merito, ma qualcosa - probabilmente il suo istinto di conservazione - glielo impedì. Quando aveva pronunciato il nome dell'amica aveva infatti ben notato, nonostante l'oscurità del cappuccio, come si fosse alterata l'espressione impassibile della ragazza, gli occhi dapprima semplicemente distanti a glaciali e il labbro superiore alzato, a rilevare denti leggermente più aguzzi del normale.
Ma fu questione di pochi istanti, dopodichè si ricompose quasi subito.

«In questo momento si trova in infermeria. A breve la potrai rivedere» Lo fissò per qualche attimo, per poi aggiungere: «Ho risposto alla tua domanda. Gradirei ora che tu rispondessi alla mia»

«... Luke. Luke Atwood» rispose lui dopo svariati secondi, senza staccare gli occhi color ghiaccio da quelli viola ametista di Rachel. Si sentiva come un animale in trappola, senza nulla da perdere e tutto da guadagnare, pronto a qualsiasi cosa pur di sopravvivere.
E lo sapevano entrambi.

Lei lo squadrò a lungo, poi gli si avvicinò, ignorando i ringhi infastiditi di Wildebeest e i sorrisi di scherno di Amalia. Arrivata davanti a lui si chinò e gli posò il palmo aperto della mano sul petto, apparentemente senza curarsi di fargli male.

Quello cercò di protestare, ma la vista del fucile puntato su di lui lo fece desistere, non impedendogli però di scoccare un'occhiata di puro odio verso la demone. Presto, tuttavia, la sua attenzione venne attratta da ciò che stava accadendo sul suo petto.

Un'aura nera come la notte aveva rivestito la mano perlacea di Rachel come un guanto e, lentamente, si sentiva come se stesse pian piano rinascendo. Il dolore alla testa si attenuava, le ossa smettevano di gemere ad ogni movimento, i muscoli riacquisivano forza. Persino la guancia smise di pulsare.
In breve il dolore scomparve, come se non fosse mai esistito.

Mentre ancora cercava di capire come un miracolo del genere fosse accaduto Rachel si alzò e, con un unico movimento fluido del braccio si abbassò il cappuccio, scoprendo il volto. E quel viso lo lasciò interdetto forse anche più del modo in cui lo aveva curato.

La pelle era grigia e pallida, come se non avesse mai conosciuto il tepore del sole, su cui i capelli, corti e neri come le tenebre, risaltavano enormemente, come la luna splendente risalta il buio della notte. Le labbra erano sottili e dritte, come se non si fossero mai piegate in un sorriso, mentre i lineamenti erano affilati, seppur al contempo delicati.

Vi era un'unica imperfezione in quel volto: una lunga cicatrice, che le tagliava a metà la parte superiore del viso, dalla fronte a poco sotto l'occhio destro. Ma Luke si scoprì indeciso se decretare che la bellezza del volto esaltasse lo sfregio, o se fosse proprio lo sfregio a esaltare la sua bellezza.

Ma che diavolo vado a pensare?!

«Alzati Luke Atwood. Voglio mostrarti una cosa» La voce apatica ma autoritaria della ragazza lo distolsero - fortunatamente, a parer suo - dai suoi pensieri, e si costrinse ad alzarsi. Qualunque cosa quella gli avesse fatto aveva funzionato a meraviglia, ma questo non faceva che accrescere i suoi sospetti: se non lo volevano morto, anzi volevano fosse in forma, era chiaro che desiderassero qualcosa da lui. Ma cosa?

«Seguimi» ordinò perentoria lei, voltandosi e dirigendosi verso una porta in metallo - l'unico oggetto di un materiale fino ad allora che il ragazzo seppe riconoscere a colpo d'occhio - che prima non aveva notato. Luke la seguì, tenendosi comunque a distanza di sicurezza. Dietro di lui udì chiaramente Amalia alzarsi e raggiungerli, fucile sempre stretto tra le braccia.

Percorso un breve corridoio, i tre giunsero davanti a una seconda porta senza maniglia, anch'essa in acciaio.

Un minimo di civiltà almeno ce l'hanno, pensò acidamente lui, mentre la ragazza corvina si fermava e gli lanciava un'occhiata passiva da sopra la spalla.

«Luke» mormorò, lo sguardo perso nel vuoto. «Quanto stai per vedere non deve renderti pavido. Ricorda che vogliamo il bene della tua amica quanto tu vuoi il suo»

Le sue parole riecheggiarono nella mente di Luke come una condanna, tanto quella frase suonava alle sue orecchie più minacciosa e ambigua che rassicurante.

Rachel posò il palmo perlaceo della mano su di un pannello posto a lato della porta, e dopo una rapida scansione questa si aprì, scorrendo di lato.

Si trattava di una stanza molto simile a una comune sala esperimenti, eccezion fatta per i vari macchinari medici accompagnati da uno schermo di notevoli dimensioni posto sulla parete e collegato ad un vicino elettrocardiogramma. La linea rosso sangue si impennava e precipitava continuamente su di esso, emettendo un bip continuo e perciò rassicurante.

Tutt'altro che confortante era invece il corpo bianco come un cadavere disteso su di un lettino pulito al centro della sala, con svariati tubicini trasparenti - troppi, troppi - infilati nelle narici, in mezzo alle livide labbra serrate e le flebo - troppe, troppe! - che gli bucavano le vene iniettandole nel corpo misteriosi liquidi cha parevano acqua. Ma Luke capì fin da subito che non si trattava d'acqua.

Da quando era solo un bambino, una cosa gli era stata chiara: gli aghi davano e toglievano. Ai demoni davano poteri sovrannaturali, ma toglievano l'umanità e l'anima.
Semplice.

Ma quel corpo disteso sul lettino non apparteneva ad un demone, Tara non era un demone, Tara era umana, la persona con più umanità che Luke avesse mai conosciuto.

Non gli importava più nulla di dove fossero finiti, né di quei tre malati mentali che per poco non l'avevano ucciso; se c'era una persona che non meritava di finire in una fredda sala esperimenti o ospedaliera che fosse, aggrappata alla vita unicamente per mezzo di tubi e siringhe e monitor, se davvero esisteva una persona che non meritava nulla di ciò, quella era Tara.

Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò accanto al lettino, con una mano posata delicatamente su quella gelida dell'amica e gli occhi lucidi, come se tutto il ghiaccio che caratterizzavano le sue iridi si fosse improvvisamente sciolto.

«Cosa. Le avete. Fatto.» sibilò, senza nemmeno voltarsi in direzione delle due ribelli. Udì uno sbuffo indignato - Amalia - poi una voce apatica - Rachel.

«Non siamo stati noi a ridurla in questo stato» ribattè fredda quest'ultima.

«Anzi, sarebbe meglio per te ringraziarci, pivello» rincarò la dose la ragazza armata. «E' grazie a noi se respira ancora»

Quello fu troppo. Furente, si girò verso le due e, con un tono che non ammetteva repliche, ringhiò:

«Dovete dirmi ogni cosa. Mi, anzi, ci dovete almeno una spiegazione»

Un angolo delle labbra di Rachel si sollevò appena, in un minuscolo accenno di sorriso quantomai amaro e spento di chi non ha più speranze di essere felice.

«Credo sia il minimo che possiamo fare per voi»

 
~~~
 
Era buio attorno a lei.
Il silenzio la opprimeva, mentre un freddo mortale si impossessava di lei, lento e inesorabile.


Dove mi trovo?

Un dolore lontano, quasi come se si trattasse del ricordo sbiadito di una sofferenza passata le attanagliava la testa, gelidi artigli di una qualche perfida belva.

Come ci sono finita?

Un brivido, anzi, una vera e propria scossa le attraversò il corpo, per poi ripetersi, ancora e ancora.

Chi sono io?

L'oscurità iniziò, con lentezza immane, a dissiparsi. Una voce, una voce che trovò al contempo incredibilmente familiare e terribilmente sconosciuta.

... Terra.

E il nero lasciò posto al giallo.

 
~~~
 
Non era passata neanche una mezz'ora buona da quando Rachel aveva inziato a parlare.

Aveva introdotto il discorso informandogli di essere in quel momento a bordo della Megalodon, una delle molte Megattere di cui la Lega era fornita. Alla sua faccia stranita Amalia gli aveva spiegato - con un'aria da sufficienza neanche si stesse rivolgendo a un bambino - che le Megattere erano un specie di sottomarino ispirato in tutto e per tutto alla creatura che lui stesso aveva notato prima, in sala comandi.

Sebbene dall'interno fosse impossibile accorgersene, l'esterno era infatti lungo e grigio, corazzato, con due enormi pinne laterali su cui erano posizionati dei motori a propulsione, e terminante in un'aggraziata coda da cetaceo - la specie cui a quanto pare apparteneva l'enorme animale visto da Luke - che muovendosi di continuo era in grado di raggiungere velocità notevoli per un mezzo di simili dimensioni e persino di infliggere danni ingenti a imbarcazioni di media grandezza.

Le somiglianze tra l'animale e la macchina erano davvero impressionanti.

Per tutto il tempo Luke aveva mantenuto un atteggiamento passivo, annuendo a ciò che dicevano e fissandole negli occhi, come a sfidarle a proseguire, mentre dentro pensava disperatamente a come diavolo fuggire da lì. Di certo in quel momento era impossibile, essendo lui a bordo di un sottomarino a chissà quante leghe di distanza dalla City.

Stava per l'appunto riflettendo su cosa fare quando un urto improvviso inclinò l'intero sommergibile, al che ne seguì un altro, e poi un altro ancora, che mandarono lui e le altre due ragazze a terra. Un allarme iniziò a suonare, mentre l'intero soffitto si illuminava a intermittenza di rosso.

«Ma che ca-» si interruppe a metà dell'imprecazione Amalia, tirandosi in piedi e correndo fuori dall'infermeria. Anche Rachel si rialzò all'istante, per poi barcollare ed appoggiarsi alla parete, preda di un giramento.

«Che succede?» gridò Luke per sovrastare il rumore assordante, terrorizzato come non mai. Non gli era mai successo di ritrovarsi in una situazione simile prima d'ora, sentiva davvero di temere per la propria vita. La corvina non rispose e gli indicò il poco distante lettino su cui stava distesa Tara.

Lui all'inizio non capì, ma non appena posò gli occhi sul corpo della bionda si immobilizzò, atterrito.

La ragazza, dapprima in fin di vita, stava ora seduta sul lettino, a gambe distese, quasi come se si fosse appena svegliata e incurante del caos attorno a lei. Gli occhi erano serrati, ma da come voltava il capo intorno, curiosa, sembrava non ne avesse bisogno.

Mugugnò qualcosa di incomprensibile, prima di ruotare il busto e alzarsi, come se fosse tutto nella norma. Si stiracchiò, facendo scricchiolare in maniera agghiacciante le ossa delle braccia, poi del collo. Rimase un attimo ferma, la fronte aggrottata, poi azzardò un passo, come se non ricordasse esattamente come si camminava, poi un altro, finché non parve più sicura di sé, e si produsse in un ringhio soddisfatto e compiaciuto.

Ripassò lo sguardo, nonostante le palpebre abbassate, su tutta la stanza, finché non lo posò su di Luke. A quel punto qualcosa parve scattare in lei, e il suo comportamento mutò in maniera brutale.

Si immobilizzò, le braccia lungo i fianchi con i gomiti leggermente all'indietro, le mani strette a pugno, il fiato più pesante che si trasformava in rantolii e sbuffi.

Boom, fece l'ennesimo urto, ancor più forte dei precedenti. Di colpo, gli occhi di Tara si spalancarono, rivelando due enormi globi gialli, senza tracce né di bianco né di pupilla. Le labbra si arricciarono, a svelare i denti, mentre un ringhio profondo e gutturale scaturiva dalla sua gola. Un'aura dorata le avvolse le mani, e i capelli biondi si sollevarono in aria e presero a contorcersi, come serpenti.

Il ragazzo non riusciva a smettere di guardarla, pietrificato. Alla fine era avvenuto ciò che più temeva.

Tara, la sua migliore amica, l'unica con cui riusciva ancora a sorridere, l'unica di cui si fidava e con cui era in grado di confidarsi senza paura, l'unica cui era certo di voler bene, era diventata un demone.

Le cose non sarebbero state mai più le stesse.

 
~~~

Rachel si rimise in piedi a fatica dopo che l'ennesimo urto l'aveva nuovamente fatta cadere. Si sentiva prosciugata, priva di forze. Si tirò il cappuccio sul volto: nonostante i suoi poteri psichici fossero tutt'altro che deboli le costava ogni volta uno sforzo immane attivarli, sopratutto dopo una settimana di deperimento e torture come quella cui era stata costretta a sottoporsi.

Prese un respiro profondo, come le era stato insegnato, e si ripetè con la voce ridotta ad un sussurro le uniche parole che riuscivano ogni volta a donarle quel poco di pace e di controllo di cui disponeva da quando... era mutata.

«Azarath Metrion Zinthos»

Sospirò, poi si aggiustò il mantello sulla spalle e posò la sua attenzione sulla scena alquanto singolare che le si presentava dinazi agli occhi.

Luke, pietrificato e chiaramente nel panico, e dall'altra parte della stanza la ragazza che lei stessa aveva salvato dagli Scienziati che subiva ciò che definivano il "risveglio". Si trattava, per l'appunto, del primo risveglio dei soggetti dopo le iniezioni - le rare volte che essi sopravvivevano - dove si manifestavano per la prima volta i poteri o le sembianze paranormali che la sostanza H85 donava, e ovviamente, i soggetti in questione erano totalmente succubi di essi, non avendone ancora il controllo, in mano quindi ai loro poteri, che portavano a una rabbia cieca e senza ragione, costringendoli ad attaccare qualunque cosa si muovesse e non riconoscendo nessuno, amico o nemico che fossero.

Esattamente ciò che stava avvenendo in quel momento.

Un secondo dopo rientrò una trafelata Amalia che, senza degnare di un'occhiata Luke e Tara, le riferì, agitata.

«Rocce. Decine e decine di macigni partono a tutta velocità dall'abisso e si schiantano sulla Megalodon. E il fondale disterà più di tremila metri, diamine!»

Sembrò rendersi conto solo allora della ragazza bionda, al che imprecò.

«Ma devono tutti svegliarsi sempre nei momenti peggiori?! Perché capitano sempre a me le teste di Malchior deficienti?» e, con una sonora bestemmia, corse nuovamente via, sebbene Rachel sapesse bene che non stesse scappando, tutt'altro.

Riportò la sua attenzione a Tara e sollevò una mano, che al suo comando si tinse di nero.

 
~~~

La bionda lo fissava con odio, i pugni illuminati di giallo che puntavano dritti contro di lui. Poi, di scatto, tese le braccia verso di lui e urlò con quanto fiato aveva nei polmoni. Contemporaneamente, un intero pezzo di pavimento, grande all'incirca quanto il lettino sul quale nemmeno pochi minuti prima giaceva, e, rivestito d'aura color dell'oro, gli si scagliò contro.

Luke semplicemente non riusciva a muoversi; sarebbe potuta finire davvero male, se uno scudo d'ombra non fosse comparso dal nulla e all'ultimo secondo a interporsi tra il ragazzo e il proiettile improvvisato.

Ciò non fece che accrescere la furia di Tara, che non attese un secondo di troppo a strappare una seconda zolla d'acciaio, mirata stavolta a Rachel. Questa eresse un altro scudo di fronte a sé, il tutto mantenendo una calma e una concentrazione invidiabile a chiunque. Un attimo dopo un rampicante nero che pareva della medesima consistenza delle tenebre spuntò da terra per attorcigliarsi attorno alla gamba della ragazza bionda, poi un secondo e un terzo che andarono a immobilizzare l'altro arto inferiore e il polso destro.

Con un ringhio animalesco, Tara prese ad agitarsi, nel disperato tentativo di liberarsi dalla morsa ferrea cui la demone la sottoponeva. Un ultimo rampicante le afferrò il braccio sinistro, poi tutti e quattro la strattonarono al suolo, facendola cadere e bloccandola in ginocchio, china su sé stessa.

Luke, che per tutto il tempo non aveva mosso un muscolo, come risvegliato dalla trance si voltò verso di lei, il panico ben impresso nelle iridi color del ghiaccio.

«Cosa... cosa le è successo?» domandò, nonostante ne fosse già a conoscenza e nonostante le sue orecchie non volessero in alcun modo sentire una risposta.

Proprio allora tornò Amalia, sempre correndo, con in una mano il fucile e nell'altra uno strano oggetto nero e grigio, forse una sorta di bracciale. Sempre borbottando qualche imprecazione tra i denti si avvicinò a Tara, che ringhiando e dibattendosi tentava di allontanare da sé la ragazza, tentativo futile visto che quella si chinò accanto a lei e le allacciò il bracciale, coprendole metà avambraccio e parte del dorso della mano, dopodichè si alzò e mormorò:

«Con questo dovremo essere a posto» si voltò e, notando i due buchi nel pavimento sbuffò sonoramente. «Ringraziate che non siamo appena sopra la camera stagna, o a quest'ora saremmo tutti belli che affogati»

Ancora una volta, però, Luke si ritrovò ad ignorare ogni parola. Tara si era infatti immobilizzata di botto, gli occhi spalancati all'inverosimile e il fiato pesante, cose se faticasse a respirare. Un piccolo pulsante rosso sul guanto si illuminava ad intermittenza.

Lentamente, l'aura gialla abbandonò le sue mani, i capelli smisero di vorticare e, al posto dei due globi dorati, ricomparvero le iridi azzurro cielo che tanto la caratterizzavano. Infine, sempre ansante, la ragazza crollò a terra, mentre i rampicanti svanivano nel nulla.
















Salve a tutti.
Chiedo venia per il ritardo, ma sto passando un periodaccio, tra la scuola e la mancanza di ispirazione. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, perché scriverlo è stata una tortura.
Perdonate anche la nota d'autore scarna, ma è tardi, ho sonno e il mio cervello non funziona per niente.
Alla prossima (si spera non troppo tardi),

Rose Wilson


 
 

 
 
   
 
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