Peter
Guardo
lo schermo del cellulare finché questo non diventa nero, spegnendosi e facendo
sparire con la luce anche l’icona della chiamata appena conclusa. Ho ancora il
respiro pesante per via della corsa e essermi fermato sotto uno spicchio di
sole non mi sta aiutando molto a farmi passare il caldo che ho addosso.
Arabella
ha appena chiuso la telefonata con me e io farei meglio ad avviarmi verso
l’ingresso del parco dato che ci siamo dati appuntamento lì fra un quarto
d’ora. Sono dall’altra parte del parco, io, perciò – dato che non voglio
correre per evitare di sudare ancora – farei meglio ad avviarmi.
Devo
ammettere di sentirmi un po’ confuso. Appena ho risposto alla chiamata della
ragazza e lei mi ha sicuramente sentito ansimare si è zittita di colpo. Quando
poi le ho spiegato che ero semplicemente a Cwmdonkin
Park a correre si è lasciata andare a una risata che aveva in sé qualcosa di
imbarazzato e mi ha subito chiesto se potevamo vederci. Considerando che non è
la prima volta che mi capita una cosa del genere ero già convinto che il motivo
per cui avesse tanta fretta di incontrarci fosse legato al fatto che ha trovato
le parole giuste per rifilarmi un altro due di picche, ma il messaggio che mi
ha mandato Tommy – che leggo solo ora – mi lascia perplesso e mi fa capire che
forse devo ricredermi. Ha scritto solamente “È fatta” e poi ha aggiunto
quell’emoticon con la faccina super sorridente di cui, a parer mio, abusa.
Infilo
lo smartphone in tasca e mi avvio, cambiando anche la canzone che sto ascoltando.
Mi sembra strano che il messaggio di Tommy – all’apparenza privo di senso – e
la chiamata frettolosa di Arabella non siano collegate in qualche modo. Mi
auguro solo che la ragazza stia venendo fin qui per dirmi che ha voglia di
uscire con me, di uscire seriamente.
Arrivo
all’ingresso del parco in poco più di cinque minuti. Spengo il mio mp3 e
rimango in attesa, guardando verso l’inizio della via per vedere se compare o
meno Ella.
Non
ho esattamente l’aspetto che mi ero immaginato per ricevere un rifiuto
effettivo o per sentirmi dire da una ragazza che mi piace che, sì, potremmo
cominciare a uscire insieme. Ho corso per più di un’ora, sono ancora accaldato
e sono abbastanza sicuro di non profumare come un mazzo di rose. Avrei potuto
dire alla ragazza di trovarci in un’altra occasione, magari in serata, ma il
modo in cui mi ha chiesto se potevamo vederci mi ha fatto capire che chiederle
di posticipare non sarebbe stata la scelta migliore.
Per
qualche strano motivo mi torna alla menta il bizzarro messaggio di Tommy e,
proprio quando sul fondo della strada riconosco la figura di Arabella, quelle
due brevi parole assumono un significato. È probabile che, in quello che sta
per succedere, il mio amico c’entri. In che modo non lo so, ma lo sospetto
fortemente.
Mi
sistemo la t-shirt della Swansea RFC mentre la sagoma della ragazza si
avvicina, mettendo sempre più in evidenza le sue forme ormai note e gli
indomabili capelli scuri. Si guarda intorno mentre cammina, voltando la testa
da una casa all’altra. Mi rendo conto solo in questo momento di essere nervoso
e il fatto che una coppia che si tiene per mano mi sia appena passata davanti
non aiuta. Ella mi sorride appena si accorge che la sto guardando. La saluto
con la mano, aspettando che mi raggiunga proprio sotto all’arco che introduce
al parco.
Appena è davanti a me si ferma. «Ciao» mi
saluta.
«Ciao»
rispondo. «Come stai?»
Si
stringe nelle spalle, annuendo ripetutamente con la testa. «Direi piuttosto
bene, grazie. Scusami se ti ho disturbato mentre ti allenavi, prima.»
«Oh
non preoccuparti. Come si può notare del mio aspetto non avevo appena
iniziato.»
Ride
leggermente, lanciandomi un’occhiata. Tuttavia non aggiunge altro. Si guarda
intorno, in direzione del parco e lascia passare una persona che ci sfila accanto
e si avvia lungo la stradina di accesso a Cwmdonkin
Park. Ella la segue con gli occhi per un breve momento, infine indica nella
direzione in cui la persona si è avviata e torna a rivolgermi la parola: «Ti va
se facciamo due passi?»
«Certo»
rispondo, invitandola con un cenno della mano. Si affianca a me e ci avviamo in
direzione del centro del parco, seguendo uno dei suoi sentieri meno trafficati.
Fra
di noi cala il silenzio e mano a mano che ci allontaniamo dalle persone
presenti questo si fa più insistente. Vorrei dire qualcosa, ma so perfettamente
che non servirebbe a niente. Arabella mi ha chiesto di vederci perché lei ha
qualcosa da dire a me, qualcosa che, a quanto pare, non le riesce semplice;
deviare la conversazione su altro non servirebbe a nulla.
Alla
fine, quando le persone intorno a noi sono diventate decisamente poche, la
ragazza prende fiato: «Senti, io… ci tenevo a scusarmi con te per ieri.»
La
guardo, lei risponde brevemente alla mia occhiata, poi torna a fissare davanti
a sé, giocherellando distrattamente con uno dei cordini della felpa.
«Mi
sono comportata in modo imbarazzante» precisa.
Sorrido
ripensando al momento a cui si sta certamente riferendo, infine dico: «Beh, c’è
anche da dire che non ti ho presa proprio nel momento migliore» tento di
sdrammatizzare.
Tuttavia
Arabella rimane seria, come se fosse veramente arrabbiata con se stessa.
«Non
c’entra. Voglio dire, tu ti sei esposto e, personalmente, penso che avrei
potuto benissimo evitare di dire certe cose.»
Non
so esattamente cosa intenda con “certe cose”, so solo che siamo arrivati al
punto cruciale della nostra conversazione: la risposta alla mia domanda.
Smetto
di camminare; Arabella se ne accorge solo qualche passo dopo, si ferma anche
lei e si volta verso di me, guardandomi perplessa.
«Ci
hai pensato?» le chiedo.
Non
serve aggiungere altro, sa di cosa parlo, lo capisco dal modo in cui
irrigidisce le spalle e schiude le labbra. Annuisce mentre si avvicina a me,
guardandomi. Vorrei incalzarla, dirle di darmi una risposta – di qualunque tipo
– in fretta, ma non faccio niente; rimango a guardarla e basta, in attesa. Lei
solleva lo sguardo.
«Mi
piacerebbe molto uscire con te.»
Mi
sento improvvisamente alleggerito da un peso appena finisce di pronunciare
queste parole.
«Ne
sono contento.»
Ella
sorride, rimanendo a guardarmi. Per evitare che il silenzio diventi qualcosa di
eccessivamente imbarazzato mi affretto a organizzare come posso questo nostro
primo appuntamento. «Quando vogliamo fare?» le chiedo.
«Quando
sei più comodo tu, in modo che non influisca troppo sui tuoi allenamenti con la
squadra.»
Non
ci penso su a lungo: «Che ne dici di venerdì?»
«Venerdì?»
ripete, come a dare un senso alla parola.
Io
annuisco: «Sì. È il nostro day off per via
della partita di sabato.»
«Oh
giusto, i quarti di finale contro il Cardiff» esclama, schioccando le dita. «Va
bene allora. Vada per venerdì.»
«Perfetto.
Hai qualche posto particolare dove vorresti andare o scelgo io?»
So
che non funziona così un primo appuntamento – non uno serio, almeno – so che
dovrei portarla fuori in posti che non si aspetta, sorprenderla. Ma qui si
parla di Arabella; la conosco ormai ed è una ragazza fuori dagli schemi. Non è
certo portandola in un bel ristorante che la conquisterò.
Lei
sta ancora pensando alla risposta da darmi e, alla fine, dice: «Sai cosa? Tu
sei un ragazzo intelligente, giochi a rugby, hai una laurea, conosci alla
perfezione Swansea. Francamente non penso che tu debba darti ancora da fare per
fare buona figura con me.»
La
guardo, confuso, ma Ella pare piuttosto certa di ciò che sta dicendo.
«Per
una volta vorrei essere io a fare buona impressione su di te.»
Mi
guarda, un lampo determinato negli occhi. Io sorrido, divertito. «Ma non serve»
la rassicuro.
Scuote
la testa, parendo una ragazzina. La trovo adorabile.
«Anzi,
ribaltiamo tutto» esclama poi, illuminandosi. «Ti andrebbe di uscire con me?
Vorrei portarti a Cardiff.»
Rimango
a osservarla in silenzio, mentre lei non stacca gli occhi da me. Se ripenso
solo a ieri, al modo in cui era chiaramente agitata mentre cercava di prendere
tempo dopo la mia proposta, mi sembra di avere davanti una persona diversa,
anche se sono consapevole che non è così. Rispetto a ieri Arabella ha
semplicemente ritrovato la sua sicurezza e ciò significa che – come per me – sa
di star affrontando qualcosa da cui riuscirà a uscirne rafforzata,
indipendentemente dall’esito.
Porto
le mani sui fianchi e sorrido. «Perciò abbiamo invertito le parti» dico,
piacevolmente sorpreso dalla nostra conversazione. Non sono più io ad aver
invitato fuori lei, ora, bensì è lei ad aver chiesto a me di uscire.
Ella
sorride, stringendosi nelle spalle. «A quanto pare» risponde, rimanendo poi in
attesa.
«Beh,
se le cose stanno così non posso che accettare. In fin dei conti è da un po’
che speravo in questo invito.»
Il
suo sorriso si allarga ulteriormente e non posso che essere felice di vederla
così.
«E
Cardiff sia. Conosco dei posti che ti piaceranno certamente» mi informa.
«Bene,
buono a sapersi. Ti va di anticiparmeli mentre passeggiamo un po’?» chiedo,
indicando con un cenno della mano il sentiero del parco che si addentra proprio
nel suo cuore, su cui io e Arabella ci siamo fermati senza più ripartire. Lei
acconsente e si incammina accanto a me. Per un momento mi torna alla mente il
messaggio di Tommy e nella sua assurdità, ora, mi appare più chiaro che mai.
Sono certo che il mio amico mi debba raccontare qualcosa o, con molta
probabilità, è lui che si aspetta che io racconti qualcosa. Sicuramente lo
accontenterei anche solo mandandogli un messaggio fotocopia del suo, solo che,
almeno nel mio, l’emoticon non la metterei.
Thomas
La
vittoria ai quarti di finale profuma di Swansea, terra bagnata e carne alla
griglia. È un miscuglio di odori vari che accresce notevolmente il mio buonumore.
Nonostante il tempo grigio del cielo – a tratti ha piovuto, poi si è lievemente
schiarito in attesa di un nuovo, cupo, banco di nuvole – l’umore di tutti è
alle stelle. Con la vittoria contro Cardiff siamo riusciti ad accedere in
semifinale e siamo ancora in lizza per vincere il campionato, un traguardo che
lo scorso anno abbiamo visto sfuggire troppo in fretta. Il St Helen oggi era
colmo di tifosi; molti di loro provenivano dalla capitale, ma anche i
sostenitori della nostra RFC hanno preso parte in massa a questa partita,
affrontando caparbi un clima poco incline all’ospitalità.
Anche
al terzo tempo c’è un’atmosfera meravigliosa. La club house
è piena di persone come non succedeva da tempo e ovunque si sentono risate,
chiacchiere e addirittura qualche canto. Nonostante la sconfitta anche i
giocatori del Cardiff prendono parte a questa festa e lo fanno come ho sempre
visto farlo nel mondo del rugby: con fierezza. Si deve uscire fieri da un campo
di gioco, sia con una vittoria che con una sconfitta perché, indipendentemente
dal risultato, hai comunque lottato dando il meglio di te.
Saluto il mediano di mischia del Cardiff con
cui mi ero perso in chiacchiere e torno a rivolgere lo sguardo verso la sala
della club house. Frugo fra i presenti con lo sguardo
fino a trovare Peter. Inevitabilmente accanto a lui c’è Arabella e alla destra
della ragazza c’è anche Niamh con Ryan. Raggiungo i quattro e mi introduco fra
loro con poche cerimonie. Riprendono a parlare e cerco di seguire attentamente
la conversazione così da poter intervenire quando ne ho la possibilità. Anche
loro sono visibilmente felici e perdo completamente il filo del discorso quando
mi soffermo a guardare Pete e Ella.
Sembrano
una di quelle coppie rodate dagli anni. Se ne stanno una accanto all’altro con
grazia, parlano senza interrompersi, scherzano. Trovo che sia bellissimo
vederli così e sono piuttosto certo che ci sia qualcosa che i due devono
raccontarmi, dato che ieri sera sono usciti insieme.
L’esito
non può che essere stato positivo vedendoli ora e – poco modestamente – devo
ammettere di sentirmi in parte responsabile della cosa. So che dopo quello che
le ho detto Arabella ha raggiunto Pete e, alla fine, i due sono usciti da Cwmdonkin Park con un appuntamento organizzato nella
Cardiff del venerdì. Questo particolare l’ho scoperto solo il giorno dopo,
quando mi sono trovato faccia a faccia con il mio amico dato che, prima di
allora, mi aveva informato solo con un messaggio fotocopia del mio a cui non
aveva aggiunto l’emoticon – che in quella circostanza sarebbe stata perfetta.
E
ora devo trovare il modo di cavare a forza le parole dalla bocca di Pete per
sapere dell’appuntamento di ieri, che di certo gli ha dato una buona spinta
dato che oggi ha giocato divinamente. Sono piuttosto certo che l’aver
riaccompagnato a casa Arabella a fine serata abbia portato con sé qualcosa di
più di un semplice saluto, anche se per averne la conferma devo aspettare
ancora un po’.
Smetto
di guardare i miei amici e torno a concentrarmi sulla conversazione. Abbiamo
appena vinto la partita di accesso alla semifinale e sono in uno dei posti che
più preferisco – la club house del St Helen – con i
miei amici. Oggi nulla potrebbe
rovinare questa bella giornata, soprattutto perché se dovesse succedere mi
basterebbe guardare Pete e Ella per sentirmi meglio, dato che finalmente hanno
capito di piacersi e sono visibilmente felici della cosa. Che sia merito mio
oppure no poco importa, ciò che conta è che loro due ce l’abbiano fatta a
scoprirsi ricambiati dall’altro. E poi, ciò che per me rende tutto ancora più
stupendo è il fatto che Peter sia più felice del solito e lui, quando è così,
diventa un compagno di bevute ancora migliore.
La
storia finisce qui. So che avrei potuto renderla più lunga, più articolata, ma
ho preferito lasciarla così, volevo semplicemente scrivere qualcosa di leggero
e, forse, quotidiano, senza troppi fronzoli o complicazioni. Certamente sarà
una banalità questo mio lavoro, ma è una banalità che mi sono divertita molto a
scrivere.
Per
quanto la protagonista di questa storia possa apparire Arabella per me, in
realtà, è Thomas. Sarà che mentre scrivevo questo racconto (che ha impiegato
molto più tempo di quanto si possa pensare a concludersi) mi sono affezionata
particolarmente a lui, fatto sta che per me il protagonista è proprio Tommy.
Nel suo piccolo compare sempre, muovendo fili invisibili attraverso le parole
rivolte a Peter e Arabella e, alla fine, vince anche.
Il
titolo è un gioco di parole (neanche tanto furbo) fortemente legato al mondo
rugbistico (a cui sono attaccatissima, come chi ha letto il mio lavoro Cenerentola non lucidava palloni da rugby
sa benissimo) e si riferisce al ruolo di Thomas e quello di Peter. Tommy è
un’ala, Peter un centro. Il concetto dell’ala spostata a centro ricalca il
ruolo sportivo di Tommy (l’ala, appunto) solo che il “centro” in cui viene
spostato non è quello proprio del campo da rugby, ma il centro posto fra Peter
e Arabella in cui lui deve destreggiarsi per far avvicinare i due.
MadAka