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Autore: Rohhh    05/11/2016    2 recensioni
A chi non è mai capitato di sentirsi troppo diverso da qualcuno e non provare ad andare oltre quelle apparenze? Ashley ha 21 anni, è una studentessa universitaria seria e posata, ha due sorellastre e una madre che sente troppo diversa da lei. In vacanza dal padre conosce Matt, il figlio della sua nuova compagna, ribelle e criptico, lui con la propria madre ci parla appena. Quell'incontro cambierà il modo di vedere le cose di entrambi e farà capire loro che non è mai troppo tardi per recuperare un rapporto o per stringerne di nuovi con chi non ci aspettavamo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 36

 

Ashley fece scorrere con precisione la forbice lungo la linea a matita della sagoma di una farfalla, perfettamente simmetrica e finemente colorata, finchè anche l'ultimo contatto tra la figura e il resto del foglio di cartoncino venne meno, e gli inutili contorni bianchi si ripiegarono su sé stessi mentre cadevano sul tavolo.

Ad Ashley rimase in mano il disegno, lo osservò attentamente qualche secondo, poi mosse con rapidità gli occhi sul tavolo, pieno zeppo di cartoncino già ritagliato e da buttare e di altre decorazioni, complicate e piene di dettagli, che le ricordavano un po' i mandala indiani da colorare, e che attendevano il loro turno sotto le forbici. Erano davvero belle, pensò Ashley, e subito puntò lo sguardo sull'autrice di quelle piccole meraviglie.

July, con un'espressione estremamente assorta, stava curva sopra un foglio, per ultimare la colorazione di un fiore variopinto.

Si era legata i folti capelli scuri in una alta coda di cavallo per evitare che la disturbassero durante quel lavoro, anche se ogni tanto quest'ultima le cadeva in avanti, oscurandole la visuale e, sbuffando, era costretta a scostarla con la mano libera. Ashley notò che si mordeva leggermente il labbro inferiore, come faceva quando era concentrata su qualcosa di importante e la sua mano, ancora non del tutto cresciuta, scorreva sul foglio con padronanza dei movimenti, lasciando delle bellissime sfumature di colore, davvero notevoli per una ragazzina della sua età.

July aveva un talento innato per il disegno a mano libera, anche se, a dire la verità, tutte e tre le sorelle avevano ereditato una certa attitudine artistica, anche se in ambiti diversi: Phoebe era bravissima nel creare dei make up favolosi, mischiando sapientemente ombretti, rossetti e quant'altro, chiunque passasse dalla sue mani stilose diventava per forza di cose più bella, Ashley aveva sviluppato l'aspetto più tecnico, si trovava molto a suo agio con righelli, squadre e compassi e per quel motivo aveva scelto la facoltà di architettura, mentre July era la personalità più creativa ed estrosa, capace di dare vita a delle piccole opere d'arte utilizzando oggetti comuni ed eccelleva anche nella pittura e nelle illustrazioni a matita. A lei piaceva ricollegare il dono artistico di cui era dotata al suo ascendente zodiacale, i Gemelli, il segno associato agli artisti e alla creatività.

Involontariamente Ashley sorrise, guardandola così attenta e piena di passione verso quello che faceva e immaginando con quanto orgoglio, il giorno della sua festa, li avrebbe indicati dicendo a tutti che erano opera sua.

«Sei diventata bravissima!» si complimentò, July le sorrise senza distogliere lo sguardo dal disegno e senza interrompere i suoi movimenti.

«Grazie – esclamò, poi gettò una rapidissima occhiata alla sorella, che era rimasta immobile e la esortò a non oziare – puoi continuare, ce ne sono altri lì»

«Agli ordini!» si riscosse Ashley, afferrando le forbici e prendendo un altro disegno dal mucchio.

La sera prima aveva promesso alla sorellina di dedicarle l'intera mattinata ad aiutarla con le decorazioni per la sua festa per non farla sentire trascurata a causa della sua fuga con Phoebe e lo stava facendo con piacere. L'impegno e l'attenzione che stava riponendo in quei disegni così importanti per July, le avevano occupato totalmente la testa, evitando che i suoi pensieri si rivolgessero tutti a un certo ragazzo.

La nottata non era stata delle migliori, si era svegliata spesso, sobbalzando nel sonno tra gli incubi, e la cosa peggiore era che il viso di Matt non le era venuto in soccorso nemmeno una volta, pareva essere ormai così lontano da non poterla raggiungere neppure nei sogni.

Si era alzata molto presto, perchè il sonno non le era più ritornato, e poco dopo anche sua madre e le sue sorelle l'avevano seguita, poi Phoebe era andata a lavorare e così anche Nancy, e lei era rimasta da sola con la più piccola.

“ La piccolina”, così era solita riferirsi a July, ma sua sorella avrebbe compiuto 12 anni tra una settimana e si stava allontanando sempre più da quel periodo spensierato e magico che era l'infanzia.

Persino il suo viso stava cominciando ad acquisire dei tratti più maturi e meno da bambina, anche se sarebbero serviti ancora molti anni prima che i cambiamenti fisici l'avrebbero trasformata in una ragazza e poi in una donna.

Ashley ripensò alla sua di infanzia, l'aveva affrontata troppo seriamente e già carica di preoccupazioni e crucci, ma adesso che era adulta si rese conto di quanto ai tempi avesse ingrandito certi problemi e di quanto facesse molto più paura guardare ora al futuro.

La sensazione era simile a quella che si prova ad affacciarsi da un precipizio altissimo soffrendo di vertigini, con l'impressione di venire risucchiati giù senza alcuna possibilità di salvezza, soprattutto adesso che non c'era più lui a tenerle la mano, sull'orlo di quel burrone.

«Se vuoi facciamo una pausa, Ashley – la vocina di July la ridestò da quell'angoscia, si era fermata a sua volta e la guardava preoccupata – mi sembri un po' stanca» commentò, dopo aver scrutato il volto della maggiore e averci intravisto una strana espressione.

«Sì, forse è meglio» accettò Ashley con aria confusa, appoggiando delicatamente davanti a sé il disegno che aveva appena iniziato a ritagliare e sorreggendosi la testa con una mano.

«Non hai dormito bene stanotte?» le chiese July, mentre riordinava meticolosamente i suoi colori e i disegni sparsi senza un ordine preciso sul tavolo e si stropicciava gli occhi, divenuti un po' rossi per averli fatti lavorare troppo.

«Già – rispose Ashley, sbadigliando – sai com'è, devo ancora riabituarmi al mio letto e alla stanza dopo tutti questi giorni» si giustificò, senza tuttavia rivelarle l'origine principale della sua insonnia.

July la osservò di soppiatto, poi abbassò lo sguardo e le sue labbra si piegarono in un broncio.

«Mi trattate come se non capissi quello che succede, ma io non sono più una bambina, so benissimo che hai qualcosa che non va! – mormorò la moretta attirando l'attenzione di Ashley, che adesso la fissava stupita – per caso non sei più contenta di stare con noi? Ti sei forse stancata? É per questo che sei così triste da quando sei tornata?» domandò July, battendo le mani sul ripiano del tavolo e spalancando i suoi occhioni castani, diventati lucidi.

Ashley tremò nel vedere le conseguenze del suo comportamento egoista, era tutta presa dal suo dolore da non accorgersi di quanto questo potesse essere travisato e frainteso dalle persone che le volevano bene. Si alzò dalla sedia di scatto e si inginocchiò accanto alla sorella, prendendole le mani.

«Ma che dici, tesoro, vi voglio un mondo di bene, a te, a Phoebe e anche alla mamma – pronunciò quell'ultima parola con un lieve tremore nella voce, doveva ancora parlare con lei e non era ancora riuscita a trovare il momento giusto, né la forza necessaria – quello che ho non ha niente a che vedere con voi, è.. è una cosa mia...riguarda solo me, capito?» disse dopo qualche esitazione, lottando contro un nodo alla gola, che inevitabilmente le si era formato.

July a quel punto sorrise: la sua confessione doveva averla convinta subito, e quel sorriso rincuorò Ashley.

«Stai male per amore?»

Sua sorella era più perspicace del previsto.

«Sì – ammise, abbassando il tono della voce – ma non farci caso, mi passerà, tranquilla, è normale» mentì, per non farla preoccupare, accarezzandole i capelli e abbozzando un sorriso.

«Sai, ero tanto impaziente di diventare grande perchè così tu e Phoebe mi avreste considerato una di voi, avremmo condiviso i segreti e e i pettegolezzi come si fa tra sorelle! – le confessò, torturando un pezzo di cartoncino di scarto sulle sue ginocchia – ma la verità è che ho tanta paura di crescere e di quello che mi aspetta, certo ho le mie amiche e anche loro ci stanno passando, ma voi siete le persone di cui mi fido di più e – si fermò un attimo per trovare il coraggio di rivelare i suoi timori, che finora aveva tenuto nascosti dentro di sé – Phoebe adesso andrà via e prima o poi lo farai anche tu e io non voglio essere abbandonata» disse infine, con la voce rotta dall'emozione, Ashley trasalì quando le sentì nominare l'abbandono, in quel periodo era fin troppo sensibile a quella parola e avvertì le lacrime formarsi ai suoi occhi.

Provò anche un senso di colpa, perchè non si era mai fermata a riflettere e a chiedersi come si potesse sentire July in quel periodo delicato della sua vita e non aveva mai pensato che la grande differenza di età che le separava la potesse fare sentire così sola e distante da loro. Non aveva idea di cosa le riservasse il futuro e di dove sarebbe finita, ma una cosa ormai era certa: non aveva più intenzione di trascurare i suoi affetti per chiudersi nel suo mondo o per dedicarsi solo allo studio, adesso voleva rallentare, godere di tutti i bei momenti che le venivano regalati con i propri cari, vivere le emozioni anche quelle che facevano più male, concentrarsi sulle sensazioni e apprezzare ogni giorno senza darlo mai per scontato con freddezza. Aveva imparato che bisognava approfittare di ogni secondo a disposizione con chi amava perchè certi attimi non tornavano e sarebbe stato più doloroso un rimpianto piuttosto che un ricordo.

Guardò negli occhi sua sorella e le afferrò le spalle forte, per farle sentire la sua presenza.

«I cambiamenti spaventano July, lo fanno anche con me che sono più grande di te e sarà così a ogni età, ma tu potrai sempre contare su di noi. Anche se Phoebe non abiterà più qui, anche se un giorno andrò via anche io, non ti abbandoneremo mai, ci saremo sempre quando avrai bisogno di noi, fosse anche solo con una parola di conforto, te lo prometto - le sussurrò addolcendo gli occhi e con un tono così confortante da farla distendere subito e dimenticare tutti i suoi turbamenti - e poi dimentichi che c'è la mamma, sarà una gran rottura di scatole durante la tua adolescenza, questo te lo garantisco – le puntualizzò subito, per prepararla alle sue ramanzine e ai suoi famosi discorsi imbarazzanti, July scoppiò a ridere – ma non ti tradirà mai e sarà sempre con te, anche quando tu non vorrai o sarai troppo impegnata per accorgertene» concluse, tradendo dell'emozione perchè aveva messo un po' di sé stessa in quelle ultime parole.

July si alzò dalla sedia e si fiondò tra le braccia della sorella, stringendola. Adesso si sentiva più forte.

Il rumore della porta che si apriva le fece voltare contemporaneamente verso l'entrata di casa giusto in tempo per vedere una testa bionda entrare furiosamente e farsi avanti con l'agilità di un elefante incavolato e una borsa volare in aria e atterrare con una parabola perfetta sul divano. Ben presto non solo la loro vista ma anche il loro udito fu deliziato da quell'improvviso invasore.

Phoebe sbuffò con poca grazia, le degnò di un mezzo sguardo e poi diede fiato alla sua bocca.

«Cosa sono tutte queste smancerie – urlò alla viste delle due sorelle abbracciate – togliete subito questi scarabocchi dal tavolo e cominciamo a preparare il pranzo, sto letteralmente crepando di fame, non so se mi spiego!» sbottò nervosa, guadagnandosi un'occhiataccia da July per aver definito 'scarabocchi' le sue opere d'arte e uno sguardo a metà tra il perplesso e lo sconvolto di Ashley.

«E tu pensi che sia facile liberarti di questa qui?» bisbigliò all'orecchio di July, indicando Phioebe con un cenno veloce del capo, riferendosi alla loro precedente conversazione.

July ridacchiò di gusto mentre Phoebe drizzò le orecchie sentendosi chiamata in causa.

«Dico a te, signorina coi capelli rossi, mi fa piacere che tu abbia riacquistato un minimo di vitalità, ma fossi in te farei meno la spiritosa, mentre rientravo ho visto Tyler e credo proprio che si stia dirigendo qui. Scommetto che sarà entusiasta di sapere che te la sei spassata durante queste vacanze!» disse con tono malizioso, mentre rovistava dentro il frigorifero per cercare qualcosa da mettere sotto i denti.

Ashley impallidì, non le andava proprio di affrontare Tyler adesso, gli aveva mandato un messaggio per avvisarlo che era tornata ma che stava poco bene, ma di certo non poteva immaginare che volesse farle visita per verificare di persona.

La situazione stava diventando decisamente troppo soffocante.

«Ma che fine ha fatto la Phoebe comprensiva e amorevole di ieri sera? Qualcuno le ha mandato un incantesimo?» si rivolse alla maggiore, accigliata e contrariata dalle sue frecciatine.

«Tesoro la modalità 'fata turchina' non è disponibile al momento, per adesso dovete sorbirvi la modalità 'stronza', ho avuto due clienti pazze ed esaurite che mi hanno fatto saltare i nervi, perdonatemi!» si giustificò con naturalezza, continuando ad armeggiare con pentole e fornelli.

Ashley la guardò torva, poi si chiese quanti minuti avesse ancora per decidere cosa fare, ma si rese conto di non avere in realtà più nemmeno un secondo quando il suono del campanello la fece saltare in aria.

«July, ti mando in missione visto che vuoi essere coinvolta nelle nostre faccende, vai ad aprire e dì a Tyler che non sono a casa, ok?» ordinò con la velocità della luce alla più piccola che sorrise, felicissima di fare da complice ad Ashley e si avviò alla porta, mentre Phoebe scuoteva rassegnata la testa.

«Se qualcuno mi avesse ascoltata tanto tempo fa adesso non si troverebbe in questa situazione del cavolo!» rinfacciò ad Ashley.

Phoebe era stata una delle prime a capire che Tyler provava ancora dei sentimenti per lei e a metterla in guardia dal troncare l'amicizia con lui per evitare di trovarsi in un grosso guaio dopo, ma la sorella non le aveva voluto dare ascolto e adesso stava pagando la sua testardaggine nell'aver sottovalutato il problema.

«Phoebe non è il momento!» mormorò a bassa voce, facendole segno di abbassare anche la sua e attendendo in silenzio, col fiato sospeso.

Smise di tremare e potè tirare un sospiro di sollievo solo quando udì chiudere la porta e vide la sagoma di July ritornare e sventolare la mano facendo il segno della vittoria.

Non aveva scampato il pericolo, lo aveva solo rimandato e non si sentiva fiera del suo comportamento, ma era ancora troppo frastornata per poter risolvere quel pasticcio con lucidità.

Nel pomeriggio avrebbe dovuto necessariamente sentire Sophia, aveva bisogno del suo supporto e da lei non voleva nascondersi.

 

«Si può sapere cosa sta succedendo qui?» esclamò Monica, sgomenta, in piedi sull'uscio di quella che una volta era la camera di suo figlio ma che adesso sembrava solo un campo di battaglia.

Lo aveva chiamato più volte prima, ma lui non si era degnato di risponderle e così era salita per controllare con i suoi occhi cosa stesse facendo di tanto importante da ignorarla e quello che aveva visto le stava togliendo anche la voglia di varcare quella soglia.

L'intera stanza era stata messa sottosopra, come se ci fosse passata un'orda di vandali, il letto era ricoperto da vestiti e tutto ciò che stava nell'armadio o sui mobili era stato scaraventato a terra.

Sul pavimento Matt, chino davanti a una valigia, era intento a riempirla, come prima capitava, di vestiti e altri oggetti, lottando per farli entrare tutti, i suoi gesti erano nervosi e lasciavano trapelare anche una certa fretta.

Non rispose alla sua prima richiesta di spiegazioni, pareva essere di colpo diventato sordo, Monica lo giustificò pensando che alla fine tutta quella musica assordante a cui era abituato gli avesse fatto calare l'udito, e così provò una seconda volta, aumentando sensibilmente il volume.

«Matt, mi hai sentito? Cosa stai facendo?» ripetè, sgranando ancora di più gli occhi.

«Me ne vado» rispose lapidario lui, mentre continuava ad agitarsi in mezzo a quella confusione.

«Ma.. che cosa?» chiese Monica disorientata, avanzando di qualche passo verso di lui.

«É proprio come hai capito, mamma, me ne torno a casa mia!» ribadì con determinazione, continuando a non sollevare la testa.

Monica allora coprì la poca distanza rimasta tra loro con due ampie falcate, poi gli afferrò violentemente un braccio, unico modo che trovò per costringerlo a fermarsi e ad alzare lo sguardo verso di lei, anche se per rivolgerle un'occhiata ostile, come non gliene vedeva fare ormai da settimane.

«Cos'è questa storia? Mancano ancora alcuni giorni al tuo rientro!» gli fece presente la donna, ma Matt continuò a fissarla con quell'espressione astiosa, non intenzionato a cambiare atteggiamento.

«E allora? Ho deciso di anticipare, non ho più niente da fare qui! E poi Gregory non mi sopporta e io non sono più un ospite gradito!» sbottò e con uno strattone si liberò della presa di sua madre.

«Ma non è vero Matt, però cerca di capire! Non gli hai spiegato perchè non eri a casa la mattina della partenza, ha visto Ashley distrutta e pensa che tu l'abbia presa in giro, io ho provato a spiegargli ma tu mi smentisci coi tuoi atteggiamenti chiusi e ostili. Dovreste parlare e chiarire!» cercò di convincerlo, ma il ragazzo non ne volle sapere.

«Ormai ho deciso» disse, chiudendo ogni spiraglio di dialogo.

Monica rimase per un attimo scossa, non era pronta a salutarlo così all'improvviso e non voleva farlo, anche se rimanevano pochi giorni voleva trascorrerli con lui e assicurarsi che si fosse ripreso e addirittura sperava di convincerlo a fare un altro tentativo con Ashley, non si era rassegnata.

Ma vederlo partire in quelle condizioni, con quel morale autodistruttivo, proprio non riusciva ad accettarlo.

Si buttò in ginocchio accanto a lui con disperazione e gli prese il viso con entrambe le mani, le dita si insinuarono tra i capelli di Matt e tirarono un po', procurandogli dolore, la fronte del ragazzo si contrasse come riflesso, mentre i suoi occhi stupefatti rimasero fissi in quelli di Monica. Non si era aspettato un gesto così risoluto da lei.

«Non farlo Matt, ti prego – lo implorò con le lacrime agli occhi – ti ho ritrovato da poco, non mi privare di questi ultimi giorni rimasti, ti chiedo solo questo!»

Il cuore di Matt perse un battito, non ce la faceva a vedere sua madre supplicarlo in quel modo e per quanto non vedesse l'ora di andarsene da quella casa che le ricordava Ashley in maniera insopportabile, l'impeto furioso che l'aveva acceso tutta la notte e mosso la mattina, cominciò a svanire, era diventato troppo sensibile e remissivo quando si trattava di sentimenti per colpa di quella ragazza, i suoi muscoli si rilassarono e l'espressione si addolcì.

Annuì semplicemente senza emettere suono e Monica lo strinse a sé.

«Grazie» gli sussurrò all'orecchio senza sciogliere quell'abbraccio.

«Mi sono indebolito, l'amore mi ha reso fragile e vulnerabile» mormorò, col viso ancora sepolto sulla spalla di sua madre.

«Invece ti sbagli, e te ne accorgerai» lo contrastò Monica, nelle sue parole c'era una sicurezza e un ottimismo che lui proprio non riusciva a cogliere al momento.

Quando sua madre uscì dalla stanza rimase lì per terra, a fissare il pavimento coi pensieri troppo opprimenti, poi si passò una mano fra i capelli per liberarsi la fronte e sospirò pesantemente. Guardò fuori dalla finestra e lentamente riuscì a trovare la forza per alzarsi.

 

Dopo aver pranzato e sopportato il chiasso delle sorelle, Ashley salì in camera sua, si chiuse la porta alle spalle, sentendo il vocio dal piano di sotto attutirsi fino quasi ad annullarsi, si arrampicò sul suo letto e approfittò del silenzio che regnava lì dentro per chiamare la sua amica Sophia.

A lei avrebbe potuto raccontare qualcosa e magari l'avrebbe anche aiutata e consigliata sulla questione in sospeso con Tyler. E poi le mancava e voleva sentirla dopo tutto quel tempo.

Il telefono produsse alcuni squilli prima che la voce cristallina di Sophia le giungesse all'orecchio.

«Bentornata cara! Finalmente ci sentiamo! - esordì l'amica, Ashley sorrise nel riconoscere il suo timbro gioioso, ma non fece in tempo a rispondere che la sua voce incalzò - ho saputo che stai male ma che stamattina non eri a casa, si può sapere com'è possibile?» le chiese, evidentemente Tyler doveva già averle riferito dell'episodio di quella mattina e Sophia nascondeva a fatica una certa curiosità e impazienza di scoprire che diavolo prendesse alla sua amica o per meglio dire, per confermare una certa ipotesi che le frullava nella testa da quando lei era ancora in vacanza dal padre.

«So che può sembrare che io stia dicendo un mucchio di cavolate e magari in parte è vero, ma che sto male è la verità, solo non nel senso che ho una malattia, diciamo così!» tentò maldestramente di spiegarsi.

Un gemito di sgomento le arrivò dall'altra parte della cornetta, facendole piegare le sopracciglia in un'espressione perplessa.

«Oh mio Dio Ashley, sei incinta!» urlò sconvolta l'amica.

«Non sono incinta! Ma che vai a pensare?» ribattè Ashley, rischiando di strozzarsi per la foga di smentire quell'affermazione.

Davvero quella ragazza era allucinante!

«Oh, meno male – esclamò Sophia, enfatizzando il rumore di un sospiro di sollievo – in effetti non era plausibile, ciò avrebbe implicato la presenza di una controparte maschile» la provocò, usando il suo solito linguaggio colto che spesso le attirava le antipatie della gente.

Ashley rimase interdetta, indecisa se considerarsi offesa.

Era davvero così assurda l'idea che un ragazzo avesse fatto ingresso nella sua vita? La consideravano tutti veramente così chiusa e disinteressata ai sentimenti o all'attrazione verso il sesso opposto?

«Beh, magari invece l'ho avuta una controparte maschile!» borbottò, scimmiottando le stesse parole usate da Sophia e trovando così anche un modo rapido e alquanto indolore per confessare il suo segreto.

Un ghigno di compiacimento si dipinse sul viso di Sophia e per fortuna Ashley non potè vederlo dal telefono.

L' aveva portata proprio dove voleva, ormai conosceva Ashley e i suoi punti deboli così bene da riuscire a smascherarla nell'arco di qualche minuto.

«Lo immaginavo, comunque, e volendo azzardare un' ipotesi, direi che si tratta del tipo che abitava con te, giusto?» le domandò.

Ashley rabbrividì, Sophia era proprio inquietante quando si ci metteva.

«Ma come... sei proprio incredibile! Dovresti guardare meno gialli, non capisco perchè ti sei iscritta a lingue e non hai fatto la criminologa o l'investigatrice privata!» dichiarò in lieve imbarazzo.

«Sei tu che sei troppo prevedibile, avevi omesso quel piccolo particolare e pensavi che non me ne accorgessi! E dimmi, è una cosa seria? Ci sei dentro quanto?» le chiese.

«Abbastanza, direi che ci sono proprio sprofondata e adesso non riesco più a risalire, sto malissimo Sophia, non so proprio come uscirne» la voce di Ashley si incrinò inevitabilmente e perse quel tono all'apparenza tranquillo che aveva avuto prima.

Sophia notò quel cambiamento in lei e capì che doveva intervenire.

«Che ne dici se faccio un salto da te, così mi racconti meglio?» le propose senza esitazione.

«Sì, ti aspetto»

Così Ashley fece il riassunto della sua storia con Matt a Sophia, e l'amica capì finalmente come mai in quel lungo mese era stata così distaccata e fredda e per quale motivo si era tenuta tutto dentro. Ashley le sembrava davvero innamorata e non ricordava di averla mai vista così presa da qualcuno prima d'ora, di certo non sarebbe stato facile per lei superare quella delusione, il primo vero grande amore era sempre difficile da dimenticare.

Ovviamente le venne in mente Tyler e qualche brivido le attraversò la schiena.

Quella situazione avrebbe di certo complicato tutto e temeva che quel momento sarebbe arrivato presto.

«Tyler non sarà molto contento di sapere che sei stata con qualcuno quest'estate! Sapessi quante volte mi ha parlato di te e quanto era agitato perchè non ti stavi facendo sentire in questi giorni! Certo adesso capisco anche perchè l'hai fatto, con quel dolore non doveva essere facile riuscire a focalizzarti sul resto» le accarezzò una guancia con la mano.

«Tyler non è il mio ragazzo e di chi sono innamorata o con chi vado a letto non dovrebbero essere affari suoi, o per meglio dire, non dovrebbe interessargli più di quanto farebbe un amico!» dichiarò, incrociando le braccia al petto con fermezza.

Sophia sospirò «E allora perchè lo stai evitando? Se pensi che sia solo un amico perchè non gliene parli tranquillamente come stai facendo con me! - la spiazzò, facendole abbassare lo sguardo che adesso si era accigliato – la verità è che sai benissimo che tu per lui non sei un'amica e non lo sarai mai e hai paura di ferirlo!»

Sophia non voleva fare del male ad Ashley, soprattutto adesso che era così vulnerabile, ma sapeva che se avesse prolungato quell'agonia avrebbe solo peggiorato le cose.

La vide deviare lo sguardo dalla parte opposta alla sua e rimanere in silenzio, probabilmente le stava dando ragione ma non aveva il coraggio di ammetterlo.

Le pose una mano sulla sua delicatamente e provò ad ammorbidire i toni. «So che per te non è facile, ma Tyler ha intenzione di parlarti, Ashley! Me l'ha detto più volte e non potrai farti negare a casa per sempre! Devi essere onesta con lui.»

«Lo so, mi ero ripromessa di sistemare diverse questioni una volta che sarei tornata a casa, ma Matt... lui mi ha scombussolata e ho la testa così piena e confusa che tutti i miei piani stanno andando in frantumi! A volte mi pare di sentirlo, ho la sensazione che sia nella stanza accanto e quando mi rendo conto che non è così mi sento vuota! Ecco, vuota è la parola giusta per descrivere quello che provo. Vorrei tanto poter trovare la forza, quando lui era con me sentivo di poter spaccare il mondo e adesso...mi faccio solo pena» ammise, delle lacrime le volarono giù dagli occhi, finendo sulle sue gambe, Sophia le circondò le spalle e la abbracciò forte.

«Ma la troverai la forza, sono sicura che ce la farai! E poi non perdere la speranza, magari si aggiusterà tutto quando meno te l'aspetti!» la incoraggiò, sperando di infonderle con la sua vicinanza un poco di coraggio, mentre rimasero abbracciate per un po'.

 

Matt aveva imparato col tempo a saper riconoscere quando faceva un cazzata e ciò che aveva appena fatto rientrava di diritto sotto quella definizione.

Una cazzata e anche bella grossa.

Non ricordò nemmeno più quale forza l'aveva spinto a varcare quella soglia e perchè adesso fosse seduto sul letto di Ashley con la testa fra le mani.

Era stato più forte di lui, come preso da un istinto masochista si era trovato a fermarsi davanti alla porta della stanza della ragazza e la sua mano tremante aveva afferrato la maniglia. Stavolta però non si era fermato, l'aveva abbassata. La porta si era aperta senza fare resistenza, non era stata chiusa a chiave, per sua sfortuna.

E così l'aveva sentita forte e chiara la fitta al cuore nel vedere quanto anonima e spenta risultasse ora.

Non sembrava più la sua stanza, il loro rifugio, qualunque traccia di loro due era sparita.

Non c'erano i suoi libri aperti sulla scrivania, né i suoi vestiti sulla sedia o la finestra del terrazzo socchiusa per rinfrescarla dalla temperatura afosa. Il letto non profumava più di lei ma di un odore piatto e asettico che non riconosceva.

Eppure ricordava benissimo tutte le volte che ci avevano fatto l'amore e ci era rimasto a dormire, togliendole spazio nel sonno senza che lei se ne lamentasse. Tutte quelle scene cominciarono a vorticargli in testa una dopo l'altra, senza interruzione, facendogliela girare e sentì la nausea pervaderlo. Si strinse le tempie più forte, come se volesse arrestare i pensieri, ma questi continuavano a scorrere senza pietà.

Com'era possibile che tutto quello che avevano fatto e provato lì dentro fosse sparito come se non fosse mai esistito, spazzato via come polvere senza lasciare traccia? Quel pensiero lo fece impazzire, avrebbe voluto toglierselo dalla testa, dimenticare, ma non ci riusciva, come avrebbe mai potuto?

La voleva con sé, più di prima, voleva che tutti quegli attimi tornassero indietro ma più si rendeva conto che era impossibile più gli veniva voglia di sbattere la testa sul muro per smettere di ricordare.

Che stupido che era stato a entrare lì dentro! Pensava di poterlo affrontare, che fosse già pronto e invece non aveva fatto altro che peggiorare le cose.

Adesso l'unica cosa che voleva era non pensare più, distrarsi, spegnere il cervello o sarebbe esploso.

Abbandonò quella stanza correndo e tornò nella sua, prese il basso e se lo mise sulle spalle. Rilesse il messaggio dei suoi amici che lo invitavano a suonare quella sera e senza pensarci due volte uscì di casa, prima che i polmoni si rifiutassero ancora di respirare.

Suonò per ore, senza sentire la stanchezza, per farsi male, per sfinirsi, finchè il caldo non divenne insopportabile e le gambe cominciarono a non reggerlo più.

Non era solo la fatica fisica che lo stava indebolendo ma anche l'alcool.

Aveva preso a bere, come non faceva forse da anni, quando la sua situazione a casa era stata così pesante da sopportare che alcune sere non riusciva a reggerla e si era lasciato andare a qualche brutta sbronza, finendo per stare più male di prima.

Sapeva che non avrebbe risolto nulla, ma voleva staccare la spina, fosse stato solo per una notte.

Guardava i visi della gente rivolti a lui mentre suonava e nessuno di quelli apparteneva a lei, i suoi occhi grandi, castani chiari non c'erano a sorridergli e più lo realizzava più beveva per dimenticarlo.

Quando la vista cominciò ad appannarsi fu felice perchè almeno non distingueva più nessuno, poteva persino illudersi che Ashley fosse lì, con lui.

Mandy lo tenne d'occhio tutta la sera, con un'espressione severa e preoccupata. Le ritornò in mente come un deja vù il Matt sedicenne, sbandato e senza punti di riferimento, solo ad affrontare i suoi dolori, convinto che annegandoli in quel modo fosse una soluzione.

Per fortuna non era capitato spesso, ed era da quei tempi che non lo vedeva intenzionato a farsi così male.

Jenny accanto a lei la vide fremere: avevano ascoltato i commenti delle ragazze, si era sparsa presto la voce che Matt avesse lasciato la ragazza di quell'estate e che fosse di nuovo sulla piazza e un paio di loro erano già partite all'attacco, anche se lui non le aveva degnate di uno sguardo.

Non gli interessava rimpiazzare Ashley con una qualunque, e di certo non era alla ricerca di un'avventura senza senso. L'unica ragazza che avrebbe voluto accanto, che avrebbe voluto baciare e abbracciare era troppo lontana ormai e delle altre non gli importava.

Non voleva sedurre nessuna, era in uno stato pietoso e con un'espressione accigliata e astiosa che avrebbe scoraggiato chiunque eppure riusciva a risultare bello e attraente anche così, non gli serviva impegnarsi o darsi delle arie da figo, anche in quel momento in cui rimorchiare era l'ultima cosa che voleva ottenere.

Mandy lo osservò posare il basso e con lo sguardo assente dirigersi fuori per prendere aria, mentre si passava una mano sulla fronte, e sbandava leggermente. Qualche ochetta gli andava dietro ridendo ma probabilmente lui non ci stava badando nemmeno per sbaglio.

«Vai a recuperare quell'idiota!» ordinò Jenny a Mandy, leggendo nella mente dell'amica, che non se lo fece ripetere due volte e si catapultò a raggiungerlo.

Lo trascinò via a fatica da un gruppo di ragazze, beccandosi una serie di insulti da quattro soldi, e riuscì a trovare un angolo tranquillo.

Adesso Matt stava anche fumando, barcollava e non riusciva a guardarla negli occhi. La sua espressione sembrava vuota e spenta.

«Cosa vuoi?» chiese lui bruscamente, provando a divincolarsi, ma la presa di Mandy era più forte dei suoi muscoli intorpiditi dall'alcool.

«Pensavo non avessi più sedici anni – gli comunicò fredda, facendogli intendere che aveva ancora chiari in mente i periodi in cui doveva riaccompagnarlo a casa dopo che aveva bevuto troppo - Temevo facessi qualche stronzata. Come cazzo ti sei ridotto?» gli domandò poi a voce alta, tremendamente seria, senza mollare la presa sul suo braccio.

Matt sbuffò, poi scoppiò a ridere beffardo. «Pensavi che volessi farmi una di quelle? Eri preoccupata di questo? - prese a rinfacciarle, puntandole gli occhi in faccia – non mi interessa un cazzo di loro, e comunque ti ricordo che non sono impegnato, non ho nessun legame ed Ashley è lontana e anche lei è libera, capito?» urlò, ma non lo disse con soddisfazione bensì con dolore, nonostante la mente annebbiata riuscì a ricordare con lucidità Tyler e immaginò che adesso potesse esserle vicino, mentre lui non poteva più farlo.

«Matt so che stai soffrendo ma non è questa la soluzione. Non voglio vederti reagire così! Ti voglio bene lo sai» gli disse, addolcendo gli occhi e la voce.

Mandy era una delle poche persone di cui Matt sapeva potersi fidare ciecamente e sebbene volesse stare solo e rinchiudersi nella sua sofferenza, provò il bisogno di sentirsi protetto e compreso e improvvisamente si gettò tra le braccia dell'amica, cercando il suo conforto come un ragazzino sperduto.

Mandy barcollò e per poco non rischiò di finire a terra, Matt non stava bene in equilibrio e non controllava il suo corpo e il suo peso sembrava raddoppiato, lei era alta meno di un metro e sessanta e lui la sovrastava di molto.

Lentamente e a fatica lo sorresse e lo abbracciò, accarezzandogli i capelli come tante volte aveva fatto anni prima.

«Non riesco nemmeno a piangere, ci credi? So solo che mi manca da morire e stasera volevo non pensare a nulla, volevo liberarmi di lei anche solo per qualche ora, è così sbagliato?» si sfogò, aveva troppo bisogno di farlo e inutilmente si era convinto di potersela cavare da solo.

«Non lo è, ma così ti fai solo del male. Se la vuoi vattela a riprendere. Và da lei, cazzo!»

Matt spalancò gli occhi a quelle parole crude, quel pensiero sfiorò la sua mente come una dolce carezza e per un attimo credette di poterlo fare davvero, di poterla rivedere e stare con lei, ma poi l'oscurità si impadronì di nuovo di lui.

«Non posso, non posso, non voglio ripiombare nella sua vita e sconvolgergliela, sarebbe ancora più inutile adesso. Io non...» ma non riuscì a finire la frase perchè il suo corpo cedette, le forze lo abbandonarono e la voce gli morì in gola. Gli effetti della sua alzata di gomito gli arrivarono tutti in una volta e Mandy fu costretta a farsi aiutare dai loro amici per sorreggerlo e riaccompagnarlo a casa quando fu di nuovo in grado di camminare.

«Mi raccomando, ce la fai?» chiese Dylan dalla sua auto, accertandosi che fosse in grado di salire a casa sua.

«Si tranquilli, potete andare» li rassicurò Matt, ma la sua testa continuava a girare e girare, con molta difficoltà aprì la porta di casa e la richiuse, poi le chiavi gli caddero per terra, emettendo un tonfo metallico abbastanza forte. Si appoggiò al muro per evitare di sbandare e urtare qualcosa, facendo svegliare sua madre, eventualità che voleva evitare a tutti i costi. Non voleva che si preoccupasse e men che meno che lo vedesse in quelle condizioni, non ora che stavano ricostruendo quel rapporto tormentato.

Lentamente strisciò sul muro, alla ricerca dell'interruttore della luce, non ricordava più esattamente dove fosse e le sue mani si aggrappavano alla parete senza successo, alla fine sentì le gambe cedere.

In quel momento la luce si accese, ma non erano state le sue dita a schiacciare il pulsante o almeno così gli era sembrato, ma poteva anche essersi sbagliato data la sua attuale poca percezione del mondo.

Invece era proprio così e davanti a lui si stagliò la figura di Gregory: si era alzato per andare in bagno e poi aveva sentito dei rumori sospetti provenire da sotto ed era andato a controllare.

Di certo non si aspettava però di trovarsi di fronte Matt, completamente ubriaco.

Il ragazzo ebbe solo il tempo di ammiccare con gli occhi e riconoscerlo che crollò in ginocchio sul pavimento, con la testa china, pesante come un masso.

Gregory si avvicinò a lui in fretta e si piegò per sorreggerlo, gli sollevò la testa e vide i suoi occhi assenti ed estraniati.

«Matt, ma stai male? - gli chiese allarmato, poi osservando meglio capì che il problema era diverso – tu sei... ubriaco?» esclamò incredulo, tentando di rimetterlo in piedi, visto che Matt non collaborava.

«Tranquillo ce la faccio – provò a rassicurarlo, ma senza successo – sto bene, ho già vomitato fuori, quindi...» continuò, ancora troppo incosciente per rendersi conto di ciò che diceva.

Gregory rimase spiazzato, non sapeva bene come comportarsi, con Ashley non gli era mai capitato di trovarsi in una situazione simile e anche se da giovane qualche volta aveva esagerato un po' con gli amici, non ricordava di essere mai arrivato a stare così male.

Si chiese cosa avesse spinto quel ragazzo a ridursi in quello stato, era la prima volta che lo vedeva così devastato.

«Ma, perchè l'hai fatto? Che ti è preso?» gli chiese, mentre posizionava un braccio di Matt sulle sue spalle per alzarlo e riuscire a portarlo quanto meno a sedere in cucina.

«Vuoi sapere perchè? Lo vuoi sapere davvero? - prese a chiedergli Matt, senza il controllo della sua lingua – perchè mi sono innamorato di tua figlia, la amo da morire!» gli confessò, senza freni o inibizioni, troppo annebbiato per capire che stava rivelando i suoi sentimenti al padre della ragazza che amava. Forse fu solo una sua impressione, ma gli parve di sentirsi un poco meglio, più leggero, dopo avere gridato quelle frasi.

Gregory trasalì, si fermò e per un pelo non rischiò di far scivolare Matt per terra.

Quella confessione lo colpì come un fulmine a ciel sereno, si era convinto che Matt avesse giocato coi sentimenti di sua figlia, ma adesso che lo teneva tra le braccia gli sembrò tutto tranne che qualcuno che si era divertito ad approfittare dell'amore di una ragazza.

Sembrava lui la vittima e non il carnefice, debole, annientato e disperato.

Lo guardò senza riuscire a dire nulla, ma Matt lo tolse da quell'imbarazzo, riprendendo a parlare.

«So che mi odi e so che mi sono comportato da vero stronzo ieri, scappando senza nemmeno salutarla, ma devi sapere che l'ho fatto perchè non sopportavo di vederla andare via anche se dovevo lasciarla libera! Ashley è stupenda, è intelligente ed è tutto quello che non sono io, non può perdere tempo con me, deve andare per la sua strada e io l'avrei solo rallentata! So che soffre e mi maledico ogni giorno per come sono andate le cose, ma l'ho fatto per il suo bene, credimi! Mi dispiace tanto Gregory!» e prima che potesse accorgersene delle lacrime colarono sul suo viso, le aveva cercate da tanto ma erano state latitanti per anni.

Gli rigarono calde il viso ed era bello, per la prima volta dopo anni ne assaporò la sensazione dolce sulla pelle, il sapore salato di quelle che si insinuavano tra le sue labbra, la liberazione che portarono col loro arrivo, e si abbandonò al pianto, senza vergognarsi, senza pensare che un uomo non dovrebbe mai piangere, fregandosene alla grande di tutti quei pregiudizi o che si trovasse davanti a Gregory.

Lui a sua volta, dopo la meraviglia iniziale per ciò che aveva appena sentito provenire da quel ragazzo, che tanto ingiustamente aveva accusato, capì quanto si era sbagliato e dopo un primo imbarazzo per la situazione a cui non era preparato, lo abbracciò e gli permise di sfogarsi.

«Va tutto bene, non ti odio Matt, scusa se ti ho fatto pensare questo, non avevo idea di quanto stessi soffrendo» gli mormorò all'orecchio.

Dopo un po' Matt riprese coscienza e gli effetti della sbronza cominciarono a scomparire, lasciandolo solo abbastanza malandato e con un mal di testa epico.

«Ti preparo un caffè, ti farà stare meglio» si offrì Gregory, avvicinandosi alla macchina e prendendo l'occorrente dagli scaffali della cucina.

Matt era seduto e stava accasciato sul tavolo, con le braccia incrociate e la faccia poggiata sopra.

Il mal di testa lo stava distruggendo e non riusciva a tenerla dritta, per non parlare della figuraccia che aveva appena fatto con Gregory. Adesso che ragionava si ricordò delle cose che gli aveva rivelato poco prima e, anche se non se ne pentiva, lo colse un forte imbarazzo al punto da non essere capace di guardarlo.

Giurò a sé stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta che si ubriacava.

Gregory di tanto in tanto si voltava per osservarlo, ma l'unica immagine che vedeva era sempre lui curvo sulla sedia e la sua testa bionda riversa sul tavolo.

«Ti prego non dire niente a mia madre» la sua voce gli giunse attutita, perchè il ragazzo aveva parlato col viso ancora nascosto dalle braccia.

«Tranquillo, non lo farò. Tu però adesso cerca di riprenderti»

Matt sollevò appena il viso, attratto da profumo del caffè e vide Gregory, seduto accanto a lui che gli porgeva una tazza.

«Grazie» sussurrò e la prese, portandosela alle labbra, il liquido nero scottava e lo costrinse ad allontanarla subito.

Gregory gli sorrise e Matt si sentì un poco meglio e meno a disagio. Almeno non era stato un totale disastro, era riuscito a salvare il rapporto con lui e quello era già un miracolo.

I due passarono almeno un'altra ora a parlare e quella nottata si rivelò più lunga del solito e fortunatamente, tutto sommato, ebbe un esito positivo.

Quando Matt si mise a letto era quasi mattina, si infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi, cercando di dormire, ma una voce voleva impedirglielo.

'Vattela a riprendere'

Continuava a ronzargli in testa eppure adesso non era più ubriaco.

'Và da lei'

Le parole di Mandy erano rimaste scolpite dentro di lui e non ne volevano sapere di stare in silenzio. 

  
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