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Autore: NihalDellaTerraDelVento    05/11/2016    0 recensioni
Hope è un ragazzo di ventiquattro anni. Ha una vita normale. Ma spesso sogna e vede cose strane, come se fossero ricordi. Forse non è niente, forse è il preludio a qualcosa di più.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hope, Lightning, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era in ritardo mostruoso. La lezione era iniziata da mezz’ora e Hope ancora sfrecciava tra i marciapiedi della città, ad almeno dieci minuti dalla facoltà.
Quella giornata era appena iniziata e già era un inferno. Testimoni i suoi occhi cerchiati di nero, medaglia d’onore di una notte passata a rigirarsi nel letto. E la sua dannata auto? Doveva scegliere proprio quella mattina per non partire! Con tutti i giorni disponibili!
Ciliegina sulla torta: perse il bus.
Insomma se il buon giorno si vede dal mattino Hope era convinto che avrebbe fatto meglio a rinchiudersi in casa e buttare la chiave.
Invece andò dritto in facoltà, perché tutto poteva capitare nella vita, ma non che Hope Estheim si perdesse una lezione. Ad un passo dalla laurea, poi.
Ma i suoi pensieri non erano per l’università o per il suo futuro.
Hope correva tra i passanti ancora assorbito dal sogno della sera prima, come se correndo potesse lasciarselo alle spalle.
Ma era indelebile nella sua mente, un chiodo fisso che si infiltrava attraverso ogni altro suo pensiero fino ad annullarlo.
Già il sogno – o incubo? – di per sé era parecchio strano ed esotico, con qui combattimenti e quelle creature strambe. Insomma! non aveva mica quattordici anni!
Ma, la cosa che, fantasticherie preadolescenziali a parte, non aveva, tuttavia, il benché minimo senso e che lo turbava maggiormente era quella parola.
Light.
Che voleva dire? Da dove era venuta fuori?
Si stava distruggendo la testa a furia di capirlo.
Alla fine, si convinse che in realtà intendeva dire “luce” (vedere i telefilm in lingua originale prima di andare a letto chissà che effetto aveva avuto sulla sua testa), e l’unica luce del sogno era quella dell’alba, quindi doveva essere stato colpito da quest’ultima, anche se, a dire la verità, non si sentiva così impressionato da quel fenomeno.
Boh. Non che avesse senso, ma di certo ne aveva più di prima.

Così fantasticando continuò a correre, nella sciocca speranza di scappare dai quei pensieri assurdi, e, distratto, quasi finì addosso ad una bambina. Una piccola monella di circa tre anni che, senza dubbio, cercava di evadere dall’asilo lì vicino.
Si può ben dire che non tutti i mali vengono per nuocere: se non ci fosse stato Hope, la bambina avrebbe raggiunto la strada.

-NORA!!-

Solo un essere al mondo poteva emettere un urlo del genere: una madre terrorizzata. Ad Hope quasi dispiacque per quella piccolina a cui, di certo, aspettava una grande ramanzina. Sembrava un piccolo putto spaventato con le sue guanciotte, i tondi occhioni blu e i capelli biondi, divisi in due codine ribelli.

-Non si preoccupi signora, fortunatamente sono riuscito a..-

Niente. Non ricordava più niente di quello che stava per dire.
Una donna, circa della sua età, gli stava vendo in contro.
Vederla fu come uno schiaffo. Ogni frase coerente sparì dalla sua mente, lasciando spazio solo a quella donna.
Lui la conosceva, ne era certo. Ma, allora, perché si sentiva come se la incontrasse per la prima volta? Aveva dei lunghi capelli rosa, portati in una coda laterale e due grandi occhi azzurri scintillanti di preoccupazione. Era così simile a… a qualcuno. Non sapeva chi, ma sapeva che gli somigliava dannatamente.
Nella sua mente risuonò ancora quella parola – light – ma, se c’era un nesso, a lui sfuggiva.
La donna, d’altro canto, fu parimenti stupita di trovarselo di fronte. La sua piccola bocca face una “o” perfetta e subito il suo volto si sciolse in un caldo sorriso, come quello di una madre. O di una sorella.

-Hope?-

­-Co.. Come fai a sapere il mio nome?-

Ad Hope parve vedere un lampo di delusione negli occhi della donna, ma non poté dirlo con assoluta certezza, poiché, rapido com’era arrivato, scomparve. Lei restò in silenzio brevemente, mordicchiandosi il labbro e riflettendo. Improvvisamente, sorrise.

-Ma come? Non ti ricordi di me? Sono Serah! Serah Farron! Andavamo insieme alle elementari, anche se eravamo in classi diverse.-

Ad Hope qualcosa non quadrava, si sarebbe certo ricordato una ragazza così particolare però…
Serah. Serah Farron. Conosceva quel nome, aveva il gusto che hanno i dolci ricordi. Ma quali ricordi?
Non lo sapeva. Come poteva non saperlo se quella donna gli era così familiare? Si sentì nuovamente come in quel sogno, circondato dalla nebbia.
Ed, improvvisamente, si bloccò.

Vide Serah, ma non la Serah che gli stava di fronte. Ne vide una diversa. In un luogo che lui non aveva mai visto, circondato da strane rovine. Quella Serah gli sorrideva, rassicurante, e dopo, con assoluta determinazione, saltava in una specie di vortice luminoso. Ed Hope rimase lì, a fissare quel varco chiudersi. Spaventato e determinato. Al nulla che prima aveva ospitato Serah disse: - Ci vedremo presto. Te ne prego, salvala!-

-Hope? Ci sei?-

Hope si riscosse. Era confuso e spaventato. Per la prima volta in quelle sue visioni vide un volto, uno non oscurato dalla foschia. Perché ora? Perché quello di Serah?

-Sicuro di stare bene?- Serah lo fissò preoccupata. Forse anche troppo preoccupata, secondo Hope. In fondo, stando a quello che diceva, lui era solo un suo vecchio compagno di scuola. O no?

-S…Si. Scusa. E’ che ho passato la notte in bianco e ho parecchio sonno arretrato.-

Proprio in quel momento la bimba, che era rimasta in silenzio, colpevole, si rivolse alla sua mamma.

-Mami.. Puniscione?-

Serah la guardò con cipiglio severo.

-Lo puoi ben dire, signorina! Cosa ti è saltato in mente di scappare così? In mezzo alla strada! Se non ci fosse stato Hope ti saresti potuta fare male! Lo sai? Certe volte mi chiedo cosa ti passi per la testa, Nora.-

-Scusa, mami.-

-Uhm va bene. Ma la punizione resta lo stesso. NON-FARLO-PIU’!-

Hope guardò quella piccola scenetta familiare quasi divertito dall’espressione della bambina. Si abbassò fino a guardarla nei suoi tondi occhi celesti.

-Nora, eh?- disse -Lo sai, piccolina, che hai lo stesso nome della mia mamma?-

Nora si imbarazzò tantissimo. Divenne tutta rossa e si ancorò alla gamba della madre. Serah sorrise, stringendola.

-Nora è un nome molto caro a mio marito. Ci siamo conosciuti alle medie e non ci siamo lasciati più. Lui a quei tempi era un vero ribelle, la nemesi di tutti i professori. Arrivò a fondare, con altri suoi compagni, un gruppetto e lo chiamò NORA. Un acronimo per Niente Obblighi, Regole o Autorità! Una cosa sciocca, ma a quei tempi lo faceva sentire così forte avere un suo gruppo. Poi gli anni passarono, gli amici si persero e, quando io rimasi incinta, mi propose di chiamare il bambino Nora, nel caso in cui fosse stata una femmina. Perché ora avevamo il nostro, di gruppo.-

-Bhè mi sembra una persona dolce tuo marito, anche se strambo.-

-Oh si, Snow è sempre stato uno sciocco!-

-Snow?-

-Si, mio marito. Snow Villers.-

Fu l’ennesimo flash.

Non era più in marciapiede in una fredda mattina di Marzo. Era in una città, anche questa sconosciuta, il sole tingeva tutto di quella luce surreale e piena di calma tipica del tramonto. Tra le mani teneva un coltello, un oggetto importante, ne era certo, in netto contrasto con quel polso sottile e quelle piccole dita. Non camminava, lo portava sulle spalle uomo. Le spalle così larghe da contenere il suo corpo da ragazzino, i capelli biondi quasi bianchi alla luce del sole morente.

-Lei non c’è più Snow. Puoi riconoscere la tua colpa, ma non la ripoterà qui- si sentì dire, con quella voce bianca da ragazzo.

-Perdonami.- rispose l’uomo. La voce roca e profonda rotta dal senso di colpa e dal dolore.

-Lo sapevo. Lo sapevo dall’inizio, ma dovevo accusare qualcuno… dovevo. Avevo bisogno di una ragione per andare avanti- disse Hope riponendo il coltello, la sua determinazione incrinata da una sofferenza indicibile.

-Non è colpa di “qualcuno”. E’ colpa mia. Prenditela con me. E pensa a vivere, finché puoi-

Anche questo finì così come era iniziato. Hope era ancora d’avanti a Serah, pallido e sudato. Era assurdo, un’altra visione! Non erano mai state così frequenti. Ne era terrorizzato. Voleva scappare, fuggire da Serah. Da quando l’aveva vista era peggiorato
.
-Hope! Sicuro di star bene?- Serah era sempre più preoccupata, non sapeva che fare. Provò a sfiorargli la spalla ma Hope si scansò con uno scatto.

-Io… Si, sto bene. Non ti preoccupare Serah. Io… Mi dispiace, devo andare. Sono in ritardo e… bhé, ciao.-

Parlò senza guardarla negli occhi, la fretta di fuggire sembrava pressargli lo sterno. Fu un sollievo girare i tacchi e correre via. Voleva mettere più distanza possibile tra lui e quella donna.
Serah lo guardò scappare via, conscia delle sue paure, ma impotente.

-Chi ela, mami?- chiese Nora.

-Una persona speciale, tesoro. Un vecchio amico di mamma e papà.-

-Lo pottiamo a casa?-

-Ah! No, piccola. Hope deve tornare dalla sua mamma. Anche se…- Nora gli fece venire un’idea. Prese la bimba, parecchio confusa, in braccio e corse in contro al ragazzo.

-Hope! Aspetta!-

Lui si girò, palesemente di mala voglia. Serah poggiò a terra Nora e prese penna e foglio dalla borsa. Scarabocchiò sopra qualcosa, per poi porgere il foglio ad Hope, che la guardava interrogativo.

-Questo è il nostro indirizzo di casa. Ti prego, se hai bisogno vieni a trovarci. Qualunque problema, qualunque domanda- gli occhi della ragazza erano ardenti, pieni di sottintesi – qualunque dubbio tu abbia, io e Snow siamo con te.-

Hope prese il foglietto e se lo mise in tasca annuendo impercettibilmente. Poi si voltò e continuò a scappare.
Non sarebbe mai andato in quella casa.
Mai.
   
 
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