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Autore: xhimmelx    06/11/2016    3 recensioni
Khloe ci prova a combattere contro i fantasmi del passato, ma sa che provare non basta. E allora si lascia sconfiggere da questi, più meschini e prepotenti di lei, cadendo quasi ogni notte in un abisso di rancore.
Cameron, invece, si ritiene più forte di tutti quei pensieri che le riempiono la testa ed è con sicurezza che le promette di aiutarla.
Una sicurezza che Khloe sembra odiare ma a cui, in fondo, è costretta ad aggrapparsi.
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FF SU CAMERON DALLAS.
ATTENZIONE: IL RATING DELLA STORIA POTREBBE CAMBIARE.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cameron Dallas, Nash Grier, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9.

 
 
 
È come se tutto ciò per cui lottavo si fosse disgregato in mille piccoli pezzettini. Ogni mia speranza è stata tradita: è finita male anche questa volta. Ho speso nottate intere a decidere quale fosse la cosa migliore da fare, migliore per me stessa, e alla fine mi sono convinta a dargli un’altra possibilità. E, cazzo, Grayson sembrava esserne così felice. Per i primi giorni non ha fatto altro che scrivermi, scrivermi e ancora scrivermi. Mi ha raccontato di tutto ciò che gli era successo, di quello che mi ero persa, dei suoi problemi con Grace, ed io, come una stupida, non ho saputo fare altro che inginocchiarmi e disinfettargli le ferite perché, a costo di accantonare le mie sofferenze, avrei fatto di tutto per fare stare bene lui.
Poi, all’improvviso, tutto è cambiato. O meglio, tutto è tornato esattamente come prima: silenzio. Non ho avuto alcun bisogno di chiedere a Grayson che fine avesse fatto, perché sapevo che, ancora una volta, avesse scelto lei anziché me. E la consapevolezza mi ha distrutta, così sono crollata. Ho pianto per tutta la notte, per quattro giorni consecutivi. Sono riuscita, pian piano, a convincermi del fatto che lui non meriti le mie lacrime, eppure non riesco a capire perché, nei miei sogni, continuo a vedere sempre e solo lui.

Sono stufa, stufa di questa vita che sembra essermisi rivoltata contro.
 
◊◊◊

Lo ripeto: adoro da impazzire Beverly Hills, ma niente è più stancante di lavorare al Kings Road per cinque ore consecutive. È una routine alla quale sono abituata, ormai, uscire da scuola alle due del pomeriggio, dirigermi immediatamente al locale per poi staccare quando ormai fuori è sera. È per questo che, spesso e volentieri, mi vedo costretta a portarmi dietro i compiti, nella speranza di avere almeno quindici minuti liberi.
Allo stesso modo, oggi, sono riuscita a trovare un po’ di tempo per eseguire degli odiosi esercizi di matematica, mentre la clientela sembrava scarseggiare un po’. A causa dello studio e, probabilmente, del fatto che sono fuori casa da ben undici ore, non vedo l’ora di uscire da questo posto. Dunque, subito dopo che l’orologio segna le otto di sera ed un collega arriva a darmi il cambio, mi affretto ad infilare tutte le mie cose nella borsa e ad uscire dal Kings Road, dopo aver salutato tutti quanti.
La sola cosa di cui ho bisogno, in questo momento, è del sano e puro relax. So dove andare.
 
Dopo un tragitto lungo trenta minuti pieni ed una telefonata a mia madre, sono riuscita ad arrivare, con la mia auto, al Griffith Park. È uno dei posti a cui tengo di più, questo, uno dei più belli di tutta Los Angeles. È l’ideale per chi, come me, necessita di un po’ di tranquillità e solitudine e non desidera nient’altro che perdersi fra il verde della natura.
Ci venivo spesso, da piccola, insieme a mamma e papà. Allora avevamo molto più tempo a disposizione da dedicare alla famiglia, soprattutto nel fine settimana; poi, però, mamma ha cambiato lavoro e si è vista costretta a dire addio alle nostre belle uscite. Si sente spesso la mancanza di quei tempi spensierati, per questo non ho mai smesso di venire qui non appena ne trovo l’occasione. Insomma, come non si può amare un posto come questo, dove ogni pensiero e preoccupazione si sminuisce in confronto alla sua maestosità?
Non mi sono mai considerata una persona sportiva, eppure persino fare jogging diventa interessante, qui. Quindi, non appena parcheggio la macchina nella posizione per me più comoda, mi munisco di acqua e comincio il mio percorso. Corro per più di quaranta minuti, corro lungo quel viale che ormai conosco bene e corro attraverso il verde degli alberi, sotto il cielo già scuro. Corro finché non mi sento troppo stanca da fermarmi. Dopo essere arrivata al mio traguardo ed aver fatto una piccola pausa, infatti, mi decido a tornare indietro. Ed è proprio in questo momento, mentre cammino a passo lento e stanco, che la mia mente non riesce più a respingere i miei pensieri. Adesso che sono molto più concentrata su tutto quello che mi circonda, mi tornano in mente i problemi che avrei dovuto lasciarmi alle spalle venendo qui. E in parte ci sono riuscita, credo. Ripenso infatti a Grayson e al mio messaggio chilometrico e, forse grazie a questa lunga ed intensa corsa, non mi trovo affranta dal ricordo; per la prima volta, credo che non mi interessi più di tanto dovergli dire un addio definitivo. È come se questo suo silenzio stia pian piano sciupando i sentimenti che provo nei suoi confronti, dei sentimenti troppo forti ma decisamente estenuanti. Come se mi stessi lasciando andare, esausta, al volere del destino.
Perciò mi scopro stranamente sollevata non appena arrivo nuovamente alla mia auto, venendo immediatamente distratta dal brontolio del mio stomaco che, certamente, ha bisogno di un po’ di cibo. Salgo quindi in macchina il più velocemente possibile e, dopo aver messo da parte la bottiglietta d’acqua ormai vuota, sono pronta a partire. La macchina, però, non si accende. Provo una, due, tre volte, provo all’infinito finché l’occhio non cade sull’indicatore di carburante e mi maledico acidamente, costatando di aver dimenticato di fare il pieno a causa della mia deviazione al parco.
Appoggio la testa sul sedile, mentre cerco di trovare una soluzione che non includa nessuno dei miei genitori: passo in rassegna ognuno dei miei amici e, dopo aver ricordato che Violet è impegnata con lo studio per il test di domani e che Brent usa solo la macchina di suo padre, non mi resta che provare con Aaron. Mi affretto quindi a comporre il suo numero sul telefono e lo chiamo, aspettando con ansia che risponda. Il cielo, intanto, si fa più buio e stellato man mano che i minuti passano.
-Hey, Khloe! Dimmi!-  
Non appena sento la voce del ragazzo dall’altro lato del cellulare, mi affretto ad informarlo della mia situazione.
-Ciao, Aaron! Dovresti farmi un immenso favore: sono al Griffith Park e la macchina è a corto di benzina, potresti venirmi a prendere?-   Lo supplico con una voce dolce, sperando di non causargli problemi.
Aaron sembra pensarci un po’ su, prima di darmi una risposta.   –Ho appena finito gli allenamenti ma il coach vuole trattenermi ancora un po’. Manderò qualcuno dei miei amici, va bene? Ti faccio sapere il prima possibile.-
-Va bene.-   Acconsento, nonostante poco dopo un piccolo sbuffo fuoriesce dalle mie labbra.
In tutta onestà, non mi interessa neanche sapere chi manderà, né risultare un peso per gli altri. Sono le dieci di sera e voglio solo tornare a casa. Stacco quindi la telefonata, dopo aver ringraziato e salutato Aaron, e aspetto in macchina in attesa di ricevere notizie. Ne approfitto, nel frattempo, per mandare un messaggio a mia madre e farle sapere che va tutto bene, dicendole che ho cenato insieme a Violet e fingendo che tutto ciò non stia davvero succedendo. L’ultima cosa che voglio è starmene qui, in mezzo alla foresta, a sentire le sue lamentele via telefono.
Pochi minuti dopo, comunque, il mio telefono si illumina di nuovo ed Aaron mi fa sapere che “è tutto risolto”, perciò non mi resta che aspettare. Aspetto per altri lunghi minuti, maledicendomi nella mia testa per aver avuto l’idea di arrivare fin qui a tramonto inoltrato. Poi, insieme ai miei alleluia, un’auto nera si avvicina alla mia e si accosta poco lontano. Deve essere sicuramente l’amico di Aaron e, nonostante io non abbia idea di chi o cosa aspettarmi, rimango ancora più stupita nello scoprire Cameron al suo interno. Quando questo scende poi dalla macchina, mi accorgo di aver ragione. Accidenti, fino a poco fa non avrei nemmeno ritenuto Aaron e Cameron “amici”.
“Beh, sempre meglio di un completo sconosciuto” mi consolo immediatamente, cercando di eliminare l’imbarazzo che mi assale al solo ricordo del nostro ultimo incontro.
Scendo quindi dalla mia auto e gli vado incontro, salutandolo sorridente a mo’ di ringraziamento. Faccio poi per salire nella sua auto, ma mi fermo non appena il ragazzo estrae qualcosa dal cofano.
-Ho preso della benzina.-   Mi comunica quindi, sollevando un recipiente con la mano destra.
-Grazie mille.-   Sospiro dunque, molto più sollevata. Ciò significa che non dovrò fare un tragitto di trenta minuti nella stessa macchina con Cameron.
Dopo aver messo il carburante nella mia auto, perciò, lo ringrazio ancora una volta per essere venuto fin qui e faccio per aprire lo sportello, ma lui mi interrompe.
-Che ci facevi qui a quest’ora, comunque?-   Mi domanda, guardandosi intorno come per cercare di capire.
Mi avvicino di nuovo a lui e   -Ho corso un po’.-   spiego, ricordandomi inoltre di essere parecchio sudata e, con il fresco che c’è a quest’ora, potrei benissimo prendermi un raffreddore.
Cameron mi osserva inizialmente sbalordito, pensando sicuramente che solo un pazzo potrebbe spostarsi da scuola a lavoro e da lavoro a fare jogging senza tregua. Nei suoi occhi, che sembrano prendermi in giro, riesco a scorgere subito un’espressione stranita e curiosa.
Così   -Vengo qui ogni volta che posso.-   mi giustifico, nel tentativo di togliermi il suo sguardo di dosso.    –Mi è sempre piaciuto.-
-Come mai? È solo un… parco.-    Mi chiede Cameron. E non intende sminuire questo posto, con la sua domanda. Lo capisco dalla luce che brilla nei suoi occhi: vuole solo saperne di più.
-Lo conosco da quando ero piccola. Voglio dire, tutti lo conoscono, ma per me è diverso. È il mio posto preferito in tutta Los Angeles, e ne ho visti di posti belli! Ci sono dei bei ricordi, qui… è come se correndo in mezzo a questi alberi riuscissi a sfuggire per un attimo dalla realtà.-
Cameron pare essere stato rapito dalle mie parole, eppure non credo di aver detto chi sa cosa. È la semplice verità, questa: in una città affollata e confusionaria come la nostra, sono riuscita a trovare un rifugio.
Una volta ci ho persino portato Grayson. “Ti do l’onore di entrare in casa mia” gli avevo detto, conducendolo fin qui con la sua auto, e lo avevo fatto camminare finché non arrivammo al traguardo, laddove mi fermo ogni volta che vengo a correre. È la cima di una collinetta, circondata interamente dal verde e, giuro, ci si sente come il re del mondo lassù. Dicevo, ci portai Grayson e, col fiatone, gli rivelai quanto gli volessi bene. Ricordo perfettamente che sentii qualcosa di sbagliato, in quel momento, qualcosa di sbagliato in quelle parole e dentro di me. “Cosa c’è che non va?” mi domandai fra me e me, cercando di comprendere dove fosse l’errore nonostante, a giudicare dall’espressione compiaciuta e felice di Grayson, sembrasse tutto perfetto. Due mesi dopo cominciai a capire, capii che quello che provavo per Grayson non fosse più solo semplice affetto.
A causa di tali ricordi, nel giro di un secondo mi ritrovo con il telefono fra le mani mentre, con Cameron ancora di fronte a me, non mi trattengo dall’aprire la chat con Grayson. Nonostante poco prima mi fossi illusa del contrario, in cuor mio so che potrei aspettare in eterno una sua risposta. Cerco comunque di ignorare la fitta al cuore che sento all’improvviso e sollevo di nuovo il mio sguardo, rivolgendo a Cameron un sorriso leggermente forzato. Il ragazzo pare rendersi conto del mio umore inspiegabilmente più cupo e, lanciando un’occhiata furtiva verso le mie mani, capisce. Mi basta cogliere l’espressione contrariata nei suoi occhi per constatare che sì, ha capito tutto. Ed eccomi ancora una volta qui, debole di fronte a Cameron.
Stavolta, però, non comincia con una delle sue solite prediche, né insiste sul farmi cambiare idea. Al contrario, afferra in modo insolito la mia mano e comincia a camminare frettolosamente.
-Seguimi.-   Mi istruisce, mentre io faccio fatica a stargli dietro.
È in momenti come questi che detesto la mia statura, decisamente più bassa rispetto a quella di chiunque altro. Abbandono questi stupidi pensieri, comunque, non appena riesco ad intravedere la meta e, a questo punto, mi ci vuole un secondo per capire dove Cameron voglia arrivare.
-Stiamo andando all’osservatorio, per caso?-   Gli domando infatti, notando di fronte a noi un palazzo bianco talmente grande da mozzare il fiato.
Sormontato da tre enormi cupole ed arricchito da una miriade di luci che provengono dall’interno, è uno dei principali punti di forza di questo posto.
-Sì, ed è meglio muoversi dato che sta per chiudere!-   Esclama Cameron davanti a me, quasi esausto.
Vorrei chiedergli perché diamine mi ha condotta fin qui ma, per una buona volta, mi costringo a tenere la bocca chiusa e a vivere il momento per quello che è. A distanza di pochi minuti, infatti, arriviamo alle porte dell’osservatorio e, nonostante dobbiamo supplicare gli addetti a causa del tardo orario, riusciamo comunque ad entrare. Cameron mi guida verso l’ascensore, facendomi capire subito di voler arrivare al terrazzo. Una volta arrivati a destinazione, una vista panoramica di Los Angeles si apre davanti ai nostri occhi.
È una delle cose più belle che abbia mai visto: sotto di noi, la città è ricca di luci, suoni, veicoli e persone che, viste da qui, non sono altro che dei puntini quasi invisibili. Ho sempre saputo quanto grande e popolato questo posto fosse, ma è come se riuscissi a realizzarlo solo venendo qua su. Ed era da troppo tempo che non accadeva. Trattengo il fiato per un po’, colpita dalla bellezza di questo istante: Cameron ha lasciato la mia mano pochi secondi fa e non posso fare a meno di sentirmi libera, libera come mai prima. Se mi concentro per bene, posso sentire qualche uccello cantare sopra di noi, il vento soffiare piano e le foglie degli alberi spostarsi, provocando un fruscio rilassante. Chiudo gli occhi, quindi, e mi lascio andare: inalo l’aria fresca, che ci investe come se fosse tempesta.
Non appena riapro gli occhi noto un sorriso soddisfatto sul viso di Cameron, che sta ancora osservando il panorama.
-Che c’è?-   Gli chiedo infatti, spronandolo con una risata spontanea.
Il ragazzo emette un piccolo sospiro, prima ancora di potermi rispondere.  –Quanti abitanti credi che ci siano, a Los Angeles?-   Mi domanda poi a sua volta, girandosi finalmente verso di me.
-Circa dodici milioni.-   Rispondo prontamente, ricordo di averlo letto su chi sa quale statistica. Ma sono un po’ confusa.   –Perché?-
-È possibile, Khloe, che fra tutte queste persone tu non riesca a sostituire quell’idiota?-
 
 



 
 
 
 
XHIMMELX.
Salve a tutti, ragazze! Come state?
Khloe, in questo capitolo, sta decisamente bene ahahah.
Beh, nonostante ci sia ancora una piccola parte di lei che pensa a Grayson nei momenti meno opportuni (come è ovvio che sia), dall’altro lato c’è anche il suo istinto che la sta portando piano piano ad aprirsi con Cameron, perlomeno a non mandarlo più a fanculo.
Bho, questo episodio al Griffith Park e all’osservatorio io lo trovo carinissimo, per non parlare della frase finale di Cam che, come al solito, sa sempre come chiudere col botto eheh.
Cameron sa che fra tutte quelle persone qualcuno che merita le attenzioni di Khloe c’è, vuole solo che lo capisca anche lei. Vediamo quando questo succederà…
Intanto vi saluto con questo capitolo, ci si rivede la prossima settimana!
PS: Per evitare che qualcuno faccia confusione, preciso che il pezzo di diario (quello scritto in corsivo) è un episodio del passato, non è una pagina che Khloe ha scritto adesso che Cameron le ha chiesto di affrontare Grayson. Come ho detto all'inizio della storia, mi piaceva l'idea di mettere questi riferimenti al passato per presentare meglio il rapporto fra Khloe e Grayson.
Un bacio, xhimmelx. 



-È possibile, Khloe, che fra tutte queste persone tu non riesca a sostituire quell’idiota?-
   
 
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