Teatro e Musical > Les Misérables
Segui la storia  |       
Autore: Christine Enjolras    06/11/2016    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Enjolras

Mentre parlavano, Bossuet aveva recuperato una sedia dal tavolo vicino, in modo che anche Enjolras potesse sedersi assieme a loro.

“Ti sei fatto attendere tutta la giornata. Da quando fai il prezioso, biondino?” disse Bahorel mentre sorseggiava la sua birra direttamente dalla bottiglia.

“Non è che ho voluto fare il prezioso: avevo diverse cosa da fare, quindi sono andato un po’ di corsa, tutto qui” gli rispose Enjolras mentre si sedeva tra Combeferre e Courfeyrac: oramai erano quasi due anni che quello era il suo posto a sedere.

“Ma come mai non sei venuto da noi subito? Non ci vuoi più bene?” Jehan, seduto dall’altra parte di Combeferre, lo guardava con due occhioni da cucciolo bastonato: lui e Jehan erano stati in classe assieme per due anni, e si può dire che in classe fosse stato il suo unico vero amico, quindi il minuto ragazzino si era affezionato a lui particolarmente, Enjolras lo sapeva.

“No, ma che dici?” esclamò subito Enjolras. “Sai che questo non è vero! Semplicemente avevo un sacco di cose da fare e sapendo che tanto ci saremmo visti stasera ho dato priorità al resto.”    Enjolras non era un ragazzo sentimentale, ma sapeva benissimo che con Jehan doveva tirare fuori tutta la dolcezza che aveva. Si accorse che gli altri volevano sapere cosa avesse combinato per tutto il giorno chiuso nella sua stanza, ma non volle dire nulla. Non era una novità: Enjolras era particolarmente riservato, specialmente riguardo al suo passato: nessuno sapeva nulla di lui tranne che fosse l’unico figlio di una famiglia molto prestigiosa. Non parlava mai né dei suoi genitori né di cosa facesse prima di conoscere gli altri: solo Combeferre e in parte Courfeyrac sapevano cosa si nascondesse dietro a quegli occhi sempre assorti in mille pensieri.

Enjolras guardò Combeferre per qualche secondo, tentando di fargli capire solo con uno sguardo che questa curiosità da parte degli altri lo stava facendo agitare: non voleva trattare l’argomento. Combeferre era un po’ il suo braccio destro: Enjolras sapeva che avrebbe capito e che non avrebbe fatto domande. Come volevasi dimostrare, Combeferre annuì e arrivò in suo aiuto, cambiando discorso con una prontezza degna della sua intelligenza: “Se sei in classe con Enjolras, significa che anche tu studi scienze politiche, Marius.”

Marius, evidentemente confuso da ciò che era appena successo, sembrò cadere dalle nuvole quando Combeferre gli rivolse la parola: “Eh? Ah sì… sì proprio così.”

Enjolras recuperò una delle lattine di Coca cola che Grantaire e Bahorel avevano portato apposta per lui, visto che l’esile ragazzo si rifiutava di bere alcool, e mentre la apriva guardò Marius e gli chiese: “Come mai hai scelto scienze politiche?”

Marius rimase un momento in silenzio prima di rispondere: “Perché mi capita spesso di sentir parlare di innocenti accusati ingiustamente e di criminali assolti davanti all’ovvietà dei fatti… mi piacerebbe poter diventare giudice così da poter limitare queste ingiustizie. Non potrò cambiare il mondo, ma voglio fare la mia parte.”

Tutti quanti lo guardarono ammutoliti, poi spostarono lo sguardo su Enjolras, che era sinceramente compiaciuto da quanto aveva appena sentito. Il ragazzo scambiò un’occhiata con Combeferre e Courfeyrac, che risposero al suo sorriso, poi guardò Marius e disse: “Se davvero la pensi così, pare che andremo d’accordo!”

“Attenzione! Freedom paladin mode on!” annunciò Courfeyrac a Marius con qualche strano gesto delle mani, come ad indicare un interruttore che si alza.

Enjolras lo fissò in silenzio, senza parole, poi gli disse: “Non avevo intenzione di dire niente, Courfeyrac!”

“Beh siamo onesti: quando si parla di giustizia, pace e libertà scatti subito come una molla!” gli fece notare Bahorel. “Hai presente quei pupazzi orrendi che si caricano e spuntano fuori dalla scatola chiusa? Ecco: direi che rendono bene l’idea!”

Ad Enjolras parve di sentire Grantaire sussurrare: “Degno figlio della Francia!” Il biondo ragazzo spostò lo sguardo da Bahorel a Grantaire, seduto di fronte a lui, e lo vide sorridere mentre fissava la sua seconda bottiglia di birra già vuota per metà.

Non era sicuro di quello che aveva sentito, ma decise di non farsi distrarre, quindi rispose: “Ho scelto scienze politiche proprio perché credo in questi valori e perché sono sicuro che sia possibile metterli in pratica: bisognerebbe solo imparare ad essere più altruisti. Se tutti lo fossero, il mondo sarebbe un posto migliore!”

“Quindi tu…” prese parte al discorso un po’ titubante Marius. “Tu hai scelto scienze politiche… proprio per entrare in politica?”

“Uh… pessimo errore… ora comincia il sermone!” disse a bassa voce Bossuet, appoggiando la testa sulla mano per la disperazione, anche se Enjolras lo vide essere sul punto di ridere.

“Io direi che ho scelto scienze politiche per riuscire a fare la differenza: troppe cose andrebbero cambiate, ma nessuno muove un dito per farlo, lassù ai piani alti. Si sono adagiati sulla loro bella poltroncina e quindi ignorano che il governo così non funziona. Altri invece si lamentano tanto e poi non fanno nulla di concreto per migliorare la situazione!”

“Che ti dicevo? Eccolo qui il nostro paladino della libertà!” disse sorridendo Courfeyrac a Marius, mettendo una mano sulla spalla ad Enjolras.

“D’accordo, d’accordo! Non parlerò più!” disse Enjolras alzando le mani come in segno di resa.

“No, Enjolras! Non ti offendere…” aveva iniziato a dire Jehan, ma non fece in tempo a finire che Courfeyrac lo interruppe

“Aaaaaaah! Questa sì che è fortuna per le nostre orecchie!” disse il ragazzo dalle orecchie a sventola alzando le braccia come segno di libertà, per prendere in giro Enjolras e smorzare così la tensione.

Capendo la provocazione, Enjolras rispose: “Tsè! Senti chi parla! Pagheremmo tutti oro colato per non sentire la tua voce ogni secondo della giornata!”

“Ma che dici? Io non parlo mica così tanto!” cercò di difendersi Courfeyrac.

“Tu credi?!” disse ironico Bahorel. “Ti sentiamo parlare persino di notte! Io non capisco come tu faccia a non perdere mai la voce!”

“Ah-ah! La simpatia fatta persona! Dobbiamo parlare di te mister ‘russamento molesto’?” disse Courfeyrac puntandolo con un dito accusatorio, ma sempre con fare da buffone.

Enjolras sembrava essersi calmato quando si accorse di essere osservato: d’istinto alzò lo sguardo verso Grantaire che, forse facendo finta di nulla, distolse lo sguardo da lui e prese parte al discorso. “Effettivamente russi da spavento, Bahorel” gli disse il ragazzo dai riccioli neri appoggiandosi allo schienale della sedia e prendendo un altro sorso dalla sua bottiglia di birra. “Dividiamo la stanza solo da quattro anni, e direi che sono sufficienti per realizzare quanto russi forte!”

“Non che tu sia esattamente silenzioso, R!” lo accusò Bahorel, arruffandogli i capelli. “E poi un uomo che non russa che razza di uomo è?”

“Oh… allora non posso definirmi un uomo?” chiese Jehan stringendo la sua lattina di Coca cola con due mani. Bahorel, seduto accanto a lui, lo scrutò attentamente. Enjolras sapeva a cosa stesse pensando Bahorel: Jehan aveva sedici anni, sembrava una ragazzina e non aveva nemmeno cambiato la voce, ancora, come poteva pensare di essere un uomo?

“Non stare ad ascoltarlo: parla perché ha la bocca” disse Enjolras, andando in aiuto a Bahorel. Lui e Combeferre li conoscevano tutti come le loro stesse tasche e ormai riuscivano a capire e prevedere tutte le loro reazioni. Sapeva che a Bahorel parlare con lui veniva più semplice rispetto che a Jehan, nonostante i due ragazzi avessero la stessa età.

“Dici così solo perché nemmeno tu russi, biondino! Ho forse ragione?” disse Bahorel indicandolo con la bottiglia.

“Forse sì, forse no. In ogni caso non lo saprai mai!” fu la risposta di Enjolras.

“Combefeeeeeerre!” Bahorel si rivolse cantilenante al compagno di stanza del ragazzo, sperando in una risposta.

“Non ti è dato saperlo” gli rispose prendendo una delle patatine che Bahorel e Grantaire avevano recuperato prima dalla cucina.

“Accidenti che noioso!” Bahorel mise un finto broncio e incrociò le braccia. “Almeno cambia formulazione! Non puoi rispondere ‘non vi è dato saperlo’ ogni volta che vuoi uscire da una situazione scomoda!”

“Non funzionerà” lo avvisò Combeferre. “Io non lo tradirò”

“Re Artù e il suo fedele cavaliere Lancillotto!” esclamò Courfeyrac, alzandosi in piedi e tirando avanti il braccio come se stesse reggendo una lunga spada.

Gli altri sembrarono tutti confusi, poi Enjolras prese la parola: “Che cosa… stai dicendo?”

“Ma sì, guardaci!” iniziò a spiegarsi Courfeyrac. “Tutti qui seduti attorno a questo tavolo rotondo, lui che dice che non ti tradirà… fa molto ‘Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda’!”

“Tu sai che alla fine Lancillotto diventa l’amante della regina Ginevra e getta Artù nella disperazione, facendo così crollare l’intera Camelot, vero?” disse Combeferre guardandolo storto.

Courfeyrac restò immobile e in silenzio per qualche secondo, quasi non lo sapesse, e poi guardò Combeferre e gli disse: “Ma mica Lancillotto si sacrifica per impedirgli di morire?”

“Courfeyrac… l’abbiamo già fatto questo discorso…” iniziò Combeferre, sospirando. “La serie tv ‘Merlin’ non è la storia originale di Re Artù, chiaro?”

“Ah… peccato, mi piaceva la parte di Merlino per me!” disse quasi deluso Courfeyrac.

“Oh no! Combeferre è molto più adatto come Merlino di te!” disse Jehan, tutto esaltato che si stesse parlando di qualcosa che conosceva bene. “Lui è saggio e sa tante cose, tu non sei per niente così… senza offesa!”  

“Certo… e chi si offende!” disse Courfeyrac, anche se si vedeva che la cosa un po’ lo aveva ferito.

“Enjolras è perfetto come Artù!” proseguì Jehan. “Lui è il nostro leader, in fondo, e anche lui, come Artù, è affezionato al valore dell’uguaglianza! Tu però, Courfeyrac, saresti Lancillotto, che effettivamente era il più fedele dei cavalieri di Artù, salvo lo sgambetto finale, certo…”

“Nah! Con Enjolras non ci sarebbe rischio! Lui non si è mai innamorato!” lo prese in giro Bossuet, mentre metteva un braccio attorno a Joly e lo guardava. Effettivamente Enjolras sembrava non comprendere quale senso potesse avere il romanticismo e a volte pareva quasi che ne fosse addirittura allergico, ma guardando Joly e Bossuet scambiarsi tenerezze in quel momento, stranamente gli venne da sorridere: sapeva quanto si erano mancati e non li avrebbe fermati.

“Oh merda!” esclamò Joly quando gli cadde lo sguardo sull’orologio che Bossuet aveva al polso. Gli prese il braccio sinistro, che il ragazzo pelato teneva appoggiato sul tavolo, in modo da avvicinarlo a sè, si tirò leggermente verso il viso del suo ragazzo per leggere meglio l’ora e poi disse: “È già passata l’ora di cena!”

“Ma come? Di già?” disse Courfeyrac. A tutti venne istintivo guardare l’orologio, chi sul telefono e chi quello che aveva al polso.

“Umh… bene… chi cucina?” disse Enjolras guardando uno ad uno i suoi amici negli occhi. Nessuno rispose: lo scorso anno scolastico c’era stato Feuilly ad occuparsi di questo genere di cose; ora che lui non viveva più lì, Enjolras stava già pensando che avrebbe dovuto preparare dei turni anche per cucinare oltre a quelli fatti in precedenza per chi doveva lavare piatti e pentole.

“Possiamo sempre uscire” propose Grantaire.

“A quest’ora trovare un posto in zona diventa difficile” disse Joly, guardando di nuovo l’orologio di Bossuet. “Non conviene nemmeno andare lontano perché rischiamo di rimanere a piedi: sono già le nove, in fin dei conti.”

“Ma scusate…” provò a proporre Marius “…giù c’è il ristorante dell’albergo… non si potrebbe scendere lì?” Ai ragazzi scappò una risata, ma senza cattiveria.

“Si vede che sei nuovo e che non hai ancora provato la cucina di madame Thénardier!” gli disse con tranquillità Enjolras. “Stasera servirà il polpettone e non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, credimi!”

“Perché? È davvero così orribile?” chiese Marius.

“Oh no, anzi! A mangiarlo sembra saporito e gustoso!” gli spiegò Courfeyrac appoggiandosi con il gomito alla sua spalla. “Ma una volta, un paio d’anni fa, io e Enjolras stavamo inseguendo il gatto di Gavroche e siamo finiti in cucina, proprio la sera del polpettone. Siamo inciampati dietro al bancone accanto alla porta di servizio, quindi lei non ci ha notati…” La voce di Courfeyrac si fece cupa, quasi come dovesse raccontare una storia di fantasmi, e proseguì: “Ma noi da lì la vedevamo fin troppo bene. È impossibile descrivere quello che vedemmo: in quel polpettone c’è qualsiasi cosa!”

Enjolras sentì l’impulso di sorridere ad osservare Marius che guardava Courfeyrac con due occhi sconvolti.

“C… cosa c’è lì dentro?” chiese il nuovo arrivato senza staccare gli occhi dal volto tetro di Courfeyrac.

“Beh” riprese l’altro, “nessuno lo sa. Ma ti dico solo una cosa: dopo aver visto quella poltiglia uscire dal tritacarne, abbiamo trovato il gatto… e gli mancava la coda! [1]” Gli occhi di Marius si spalancarono per lo stupore, poi Courfeyrac riprese: “Io e Enjolras non abbiamo toccato cibo per due giorni, dopo quell’avventura.”

“E dopo che ce l’hanno raccontato non siamo più scesi a quel ristorante” concluse Joly. “Coda di gatto nel cibo… oltre ad essere disgustoso non è neppure igienico!”

Bossuet si sporse oltre Joly, guardò gli occhioni verdi di Marius spalancati per lo shock e prese in mano la situazione per cambiare discorso, nonostante stesse praticamente soffocando pur di sforzarsi a non ridere: “Allora che ne dite di ordinare una pizza?”

“Potrebbe essere un’idea” appoggiò Enjolras. Poi si alzò in piedi e disse agli altri: “Quelli a favore?” Una volta visto che il voto era unanime, Enjolras si allontanò per prendere un blocchetto e una penna per scrivere e un elenco telefonico; poi, dando blocco e penna a Combeferre, disse: “Bene: Combeferre, per favore, prendi nota di quali pizze vogliono gli altri.” Tese l’elenco a Grantaire e gli disse: “Grantaire, tu invece guarda se c’è qualche pizzeria che conosci a cui potresti strappare un buon prezzo. Io vado ad apparecchiare di là.”

Tutti si avventarono su Combeferre per dirgli che pizza volevano, tranne Grantaire che continuò a sfogliare l’elenco e Marius che aspettava timidamente il suo turno.

“Fatemi respirare, accidenti! Allora, vediamo: Courfeyrac la solita con peperoni, Bahorel salsiccia e cipolla e Bossuet e Joly con prosciutto.”

“Vengo ad aiutarti!” disse Jehan, alzandosi per andare con Enjolras in cucina. Si fermò davanti a Combeferre, gli sorrise dolcemente e gli disse: “Per me una con le verdure, per favore!”

“Subito. Per te cosa, Enjolras?” urlò Combeferre verso la cucina.

“Pomodoro e mozzarella liscia, tranquillo!” fu l’urlo che gli arrivò in risposta: Enjolras dalla cucina poteva sentire ancora piuttosto nitidamente le voci degli altri.

“Per te cosa, Marius?”

“Anche per me una margherita, grazie mille.”

“Marius sembra simpatico, non credi?” Quando sentì che qualcuno gli stava parlando, Enjolras si girò di scatto e vide Jehan entrare in cucina.

“Sì. Sembra un bravo ragazzo.” Gli rispose Enjolras, tornando a cercare una tovaglia pulita nel vecchio cassetto del bancone vicino al forno. Una volta trovata la tovaglia, il biondo leader la stese sul tavolo e si fece passare le posate da Jehan, in silenzio: si riusciva a sentire Grantaire che cercava di convincere il dipendente di una certa ‘Pizzeria Rialto’ a fargli un buon prezzo.

Poi Jehan riprese: “Pe-pensavo…”

“Cosa?” disse Enjolras ruvidamente, senza voltarsi.

Jehan deglutì e poi continuò, completamente rosso dalla timidezza: “P-pensavo che potremmo inserirlo nel gruppo… insomma, è in classe con te e dorme in stanza con Courfeyrac… in questo modo non ci vorrà molto ora che… emh… si ambienti …”

“Mi sembra una buona idea” lo interruppe l’altro continuando ad apparecchiare. “Dopo glielo dirò: penso a tutto io, non preoccuparti.”

Jehan ora era più tranquillo: rimase in silenzio a guardare Enjolras, poi sorrise ed esclamò felice: “Fantastico!” dopodiché ripiombò di nuovo il silenzio. Jehan restò ancora a fissarlo, quasi fosse preoccupato. “Enjolras?”

“Sì?”

“Q-qualcosa non va? Sei triste?” A sentire queste parole, Enjolras si bloccò. Sì, era triste, ma non gli andava di parlarne, soprattutto non con Jehan: lo avrebbe rattristato troppo, probabilmente.

Cercò in tutti i modi di abbozzare un sorriso il più possibile sincero e si girò per rassicurare il suo amico: “No. Va tutto bene, davvero!”

 

La serata trascorse tra risate e aneddoti passati, grazie ai quali il gruppo ebbe modo di iniziare a conoscere Marius e viceversa. Prima che se ne accorgessero, si era già fatta l’ora di andare a dormire. I primi a ritirarsi furono Joly e Bossuet, che corsero in camera subito perché Joly non poteva assolutamente rischiare di perdere le sue preziose otto ore di sonno, e Jehan, che andò nella sua stanzetta a leggere un po’. Gli altri rimasero ancora a parlare diversi minuti, finché non notarono che era già quasi mezzanotte, quindi si avviarono anche loro verso le loro stanze. La camera di Bahorel e Grantaire era di fianco a quella di Marius e Courfeyrac, proprio all’inizio del corridoio, invece Combeferre e Enjolras avevano la stanza più in fondo, quindi si salutarono lì.

Combeferre entrò per secondo e chiuse la porta che Enjolras era già senza maglietta, pronto ad infilarsene una larga e lunga che usava come pigiama. Anche Combeferre aveva iniziato a cambiarsi. Come ogni sera, Éponine aveva già acceso le abat-jour dei due comodini e nella stanza c’era una luce soffusa che illuminava appena i loro volti.

 “C’è qualcosa che non mi hai detto, vero?” gli chiese Combeferre mentre si sbottonava la camicia.

“Che vuoi dire?” chiese in risposta Enjolras togliendosi i jeans sotto la lunga maglietta blu scuro.

“Andiamo, Enjolras! Ho imparato a conoscerti troppo bene per non capire che mi stai nascondendo qualcosa. Mi basta un’occhiata ormai!” Combeferre rimase lì, in piedi a fissarlo con la camicia sbottonata per metà.

Enjolras lo fissò dritto negli occhi per qualche secondo, poi sospirò, si sedette sul suo letto e mentre si toglieva le calze disse: “Detesto essere un libro aperto per te!”

Enjolras gettò le calze a terra e serrò i pugni sulle ginocchia abbassando la testa, sapendo che Combeferre lo stava guardando. Enjolras davanti agli altri era sempre sicuro e fiero: girava a testa alta e mai si mostrava in difficoltà. Ma quando lui e Combeferre rimanevano soli, quell’aura sovrumana che lo circondava in ogni istante della giornata sembrava abbandonarlo sotto il peso della stanchezza e lui tornava ad essere umano, mostrando tutte le sue fragilità nascoste.

Combeferre si avvicinò, si mise in ginocchio davanti al biondino, in modo da poterlo vedere in viso, poggiò le mani sulle sue spalle e gli disse, sorridendogli dolcemente: “Vuoi parlarne?” Enjolras sapeva che Combeferre conosceva già la risposta, ma d’altro canto immaginava che glielo avrebbe chiesto ugualmente.

Si limitò a sorridergli a sua volta e a dirgli: “Adesso è tardi: conviene andare a letto… magari domani.”

Combeferre rimase a guardarlo dubbioso, quasi triste: quel ‘magari domani’ voleva dire che non glielo avrebbe detto per davvero e Enjolras era sicuro che Combeferre lo sapesse molto bene. Notò che era sinceramente preoccupato, quindi prese le mani di lui tra le sue, gli sorrise sinceramente e gli disse: “Tu sei il mio migliore amico: credimi quando ti dico che se avrò bisogno di parlartene lo farò. Con me sei sempre molto dolce e paziente… e lo apprezzo, credimi... ma per ora non me la sento: ti chiedo solo di rispettare la mia decisione e di portare ancora un po’ di pazienza, ti prego…” Per Enjolras stare lì, con le mani su quelle dell’amico, era molto strano: il biondino non amava il contatto fisico e stare troppo vicino ad una persona lo imbarazzava, spesso lo metteva seriamente in difficoltà. Ma con Combeferre era diverso: il ragazzo dai capelli biondo rame non nascondeva i suoi sentimenti come faceva lui, quindi Enjolras si era abituato alle sue dimostrazioni d’affetto, tanto che il biondino, a volte, si lasciava andare con lui.

Combeferre continuò a guardarlo per qualche istante, poi sospirò, abbassò le mani, scosse il capo e disse: “Va bene: non voglio forzarti a dirmi nulla se non ti va, non ne ho il diritto. Però sai come la penso.”

“Sì, lo so: ogni tanto dovrei sfogarmi perché a furia di tenermi tutto dentro finirò con l’esplodere” disse Enjolras quasi cantilenando: Combeferre glielo aveva detto almeno un milione di volte.

“Non fare così, lo dico per il tuo bene!”

Enjolras non riuscì a trattenersi dal sorridere al vedere che Combeferre gli voleva tanto bene da discutere con lui. Gli mise una mano sulla spalla, con l’altra spostò indietro il ciuffo di capelli biondo rame che aveva sulla fronte e vi pose sopra un bacio. “Lo so bene e ti ringrazio per questo” gli disse poi. “Ma sto bene, davvero. Va’ a dormire e non preoccuparti per me.”

Combeferre si alzò e riprese a spogliarsi così da poter mettere il pigiama. Enjolras si infilò sotto il lenzuolo e si tolse l’elastico, in modo da sciogliersi i lunghi capelli. Quando ebbe finito, anche Combeferre si mise sotto le lenzuola nel suo letto e spense subito la luce. Poi guardò Enjolras e gli disse: “Non riuscirò a dormire per colpa della tua testardaggine! Mi farai stare in pena tutta notte!”

Enjolras si stava scompigliando un po’ i capelli per togliere gli eventuali nodi, poi si girò verso Combeferre e quasi ridendo gli disse: “Io non credo che sarà così!”

Combeferre lo guardò storto, poi si appoggiò al cuscino, coricato su un lato, rivolto verso il centro della stanza. Non appena la sua testa toccò il cuscino, Enjolras recuperò la sveglia che aveva sul comodino e sussurrò: “Tre… due… uno…” Alzò lo sguardo e chiamò: “Combeferre? Mi senti?”

Nessuna risposta arrivò: come si aspettava, Combeferre era già sprofondato nel mondo dei sogni. “Puntuale come un orologio svizzero: lo dicevo io che non saresti stato sveglio!” disse posando la sveglia. Poi si alzò e uscì piano dalla stanza; andò verso la stanza 005 e aprì cautamente la porta: come si aspettava, Jehan, che aveva chiesto di poter avere una stanza singola perché era abituato a dormire da solo a casa sua, si era addormentato tutto rannicchiato su un lato mentre leggeva.

Enjolras, pazientemente, gli sollevò la testa e sfilò il libro, facendo attenzione a non chiuderlo prima di aver infilato il segnalibro; poi gli sollevò le gambe e lo coprì con le lenzuola, quindi recuperò l’orsetto di peluche di Jehan e glielo mise tra le braccia, infine si alzò e spense la luce. Ormai lo faceva tutte le notti da quando aveva scoperto che Jehan si addormentava leggendo, ma la cosa non gli dava fastidio. Tornò a letto, sperando di riuscire a dormire un po’: Enjolras era sempre l’ultimo ad addormentarsi tra i suoi amici e capitava, a volte, che rimanesse anche ore sveglio nel letto, immobile a riflettere.

Quella notte non fu una di quelle: rivolto verso il muro, con una mano sotto al cuscino, stette diversi minuti immerso nei suoi pensieri che tanto lo rattristivano. Poi pensò che i suoi amici, coloro che per lui erano una famiglia, erano lì con lui e riuscì ad addormentarsi sereno, pensando che il domani poteva solo essere migliore.

 

 

 

– Fine capitolo 1 –

 


[1] Riferimento al musical, in cui i Thénardier, durante “Master of the house”, cantano: “Food beyond compare - Food beyond belief - Mix it in a mincer - And pretend it's beef - Kidney of a horse - Liver of a cat - Filling up the sausages - With this and that.” Nell’edizione cinematografica, i due locandieri mettono realmente ogni cosa in un tritacarne.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Teatro e Musical > Les Misérables / Vai alla pagina dell'autore: Christine Enjolras