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Autore: alessandroago_94    07/11/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 33

CAPITOLO 33

 

 

 

 

 

 

Dormii per un po’, nonostante che di tanto in tanto udissi un discreto tramestio proveniente dal piano di sotto. Ma mai avrei sospettato che sarebbe accaduto ciò che Giacomo prevedeva e desiderava da tempo.

Ricordo solo che, dopo un po’, mia madre entrò in camera mia e mi svegliò, con impressa sul viso un’espressione agitata e preoccupata.

‘’Cos’è successo, mamma?!’’, le chiesi, già in ansia e con la voce impastata e fioca.

‘’Ero appena rincasa quando hanno suonato il campanello, e… alla porta si sono presentati due carabinieri! Hanno chiesto di Federico, ed io l’ho chiamato giù. Il ragazzo, che tutto s’aspettava tranne questo genere di visita, non appena li ha scorti ha fatto delle storie, ma loro l’hanno voluto condurre immediatamente in caserma. Il motivo non lo so affatto, han detto che ne avrebbero potuto parlare solo con i membri della sua famiglia, per motivi di privacy. Ecco, ora mi chiedevo se fosse meglio contattare Roberto…’’, mi narrò mia madre con il classico impeto di chi è rimasto davvero colpito da ciò che è successo.

Deglutii, facendo scivolare un po’ di saliva all’interno della mia gola arida e lievemente arrossata, prima di riconoscere che sì, forse era davvero meglio telefonargli per avvisarlo.

Annuii senza dire nulla, ed alzandomi lentamente dal letto riconobbi che i due coniugi Arriga non dovevano ancora aver fatto ritorno a casa da quella mattina, e tutto ciò era sospetto. Mai entrambi erano stati fuori per tanto tempo, e lo stesso Roberto non aveva mai saltato un pranzo a casa.

‘’Mamma, chiamalo… faglielo sapere’’, le dissi poi, per confermare le mie idee. Roberto andava avvisato, e poi sapevo che la questione gli stava a cuore.

Fu il turno di mia madre ad annuire, per poi abbandonare la mia stanza, immersa in un turbato silenzio.

Io non riuscii a far altro che restarmene in camera mia, sveglio però, ad ascoltarla mentre telefonava a Roberto e l’avvisava dell’accaduto. Tutto sommato, devo riconoscere tuttora che non ero affatto dispiaciuto per Federico.

 

Il nulla.

Ci sono quei momenti, durante la propria esistenza, in cui una persona vorrebbe essere il nulla, mischiarsi abilmente con esso e sparire per un po’, volatilizzandosi come per magia.

Il voler uscire dai propri problemi, dalle situazioni scomode e il non voler sfiorare tasti dolenti a volte può dare questa impressione, che personalmente mi capita spesso di provare.

Quando ripenso ai concitati momenti successivi a quella sorta di arresto di Federico, non posso non provare un umiliante brivido. Umiliante, proprio così. Non tanto per me, ma per una persona che mi sta talmente tanto a cuore da farmi immedesimare nella sua drammatica situazione.

Ma procedo un passo per volta, altrimenti rischio d’ingarbugliarmi nel groviglio concitato e frenetico di questi ricordi.

Mia madre aveva avvisato Roberto, ovunque esso fosse, e l’uomo, da quel che lei aveva capito, doveva essersi recato dal figlio.

‘’Mi… mi sembrava che stesse piangendo!’’, mi disse però l’unico genitore di cui mi fidavo, sbottando la frase quasi in modo ingenuo ed incredulo.

Anch’io pensai che quella fosse stata solo una sua impressione, dovuta alla concitazione del momento. Ma sbagliai.

Roberto rincasò solo qualche ora dopo, seguito dalla moglie. Io e mia madre stavamo già cenando, dopo aver lasciato qualcosa da parte per quel fannullone di mio padre, che ancora non era tornato da chissà dove, ed eravamo in attesa di notizie da parte dei coniugi, se ovviamente avrebbero voluto condividere qualcosa con noi.

Mia madre sapeva che se Federico era nei guai era anche per causa mia, e temeva che questo avrebbe potuto guastare irreparabilmente i  rapporti con gli inquilini, lei che era tanto egoisticamente amante della pace, ma stava di fatto che ormai era tutto finito e le carte erano già tutte in tavola. Non si poteva fare più nulla per cambiarle.

Ci alzammo da tavola, sentendoli rientrare, e fui parecchio sorpreso di vederli rincasare assieme, ma immaginai che provenissero dalla caserma. Federico non era con loro. Roberto appariva livido in volto, più demoralizzato che arrabbiato, mentre Livia era furente.

I due entrarono nella cucina l’uno dopo l’altra, come furie, ed io e mia madre ce ne restammo in piedi a lanciarci a vicenda uno sguardo allarmato.

‘’Il nostro soggiorno in questa casa è terminato. Entro domani ce ne andiamo da questo tugurio e da questo paesino insignificante’’, esordì Livia, con un tono di voce molto deciso e tagliente.

Il suo chiaro intento era umiliare mia madre, con le sue parole e il suo insulto rivolto alla nostra dimora, ma lei non colse l’offesa, parve lasciarsela scivolare addosso. Notai che il suo sguardo era tutto dedicato a Roberto, rimasto ancora in silenzio in quel primo concitato momento, in cui la moglie pareva su tutte le furie.

‘’Parla per te e tuo figlio. Io resto, almeno per un po’ ‘’, disse l’uomo, e riconobbi che la sua voce era davvero incrinata. Sembrava che avesse pianto, anzi, ne ero quasi sicuro.

‘’Certo, ma chi ti vuole? Anche la nostra storia è finita qui, sempre se è mai esistita’’, ribatté l’aristocratica, facendo una smorfia di evidente disgusto ed afferrando un bicchiere pulito dal lavabo.

Io e mia madre eravamo allibiti, e la mia cara genitrice, preoccupata, si mise a servire l’ultima porzione della nostra cena, in modo che noi potessimo concluderla in fretta per poi lasciare spazio agli Arriga. Tornai quindi a sedermi.

I due coniugi, dal canto loro, parevano non aver voglia di uscire dalla stanza; mentre Roberto si era lasciato scivolare lentamente su una sedia libera posizionata a fianco del tavolo, la signora sembrava davvero intenzionata a sorseggiarsi in tutta tranquillità un po’ di succo di frutta, che si era appena versata nel bicchiere.

Riconobbi che forse sarebbe stato meglio se avesse sorseggiato un po’ di camomilla calda, visto il suo stato.

‘’Il nostro percorso assieme…’’, tentò di dire Roberto, subito interrotto brutalmente dalla risata stridula della moglie, che soverchiò ogni altro rumore.

‘’Il nostro percorso assieme! Il nostro percorso! Ma sei davvero ridicolo, Roberto. Ho sempre saputo che eri un uomo che non valeva nulla, ma almeno pensavo che tu ci arrivassi a comprendere almeno qualcosa di elementare. Non c’è mai stato nessun nostro percorso! C’è stato solo il mio’’, disse ad alta voce Livia, mentre io e mia madre continuavamo a mangiare. Il cibo quasi mi formava un nodo in gola di fronte a quelle orrende parole, tra l’altro pronunciate di fronte a noi due estranei alla loro famiglia, come se fossero cose di normale routine su cui chiacchierare.

‘’Antonio, finiamo di cenare dopo. Lasciamo che…’’, tentò di dire mia madre, ma l’ennesima risata isterica della signora la interruppe.

‘’No, potete ascoltare, state tranquilli! Ora chiedete il permesso, quando non avete fatto altro che origliare, spiare e controllarci per tutto il periodo in cui abbiamo soggiornato qui. Restate, vi prego! Questa è la resa dei conti, quel momento a cui avete partecipato attivamente per costruirlo negli ultimi mesi… ascoltate e guardate i risultati che avete ottenuto!’’, disse la donna, amaramente.

‘’Noi non abbiamo mai spiato nessuno’’, sussurrò mia madre, sconcertata dall’esagerata reazione dell’aristocratica.

‘’Ah no? No, ne sei proprio sicura? Tu, pulitrice di gabinetti e quell’infame vermiciattolo di tuo figlio non avete fatto altro che remarci contro dal primo giorno in cui ci avete visto. Bastardi! Lo so che odiate me e mio figlio, ma…’’.

‘’Livia, questa è una faccenda che riguarda noi due e Federico. Non tirare in ballo persone che non c’entrano nulla in tutta questa storia’’, la bloccò Roberto, quando ormai la moglie era totalmente e rabbiosamente scagliata contro di me e di mia madre, che da parte sua abbassò lo sguardo e non trovò la forza per replicare nulla.

A volte mi sento un po’ come la mia mamma, e devo riconoscere che neppure lei è mai stata una donna d’animo forte e sicuro. Quella fu una situazione in cui tutta la sua debolezza trasparì in un modo talmente tanto chiaro da farmi sentire male anche per lei.

Con quelle parole, Livia aveva umiliato entrambi, ma nessuno di noi due era riuscito a tener testa a quella che pareva un’ira repressa, venuta fuori lentamente e nel corso dei vari giorni precedenti a questo momento, per poi esplodere definitivamente tutta d’un colpo.

‘’Il fetente è entrato più volte in camera di mio figlio. L’ha provocato fino a farlo impazzire! E poi si lamenta se gli ha dato un qualche scapaccione! Ed ecco che il povero Federico è nei guai, guai grossi questa volta, e lui se ne sta qui dietro la sottana di sua madre, a fare il santo, solo perché ha ricevuto un calcino nel didietro… nei guai dovevi esserci tu, deforme mentale!’’, aggiunse la signora, rincarando comunque la dose.

Fui lì per rispondere qualcosa, ormai troppo nervoso per riuscire a stare zitto e a lasciarmi sottomettere dalla mia naturale timidezza, ma Roberto si alzò e in lampo si avvicinò a me, appoggiandomi una mano sulla spalla destra e chinandosi leggermente verso il mio volto.

‘’Non rispondere a questi insulti, Antonio. Non dar seguito alle parole di una donna che ormai ha perso tutto, anche la dignità di donna coniugata, ed è impazzita’’, mi disse, a voce bassa, ma non tanto da non essere udita dalla vicina moglie, che però quella volta non rise, anzi, strabuzzò gli occhi.

‘’Ecco, sono una pazza anche per te… questa è la ricompensa per quello che ho fatto per il tuo bene! Essere chiamata pazza, essere odiata…’’.

Livia era ancora furente, ma non aveva intenzione di schiodarsi dalla sua postazione, appoggiata leggermente con la schiena contro la bassa credenza della cucina, quasi avesse bisogno di un supporto fisico per restare in piedi.

‘’Ad aver sbagliato tutto e ad averci rimesso, in questa storia, sono stato proprio io. Fin dall’inizio. E per questo ritengo giusto che ogni rapporto tra noi due abbia immediatamente fine’’, mormorò Roberto, sempre affranto e senza commentare le parole della moglie, che dal canto suo appariva meno dispiaciuta e più fuori di sé.

‘’Non ti doveva neppure passare per l’anticamera del cervello di corteggiarmi! Di fissarti con me… tu dovevi lasciarmi in pace! In questo momento, io e Federico saremmo stati felici e lontani da qui, ancora a Bologna, a goderci la vita e non a roderci l’anima’’.

‘’Non capisci proprio nulla. Credi che senza di me tu e Federico avreste avuto una vita serena? I tuoi ti avrebbero costretto ad abortire, o a lasciare il bambino in ospedale. Ricordi quello che ti diceva tuo padre? Le brutte parole che ti rivolgeva, quando scoprì che eri incinta, e per di più…’’.

‘’Basta così. Non rigirare il coltello nella piaga. Ma penso che tu non abbia ragione, e a volte immagino di nuovo la mia vita libera, senza di te. E d’ora in poi sarà proprio così che vivrò! Non sono più una ragazzina, so esattamente quello che voglio’’, tagliò corto Livia, diventando pensierosa per un attimo.

Mia madre si preparò improvvisamente a lasciare la stanza, e lo fece, mentre quando io tentai di muovermi Roberto mi posò di nuovo le sue mani sulle mie spalle, quasi invitandomi a stare lì.

‘’Non lasciarmi solo proprio in questo momento, mio giovane amico’’, mi sussurrò infatti, con la voce sempre più incrinata.

Io ero pietrificato di fronte al suo dolore, e a ciò che stava accadendo. Avevo come una vaga idea del fatto che fossi stato io l’artefice dell’improvviso e repentino deterioramento del rapporto di coppia dei coniugi Arriga, e questo mi faceva stare ancora peggio.

Non volevo udire quella loro discussione, poiché prima di tutto non lo ritenevo giusto, e poi ne avevo sentite fin troppo durante la mia giovane vita.

Nonostante tutto, decisi di restare lì, accettando tacitamente la richiesta di quell’uomo che aveva fatto tanto per me, fino a quel momento, e che io avevo ricompensato distruggendogli la famiglia e rovinandogli l’esistenza. Ecco, interpretai quella mia scelta di non abbandonare la cucina come la voglia di scontare la giusta punizione per il grave peccato che avevo commesso la sera precedente, dove forse mi ero lasciato influenzare troppo dalle parole critiche dei miei amici e soprattutto di Giacomo, sempre troppo innervosito nei confronti degli Arriga.

Solo in seguito compresi che forse, in quei giorni, ero stato davvero troppo severo con me stesso. I due coniugi Arriga parevano essere giunti alla fine della loro relazione già da un po’; io e la mia scelta dissennata, molto probabilmente, eravamo stati solo la goccia che aveva fatto traboccare definitivamente il vaso.

‘’Sì, ragazzino, non lo lasciare solo! Da quando siamo giunti qui, non ha fatto altro che scodinzolarti attorno. Tienitelo, questo cane…’’, ribatté l’arpia, sempre pronta a ferire con la sua perfidia senza limiti.

‘’Adesso basta, stai esagerando. Falla finita e vai a preparare le cose… le tue cose e quelle di tuo figlio. Non voglio più né voi né nulla di vostro a portata dei miei occhi’’, sibilò Roberto, sempre vicino a me.

Mi sentivo davvero di troppo, volevo andarmene da quel luogo ormai pieno d’odio e di rancore covato per anni e anni, e poi schiuso tutto ad un tratto. Ma ricordavo sempre che avevo una pena da scontare e un amico da supportare.

Perché Roberto era un mio amico, nonostante fosse molto più grande di me; mi aveva passato molto, insegnandomi ad amare e a rispettare la natura, a riflettere prima di commettere scelte sciocche, a guardare le cose e gli eventi attraverso un’altra prospettiva, ovvero quella che poteva apparire sempre come la più interessante e quasi impensabile. Non potevo e non volevo lasciarlo solo, ma ammetto che, al solo ricordare le parole che Livia gli stava rivolgendo, mi ribolle ancora il sangue nelle vene.

Sul momento avrei voluto rispondere in qualche modo a quelle provocazioni, ma alla fine mi trattenni sempre, ben sapendo che quello che stava accadendo tra i due adulti non era assolutamente un affare mio. Erano persone grandi e vaccinate, e stava a loro regolare autonomamente i loro rapporti, anche se in modo scorretto e malato.

Io ero solo un ragazzino, e la mia missione era quella di supportare un amico grazie alla mia presenza fisica, e nient’altro.

‘’Certo, è proprio quello che ho intenzione di fare, ma prima voglio spiattellartene un po’ nel naso, e proprio di fronte a qualcuno che magari ti idealizza pure!

‘’Ti rendi conto?! Per più di vent’anni ho vissuto con un uomo come te, un verme insulso, inabile in ogni genere di lavoro e totalmente incapace… ho dovuto tirare avanti con le mie forze, ed ho dovuto instradare nostro figlio in un modo poco responsabile, per far sì che potesse anch’esso tirare avanti senza mai doverti chiedere troppo. E tutto questo perché?! Ma perché sei un fallito, è ovvio!

‘’Non hai mai concluso nulla durante tutta la tua vita, stando prima nascosto dietro la sagoma di tuo padre per poi venire allo scoperto e prendermi a tradimento… ti rendi conto che per quasi ventidue anni tu hai vissuto di buona carità? Tua moglie te l’ha fatta. Io avevo una sorta di debito con te, e l’ho ripagato a modo mio; ma tu sei sempre stato come un cane, proprio come ti ho detto poco fa.

‘’Sai, è stato come avere un pastore tedesco al posto di un marito; un uomo cupo, riflessivo, per nulla attivo e che mangiava solo. Un’incapace. Ti ho mantenuto così come tanti altri mantengono un animale domestico’’, proseguì Livia, imperterrita e sfoggiando per la prima volta un sorrisino soddisfatto, sempre contornato da quel nasetto leggermente aquilino e quelle labbra increspate e rosse come il fuoco, grazie al rossetto, con quei capelli ribelli come quelli del figlio e a quegli occhi sempre un po’ troppo spalancati e a tratti leggermente impressionanti.

‘’Antonio!’’, mi richiamò mia madre dal corridoio, per togliermi da quella situazione scomoda.

‘’E’ tutto a posto Maria, non temere… noi abbiamo già finito di discutere, non abbiamo proprio più niente da dirci’’, la rassicurò prontamente Roberto, alzando un po’ il tono della voce e cercando di non rispondere direttamente alle orribili provocazioni lanciategli dalla moglie. Livia era veramente una donna perfida e mediocre, e a quel punto e di fronte a quelle parole di una forza tremenda, mi veniva da chiedermi quale fosse stata la sua storia con l’uomo che aveva poi sposato.

Io ero sempre lì, pietrificato sulla mia sedia e mortificato per via dell’umiliazione pesante e a parole che stava venendo inflitta al mio caro inquilino. Inoltre, quel riferimento scorretto rivolto agli animali domestici mi aveva davvero lasciato allibito; Livia era davvero impazzita.

Si dice che chi non vuol bene agli animali non è neppure in grado di volerne alle persone. Ciò che Livia aveva tirato fuori spontaneamente, in quell’agitatissima sera, forse era una piccola conferma del più noto detto popolare.

Ora che ho avuto modo di imparare a convivere con gli animali domestici, posso assicurare a chiunque che essi sanno essere pure molto meglio degli umani. E di certo molto, ma davvero molto meglio di Livia.

‘’Sì, abbiamo finito di discutere, sguattera… vieni pure a sistemare questo schifo di tavola, tanto io non mi ci siederò più attorno ad essa’’, replicò Livia dopo aver udito le parole del marito e rivolgendosi a mia madre, che dal canto suo preferì non rispondere. Come al solito.

‘’Sei liberissima di insultare me e di far del male a me, ma non provocare e non tormentare le altre persone di questa casa. Ricorda che questa non è casa tua’’.

Roberto era inflessibile. Non pareva poi neppure più di tanto colpito dalle offese che gli erano state rivolte contro, ma sfoggiava ancora quell’espressione rattristata e demoralizzata di poco prima.

‘’Con tutti i soldi che mi hanno fregato, facendomi pagare un affitto spropositato per due camere, un bagno e una cucina condivisa, posso tranquillamente rivolgere offese verso chiunque’’.

‘’Il tuo è tutto rancore. Ti provoca bruciore interiore il fatto che non sei riuscita a prendermi in giro fino in fondo, ad abbindolarmi… ed ora ne approfitti per prendertela con chiunque. Non sei mai cambiata, Livia! Eri così da ragazzina, poi hai messo sul tuo viso quella maschera da donna distaccata e forte quando tutto ti appariva più propizio, per lasciarla cadere una volta per tutte quando la situazione ha preso una piega nuovamente a tuo sfavore… ora vattene, ti prego. Vai in camera. Prepara le tue cose’’, riprese a dire il consorte, con rassegnazione e facendo pressione per concludere quella discussione imbarazzante, condotta di fronte ad estranei e carica di offese umilianti.

‘’Sì, vado subito e non me lo faccio ripetere, stai tranquillo… ci tengo però a farti capire che non devi cantar vittoria, perché in tutto questo ho vinto solo io, mio caro; se non l’hai capito, ti ho tenuto a mio fianco fintanto che facevi comodo a me e a Federico, ed ora che non ci servi più, e che potrò avere un’altra alternativa parecchio più allettante, lascio che tu vada a quel paese! Mi sono proprio stancata di vedere tutti i giorni il tuo viso, di averti sempre tra i piedi… mi fai schifo, e me ne hai sempre fatto, se non è mai stato chiaro fino a questo momento!’’.

Livia, ormai abbandonata la sua maschera e quasi urlando, ci tenne a sottolineare per bene ogni concetto. Voleva averla davvero vinta su quel marito che non mi era mai parso così tanto debole e passivo.

Di certo, la signora era una donna molto forte, ma che quando si lasciava andare alle sue emozioni diventava una sorta di megera; ormai, come le aveva riconosciuto anche il marito, aveva lasciato cadere la sua mediocre maschera e si era rivelata per quella che era, concludendo quel percorso di cambiamento che era cominciato da quando Federico aveva iniziato ad avere problemi con me, per poi giungere a minacciarmi direttamente, qualche mattinata prima.

La farsa dell’aristocratica poteva dirsi finalmente conclusa, essendosi rivelata perfettamente per quello che era.

‘’E’ tutto molto chiaro. Vai a preparare le tue cose e vattene. Prepara anche quelle di Federico’’, tornò a ripetere Roberto, sempre senza rispondere in alcun modo alle offese rivoltegli contro.

Ero stupito dal fatto che l’uomo non volesse più vedere il figlio, quel ragazzo che pareva voler seguire sempre con pazienza e cercando di sforzarsi per andargli incontro in tutti i modi. Riconobbi sul momento che quella era una di quelle classiche situazioni molto dolorose, soprattutto per alcuni membri di una famiglia, e continuava a dispiacermi davvero molto per il povero Roberto.

Ero anche più che certo che da quella mattina qualche dinamica interna alla famiglia Arriga fosse stata stravolta.

Nel frattempo, Livia si distaccò dalla credenza, e, attentamente, cercò di riprodurre un andamento sicuro di sé mentre sfrecciava davanti ai nostri volti, dirigendosi finalmente verso il corridoio e le scale.

Mi venne quasi da tirare un sospiro di sollievo, mentre Roberto si lasciava sfuggire un profondo gemito. Fu così che capii che anche le parole appena dette avevano lasciato su di lui un indelebile segno.

Mentre l’uomo crollava su una sedia a fianco a me, e la moglie sembrava davvero intenzionata a chiudere lì il dibattito e a sparire al piano superiore, la porta d’ingresso si spalancò di colpo, facendo una botta che quasi mi spaventò.

Pensavo che si trattasse di mio padre, con uno dei suoi classici ingressi prepotenti e a sorpresa, ma dovetti ricredermi in fretta, poiché una frazione di secondo dopo la brutale entrata in casa apparve un trafelato Federico, ficcando per un istante il suo viso dentro la cucina, per poi tentare di tirare dritto verso le scale non appena ebbe notato che non era presente alcun viso amico per lui.

‘’Federico, figlio mio!’’, sentii singhiozzare Livia, ancora nel corridoio, dove aveva atteso l’amato figliolo, per abbracciarlo proprio a pochi passi dalla porta della cucina stessa. Potevo intravedere le loro sagome, e decisi di spostarmi.

Dato che il combattimento tra coniugi era finito, potevo anche bere qualcosa per riprendermi, e poi svignarmela.

Casa mia era diventata un inferno. Mentre mi alzavo dalla mia sedia, mi venne da gettare un’occhiata alla roba di mio padre, sistemata in un angolino e all’interno di due valigie ben chiuse, e solo quella breve visione seppe infondermi tanta nuova amarezza.

Sul momento ricordo che non stavo male; come ho correttamente ricordato poco fa, ero solo amareggiato dalla piega che aveva preso tutto quanto. Era comunque una piega che si sarebbe potuta prevedere, ma che io nella mia probabile stoltezza non ero riuscito a comprendere per bene. E quello che restava era, come ora, la mia voglia di mischiarmi col nulla e di trovare un po’ di pace e di sollievo da tutto ciò che stava accadendo.

‘’Mamma…’’, mugugnò il mio nemico, tra le braccia materne nel corridoio.

Decisi di temporeggiare un attimo, in modo da evitare d’incontrare madre e figlio nel corridoio, e di ammazzare qualche minuto bevendo, come mi ero ripromesso, e sperando che i due si levassero di lì. Immaginavo che non avessero affatto piacere di vedermi in faccia, e non mi andava proprio di sfilare sotto al loro naso.

Eppure, la sorte non volle offrirmi la chance di riuscire a dileguarmi, poiché Federico ebbe la balzana idea di tornare sui suoi passi, ed incredibilmente di entrare in cucina, forse perché aveva visto me e Roberto e ne aveva pensata subito una delle sue.

‘’Allora?’’, gli chiese il padre, lentamente, ancora seduto sulla sua sedia. Il ragazzo gli rivolse solo una semplice occhiata in tralice, prima di muoversi verso di me e verso il lavabo.

Mi feci subito da parte e mi diressi verso la finestra.

‘’Allora niente. Rischio un sacco di ripercussioni legali. Secondo loro, ora ci sono ufficialmente tutte le prove che servono per incastrarmi; sono io il vandalo che ha rovinato la facciata del liceo, sono io che ho rovinato la macchina di un insegnante, poiché sarei stato ripreso con chiarezza da una telecamera del posto recentemente visionata, sono io che ho ideato… e che ho picchiato e messo in atto azioni di violento bullismo in rete e nella vita reale. Insomma, sono proprio colpevole di tutto!

‘’Sarete pure contenti, adesso. Magari, han detto che se la preside si accanisce e le denunce continuano a fioccare, e se le vittime di questi gesti vorranno continuare ad andare fino in fondo, rischio fino ad un anno e mezzo di galera… senza contare i danni che dovrò risarcire. Al momento non sono stato arrestato, ma dovrò sempre fornire tutti i dati dei miei spostamenti e non posso abbandonare la provincia. Devo essere sempre rintracciabile, in attesa di quel che accadrà…’’, disse Federico, puntando il suo sguardo su di me. Io lo distolsi subito, ma sapevo che lo stava facendo per ferirmi e tentare per un’ultima volta di mettermi in soggezione.

Roberto era rimasto sbalordito, nel frattempo, e di fronte a quelle parole pure sua madre era tornata silenziosamente ad affacciarsi alla porta della cucina, con le mani unite a mo’ di preghiera al di sotto del mento.

‘’Quei tre stronzetti che avevo conosciuto al liceo sono colpevoli, ma invece di confessare semplicemente, a quanto pare si sono messi ad infierire, giurando che li ho strumentalizzati. È colpa mia se a loro andava di far atti vandalici e pestaggi! Avrei dato loro dei soldi e il sostegno per compierli.

‘’Ma forse sono stato io ad essere stato strumentalizzato da loro. E comunque, io sono innocente ed estraneo a tutto ciò, e mi ritengo tale. Mi sono solo trovato nei posti sbagliati in momenti sbagliati, tutto qui’’, concluse il ragazzo, sempre fissando me.

Mi sentivo addosso tutto il peso del suo sguardo, e non so ancora il perché del fatto che la sorte volle che dovessi assistere a tutta quella sequenza di situazioni non di certo linde degli Arriga. Mi sentivo davvero impotente e sfortunato, e non avevo neppure più il coraggio di uscire da lì, poiché Livia l’avvoltoio se ne stava appollaiata nel bel mezzo della porta della cucina, riprendendo a sgranare nervosamente i suoi occhiacci dopo qualche secondo di normalità.

‘’Posso testimoniare io, che tu sei innocente! Ti giuro che te la caverai…’’, sussurrò la madre, muovendo qualche passo verso il figlio, che la mantenne a debita distanza solo alzando una mano.

Federico era tetro ed appariva stanco, ma manteneva un certo comportamento austero e freddo, nonostante tutto.

‘’Livia, è possibile che non capisci? Ha sbagliato, e…’’.

‘’E un corno! Lo so che mi odi, sei un fottuto stronzo come tutte le persone che ho incontrato durante la mia vita. Dai, comincia a remarmi contro anche tu! Vai a sporgere una denuncia immaginaria, su!’’, sbottò freddamente il ragazzo, interrompendo il padre.

‘’E non osare mai più tentare di parlarmi’’, ribatté Livia, indirizzando la frase al marito, che dal canto suo si limitò ad alzare le braccia in segno di disinteressata resa.

‘’Mamma, sono in guai grossi. Mamma, sono nei casini questa volta…’’, cominciò improvvisamente a mormorare il mio nemico, per poi finalmente vacillare. La sua espressione tesa ma distante scomparve in un battito di ciglia, e il giovane cominciò all’improvviso a piangere a dirotto.

La madre, pronunciando parole di conforto, si avventò subito su di lui, avvolgendolo in un caldo abbraccio.

Abbassai lo sguardo, imbarazzato, e approfittando del momento tentai di dirigermi verso la porta.

Mentre mi muovevo, già sentivo la ventata d’aria di libertà che avrei trovato nel corridoio, in quel momento lontano da quegli estranei delinquenti e litigiosi, ma le carte in tavola furono nuovamente rimescolate dall’ennesimo attacco di Roberto, ormai allo stremo. L’uomo pareva essersi racchiuso nel suo mondo cupo e indifferente, freddo e passivo, nonché doloroso; mai fino a quel punto l’avevo notato così scoraggiato e distante, lui che era sempre vicino a tutti e caldo come il sole dell’estate.

‘’Federico, sei un uomo ormai! È mai possibile che tu non ti sia accorto che stavi sbagliando, e che continuavi a seguire la via sbagliata mentre io mi sgolavo a ripeterti che così non andava affatto bene... insomma, in fondo è questione di maturità saper rendersi conto dei propri errori, e accusarne le ripercussioni senza tante manfrine’’, disse infatti il padre di famiglia, mentre già il figliolo scattava di fronte a questo discorso pesante ma veritiero.

‘’Adesso basta. È da quando sono nato che mi giudichi, che mi costringi ad indossare le tue idee, che vuoi che io faccia solo ciò che vuoi tu… ma chi sei tu per potermelo dire? Eh?’’, sbottò arrogantemente il giovane, smettendo di frignare ed allontanando la madre da lui.

Io raggiunsi la salvezza, ovvero il corridoio, e mi chiesi se quello fosse il modo corretto di rivolgersi ad un genitore. Mi chiesi anche se il caro Roberto avesse ancora avuto bisogno di una presenza amica a suo fianco, in quegli istanti così lugubri e oscuri, ma non mi feci problemi a pensare che quelli erano strettamente affari suoi, e la presenza di altri avrebbe solo rischiato di far inasprire ulteriormente la situazione, come d’altronde pensavo che fosse già accaduto.

In effetti, madre e figlio quando avevano calato gli affondi più decisi avevano anche spostato lo sguardo su di me, forse per valutare se anche su un estraneo alla vicenda quelle frasi avessero fatto l’effetto desiderato.

In quei concitati momenti, Livia e Federico volevano dimostrare la loro superiorità, nonostante tutto, seppur constatando di aver perso un po’ su tutti i fronti. Il voler schiacciare prepotentemente Roberto pareva quasi un ultimo tentativo in corner per cercare di avere almeno una piccola vittoria, anche se piccolissima in confronto all’amarezza, sicura e unica vincitrice dello scontro. Stavano cercando una sorta di contentino, che potesse minimamente alleviare tutta la loro delusione provocata dalla vicenda.

‘’Sono… tuo…’’, tentò di dire Roberto dall’interno della cucina, intanto.

‘’Tu non sei nessuno per me’’, tagliò corto Federico, per poi rimettersi a piangere.

Io mi allontanai, e raggiunsi mia madre, che nel frattempo si era seduta sui gradini delle scale, senza altro posto in cui andare. Mi fece un po’ di spazio, quando mi vide arrivare, ed io mi accomodai a suo fianco.

‘’Ho sbagliato, Antonio. Mi perdonerai mai?’’, mi chiese, quasi all’improvviso.

Io mi volsi verso di lei, giusto in tempo per notare la sua espressione realmente dispiaciuta.

‘’Non so perché dici così…’’, dissi, un po’ frastornato. Mia madre non mi aveva mai chiesto scusa per qualcosa, fino a quel  momento.

‘’Ho lasciato che degli estranei entrassero in casa e spadroneggiassero ovunque. Guarda ora come siamo ridotti; tu sei stato malmenato da un bullo, io non ho neppure più una stanza in cui stare liberamente… mi piaceva la cucina, cucinare e preparare i miei pasti… ed ora quei pazzi se la sono presa, per litigare per l’ennesima volta ed insultarmi! Tu non hai neppure più la tua saletta e il tuo pianoforte, e questo perché ho permesso a quel prepotente di tuo padre di riappropriarsene. Insomma, questa è casa mia, casa nostra e di noi due, ed io ho lasciato che tutta questa… gentaglia si prendesse ogni cosa! Ora non ci resta altro che la disperazione’’, rispose mia madre, facendo piccole pause quando le emozioni e le parole si facevano più difficili da esprimere liberamente.

‘’Mamma, so che le tue intenzioni iniziali erano buone. I soldi degli Arriga ci facevano assolutamente comodo, e Sergio era tornato come un profugo… quindi, ripeto che ho compreso che ciò che è poi accaduto e che sta accadendo non si è sviluppato volutamente. Il resto non importa’’, minimizzai, comunque facendo leva sul fatto che mi era molto chiaro che mia madre non aveva mai pensato che le sue piccole ed accorte scelte avessero potuto sconvolgere le nostre esistenze in quel modo.

‘’Davvero? Quindi non ti fa senso il fatto di aver perso tutto in quella che era casa nostra, dalla serenità…’’.

‘’No, mamma, no. Credo che ormai sia solo questione di poche ore prima che tutto si concluda, e poi non dovremo più piangere sul latte versato’’, le risposi, tagliando corto, e forse con un po’ troppa foga. Ma avevo espresso una delle mie più concrete sensazioni interiori.

Con un po’ di fortuna ci saremmo potuti liberare di mio padre, e quindi anche della rottura della sua ragazza, mentre Livia e Federico molto probabilmente se ne sarebbero andati entro ventiquattro ore. Roberto, poi, non era assolutamente un problema.

Mia madre annuì alle mie parole, ma non mi parve interamente convinta.

‘’Questa gente ci ha influenzato troppo. Da quando sono venuti a contatto con noi, hanno saputo cambiare le nostre vite’’.

Quelle parole appena pronunciate non avrebbero fatto effetto su di me se non avessi notato un retrogusto di ignoto dietro ad esse. Non volli comunque indagare più a fondo con mia madre a riguardo, e mi limitai a parlare per me, senza tentare di approfondire o di cercare aghi in un pagliaio in quel momento tanto agitato e doloroso. Il momento delle verità e delle scuse.

‘’E’ vero’’, dissi.

Mi limitai solo ad accettare il significato più superficiale di quelle frasi, sistemandomi meglio sullo scomodo gradino di granito. Avrei voluto andarmene al piano superiore, e già mi accingevo ad alzarmi, poiché avevo bisogno di stare un po’ di tempo da solo e magari rimuginare sugli ultimi eventi, ma neppure quella volta tutto ciò mi fu concesso dal destino.

Non seppi mai cosa fece tracimare il vaso della razionalità a tratti infantile di Federico; a suo tempo mi è bastato udire un grido raggelante, emesso da Livia, che risuonò per tutta casa e forse anche in quella dei vicini.

Io e mia madre ci guardammo e scattammo in piedi, pronti a dirigersi verso la cucina per scoprire ciò che era successo. Eravamo fin dal primo momento convinti che si trattasse di qualcosa di realmente orribile, poiché l’aristocratica non aveva mai cacciato un grido simile prima di quell’istante.

Con la pelle accapponata, e, povero me, nascosto parzialmente dietro a mia madre, facemmo in fretta capolino sulla soglia della cucina, dopo che il mio unico genitore ragionevole mi aveva rapidamente mostrato tutte le sue paure con un rapido sguardo. Anche lei temeva una pazzia di quegli scellerati inquilini, date le circostanze, e purtroppo non ci sbagliavamo affatto.

Non appena ci affacciammo quasi nello stesso istante alla porta della stanza, notammo fin da subito che Federico era in piedi, nel bel mezzo della camera, mentre tra le mani impugnava saldamente un lungo coltello da cucina, prelevato da uno dei cassetti di mia madre. Livia era a pochi passi da lui, con le mani sulla bocca come per sopprimere l’ennesimo grido bestiale, e l’impassibile Roberto se ne stava ancora seduto sulla sua postazione, con gli occhi abbassati e non rivolti direttamente alla scena.

Ciò che era più inquietante era che il ragazzo rivolgeva la punta dell’oggetto tagliente verso il suo petto, e pareva deciso a non abbassarlo affatto e a non lasciarne la presa.

‘’Se quelli mi fanno qualcosa, o mi mandano in tribunale a causa di tutto quello che è successo, io mi ammazzo. Mamma, ho paura! Troppa paura! Mi ammazzo. E tu guardami, imbecille! È anche per colpa tua se mi sono ridotto così! Io mi ammazzo, mi ammazzo. Se mi danno una condanna, mi ammazzo…’’. E così dicendo, Federico scoppiò di nuovo in lacrime.

Io e mia madre eravamo a bocca spalancata, senza aver avuto la forza neppure per respirare, ancora troppo stupiti da quella scena. Poi, all’improvviso, tutto si concluse così com’era iniziato, ovvero con incredibile fretta.

Ancora in lacrime, Federico gettò via il coltello verso un angolo della cucina, per poi correre rapidamente verso la porta. Io e la mamma ci spostammo per lasciarlo passare, mentre anche Livia si riscosse e si mise ad inseguirlo, passandoci a fianco sussurrando qualche parolaccia di difficile comprensione rivolta verso il marito, che fu l’unico a restarsene ancora placidamente immobile e pietrificato.

Il coltello, intanto, continuava a tintinnare al suolo nel punto in cui era caduto, mentre la sua lama mandava qualche bagliore verso il soffitto, colpita dalla luce.

‘’E’ un pazzo squilibrato e viziato, è da tempo che lo dico a sua madre. Va aiutato… o meglio, andava aiutato. A questo punto, è già rovinato. Ma questo non è più un problema mio…’’, mormorò con tono rassegnato l’uomo, dedicandoci un rapido sguardo, per poi riabbassare nuovamente gli occhi.

Come ci eravamo ridotti, in quel momento! Sembravamo davvero una banda di pazzi. Per fortuna non c’era mio padre, altrimenti lui avrebbe potuto essere l’ennesimo folle della serata.

Io mi allontanai subito da lì, mi riscossi e giunsi quasi di corsa fino in camera mia, senza pensare a mia madre che invece doveva essersi diretta verso Roberto.

Non feci caso a nulla e non pensai a nulla, se non pregando di dimenticare in fretta quella scenata a cui ero stato costretto dalle circostanze ad assistere. Aveva ragione mia madre, quando diceva che quei tre inquilini avevano cambiato la nostra vita. Più che altro, l’avevano scombussolata.

E dentro di me restava solo un’infinita amarezza.

Non provavo dispiacere per Federico; passati quegli istanti di spavento e di incredulità, mi era parso subito ovvio che stesse continuando, con la sua solita irrazionalità, a giocare a fare la vittima e l’innocente. La scena drammatica e quasi teatrale di poco prima forse l’aveva pure pianificata da tempo, per far inasprire ulteriormente la madre, che stava utilizzando abilmente come scudo umano e ultima difesa.

E Livia ormai era definitivamente impazzita; il figlio doveva essere l’unica persona al mondo al quale voleva bene, e lui, utilizzando quel pizzico d’amore genitoriale malato, stava inscenando tutto per farla uscire definitivamente di senno, e magari per cercare di lanciarla contro chi lo stava per mettere davvero alle strette, anche se sarebbe valso a poco il suo intervento.

Riconobbi sul momento di aver analizzato tutto con estrema freddezza, e che forse non era così, ma più semplicemente quell’ultima reazione si trattava della dimostrazione della follia più genuina e del disagio interiore che stava vivendo quel ragazzo prepotente ed emarginato.

Ma misi un paletto ai miei pensieri. Avevo assolutamente bisogno di staccare un attimo la spina. Quella mostruosa realtà mi stava lasciando cadere in un baratro oscuro.

Senza pensarci due volte, afferrai il mio cellulare e telefonai alla persona che più amavo a quel mondo… in quegli istanti colmi di agitazione e di tensione non sognavo altro che rivederla, poterla stringere a me e chiacchierare con lei.

Il timore di affrontare l’argomento Alice era stato superato in fretta grazie agli eventi traumatici a cui avevo appena assistito, ed avevo bisogno assolutamente di stare un po’ con una mia amata coetanea.

Ne avevo necessità, e sperai con tutto il cuore che lei fosse disponibile a venirmi incontro, quella volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Salve a tutti!

Come avrete notato, questo è uno dei capitoli più forti dell’intero racconto. Spero di essere riuscito a ricostruire per bene questa follia collettiva, che ormai sta travolgendo il povero protagonista…

Spero che il capitolo, nonostante tutto, abbia saputo intrattenervi piacevolmente per un po’. Ripeto e ribadisco che tutto ciò che accade in questo racconto è totalmente frutto di fantasia, ma credo che questo si noti chiaramente, anche se ho cercato di ricostruire tutto in modo verosimile.

Vi ringrazio tutti, e buona giornata! A lunedì prossimo.

   
 
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