Ri-ciao!
Dopo Lucca, dopo mille ore di preparazione Cosplay
e altre meravigliose incombenze, eccomi ritornata per la gioia (spero) di tutti!
Spero che questo capitolo possa appassionarvi e divertirvi! Grazie a tutti
di tutto e alla prossima!
Baciozzi
Elendil
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Quando giunsero gli altri Danzatori era già giorno inoltrato e l’arsura
aveva arrossito li viso di Atam di un lucido strato
di sudore. Nessuno disse niente, ma dalle rapide battute che si scambiarono, fu
chiaro che non avessero affatto gradito l’ennesima deviazione del percorso
imposta dalla Nihaar’ì.
Ripresero la marcia a fatica, la sella di Matnery
a ricominciare il suo doloroso e inesorabile vilipendio delle gambe della Nihaar’ì.
Non dormirò più. Si disse lei mentre, testa china e spalle ingobbite, già cominciava a
pregustare le nuove e insopportabili ore di veglia che l’attendevano. Prima
questo pellegrinaggio finirà meglio sarà per tutti quanti, soprattutto per me.
Ma ovviamente la Nihaar’ì si addormentò più e più
volte, ognuna delle quali accompagnata da una rocambolesca e quantomai avventurosa rincorsa nel deserto cui seguiva poi
una altrettanto deliziosa marcia a ritroso per ritornare sulla pista
tristemente perduta. Alla quarta volta fu lei stessa a proporre di essere
legata, indicazione che fra le proteste di Matnery e
l’indignazione di Atam fu malgrado tutto accettata.
Ma poteva dunque finire così? No, certo che no. Come la più astuta dei Goshi (ladri) ella pareva in grado di
slegarsi ogni volta, un cumulo di corde e nodi sfatti a vestigia della
constatazione che da addormentata ella pareva essere assai più scaltra e tenace
che da sveglia. Tutto ciò, per quanto a tratti acuito dalla costante e
inesauribile ironia di Hiras (ghigno) -a volte
più velenosa di quanto la Nihaar’ì fosse in grado di
sospettare- non avrebbe di certo sfiancato la tenacia dei Danzatori senonché
fuga dopo fuga la possibilità di ritrovarsi a corto di acqua, viveri e non per
ultimo ad un passo dal confine delle Vele cominciava a gettare un’ombra di
allarme sul gruppo.
“Ancora un salto e saremo dall’altra parte, Agves
Anaphat” fu il commento di Hiras
quando tutti giunsero infine alla memorabile vista delle Vele. Rosse come
sangue, le enormi Vele sporgevano come bruni canini dalla sabbia, infossate fra
le dune in pance e conche fischianti a causa del vento. Il suono delle correnti
d’aria contro di esse vibrava anche da miglia e miglia di distanza, muto
segnale d’avvertimento cui il gruppo rispose con un sempre più denso e brumoso
silenzio.
“Questa notte veglierò con voi” la voce di Atam
giunse opaca come un sussurro lontano “Magari così vi sarà più facile rimanere
sveglia”.
Ancor prima di annuire, la Nihaar’ì seppe che
sarebbe stato del tutto inutile. Qualcosa -anche se non riusciva ancora a
capire cosa - la spingeva ad andare là e nessuno, fosse Danzatore o Atam, sarebbe stato in grado di fermarla.
Questa volta non furono il deserto e la sua arsura a svegliarla. Non le
gambe stanche e doloranti per ore e ore di marcia notturna. Non la fame e la
sete.
Fu in effetti Hiras a strapparla dai suoi quasi
sogni. A stropicciarle di malomodo le vesti
ancora avvolte attorno al corpo disteso sul fianco inerme nella posa del riposo
tanto agognato.
Fu Hiras e la sua voce a scuoterla con la forza
dell’inferno da una parte all’altra mentre questi vicinissimo, le intimava di
alzarsi e stare zitta.
Sbattè confusa le palpebre
una, due volte, il mondo ancora avvolto nell’oscurità che lentamente tentava di
mettersi a fuoco in un vago baluginio di sfumature cobalto e magenta.
Il fuoco era stato spento e qualcuno alle sue spalle lavorava alacremente
per disincagliare i pali “protettori” posti come solito tutt’attorno
all’accampamento. Desiderò voltarsi e vedere di più ma ancora una volta il viso
di Hiras le si parò davanti in tutta la sua
tempestiva ed affatto delicata impazienza.
“Siete sorda?” la sua voce parve una frustata contro le guance “Ho detto di
stare giù”. A comprova di ciò, egli le puntò allora una manata sulle spalle
premendo fino a costringerla a cadere sulle ginocchia. Solo allora, più
rassicurato, egli la congedò dalle proprie cure per dedicarsi a qualcosa più
avanti e distante dalla sua visuale. Forse gli Yenavo’r?
“State bene?” il sussurro di Akanj la raggiunse
da dietro le spalle facendola sobbalzare. Si voltò piano, incerta, notandolo
disteso nella sabbia poco distante a pancia in giù, il capo appena alzato a
sporgersi oltre la cresta di una piccola duna. Si accigliò, lo sguardo che
automaticamente si alzava nel tentativo di seguire quello di Akanj. Sbattè le palpebre. Poi
improvvisamente le parve di vedere qualcosa. Istintivamente si appiattì anche
lei a terra, due respiri contratti prima di tentare un’occhiata più audace.
“State giù” la tensione nella voce di Akanj le
fece scorrere un brivido lungo la schiena ma non desistette. Del resto, esitò,
cosa poteva esserci di tanto pericoloso in un...Fiore? Lontano, remoto,
poco meno che un vago fulgore rossastro all’orizzonte.
“Akanj...” tentò di chiamare ma questi la zittì
con un sibilo acuto “Ama’hi nei jak!
Vi prego non parlate!” Mordendosi le labbra la Nihaar’ì
ritornò alla vaga osservazione di quella apparizione più avanti. Poi eccone
comparire un’altra. Nemmeno il tempo di intravederne i contorni distorti e ne
sbucò una nuova. E una terza.
Improvvisamente una mano calò su di lei afferrandole la spalla in una morsa
di ferro.
“Alzatevi” era Hiras e dal tono pareva non
essersi affatto tranquillizzato. Il tempo di balbettare un paio di esclamazioni
e fu lui a tirarla su di peso prima di trascinarla nell’oscurità.
“Che succede?” La Nihaar’ì inciampò nei propri
piedi. Lui la ignorò, pochi passi a condurli verso la sagoma di uno Yenavo’r poco distante. Lei si sentì ghermire nuovamente,
questa volta per i fianchi e schiantare sulla sella. Pochi sussurri nel buio e
lui le fu subito dietro.
“Vor chakat ughets’i
me (Che la sorte ci accompagni)” esalò l’uomo e subitoil
Drago partì di gran carriera.
Il freddo della notte a sferzarle improvvisamente il
viso, la Nihaar’ì si rese conto solo allora che nella
fretta si era dimenticata di portare stoffe o tele per proteggerla. Sospirò di
freddo.
Fu solo dopo alcuni istanti che ella si arrischiò a
voltare appena il capo in direzione di Hiras. Nel
buio faticò persino ad intravedere i contorni del suo viso. Strinse appena le
labbra.
“Cosa sta succedendo?”
Per un istante temette di non aver parlato abbastanza
forte perché lui non le rispose. Poi una smorfia.
“Ci hanno trovati” c’era qualcosa di ruvido nella sua
voce. La Nihaar’ì non potè
che accigliarsi “Chi?”.
Fu certa di vederlo fare spallucce “Non credo li
conosciate. Di solito non ricevono inviti per la Torre del Tempo”.
Ma che simpatico.
“Potrei stupirvi” lo sfidò comunque le. Nuova smorfia.
“Ne dubito” “Se solo mi faceste tentare...” “Sono i Kamin
Y’red (Predatori del Vento)” esalò lui con un
gemito “Ed ora su, stupitemi”
Suo malgrado, la Nihaar’ì
non potè che mordersi dolorosamente l’interno
guancia, un senso di stizza che in un attimo le risaliva il volto
tinteggiandolo di una nota purpurea e imbarazzata.
Pochi centimetri oltre, lui strinse appena la presa su
di lei “Li conoscete quindi?” “E se vi dicessi di si?”
sibilò lei di rimando. Avvertì, più che vederla, la sua debole risata.
“Penserei che siete una bugiarda. Chiunque guardandovi
capirebbe che non sapete nulla di Arryan e dei suoi
criminali”
Suo malgrado, la ragazza non potè
che rimanere in silenzio aspettando che Hiras
riprendesse a parlare.
“Si tratta di trafficanti di schiavi dell’Oltre“ “Non c’è nulla nell’Oltre” replicò subito lei
aggrottando appena le sopracciglia. Lo sentì scrollare appena le spalle.
“Questo se non si è tanto stupidi o sventurati da
andarsene a verificarlo di persona. Per quanto ne so, ci sono più persone
laggiù che in tutta Arryan”.
Lei meditò un attimo sulla risposta, il freddo
avanzare nell’oscurità dello Yenavo’r a scuoterla con
brevi e violenti scossoni da una parte all’altra. Poi scosse il capo.
“Ammesso che vi creda, avete detto schiavi
dell’Oltre?” lo sentì annuire nuovamente “Fra i più pregiati di tutto il
continente. Sfortunatamente, i meno facili da catturare” “Pensavo che gli
schiavi venissero commerciati, non catturati” Hiras
si strinse nelle spalle “Chi vive oltre il confine non ha particolarmente
voglia di tornare indietro solo per per servire
questo o quel Kirey”
Nervosa lei si limitò a valutare per qualche istante
le parole dell’altro. Le trovò fastidiose sotto la lingua, pruriginose fra i
denti e con un vago retrogusto di insensatezza che la costrinse a storcere il
naso. Eppure, suo malgrado, sapeva che Hiras non le
stava mentendo.
“Ed esattamente cosa vogliono questi Kamin da noi?” soffiò quindi dopo un attimo. L’uomo
parve stupito “Noto con piacere che non mi avete ascoltato granché” sogghignò
dopo un attimo per po aggiungere “Da me probabilmente
due braccia. Da voi qualcosa di più interessante” “Non oseranno” lei strinse
appena gli occhi “Io sono la Nihaar’ì” “Giusto. La Nihaar’ì” convenne subito lui con un ghignetto
accondiscendente. “Ed esattamente i Kamin come
dovrebbero saperlo?”
Il Danzatore la bloccò prima ancora che lei riuscisse
ad aprire bocca “Fossi in voi lascerei stare. I Kamin
non sono esattamente tipi da grandi spiegazioni” “E che tipi sono?” si
arruffò lei piccata. Lui diede una vigorosa frustata allo Yenavo’r
costringendolo a un’avanzata più vigorosa “Tipi da fuoco e segugi. Non
necessariamente in quest’ordine”
“Credi che gli altri se la caveranno?”
Impossibilitati ad accendere un fuoco, Nihaar’ì e Hiras se ne stavano
l’uno accanto all’altro accovacciati in una piccola conca scavata nella sabbia.
Non era molto, ma dopo la lunga marcia forzata, quel rimedio abbozzato pareva
ad entrambi un imprevisto quanto meraviglioso conforto contro le basse
temperature della notte.
Fronte appoggiata alle gambe rannicchiate, Hiras piegò appena il capo di lato incontrando il profilo
della ragazza. Sopirò.
“Se dipendesse dalle sole capacità, più che
certamente” si strinse nelle spalle “Dubito però che fare da esca giochi a loro
favore”.
Lei lo studiò per un attimo, il riflesso della seconda
luna di Arryan a stagliarsi sul suo volto in un’ombra
rosso pallida “Credi li abbiano già presi?” sussurrò quindi. L’altro si
irrigidì “Quasi certamente” ammise poi monocorde “Gli faranno del male?”
Questa volta non rispose, limitandosi ad affondare
indice e medio nella sabbia grigio bianca per poi ritirarli ad uncino. Polvere
sottile scivolò come una cascata disegnando una piccola montagnetta
scintillante.
“Siete molto legati?” riprese lei dopo un attimo. Lui
scrollò appena le spalle “Voi non lo sareste?” No, lei non era legata a
nessuno. O quasi. “Si certo. E’ che...” “Giunsi nella compagnia quando Matnery era poco più che un ragazzino” esalò lui senza
lasciarla continuare “Akanji e Atam
si unirono pochi mesi dopo. Da allora non ci siamo mai separati.”
Fino a oggi.
La ragazza annuì piano, il capo che si chinava appena
a incontrare le ginocchia strette al corpo. Senza fuoco faceva freddo, eppure
la vicinanza con l’altro rendeva la temperatura quasi sopportabile.
“Anche io avevo un’amica” fece poi dopo un attimo “Per
tutta la mia infanzia fummo come sorelle” “Era una vostra serva?” lui volse
appena il capo. Scosse la testa “Una Hayeli’vo, il
mio Specchio Velo”. I denti di lui scintillarono un attimo nel buio “Conosco le
Hayeli’vo” Ah si? “Pensavo
però fossero delle figure di semplice rimpiazzo utilizzate nelle situazioni
pericolose.” la Veggente piegò appena di lato le labbra in una smorfia incerta.
Si e no. Ma non solo.
“Per poter essere credibili è necessario che le Hayeli’vo trascorrano gran parte del loro tempo con le Nihaar’ì così da poterne assorbire atteggiamenti, postura e
così via” immobile al suo fianco fu difficile, l’espressione del Danzatore
parve quasi irrigidirsi.
Sembrava, notò solo in quel momento lei, in qualche
modo più giovane di come l’aveva percepito fino ad allora. Si accigliò. Più un
ragazzino che un uomo.
“E questa convivenza forzata farebbe di voi delle
amiche?” la voce di lui la distrasse dai propri pensieri costringendola a sbattere
una, due volte le palpebre. Si umettò le labbra a disagio “Non vale forse la
stessa cosa per voi Danzatori?” buttò quindi lì per togliersi d’impiccio.
Lui le rifilò un sorriso sghembo per poi tornare
improvvisamente serio “Se li hanno presi, non sarà che questione di giorni
prima che catturino anche noi” la guardò per un attimo, ogni traccia di
divertimento improvvisamente svanita “Quando ciò avverrà, vi chiedo di non
rivelare a nessuno di essere la Nihaar’ì” lei si
sentì appena aggrottare le sopracciglia “E perché non dovrei?” “Perché non vi
crederebbero” spiegò lui semplicemente.
E perché non avrebbero dovuto crederle?
Come percependo la sua confusione, lui si fece di poco
più vicino “Se Zaphil ha agito come credo ora tutta Arryan vi crede al sicuro con il vostro Corteo ad Anaphantum. Rivelare la vostra identità non farà altro che
esporvi a inutili pericoli. Ricordate che i Kamin
sono mercanti di schiavi, non benefattori dell’Umanità”.
Da quella distanza era impossibile non notarlo. Hiras non era ancora un uomo malgrado la barba su zigomi e
mento. Nonostante la polvere addensata fra naso e bocca. Mordendosi appena
l’interno della guancia, lei si concesse un paio di istanti di pura e semplice
osservazione. Poi sospirò.
“Ammettendo che io non riveli la mia identità” gli
concesse infine dubbiosa “Cosa potrebbe accadere?” Lui fece un gesto vago con
la mano “Difficile dirlo. Siamo entrambi giovani e in forze, qualità che nessun
Kamin si sognerebbe mai di farsi scappare. Ma le
nostre origini sono incerte” indicò prima le proprie vesti consunte per poi
passare a quelle di lei assai più sfarzose seppur egualmente logore e
sbrindellate “Scarterei quindi sia la Città del Cielo che Anaphantum
dove i controlli hanno spesso del maniacale. Molto probabilmente ci dirotteranno
verso Yevtsuk’han (La città Nero Fumo). Lì la fame
cronica di manodopera permette ai Kamin di far
chiudere qualche occhio sulla sicurezza...” “Stai parlando della Città Nera?”
lo interruppe lei incredula. Lui le rivolse il medesimo sguardo senza capire.
Annui poi piano, incerto.
“La Città del Carbone e delle Forge?” per qualche
attimo lui non potè far altro che annuire ancora una
volta, meccanicamente. Poi improvvisamente capendo dove ella stesse mirando, si
lasciò andare a una lunga risata liberatoria.
“Non ridere” lo ammonì lei per nulla divertita “Non
lascerò che un Kamin qualunque mi butti in qualche
cava o pretenda di mettermi al servizio di un non meno precisato intagliatore
di pietre” “Preferite forse le case di piacere di Anaphantum?”
ribattè lui senza smettere di ridere.
Preferirei tornarmene semplicemente a casa. Si
ritrovò a pensare lei ma non ebbe il coraggio di dirlo.
“Preferirei che non mi si trattasse come una Knohar (umile donna) qualsiasi. Osare anche solo accostare
la mia figura a simili e inconsistenti...” “L’avete sentito?” la mano di lui le
ghermì improvvisamente una spalla bloccandole le parole in gola.
Il volto di Hiras parve
risalire appena rispetto alla linea intercettata dal suo sguardo per guardare
oltre, poco sopra il bordo sottile della conca da loro scavata ore prima. Lei
attese, le orecchie tese nell’indecisione se voltarsi e guardare anch’ella
nella medesima direzione o limitarsi solamente ad ascoltare, silenziosa, il
(forse) suono intercettato dal Danzatore.
Ma, manco a dirlo, non percepì nulla. Poi lontano,
lontanissimo, ecco risalire una vibrazione alta e monotona. Niente di
interessante, tentò di minimizzare la sua mente ma dopo qualche istante eccolo
tornare un poco più forte, più alto. Trattenne il fiato, sforzandosi di sentire
meglio. Più canino.
Improvvisamente un nuovo brivido le percorse palmo a
palmo la schiena costringendola a voltare lo sguardo verso un Hiras intento ora a fissarla a sua volta.
“Sbrighiamoci” fu il suo commento gelido “Sono più vicini di quanto pensassi”.