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Autore: nikita82roma    10/11/2016    4 recensioni
Kate sta per tornare al distretto riprendendo ufficialmente il suo ruolo di capitano e separarsi da sua figlia e da suo marito sarà più difficile di quanto pensasse. Non appena rientra al distretto le si presenta subito un caso scottante che tratterà in prima persona: il figlio di un famoso narcotrafficante di origine venezuelana è il colpevole di alcuni efferati delitti di giovani donne. Si troverà davanti a decisioni difficili e a dover combattere una battaglia alla quale è impreparata che la metterà davanti a nuove e vecchie paura, a dover scegliere ancora una volta quale direzione dovrà prendere la sua vita...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nel futuro
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Castle non aveva sentito Esposito e Ryan che erano entrati nell’ufficio di Beckett. Era fermo, immobile, in piedi davanti alla scrivania con gli occhi fissi sulla targa con il nome di lei e la mano che teneva il cellulare ancora semiaperta. Nella mente risuonavano quegli spari e la voce di Kate. Lo aveva rassicurato, lei a lui, aveva usato i suoi ultimi istanti per dirgli di non piangere e che sarebbe stato un buon papà. 

- Castle, cosa succede? - chiese Esposito perentorio.

Rick si voltò a guardarlo senza dire nulla. Non aveva ancora realizzato del tutto quello che aveva sentito. Non sapeva cosa dire.

- Allora Castle? Si può sapere cosa c’è? - lo incalzò ancora l’ispanico

- Kate… - mormorò appena

- L’hai sentita? Ci hai parlato? Dov’è? - disse Javier

- Le hai detto di costituirsi? - concluse Ryan

Rick era totalmente attonito e non riusciva a dire nulla. Vikram entrò nella stanza all’improvviso con ancora le cuffie in testa. Guardò Castle con gli occhi sbarrati e lucidi e solo in quel momento Rick sembrò processare quello che aveva sentito e sentì il suo corpo riempirsi di rabbia e dolore con il respiro che si fece immediatamente più veloce e la mascella serrata con i denti si consumavano strusciando gli uni sugli altri.

Castle uscì dall’ufficio di Beckett come una furia, spintonando Ryan e Vikram fece appena in tempo a spostarsi prima che la sua mole lo travolgesse. Spalancò la porta della stanza dove ancora erano Sorenson ed i suoi uomini così forte che la porta sbatté contro il muro per poi richiudersi. 

- Castle, ma cosa diavolo fai qui? - Gli urlò Sorenson mentre si alza dalla sua postazione andandogli incontro bellicoso. Rick allo stesso modo avanzava fissandolo, ignorando le sue parole. - Allora si può sapere ancora cosa diavolo vuoi? 

Ma quando l’agente FBI fu abbastanza vicino, Castle gli sferrò un pugno in pieno volto che lo fece barcollare all’indietro fino a quando non si fermò sul grande tavolo che usavano per le riunioni. Rick gli si avventò sopra prendendolo per il bavero della giacca, stringendolo con forza e facendogli sbattere la schiena sul piano. 

- È colpa tua Sorenson! È solo colpa tua! Tua e di tutti quelli che sono qui! - Gli urlava a pochi centimetri dalla sua faccia vedendo il sangue scendere dal suo naso. - Non avete fatto niente per lei! È morta per colpa vostra!

Castle sentì qualcuno afferrare da dietro le sue braccia e tirarlo via con forza, lasciò la presa su Sorenson, come se la scarica di adrenalina fosse finita e si sentiva svuotato. 

Esposito e Ryan lo trascinarono fino al muro vicino alla porta della stanza e lo misero con le spalle appoggiate tenendolo con le mani sul petto, per paura che potesse avventarsi di nuovo su Sorenson, ma Rick era come un sacco vuoto in quel momento, sentì le gambe deboli e scivolò lungo la parete fino ad accasciarsi a terra dove si lasciò andare ad un pianto disperato.

Tutti si fermarono a guardarlo, anche Sorenson che si tamponava il naso con un asciugamano: non c’era più davanti a loro lo scrittore famoso, quell’uomo grande e grosso che sembrava voler sempre proteggere tutti quelli che amava, sembrava un bambino con le ginocchia raccolte al petto e la testa appoggiata sopra che non aveva pudore nel piangere stremato, con i singhiozzi che sembravano tagliargli il respiro.

Ryan si portò le mani tra i capelli, mentre Esposito si coprì il viso e Vikram in uno scatto di rabbia gettò le cuffie a terra. Nel distretto, su tutto il piano era calato un silenzio irreale. Nessuno aveva il coraggio di parlare nè di fare niente: sembravano statue di un presepe doloroso immobili nelle loro attività quotidiane. Qualcuno aveva gli occhi lucidi e c’era chi non riuscì a trattenere le lacrime. Non c’era lì dentro qualcuno che non amasse Beckett, non era solo il loro capitano, era una di loro, l’avevano sempre vista così e non era cambiato nulla con il cambio di ruolo, lei era quella di sempre, quella che aveva un sorriso ed una parola per tutti, in ogni occasione. Nel silenzio totale l’unica cosa che tutti sentivano era il pianto di Castle che si trovò solo perché nessuno aveva il coraggio di dirgli nulla, nè di avvicinarsi a lui, per pudore o paura di quel dolore così assoluto.

Fu Vikram a spiegare quello che era accaduto, la telefonata che aveva registrato sul suo computer ed aveva ascoltato contemporaneamente a Castle, le minacce di Campos ed infine gli spari. Poi nulla.

Il campanello dell’ascensore che arrivava al piano attirò l’attenzione di tutti gli agenti che si voltarono a guardare chi fosse che aveva osato interrompere quel silenzio. Ne uscì Lanie con il suo solito sorriso, il passo svelto ed un fascicolo sottobraccio con i risultati dell’autopsia che aveva anticipato a Castle per telefono. Era felice perché finalmente aveva qualcosa per aiutare la sua amica. Lo aveva detto anche a Javier la sera prima, Kate era innocente al diavolo le prove che loro avevano. Era Kate, non poteva essere altrimenti e lei avrebbe trovato qualcosa per dimostrarlo e lo aveva fatto. Focalizzando l’attenzione sulla fine della stanza, non si accorse della strana aria che c’era lì, fino a quando non vide le scrivanie di Javier e Kevin vuote. Si voltò allora a cercare le prime persone che le potessero dare una risposta e vide Franklin e Huges con gli occhi lucidi.

- Ragazzi che succede? Avete una faccia che pare che è morto qualcuno! - Esclamò Lanie. I due non risposero, abbassarono per un attimo lo sguardo sospirando. Poi Franklin guardò la dottoressa e si fece coraggio

- Il Capitano Beckett… Lei è…

- No! - Gridò Lanie stringendo con forza il fascicolo tra le mani mentre il giovane detective annuiva tristemente.

La voce di Lanie arrivò fino alla stanza dove erano tutti in silenzio intorno a Castle che non accennava a calmarsi e Javier le si fece subito incontro. La faccia dell’uomo rigata dalle lacrime non lasciava spazio a fraintendimenti.

- No Javi! No! - Gridò ancora Lanie ed era l’unica lì che aveva il coraggio di parlare in quel momento. Esposito la strinse a se, soffocando le sue urla contro il suo petto, accarezzandole i capelli e cercando di calmare il suo pianto, ma fu lei, invece a far piangere di nuovo lui. 

- Castle? - Chiese lei staccandosi da Javier - Lo sa?

- Sì. È lui che… - il detective non ce la fece a continuare, Lanie chiuse gli occhi sospirando, mentre Esposito le fece strada fino alla stanza dove era ancora Rick, immobile nella stessa posizione. La dottoressa si mise in ginocchio vicino a lui, abbracciandolo, ma nemmeno questo lo fece smuovere ed appoggiò la testa contro la sua spalla. Lenie era forse l’unica ad aver da sempre saputo quanto era profondo e forte il legame che c’era tra Rick e Kate. Lo aveva capito quando erano in pochi ancora a scommettere su di loro, ma per lei era chiaro. Conosceva la sua amica e vedeva quella luce diversa nei suoi occhi quando c’era lui e riconosceva quell’energia che si creava quando loro erano nella stessa stanza. Non riuscì nemmeno ad immaginare quello che Castle stava passando in quel momento e nemmeno lei trovò il coraggio di dirgli nulla. Gli agenti dell’FBI stavano tornando al loro lavoro, mentre Sorenson ancora si teneva il naso dolorante per il pugno ricevuto.

Poi Rick di colpo sembrò ridestarsi, alzò la testa lasciando vedere il volto completamente bagnato dalle lacrime e gli occhi rossi. Lanie si allontanò da lui, rialzandosi in piedi. 

- Jim… Sta venendo qui… gliel’ho detto io… - disse calmo con un filo di voce

Improvvisamente il suo pensiero era quello. Jim. Doverlo dire a Jim. Si asciugò il viso con il dorso della mano e si alzò in piedi. Gli sembrò di barcollare, come se fosse sul ponte di una nave in mezzo alla tempesta.

Confrontarsi con il dolore altrui non era facile e furono solo un paio di detective che si avvicinarono a Castle senza dire nulla, dandogli solo una pacca sulla spalla, mentre avanzava incerto nel corridoio. 

- Castle, vuoi qualcosa? Vuoi andare nella sala relax? - Gli chiese Lanie ma Rick rifiutò e si sedette istintivamente vicino a quella che era stata la scrivania di Kate. Lo notarono tutti, ma nessuno commentò. 

- Ehy amico, vuoi che ci parliamo noi con il padre di Kate? - Gli chiese Ryan ma Rick scosse la testa. Doveva farlo lui.

- Cos’è questo? - Esposito sfogliò il fascicolo che aveva lasciato Lanie sulla sua scrivania

- I risultati dell’autopsia che mi ha chiesto di fare Castle.  Hector Yepes e Maria Asenjo erano stati avvelenati. Sarebbero morti comunque. - Rispose Lanie sospirando

- Una messa in scena - Ringhiò Javier

- Già… così sembra - concluse Lanie

- Basta! Non ha più senso adesso. - Sbottò Castle - Volevate le prove? Eccole. 

Sorenson uscì dalla stanza e chiese a Vikram, che era rimasto in un angolo lontano dagli altri, di portare ai suoi una copia della registrazione intanto che lui andava a farsi medicare.

 

Gli agenti dell’FBI insieme a Esposito, Ryan e Lanie ascoltarono più volte quella registrazione. Vikram spiegò ai colleghi come era impossibile tracciare quel telefono, che lui ci aveva già provato varie volte, facendo vedere tutti i tracciati che portavano sempre ad un punto morto, con cellule che rimbalzavano il segnale da un punto all’altro del paese. Un lavoro da veri professionisti, con una codifica che avrebbe richiesto settimane di lavoro per decifrarla.

Castle sentiva in lontananza quella registrazione ripetersi all’infinito, come le volte che aveva risentito le parole di Kate nella sua mente. Tutti ora stavano ascoltando le ultime parole che lui e sua moglie si erano scambiati, i loro ti amo ed i loro per sempre.  Si sentì privato anche di quel momento e di quel ricordo che ora era alla mercé di tutti analizzato e vivisezionato. Ora stavano tutti indagando, ora si davano da fare, ora che non aveva più importanza. Vide uno degli agenti dalla porta lasciata aperta andare alla lavagna cancellare quanto scritto in precedenza e considerare ora sì, Kate una vittima, la persona scomparsa.

Sorenson tornò con un grosso cerotto ed un tampone in una narice, rendendo per Rick, se era possibile, la sua voce ancora più fastidiosa.

- Castle, non abbiamo prove al momento che Beckett sia stata uccisa, per questo noi ora ci muoveremo come in un caso di rapimento.

- Ora Sorenson? Ci pensi ora che le hanno sparato? Ora che l’hanno uccisa? Cosa vuoi che mi importi di quello che fai ora? L’hai trattata come una criminale, hai messo a soqquadro la nostra casa, il suo appartamento, avete violato la nostra privacy, la nostra camera, avete messo le vostre mani sulle nostre cose, quelle che ci erano più care. Ed ora mi dici che vuoi indagare? Vattene Sorenson, non ti far più vedere da me o giuro che quello di prima era solo una carezza. 

A Rick stava montando di nuovo la rabbia e trovava Will la persona giusta sulla quale sfogarsi. Avrebbe voluto spaccargli la faccia, togliergli quel sorriso irriverente che troppe volte gli aveva mostrato.

- Non è centro picchiando me che risolvi qualcosa scrittore. Ma se pensi che ti farà stare meglio, che ti sentirai più uomo dopo, accomodati, picchiami. Ti assicuro, non ti denuncerò nemmeno per aggressione. Non vali nemmeno la perdita del mio tempo. 

Castle si era alzato precipitosamente facendo cadere anche la sedia per come l’aveva spostata con le gambe rapidamente. Si stava avventando su Sorenson quando il rumore delle porte dell’ascensore che si aprivano lo fece desistere: Jim Beckett, accompagnato dal suo avvocato e dall’investigatore Moore, percorse rapidamente il corridoio fino a lui guardandosi intorno in quel clima surreale.

- Richard! Cosa sta succedendo? - Chiese Jim preoccupato mentre Sorenson si allontanava lasciandoli soli. 

Rick cominciò a dirgli della telefonata ma prima che finì il padre di Kate si accorse della telefonata registrata che veniva dell’altra stanza. Castle fece silenzio e Jim potè sentire l’ultima parte: non c’era bisogno di aggiungere altro. Vide suo suocero diventare impassibile e sollevare gli occhi verso l’alto guardando su, oltre il soffitto di quella stanza e sospirò profondamente.

- Mi dispiace Jim, io… io avrei dovuto impedirle di fare qualsiasi cosa, io l’avrei dovuta tenere al sicuro, non doveva accaderle nulla, te l’avevo promesso…  mi dispiace Jim… mi dispiace…

- Non è colpa tua Richard. Non potevi fare nulla. Katie è così. 

- Io mi dovevo prendere cura di lei.

- Katie è con sua madre. È con Jo ora…

Jim si allontanò dirigendosi verso gli ascensori per andare via mentre Castle sentendo quelle parole ricominciò di nuovo a piangere ma si alzò e corse verso il padre di Kate.

- Non andartene Jim, non andartene da solo. Non adesso. Ti prego, vieni a casa con me. - Disse asciugandosi le lacrime

- Io… 

- Per favore Jim. Lo sai, anche Kate vorrebbe così.

 

Dal distretto al loft, le uniche parole pronunciate furono l’indirizzo di casa da Castle al tassista. Rick e Jim non avevano bisogno di parlare, non dovevano dirsi più nulla. Sapevano. Ognuno riconosceva il dolore dell’altro e lo rispettava. Jim aveva temuto quel momento da sempre, da quando Kate era entrata in polizia. Ogni notte temeva una chiamata dei suoi colleghi. L’aveva vista sprofondare nelle sabbie mobili dell’ossessione dell’omicidio di sua madre e poi venirne fuori per caderci di nuovo. Aveva sperato veramente che sarebbe stato diverso adesso con Castle, che il loro amore l’avrebbe convinta a prendere scelte diverse, ma questa volta la sua scelta riguardava qualcosa di più, qualcosa di ancora più forte ed importante. Riguardava sua figlia e Jim non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi con lei per quanto era stata folle. I suoi sospiri si mescolavano con quelli di Rick e Jim si chiedeva quali fossero i suoi pensieri in quel momento, qual era il ricordo a cui stava pensando. Sapeva esattamente quello che provava: il dolore, la paura, il senso di smarrimento e di vuoto di quando di portano via più di una persona cara, ma la persona della tua vita. Gli appoggiò una mano sulla spalla e Rick si voltò verso di lui asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, dove le lacrime stavano ricomparendo senza pudore.

Da fuori la porta sentirono le risate all’interno di Alexis, Dustin e Lily e a Castle comparve un timido sorriso, stava per aprire quando si voltò verso l’altro uomo.

- Jim, per favore, rimani qui al loft con noi. Abbiamo una stanza in più al piano di sopra. Sai anche per Lily sarebbe meglio averci tutti vicini.

- Te lo ha detto Katie, vero? - Rispose Jim provando a sorridere anche lui

- Cosa?

- Di non lasciarmi solo.

- Beh… lei si preoccupa molto per te, anche se magari non sempre lo dimostra come vorrebbe. Ne abbiamo parlato qualche volta… sai com’è…

- Entriamo Richard.

Le risate dei tre li invasero e Alexis rimase sorpresa nel vedere suo padre insieme a Jim ma si accorse subito che qualcosa non andava. I due uomini si avvicinarono a loro senza dire nulla, Jim prese in braccio Lily che era sdraiata sul tappeto e si mise seduto sul divano perdendosi negli occhi di sua nipote.

- Alexis puoi chiamare tua nonna e dirle di venire a casa? - La voce di Rick non riuscì a nascondere il suo stato d’animo e i suoi occhi troppo arrossati fecero il resto.

- Papà, cosa succede? - Chiese Alexis alzandosi ed andando davanti a Castle che l’unica cosa che riuscì a fare fu abbracciare sua figlia e darle un bacio tra i capelli. - Papà?

- Katie - disse Jim abbassando lo sguardo senza aggiungere altro. Alexis guardò Rick che serrava i denti e fece solo un minimo cenno di assenso con la testa non dicendo nulla. 

- Chiama tua nonna - Le disse ancora Rick prima di andare verso il mobile dove teneva i liquori. Riempì un bicchiere a metà e stava per berlo quando incrociò lo sguardo di Jim che aveva seguito tutti i suoi movimenti senza dire nulla. Castle lanciò il bicchiere contro il muro davanti a lui ed il rumore forte dell’impatto insieme a quello dei vetri che ricadevano a terra spaventò Lily che cominciò a piangere. Guardò sua figlia con aria colpevole mentre Jim tentava di calmarla e con un gesto gli disse se voleva prenderla ma Castle rifiutò.

- Scusatemi - disse a tutti ed andò a chiudersi nel suo studio.

 

- Richard… - La voce di sua madre lo fece voltare. Era in piedi davanti alla finestra e guardava fuori New York che viveva come tutti i giorni, come sempre, come se nulla fosse. Perché il mondo non si era fermato?

Erano stati Ryan ed Esposito a raccontare tutto, Rick non si era nemmeno accorto che erano al loft. La donna abbracciò il figlio gli accarezzò il viso ed asciugò le lacrime. Martha pensò in quel momento che forse lo aveva fatto troppe poche volte quando era piccolo, ed ora per farlo doveva allungarsi, perché quel suo ragazzo era un uomo molto più grande di lei, anche se in quel momento era solo un bambino. Castle si lasciò accompagnare da sua madre fuori dallo studio ma appena vide i due detective in compagnia di Lanie si irrigidì.

- Cosa ci fate voi due qui? - Disse a Javier e Kevin

- Ecco noi… volevamo vedere se avevate bisogno di qualcosa… - disse Ryan

- Sì, che ve ne andiate - Rispose secco Castle attirandosi lo sguardo stupito di Alexis e Martha. - Subito.

- Amico… - Provò a replicare Esposito.

- Andate via. 

- Castle, ci dispiace. Noi… - continuò l’ispanico

- Vi dispiace? Voi non avete idea di quanto dispiace a me. Mia moglie è morta per colpa vostra. Perchè voi siete stati a guardare, perché vi siete fatti condizionare da Sorenson dimenticandovi che è Kate. L’avete fatta passare da vittima a colpevole e non avete fatto nulla per aiutarla. L’avete lasciata sola. Kate era sola e magari lei sperava che qualcuno l’andasse ad aiutare che seguisse una traccia… invece no, perchè i suoi detective, i suoi amici sono stati i primi a considerarla colpevole. Andate via adesso, per favore.

Nessuno osò replicare allo sfogo di Rick. I tre salutarono gli altri e stavano per uscire quando Castle chiamò Lanie.

- Se vuoi puoi rimanere. - disse alla dottoressa che si guardò con Esposito che le fece cenno di sì con la testa. Le diede un bacio e poi uscì con Ryan mentre lei rimase al loft.

 

Le pizze che Dustin era andato a prendere per il pranzo rimasero per lo più intatte nei loro contenitori. Non c’era voglia di mangiare, nè di parlare, nè di fare altro. Stavano tutti cercando di metabolizzare quanto era accaduto e nessuno ci riusciva. L’unica che viveva come sempre era Lily che passava dallo stare in braccio da uno all’altro che si sforzava per farla giocare e sorridere. Alla fine era lei che riusciva a far star meglio tutti, tutti tranne il suo papà che la guardava continuamente ma non era riuscito a prenderla in braccio da quando era rientrato. Lo avevano notato tutti, come il fatto che parlasse di Kate sempre al presente, ma nessuno gli aveva detto nulla.

Era ormai sera e Lily dava i primi cenni di stanchezza per quella giornata anomala che anche lei aveva vissuto senza esserne consapevole. Aveva cominciato a lamentarsi in braccio ad Alexis dopo che le aveva dato il suo biberon di latte e la ragazza aveva più volte incrociato lo sguardo di Castle chiedendogli silenziosamente un aiuto che lui però sembrò ignorare, abbandonato a se stesso inerme.

- Richard, occupati di tua figlia. Ha bisogno di te - gli disse Jim perentorio dicendogli quello che tutti pensavano ma che nessuno aveva il coraggio di dire ad alta voce. Castle annuì e prese Lily dalle braccia di Alexis portandola in camera sua. Entrare lì fu come essere investito da un treno in corsa. Gli sembrava di vedere Kate in ogni angolo di quella stanza. Era vicino all’armadio mentre sceglieva cosa mettersi, in piedi davanti alla culla di Lily che la guardava dormire, sulla porta del bagno con solo un’asciugamano annodato sopra i seni ed i capelli bagnati, sdraiata sul letto che dormiva serena e nuda che lo guardava ammiccante. Chiuse gli occhi per scacciare le immagini ma diventarono solo più nitide e si sovrapposero una con l’altra. Si sdraiò facendo addormentare Lily sopra di se mentre continuava a vedere Kate ovunque fino a non sapere più se era sveglio o stava dormendo.

Il suo cellulare vibrò. Adagiò con cura Lily ormai addormentata tra i cuscini per non farla cadere dal letto. Guardò sullo schermo “Sconosciuto”. Si ricordò in quel momento che aveva lasciato il cellulare di Campos al distretto. Era di nuovo lui? Lo chiamava sul suo numero? Si alzò di scatto ed indugiò un po’ prima di rispondere.

 

- Castle!

- Figliolo… - Rick sobbalzò sentendo quella voce al telefono. Erano passati tre anni più o meno dall’ultima volta che lo aveva visto e quell’ultima volta gli aveva lasciato un sapore amaro in bocca. Si era illuso che quello che gli avesse detto o che avesse fatto, quell’abbraccio e quelle parole di stima che per tutta la vita aveva sognato da suo padre fossero state vere, ed invece doveva convivere con la realtà che era stato solo un modo per truffarlo. Però dentro di se, forse la voce del suo innato ottimismo che lo portava a voler vedere il bene ed il buono, gli diceva che magari un fondo di verità c’era. In un attimo si chiese se avesse saputo quello che era accaduto e se lo stava chiamando per quello, se per una volta nella sua vita avesse voluto offrirgli il suo conforto, quel conforto di un padre che tante volte quando era piccolo aveva cercato disperatamente senza mai avere nulla.

- Papà…

- Richard, vieni a riprenderti tua moglie. 

- Cosa stai dicendo papà?

- Kate è con me. È viva, Richard. Vieni.

   
 
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