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Autore: Stella Dark Star    11/11/2016    1 recensioni
Delfina, figlia del banchiere Andrea de' Pazzi, ha solo quindici anni e nessuna vita sociale quando viene incaricata dal padre di entrare nelle grazie di Rinaldo degli Albizzi per scoprire ogni suo segreto e sapere in anticipo ogni mossa che farà in campo politico. Lei accetta con riluttanza la missione, ma ancora non sa che il destino ha in serbo per lei molto di più. Quella che doveva essere una semplice e innocente conoscenza, diventa ben presto un'appassionata storia d'amore in cui non mancano gelosie, sofferenze e punizioni. Nonostante possa contare sull'aiuto della madre Caterina (donna dal doppio volto) e della fedele serva Isabella (innamorata senza speranze di Ormanno), Delfina si ritroverà lei stessa vittima dell'inganno architettato da suo padre e vedrà i propri sogni frantumarsi uno dopo l'altro.
PS: se volete un lieto fine per i protagonisti, non dimenticate di leggere il Finale Alternativo che ho aggiunto!
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Andrea&Lucrezia - Folle amore (da Pazzi, proprio!)" per vivere assieme ai protagonisti un amore impossibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due
 La via della perdizione
 
Lo sguardo era privo di espressione e la luce delle candele contribuiva a renderlo vuoto. Il taglio delle labbra, naturalmente incurvato verso il basso, in quel momento era ancora più marcato in una sorta di smorfia di disgusto.
“Albizzi, vi sentite bene?”
Gli occhi di Rinaldo misero a fuoco la figura che aveva davanti, l’espressione non mutò. Abbassò lo guardo sul calice che teneva in mano e constatò che era quasi vuoto. Strano, non ricordava di aver bevuto.
“Amico mio?” Andrea Pazzi si fece più incalzante, ma più che preoccupazione il suo volto mostrava compiacimento.
Rinaldo mandò giù l’ultimo sorso di vino e si tamponò le labbra con la manica della giacca, senza preoccuparsi delle buone maniere. Si schiarì la voce e disse semplicemente: “Sono sorpreso che vostra figlia non abbia presenziato alla cena. Alla sua età sarebbe saggio da farsi.”
Nonostante il tono aspro, Pazzi era troppo astuto per non capire che in realtà l’amico avrebbe messo a ferro e fuoco il palazzo pur di vedere Delfina. Per questo decise di stuzzicarlo: “Mia figlia si trova nelle sue stanze, dove ho piacere che rimanga fino a quando non le avrò trovato un buon marito. Ma non temete, Albizzi, mia figlia ama disobbedire alla mia volontà, sono certo che con un pizzico di fortuna la incontrerete in questa stessa sala mentre sgattaiola tra gli ospiti.”
Era alquanto bizzarro che un uomo parlasse apertamente delle mancanze della propria figlia e lo era ancora di più che lo facesse in presenza di più persone. Possibile che Pazzi fosse un padre amorevole?
“O forse è tutta una congettura per impressionarmi e prendesi gioco di me.” Pensò Albizzi.
Pazzi prese il calice vuoto dalla mano di Rinaldo e lo posò assieme al proprio sul tavolo alle proprie spalle.
“Se Vossignorie vorranno scusarmi, vorrei assentarmi qualche minuto con Messer Albizzi.”
Gli uomini a cui si era rivolto, ovvero alcuni degli ospiti della serata, si limitarono a fare dei cenni di assenso e a riprendere i discorsi interrotti.
Con sospetta ed eccessiva confidenza, Pazzi mise una mano sulla spalla di Rinaldo: “Venite con me, amico mio.”
Lo guidò fino al proprio studio, anch’esso ben illuminato dai candelabri e ben riscaldato dal fuoco del camino.
“Voglio condividere con voi uno dei miei tesori. Un vino pregiato che sono in pochi a possedere qui a Firenze.”
Lo aveva distolto dalla monotonia della serata per quello? Dalla noia all’ubriachezza. E a Rinaldo non piaceva nessuna delle due cose.
“Giusto un bicchiere. Non vorrei abusare della vostra gentilezza, mio caro Pazzi.” Quindi prese posto sulla poltrona di fronte alla scrivania senza nemmeno attendere di essere invitato a farlo. Stava per aggiungere qualcosa, ma si bloccò quando il suo sguardo si posò su un oggetto interessante. Proprio lì in bella vista vi era una pila di fogli affiancata da penna e calamaio. Avrebbe potuto scrivere un biglietto a Delfina e consegnarglielo, se fosse riuscito ad incontrarla anche per un solo istante. Si sorprese del modo in cui la sua mente aveva elaborato un’idea così pacchiana. Scosse il capo al vuoto, non aveva più l’età per quelle fantasie romantiche. Anzi, non era mai stato un uomo romantico, nemmeno in gioventù. I suoi pensieri s’interruppero bruscamente quando sentì le mani di Pazzi afferrarlo alle spalle e la sua voce sibilante sussurrargli all’orecchio: “Aspettate qui, tornerò entro cinque minuti.”
E mentre i passi di Andrea Pazzi si allontanavano riecheggiando nel corridoio, Rinaldo divorava con lo sguardo quei fogli giallognoli che fungevano da chiave per un terreno da lui ancora inesplorato. Una terra chiamata Adulterio.
*
Attizzatoio in mano, sguardo illuminato dalle braci che stavo stuzzicando nel camino. Avevo perso la cognizione del tempo. Non sapevo che ora fosse, non sapevo nemmeno perché ero lì seduta davanti al camino della cucina. Udii il rumore di passi affrettati, voltai il capo verso la porta aperta dove in breve comparve mio padre.
“Ah sei qui, allora. Ti stavo cercando.” In una mano aveva due calici puliti e nell’altra una bottiglia di vino dal vetro impolverato. Una delle sue riserve in cantina, evidentemente.
“Delfina, Rinaldo vuole vederti.”
Scattai in piedi, presa dall’entusiasmo: “Ha chiesto di me?”
Mi squadrò torvo: “Non esplicitamente, ma è chiaro che muore dalla voglia di vederti.”
“Mi dai il permesso di accedere al salone? Mi bastano pochi minuti per raccogliere i capelli ed essere presentabile.”
“Starai scherzando, spero.”
Quelle parole bastarono a disilludermi. Speravo che finalmente avrei potuto presenziare ad una serata, incontrare gli ospiti e parlare con qualcuno, e invece niente.
“Farai come hai sempre fatto. Scivolerai come un’ombra senza farti notare troppo, tranne che da lui ovviamente. E lo incontrerai in un luogo dove non nessuno possa vedervi. Fagli credere di essere infatuata di lui e cerca di accendere il suo interesse.”
Probabilmente vide la delusione nei miei occhi, per questo si alterò: “Delfina, hai capito?”
Feci un ampio cenno col capo: “Sì, padre.”
Ottenuta la mia conferma, tornò a sfoggiare il suo classico disinteresse per me: “Bene. Gli faccio assaggiare il vino e poi lo mando dritto da te. Fatti vedere all’ingresso delle stanze private e lui ti seguirà come un cagnolino.” E detto questo uscì dalla cucina, lasciandomi sola con l’amaro in bocca e nuovi sensi di colpa.
Mi lisciai il vestito distrattamente, la stoffa blu notte non era molto in tono con il mio incarnato pallido, ma d’altra parte i colori non abbondavano nel mio armadio. Allo stesso modo lisciai i capelli sciolti che ricadevano in tutta la loro bellezza. Una bellezza che nessuno vedeva mai.
Salii due rampe di scale ed attraversai il grande corridoio su cui si diramavano le nostre stanze e i nostri salottini privati. La porta che dava sul salone centrale del palazzo era grande e massiccia. Constatai che non c’era nessuno di guardia, il che significava che mio padre aveva pensato proprio a tutto. Afferrai la fredda maniglia e aprii di uno spiraglio, giusto quanto bastava per sbirciare. Già alla prima occhiata mi resi conto che quella sera vi erano più servitori che ospiti, ma nella confusione generale non sarebbe stato difficile fare una capatina. Non riuscii a vedere Rinaldo, forse lui e mio padre erano ancora nello studio. Al contrario di tutte le altre volte, quella sera non mi lasciai incantare dalla bellezza degli abiti ricamati, dei broccati, dei gioielli. Ero triste. La risata civettuola di mia madre arrivò al mio orecchio. La vidi assieme ad alcune Madonne, bellissima in un abito scarlatto che assottigliava ulteriormente la sua figura e con petto e capelli decorati da perle e ori. Le gote arrossate indicavano che aveva bevuto troppo vino. Così bella e così stupida. Voltai il capo per la delusione e quasi per caso vidi Rinaldo in fondo alla sala. Il suo sguardo acceso su di me mi fece sussultare. Scappai via come una sciocca, rischiando che lui fraintendesse il mio gesto.
Nel corridoio, lontana da occhi indiscreti, mi fermai e presi respiro. Non per la fatica, certo, ma per cercare di calmarmi. La sorpresa mi aveva spiazzata, il cuore mi batteva forte nel petto e nello stomaco sentivo un fastidioso sfarfallio. Dovevo concentrami. Quando udii dei passi dietro a me, avevo in effetti ritrovato parte della mia abituale calma. Non avevo bisogno di voltarmi per sapere di chi si trattasse. Feci scivolare le scarpette sul pavimento di marmo, con grazia, e in breve mi ritrovai di fronte alla vetrata. All’esterno non si vedeva una singola luce e nemmeno la luna aveva osato mostrarsi quella notte. Accanto a me vi era un candelabro a collo lungo, la luce gialla delle candele si sparse su di me. Mi accorsi del mio riflesso sul vetro, vidi il riflesso di Rinaldo. Continuai a guardare mentre lui si avvicinava a me lentamente.  Mi voltai all’ultimo istante. Rinaldo mi afferrò per i polsi e premette il suo corpo contro il mio, schiacciandomi contro la vetrata. Il mio respiro si fece ansante, sia per la paura che per il desiderio, lui invece era assolutamente calmo e controllato, il suo respiro regolare contro il mio viso, il suo sguardo fisso nei miei occhi. La sua statura notevole e il suo corpo massiccio mi facevano sentire ancora più minuta di quanto non fossi. Non capivo cosa stesse accadendo. Vidi il viso di Rinaldo avvicinarsi di più al mio, l’istinto mi suggerì di dischiudere le labbra. Volevo baciarlo. Volevo essere baciata. La punta del suo naso sfiorò la mia. Sentii la sua barba accarezzarmi la guancia, in un modo appena percettibile. E all’improvviso lasciò andare i miei polsi. Si portò una mano all’interno della giacca, da cui estrasse quello che riconobbi essere il mio velo. Me lo mise in mano in modo un po' sgarbato e se ne andò.
Mi ritrovai a crollare sul pavimento, le gambe in brodo per la forte emozione. Sollevai il velo con mani tremanti e me lo portai alle narici, chiusi gli occhi. Come immaginavo, odorava di uomo e di sapone di qualità. Odorava di lui, di Rinaldo. Il rumore di qualcosa che scivolava sul mio vestito e finiva per terra mi fece riaprire gli occhi. Un biglietto piegato più volte e strizzato per assottigliarlo. Posai il velo sulle mie ginocchia e usai entrambe le mani per aprire il foglio di pergamena. A vedersi, tutto spiegazzato e con una calligrafia frettolosa, poteva essere anche una vecchia lista della spesa! Dovetti aguzzare la vista per riuscire a leggere le parole scritte.
Inviterò tuo padre nella mia dimora. Convincilo a portarti con sé.
                                                                                              R. A.”
Dimenticai come si respirava.
  
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