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Autore: Cathy Earnshaw    12/11/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 12
Lumia
 
 
Oliandro deglutì a vuoto ancora una volta. Era enormemente combattuto tra il desiderio di disattendere l’ordine del Re per restare al centro dell’azione da un lato, e mettersi alla prova con un nuovo incarico a Lumia dall’altro. Reggente e Vicecomandante dell’Esercito Eterno. Solo il ripeterselo gli metteva i brividi. Non approvava completamente la scelta di suo zio di mandare un membro della sua famiglia a tranquillizzare la gente, sapeva di scelta di opportunità, ma si rendeva anche conto che non c’erano molte alternative praticabili. Il Governatore Glenndois si trovava a Class, Lady Ailyn e Rowena a Spleen, Frunn non si sarebbe lasciato allontanare di nuovo nemmeno a calci e di certo Horlon non poteva abbandonare Cyanor in un momento simile senza rischiare la crisi diplomatica. Continuare a ripetersi di essere una scelta obbligata lo mortificava a sufficienza da farlo sentire meno in colpa per tutto quell’entusiasmo gratuito e fuori luogo.
Attraverso il fitto bosco che circondava la costa di Lumia non si riusciva a distinguere il cielo, e dopo aver viaggiato fino a lì trasportato da un mago l’idea di trovarsi sepolto dalle piante gli faceva mancare l’aria. Non era più abituato a tutta quella vegetazione, ormai era da molti anni che si era trasferito a Spleen con la sua famiglia, da quando aveva concluso il suo ciclo di istruzione. Ma ora stava tornando alla capitale del Reame Eterno, ed era sempre più impaziente di vedersela comparire davanti.
«Siete silenzioso, Signore. C’è qualcosa che non va?» domandò l’elfo accanto a lui.
Aster era il Capitano della guardia cittadina fin dai tempi in cui Dodo era solo un bambino. Il messaggio del Re aveva anticipato l’arrivo del nipote, che aveva così trovato ad attenderlo una piccola delegazione comandata da lui. Le sopraciglia arcuate lo facevano sembrare perennemente sorpreso, ma l’effetto era mitigato dal sorriso serafico che Dodo gli ricordava sul viso da sempre.
«Sono un po’ teso. Com’è la situazione a Lumia? Aggiornami.»
Aster si passò una mano sulla fronte.
«Posso parlare liberamente?»
«Certo» rispose Oliandro inquieto.
«Le persone hanno paura e molti non vedono di buon occhio che il Re sia lontano in un momento così difficile, pensano che se Sua Maestà fosse qui i draghi non oserebbero attaccarci.»
«Lumia non è ancora stata attaccata, mentre Sire Horlon era a Cyanor eppure questa è stata attaccata comunque.»
«Non è il mio parere, Signore.»
«Certo, lo so» esitò. «È tutto molto confuso al momento. Non si capisce di chi ci possa fidare e di chi invece no, le alleanze diventano instabili.»
Aster ascoltava in silenzio e Oliandro si domandava se tacesse per discrezione o per mancanza di interesse. Ad ogni modo, presto giunsero ai primi sobborghi del porto e lasciò cadere l’argomento.
Gli abitanti si riversavano nelle strade e restavano là sui cigli a fissarli, alcuni applaudivano, altri ostentavano il malcontento. Dodo inghiottì la delusione e cercò di sorridere, di sembrare sicuro. Quelle persone si aspettavano di vedere il Re e a nulla sarebbe valso tentare di spiegare loro che il Re era in guerra e non poteva trovarsi in più posti contemporaneamente.
«Volete fermarvi oppure posso condurvi direttamente a Lumia?»
Oliandro fece scorrere lo sguardo sulla gente.
«Ritieni che gioverebbe fermarci?» domandò.
«Solo se avete qualcosa di veramente buono da vendere loro» rispose Aster serafico.
Dodo ci rifletté un momento. Non si era preparato alcun genere di discorso, ma lasciare lì quelle persone senza una parola di conforto gli sembrava immorale.
«D’accordo» mormorò.
Si schiarì la voce mentre calava il silenzio. Si sentiva la gola secca, e la postura rigida di Aster non era per nulla d’aiuto.
«Siamo in guerra» esordì, sforzandosi di scandire bene le parole nonostante il malessere generale e improvviso. «Siamo in guerra e nessuno di noi è davvero al sicuro. Sua Maestà Re Horlon vi manda le sue scuse per non poter essere qui accanto a voi, e i suoi ringraziamenti per il coraggio e la forza d’animo che state dimostrando» fece una breve pausa.
Poco alla volta parlare gli risultava meno difficile e le persone intorno a lui si facevano attente. Proseguì con voce grave:
«La città di Cyanor, la capitale del Regno dei Maghi, ha subito un pesante attacco ieri. Il nostro Re ha combattuto valorosamente insieme alle sue truppe e la battaglia è stata vinta. Ma questa guerra non è finita, e non è limitata a questa o quella zona della nostra bella terra. Si allarga come un’epidemia e non c’è altro modo per debellarla che combattere» prese un respiro profondo. «Io sono Oliandro, figlio del Generale Glenndois. So che non era me che vi aspettavate di incontrare oggi, ma vi prometto che mi spenderò per proteggere Lumia e ciascuno di voi da quest’incubo senza fine. Sono qui per mettere a vostra disposizione le mie capacità militari  e strategiche, perché possiate essere pronti a fronteggiare qualunque cosa il futuro ci riservi. Rientro dopo molti anni nella mia capitale, con l’intenzione di conservarla per Sire Horlon, e vi prego di sostenermi in questo compito» concluse.
Per qualche secondo sul bosco calò un silenzio surreale, poi scoppiò l’applauso. In men che non si dica, Oliandro si trovò sommerso da elfi che gli stringevano le mani e sorrise. Tutto sommato ne era uscito abbastanza bene.
 
Mark trattenne il respiro e invertì la direzione del vento nel modo meno invasivo possibile, come gi aveva detto di fare il nano. Ormai gli veniva istintivo: ogni volta che il loro cammino incrociava altre forme di vita sufficientemente evolute da dare un segnale di allarme, faceva in modo che il loro odore non le mettesse in agitazione. Temevano che una movimentazione di massa avrebbe attirato l’attenzione di qualche drago non troppo amichevole. Il Monte Alba non sembrava intenzionato ad avvicinarsi nonostante avessero già percorso diverse miglia. Impialla non era stato d’accordo quando Mark aveva insistito per portare con sé i cavalli, ma sulla distanza si stava rivelando una buona idea. Certo, sarebbero arrivati prima spostandosi con la magia, ma tanto valeva farsi accompagnare dalla banda del paese! Dovevano contenere al massimo gli incantesimi se non volevano essere notati. I draghi erano creature ataviche, erano sensibili ai flussi magici. Chissà dove si nascondevano le spie di Horlon, non ne avevano ancora trovato traccia. Certamente sapevano bene come nascondersi, non erano tutti rozzi come quel tenente Eskin, c’erano anche elfi distinti come il Re e il Governatore di Spleen, delicati come Lady Ailyn e sua figlia, carismatici come Dodo… e poi c’era anche gente quatta come l’onnipresente Frunn.
«A cosa pensi con quell’aria seria?»
«Agli elfi. Tu ti fidi di loro?»
Impialla si incupì.
«Me l’hai già chiesto. Se anche inverti l’ordine delle parole della domanda, il risultato non cambia. Mi fido, certo, e non vedo perché non dovrei. Tu hai fiducia nel tuo Re?»
«Certo.»
«Storr si fida di Horlon, tu ti fidi di Storr, devi necessariamente fidarti anche tu di Horlon.»
«Dei, mi sembra di essere tornato a scuola! E comunque non è il ragionamento più lineare che io abbia mai sentito!»
«A me sembra che lo sia.»
Mark sospirò. Era una causa persa.
«Sei mai stato ad Est, nel territorio delle tribù?»
Impialla gli lanciò un’occhiata indecifrabile.
«Una volta, moltissimi anni fa. E spero di non doverci tornare mai, se proprio vuoi saperlo.»
Mark scosse il capo. Erano passati anni da quando aveva lasciato la sua terra. Si chiedeva che cosa ne fosse stato dei suoi genitori. Aveva scritto loro molte volte ma non aveva mai ottenuto risposta. Di certo la sua scomparsa aveva gettato una lunga ombra sull’onore della sua famiglia… sperava solo non ci fossero state conseguenze nei confronti di sua madre. Aveva tentato per anni di ottenere informazioni attraverso il suo elemento prima di arrendersi al fatto di non essere potente abbastanza da oltrepassare il Regno dei Nani.
«Non mi chiedi perché?» domandò Impialla.
«Perché cosa?»
«Non ci voglio tornare.»
«Ah. In realtà non ha molta importanza, non ci voglio tornare nemmeno io. Quello che mi interessa, piuttosto, è sapere se avete un qualche tipo di rete di informazioni relative all’Est. Vedi, io…»
Impialla lo interruppe.
«Quando questa guerra sarà finita mi verrai a trovare ad Altapietra e allora vedremo di scoprire qualcosa. Va bene?»
Mark lo guardò sorpreso. Non si aspettava di scoprire un lato paterno in Impialla. Chissà chi aveva lasciato a casa ad aspettarlo…
«Va bene!» rispose con in sorriso.
 
«Siamo quasi arrivati» disse Aster con un sorriso teso.
Oliandro annuì. Erano in tremendo ritardo, avevano dovuto fermarsi altre volte per parlare con la folla. Il suo accompagnatore non aveva obiettato apertamente, ma la sua impazienza iniziava a trasparire qua e là, come in quel sorrisino tirato. Il quartiere del porto era stato il più ostico da affrontare. Gli ascoltatori erano mercanti, non si facevano rabbonire dalle belle parole, loro vedevano chiaramente il danno economico che stava derivando loro dalla guerra, e non era cosa che Oliandro potesse negare né infiocchettare.
«Sarà così anche in città?» domandò sconfortato.
«Mi auguro di no. Mi rendo conto che suona sgradevole, ma il livello culturale in città è più alto.»
Svoltarono l’angolo e la Baia delle Sirene si offrì loro in tutta la sua bellezza. Al centro svettava l’isola che ospitava Lumia.
«Accidenti» commentò Oliandro.
Non se la ricordava tanto bella.
«Siete stato lontano troppo a lungo» disse Aster con un sorriso.
 
«Non ci sono tracce di lei» mormorò Storr sfregandosi il viso con le mani. «Erina è così agitata e io non posso fare nulla per placarla. Sembra incredibile, ma nemmeno i maghi più potenti sono riusciti a ripercorrere i suoi spostamenti. Selene ha fatto del suo meglio per impedirci di rintracciarla e c’è riuscita a meraviglia.»
«Credi sia il caso di avvisare Tom?» domandò Horlon.
Storr esitò.
«No. Se fosse andata da lui l’avremmo saputo e non voglio metterlo in allarme inutilmente.»
Horlon interruppe il suo andirivieni nervoso e lo guardò.
«Ieri sembravi certo che sarebbe ricomparsa da sola a tempo debito. Che cosa è cambiato?»
Storr gli lanciò un’occhiata dolente.
«L’ho detto per scoraggiare le vostre interferenze. In realtà non ho mentito, lei è proprio così, è strana, appare e scompare senza criterio, ma con tutto quello che sta succedendo, tuo cugino e tutto il resto…»
«Devo confessarti una cosa. Ho chiesto a Frunn di indagare discretamente per capire se Lantor può aver incrociato il cammino di Selene in occasione della sua ultima breve visita.»
Storr si rabbuiò.
«E?»
«Come hai detto, Selene appare e scompare senza logica apparente. Abbiamo un buco di un’ora e mezza, durante la quale Lantor si trovava nel Salotto di Quarzo piantonato da lungi – molto lungi – da una guardia. Chi può dire se in quel lasso di tempo ha incontrato tua nipote?»
Storr gemette e si prese la testa tra le mani.
«Che motivi potrebbe avere una ragazzina come lei di appoggiare un traditore?» domandò l’elfo sedendogli accanto.
«Che motivi potrebbe avere uno stimato Capitano di tradire il suo Re?» ribatté il mago.
«Me lo chiedo incessantemente. Non ha mai dato segni manifesti di insofferenza, che io ricordi. Il suo è stato il più classico dei casi: brillante carriera militare, subentrato nella carica del padre, mai mancato un obiettivo, mai un richiamo» prese un respiro profondo. «Glenn disse di aver notato un cambiamento in lui, per questo mi affrettai a convocarlo qui dopo il disastro di Shiren.»
«E lo era davvero? Cambiato?»
«In un certo senso. Lantor è sempre stato spontaneo nell’essere irritante, il genere di persona che non filtra quello che pensa attraverso il setaccio del rango e del decoro, ma la persona che è stata qui… Frunn dice che gli è sembrato a disagio, ma lui non conosceva bene Lantor. A mettermi in guardia, prima del suo disagio, sono stati i suoi modi mal costruiti. Come se tentasse di interpretare se stesso.»
Nel silenzio che seguì le sue parole, Horlon si trovò di nuovo a riflettere sulla propria totale incapacità di adattamento ai cambiamenti. Non era una questione di immortalità, Meowin era immortale eppure non faceva che cambiare sé stessa. Perché lui non poteva semplicemente adattarsi all’idea di essere stato tradito da suo cugino?
«Nelle ultime ore ho pensato molto a ciò che hai detto ieri» disse improvvisamente Storr.
«Cioè?»
«Che Shiren possa aver rappresentato un diversivo. Credo sia andata esattamente così. Se ci pensi, tutti gli ultimi attacchi sono stati costruiti allo stesso modo. Ieri hanno distratto Tom per colpire noi, precedentemente ci hanno portati a Spleen mentre Lantor si dileguava… non è illogico pensare che dietro alla distruzione di Shiren stia altro.»
Horlon annuì.
«Il problema è che cosa.»
«Quella notte eravamo tutti impegnati nella serata sociale di Erina. Qualcuno deve essere comparso o scomparso.»
«Io direi comparso. Il nostro problema ieri è stato il mancato preavviso. Cinque draghi non sbucano dal nulla e di certo non passano inosservati, qualcuno deve aver intercettato i messaggi delle tue sentinelle.»
Storr si alzò.
«Dovrò incaricare qualcuno di indagare, immagino. Se quell’idiota di Mark fosse qui sarebbe tutto meno complesso, non so di chi fidarmi. È anche meglio che cominci a predisporre la città per l’arrivo dei nani, tra non più di due giorni invaderanno ogni cosa picchiando quei pugnetti pelosi su tutti i tavoli della città.»
Quando Storr lo lasciò, Horlon prese un altro respiro profondo. Non ricordava di aver mai avuto così tanto bisogno di aria in tutta la sua vita. Tutte quelle pareti di roccia lo opprimevano. Lumia gli mancava, gli mancava il verde e il ruggito del mare sulle scogliere. Non poteva avere la certezza che la sua amata città fosse al sicuro, nemmeno con la presenza di Dodo, e la cosa lo atterriva. Se la sera della festa avesse prestato maggiore attenzione, forse avrebbe notato qualcosa di utile.
“Ma figuriamoci! C’era anche Mei, che è più allenata di me, e non mi ha fatto rapporto”.
«Avete valutato la possibilità che cerchi vendetta per qualche torto che crede di aver subito da voi?»
Horlon sobbalzò, voltandosi. Frunn stava in piedi in mezzo alla porta con lo sguardo sulle carte che teneva tra le mani.
«Cosa te lo fa pensare?»
«Se aspirasse al trono non tenterebbe la distruzione di città come Spleen, sarebbe improduttivo; se volesse un potere maggiore, non si alleerebbe con chi chiaramente non è disposto a dividerlo.»
«Se hai ragione, tutte le nostre città più popolose sono a rischio.»
Frunn annuì. Persino i suoi occhiali sembravano troppo affranti per scivolare giù.
 
Meowin prese un respiro profondo. L’aria pizzicava già anche se il sole non era ancora tramontato del tutto. Il nano e il mago erano giunti alle pendici del Monte Alba, dall’indomani il compito dei suoi collaboratori sarebbe stato ancora più difficile. Doveva muoversi a trovare il bandolo della matassa, ora che Kirik aveva convocato il suo esercito a Cyanor restava poco tempo. Quando i nani fossero giunti nella Terra dei Draghi non sarebbe rimasto che fuoco e cenere.
Un battito d’ali la mise in allarme, obbligandola a lasciare il suo posto di vedetta e a cercarsi un riparo. Quella mattina aveva visto l’elfo con i propri occhi: percorreva il ballatoio delle mura di cinta della città in compagnia di un drago nero, con il quale sembrava tutt’altro che in buoni rapporti a giudicare dalle occhiate che si lanciavano. Sicuramente Bearkin non si fidava di lui, chi mai si fiderebbe di uno che ha venduto il proprio Re, nonché cugino, al nemico? Tre draghi sorvolarono il suo nascondiglio senza notarla. Erano diretti a Nord.
 
La poetica descrizione che Frunn aveva fatto di Lumia aveva risvegliato la nostalgia nel petto di Oliandro. Non era mai stato un sentimentale, uno di quegli animi romantici che rimpiangono i cieli tersi della costa o il profumo salmastro del mare. Per lui andava benissimo l’orizzonte velato di nebbia del lago su cui sorgeva Spleen. Ma ora che se la trovava davanti dopo tanto tempo, la Capitale non gli era mai sembrata più bella. Attraversando le vie lastricate con cura, scoprì di aver dimenticato i dettagli che conosceva tanto bene, come le piccole lanterne posizionate ai lati dei crocicchi, gli archi di pietra oltre ai quali trascinava una Meowin più spensierata un’eternità prima. Ricordava così bene cose insignificanti e quelle importanti invece le aveva dimenticate. Se fosse sopravvissuto a quel casino dei draghi le avrebbe chiesto scusa per averle rimosse con tanta facilità.
«Subito a Palazzo, Signore?» domandò Aster.
«Sì, per favore. Ho appena scoperto di essere una persona emotiva.»
Il suo accompagnatore ghignò senza commentare.
 
Nastomer guardò l’orizzonte piatto del Lago di Nebbia con un filo di inquietudine. Era stata una strana giornata: aveva lavorato con gli abitanti di Spleen nel cuore della città per tutta la mattina, aveva assistito i feriti negli ospedali nelle prime ore del pomeriggio, fino a quando non era stato raggiunto da una sensazione anomala. Come uno spasmo involontario. Come se qualcosa o qualcuno gli avesse trasmesso un impulso. Non era riuscito a trovare una spiegazione, ma l’istinto gli diceva che era qualcosa che non sarebbe stato saggio trascurare.
Al tramonto era giunta la notizia dell’ennesimo attacco nella regione di Vecchiopendio, ma la collaborazione tempestiva dei maghi non aveva reso necessario il suo intervento. Nastomer ne era stato grato, dal momento che avrebbe dovuto attraversare in tutta la sua larghezza la Terra dei Tuoni per raggiungere il Regno dei Nani. Ormai si fronteggiava non meno di un assalto al giorno, non si poteva andare avanti così.
 
Horlon intravide una luce bassa provenire dalla biblioteca e se ne sentì attirato. Era piuttosto tardi, ormai. Entrò in punta di piedi, senza un motivo reale. Sul tavolo centrale, una lanterna magica illuminava un grosso tomo aperto e una boccetta di inchiostro.
«Che cosa ci fate in giro a quest’ora da solo? Potrebbe essere pericoloso!»
Horlon si volse sgranando gli occhi.
«Mio giovane amico, mi stai bacchettando per caso?»
Frunn annuì. Sul suo viso non c’era traccia di sorriso.
«Non è improbabile che ci siano degli infiltrati di vostro cugino qui a Cyanor, non potete permettervi di commettere imprudenze. Dovete avere più rispetto di voi stesso e del vostro Regno.»
«Stavo semplicemente andando in cucina a chiedere una tisana, la prossima volta chiederò al mio badante di portarmene una.»
«Sarebbe meglio. Dal momento che siete qui, ho una teoria da esporvi.»
Horlon annuì. Frunn sembrava abbastanza nervoso da permettersi di riprenderlo senza fare nemmeno lo sforzo di arrossire, era meglio assecondarlo.
Si sedettero al tavolo illuminato e il segretario sfogliò delicatamente il tomo fino a trovare una pagina zeppa di appunti.
«Che cosa hai fatto a quel povero libro?» gemette.
«È mio, questo povero libro» taglio corto. «È una cronaca dei fatti relativi alla rivolta degli orchi. Ho pensato di ripercorrere gli eventi che possono aver coinvolto voi e vostro cugino, ma non ho trovato molto sugli ultimi seicento anni.»
«Sono stati anni di pace.»
«Già. Beh, ho notato che ai tempi in cui voi guarivate miracolosamente dalla ferita riportata sul campo a Riva Scoscesa, il padre di Lantor moriva per una ferita non dissimile dalla vostra. Al vostro rientro, Lantor subentrò al padre nella carica di Capitano di reparto nonostante fosse a sua volta convalescente» prese un respiro profondo. «Voci davano per imminente la sua nomina a Governatore di Phia, ma la carica fu invece assegnata a Lady Tamien.»
«È una carica delicata, Phia è la terza città del Regno. Nominai Lady Tamien perché era nipote del precedente Governatore, che tutti amavano, oltre ad essersi dimostrata una buona alleata in molte occasioni.»
«Non stiamo processando le vostre scelte, Sire, mi sto limitando a riportare i fatti.»
Horlon si sporse sul tomo per leggere gli appunti che il suo segretario aveva preso.
«Perché credi che questo abbia a che fare con i nostri attuali problemi?»
Frunn si ritrasse e si sfilò gli occhiali per massaggiarsi le tempie.
«Perché da quel momento in poi le visite di Lantor a Lumia sono diventate eccezionalmente rare.»
«C’è scritto qui?» domandò Horlon perplesso.
«C’è scritto nella mia testa» rispose Frunn.
«Con una nuova carica militare sulle spalle, non è così incredibile che Lantor abbia ridotto i viaggi di piacere.»
«Suo padre è sempre stato in grado di gestire il suo grado senza trascurare i doveri nei confronti della Corona e della famiglia.»
Horlon si fece circospetto. Frunn non avrebbe dovuto conservare certi ricordi relativi alla famiglia Reale.
«Come fai a ricordarti queste cose? Sono passati seicento anni, Frunn!»
«Me le ricordo perché le scrivevo.»
Il Re si illuminò. Perché lo diceva solo ora? Un osservatore meticoloso come lui avrebbe potuto aver appuntato qualcosa di vitale importanza, qualcosa capace di fare luce sulla giungla di dubbi che gli agitavano il sonno.
«Hai un taccuino di quel periodo?» mormorò.
Frunn esitò. Il suo sguardo scivolò verso la porta, poi verso la finestra, infine deglutì. Horlon se ne sentì immensamente infastidito.
«Stai omettendo di nuovo? Guardami negli occhi mentre mi rispondi, fammi il favore.»
Il tono gli uscì un po’ più affilato di quanto avesse calcolato e Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie. Il suo imbarazzo era palese anche alla luce fioca della lanterna.
«A quel tempo la mia narrazione non era oggettiva. Scrivendo mettevo ordine nelle idee, non mi facevo grossi problemi a includere i miei pensieri.»
«Ma se può esserci qualcosa di utile, devi permettermi di leggere!»
«No.»
Horlon rimase interdetto dal secco rifiuto. Ci mise una frazione di secondo a sentirsi oltraggiato. Assottigliò lo sguardo e si sporse verso di lui con fare minaccioso.
«Non costringermi ad ordinartelo…» sibilò.
Frunn sgranò gli occhi, ritraendosi.
«Non potete ordinarmi una cosa del genere!» balbettò. «Sarebbe una violenza, una violazione della mia persona! Sarebbe come fissarmi mentre dormo, o come… come obbligarmi a venire a lavorare nudo!» Si infilò nervosamente gli occhiali e con un’occhiata gli scaricò addosso tutto il peso di una dignità offesa. «Se nutrite anche solo una briciola di rispetto nei miei riguardi, non mi costringerete a fare una cosa del genere e accetterete il mio rifiuto» concluse ricomponendo la propria professionalità.
Horlon tacque, turbato. Certo non si era aspettato una reazione simile, non da lui. Ancora una volta si sentì come un bambino irrispettoso davanti ad un anziano venerabile. Chi era l’adulto dei due?! Chi il Sovrano del Reame Eterno? Prese un lungo respiro e contò fino a dieci, rigirandosi l’anello con il sigillo intorno al dito. Ritrovata la calma, assunse una posizione più comoda.
«Te l’ho già detto, vero, che non mi piace quando mi ometti cose?»
«L’avete fatto, sì» rispose Frunn, in tono più dimesso. Improvvisamente i ruoli si erano invertiti, tornando alla normalità. «Ma, sinceramente, vi ho mai dato motivo di pensare che le mie omissioni possano nuocervi?»
«No» mormorò Horlon.
«Perfetto. Allora vi prego di rispettare la mia sfera privata.»
Il Re sorrise, sperando di poter riparare al danno.
«Hai anche il tempo di gestire una sfera privata?»
Frunn arrossì di nuovo e lo guardò di sottecchi.
«Da un po’ di tempo a questa parte siete voi la mia sfera privata, ve lo concedo. Ma seicento anni fa avevo una vita mia.»
Horlon gli posò una mano sulla spalla e Frunn sobbalzò.
«Perdona la mia irruenza, non avevo intenzione di farti venire al lavoro nudo… So che suona crudele, ma sono lieto di essere, almeno per il momento, la tua sfera privata. Stai facendo un ottimo lavoro, ragazzo.»
Frunn sorrise.
«Quando ho accettato questo incarico sapevo a che cosa andavo incontro. Sapete che lo sapevo.»
«Lo so che lo sapevi.»
Calò un silenzio confidenziale, di quelli che Horlon era solito dividere con Glenndois. Per un momento ne rimase sorpreso.
«Tornando al nostro problema, prima della rivolta degli orchi non abbiamo grandi notizie su Lantor. Brillante carriera militare, nessuna informazione circa il suo privato» concluse il segretario.
Horlon annuì.
«Ci rifletterò su. Sarebbe stato utile Glenn.»
«Volete che lo metta al corrente?»
«I canali di comunicazione potrebbero essere compromessi, ma un modo ci sarebbe…»
Frunn lo guardò con aria interrogativa.
«Questa volta non ci arrivo da solo» mormorò.
«Devo chiederti di andare di persona da mio fratello per riferirgli tutte queste cose.»
Horlon deglutì il senso di colpa davanti allo sguardo deluso del suo segretario.
«Chiederemo un passaggio ad un mago, così starai via di meno.»
«È proprio necessario?»
«Non mi fido di nessun altro.»
«Va bene, Sire. Perdonate la mia mancanza di entusiasmo, mi avete colto impreparato. Speravo davvero di non dovermi allontanare di nuovo.»
Horlon si sentì scaldare le guance dalla gratitudine.
«Non pensare che non mi costi fatica» disse alzandosi. «Di’ a Glenn che è stato un idiota a spostarsi a Class!»
Frunn ghignò riponendo le penne nel loro astuccio e controllando che la boccetta dell’inchiostro fosse chiusa bene.
«Non credo di stargli molto simpatico. Se non è proprio un elemento essenziale del messaggio preferirei evitare.»
   
 
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