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Autore: Christine Enjolras    13/11/2016    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Enjolras

La prima cosa che Enjolras sentì quella mattina fu il suono della sua sveglia.

I raise my flags, don my clothes, It's a revolution, I suppose, We'll paint it red to fit right iiiiiin, whoooooa

Come sentì il suo cellulare suonare, ancora un po’ intontito, si girò sull’altro fianco e cercò di spegnere la sveglia poggiandosi sul braccio destro e allungando quello sinistro.

I'm waking up, I feel it in my boooones. Love to make my systems gooo. Welcome to the new age, to the new age. Welcome to the new age, to the n

Finalmente spento. Poi guardò la vecchia sveglia sul comodino, quasi volesse essere sicuro dell’orario nonostante sapesse perfettamente che erano le sette e mezza. Quel vecchio orologio spaccava il secondo, dato che Éponine lo controllava spesso perché fosse sempre funzionante; Enjolras, però, si era rifiutato di usarlo come sveglia: ci aveva provato solo una volta e l’insopportabile frastuono prodotto dallo sbattere del martelletto sulle due campanelle arrugginite aveva reso il risveglio di quella mattina il peggiore che il ragazzo avesse mai avuto nella sua vita. La cosa che più lo aveva sorpreso quella volta fu che Combeferre non si fosse accorto di nulla: solo poi aveva imparato che effettivamente nemmeno un cannone lo avrebbe svegliato.

Come volevasi dimostrare, neanche quella mattina Combeferre aveva sentito la sveglia e stava ancora dormendo nella stessa identica posizione in cui Enjolras ricordava di averlo visto addormentarsi. Le prime volte, ad Enjolras era anche venuto il terrore che Combeferre fosse morto nel sonno, ma oramai ci aveva fatto l’abitudine. Si sedette sul letto, si stiracchiò e si strofinò gli occhi. Rimase per qualche istante a guardare verso la finestra: la luce che filtrava dalle fessure delle persiane ancora chiuse gli scaldava il viso, procurandogli una sensazione davvero piacevole. Diede un’altra occhiata all’orologio: erano già passati cinque minuti, quindi si alzò e si diresse subito in bagno per sistemarsi.

Una volta che si fu legato i capelli nella sua solita coda bassa, uscì e guardò Combeferre: era proprio ora di svegliarlo. Si rimboccò le maniche e si preparò all’azione: chissà quanto ci avrebbe messo a svegliarlo, stavolta!

Per prima cosa, Enjolras aprì le persiane, in modo che il sole alto ad est entrasse prepotente nella stanza, ma Combeferre non si mosse. Poi decise di provare a scuoterlo: “Combeferre? Combeferre! Dai, che si fa tardi! Ti prego, svegliati!”. Ancora nulla. Provò anche a mettere un po’ di musica, ad alzare il volume della voce, a togliergli le lenzuola, a fare rumore spostando oggetti e sbattendo le ante dell’armadio: niente, nemmeno un grugnito. Alla fine, Enjolras si decise ad usare i metodi drastici: prese il bicchiere contenente spazzolini e dentifricio, lo vuotò, lo riempì d’acqua gelata, andò verso Combeferre, si sedette affianco a lui e *SPLASH*: gli buttò tutta l’acqua dritta in faccia.

“AH! CHE CAZZO, ENJOLRAS!” Finalmente Combeferre era sveglio. “Era gelata! Che ti è saltato in mente?”

“Non volevo essere così drastico, ma tu non ti svegliavi!” disse Enjolras giustificandosi.

“Ho capito, ma c’era bisogno di arrivare a tirarmi l’acqua in faccia?!”

“Ho cercato di svegliarti per quindici minuti, non sapevo più che cosa inventarmi.”

“Quindici minuti! Non esagerare, dai!” rispose stordito Combeferre, mentre si asciugava la faccia e i capelli biondo rame con le lenzuola. Enjolras non disse nulla: si limitò a guardare l’altro con occhi increduli, ad alzarsi e a porgergli la sveglia per mostrargli l’orario. Combeferre si girò verso di lui e poi guardò il vecchio orologio; cercò di leggere l’ora, strizzando gli occhi per vedere meglio, e quando ci fu riuscito sembrò imbarazzato, quasi si sentisse in colpa. “Ah… beh. Emh… visto che tu alle sette e mezza sei sempre in piedi… direi che puoi averci messo un quarto d’ora per davvero” disse ridandogli la sveglia “Ma questo non ti giustifica! Ci sono metodi molto meno barbari!”

“Beh!” iniziò Enjolras riportando la sveglia al suo posto. “Il lato positivo è che non ti devi lavare la faccia! Questo ti fa risparmiare un po’ di tempo!” concluse sorridendogli.

Combeferre rimase a guardarlo senza parole per il nervoso per diversi secondi, quasi volesse strangolarlo, ma a guardare l’amico sorridere gli venne da ridere: “Effettivamente non fa una piega!”

Enjolras aveva iniziato a vestirsi quando si girò a guardare Combeferre e lo vide che si stava per riappoggiare al cuscino. “Guai a te se ti stendi di nuovo!” gli disse subito con tono arrabbiato.

“Va bene, va bene. Mi alzo.” Detto questo, Combeferre si alzò e andò verso il bagno sotto lo sguardo severo e allarmato di Enjolras, che stava immobile a fissarlo. “Finisci di cambiarti e vai pure di là a fare colazione. Se non arrivo sei autorizzato a lasciarmi qui.”

Senza togliergli gli occhi di dosso, Enjolras gli rispose: “Tu sai che non riuscirei a lasciarti qui, sapendo che per te è importante andare a lezione!”

“Sì, certo che lo so: ti conosco bene! Ma vedrai che non mi rimetterò a letto!” si sentì dire dal bagno. Non udendo risposta, Combeferre mise la testa fuori dal bagno, guardò Enjolras sorridendo e aggiunse: “Te lo prometto!” Enjolras decise di fidarsi: sapeva bene che Combeferre mai aveva né mai avrebbe tradito una promessa fatta. Si abbottonò i pantaloni rossi, recuperò una maglia grigia e uscì dalla stanza. Il profumo di caffè si diffondeva attraverso i corridoi del primo piano mentre Enjolras si avviava verso la cucina. Gli altri erano già tutti seduti al solito tavolo all’angolo a gustare la colazione.

“Ah! Buongiorno, biondo leader!” esclamò Courfeyrac come lo vide entrare nella sala; tutti si girarono a salutarlo, chi con un allegro ‘buongiorno’ e chi semplicemente con un cenno. “È stata dura svegliare il sapone, oggi, eh?” aggiunse battendo leggermente la mano sulla sedia vuota accanto a lui, come segno ad Enjolras di sedersi.

“Oggi è stato infernale… ogni volta è sempre peggio, come se il suo organismo sviluppasse degli anticorpi contro i miei metodi di risveglio…” rispose Enjolras esasperato mentre si sedeva. Non erano ancora le otto e lui si sentiva già distrutto.

Marius si tirò in avanti, sbucando da dietro Courfeyrac per guardare Enjolras e gli chiese: “Hai dormito male? Mi sembri stanco…”

Enjolras si sorprese dalla domanda, ma gli fece piacere che Marius si fosse preoccupato per lui. “Non più del solito. Mi serve solo qualche minuto per svegliarmi del tutto, non preoccuparti!” rispose sorridendogli.

“In effetti però la tua faccia è parecchio stravolta rispetto al solito” gli fece notare Bahorel, con un braccio poggiato allo schienale della sedia e nell’altra mano la sua solita tazza di caffè. Courfeyrac guardò fisso Bahorel per un istante, poi si girò verso Enjolras, che nel frattempo stava riempiendo la sua tazza rossa con un po’ d’acqua calda, e si avvicinò al suo volto, fissandolo da molto vicino per qualche secondo, come stesse cercando qualcosa di molto piccolo.

“Che… che fai?” venne da chiedere ad Enjolras che smise improvvisamente di versare l’acqua, messo completamente a disagio dalla vicinanza del volto del suo amico: non aveva nessun tipo di problema con Courfeyrac, ma essere fissato da così vicino lo metteva in imbarazzo.

“Umh…” fu l’unica cosa che disse Courfeyrac; stette in silenzio per qualche istante e poi aggiunse: “A me sembra che abbia la solita faccia stanca di tutte le mattine, Bahorel! Niente di nuovo!”

Enjolras, incredulo, ci mise un po’ a trovar le parole: “E ti serviva venire così vicino per accertartene?” Poi sentì Bossuet ridacchiare e si girò verso di lui: lo vide tirato indietro sulla sedia, con il braccio destro posto sullo schienale di quella di Joly. “Che cosa c’è?” fu tutto ciò che gli venne da chiedergli.

“Nulla! Mi diverte vedere come ti imbarazzi con poco!” gli rispose continuando a ridacchiare. “Non è successo niente, in fin dei conti!” Poi prese un sorso di caffè bollente, ma fu breve e seguito da un leggero gemito a bocca chiusa.

“Non ti sarai mica scottato ancora la lingua?!” disse Joly girando la testa verso di lui mentre stava con i gomiti appoggiati sul tavolo, reggendo con entrambe le mani la sua tazza di Doctor Who, sulla quale era dipinta la scritta ‘Trust me, I’m a doctor!’

“A-ah! Fa un po’ male!” gli rispose indicandosi la lingua.

“Ti succede tutte le mattine in cui bevi il caffè: non puoi aspettare che si raffreddi?” Mentre pronunciava queste parole, Joly versò pazientemente un po’ della spremuta d’arancia nel bicchiere del suo ragazzo: si capiva ad occhio che era ancora fresca.

“Ma il caffè a me piace caldo…” disse Bossuet guardando Joly come un cagnolino che viene sgridato dai suoi padroni. Mentre gli porgeva il bicchiere, Joly lo guardava con occhi severi, quasi esasperati, ma non ci volle molto tempo prima che gli venne da sorridere.

Per un attimo, Enjolras si sentì come osservato e la sua attenzione, d’istinto, si spostò dalla coppietta a Grantaire, seduto tra loro e Bahorel. Gli parve di vederlo spostare lo sguardo sulla fetta di pane sopra la quale stava spalmando un po’ di Nutella: gli sembrava un po’ distratto quella mattina, ma aveva un sorriso dolce sul viso, quindi pensò non ci fosse da preoccuparsene… o forse sì?

Non fece in tempo a chiedergli nulla che Grantaire guardò verso Jehan, dall’altra parte di Bahorel, e gli disse: “Jehan, non stai esagerando con lo zucchero nel tè?” Enjolras notò che era già il terzo cucchiaio colmo di zucchero che il minuto ragazzo versava nella sua bassa tazza in porcellana, dipinta con fiorellini rosa.

“Non ci posso fare nulla… a me piace dolce!” gli rispose Jehan, con un sorriso innocente

“Cerca di non esagerare: non ti fa bene troppo zucchero” diede man forte Combeferre a Grantaire con tutta la dolcezza di cui era capace, mettendo una mano sulla spalla a Jehan; gli altri lo salutarono e lui andò a sedersi dall’altra parte di Enjolras, come accadeva la maggior parte delle volte.

Enjolras tentò di nuovo di parlare con Grantaire, ma la sua attenzione venne attirata da Courfeyrac, che proprio in quell’istante stava allungando il braccio davanti al suo naso per prendere quello che sembrava essere il suo quarto panetto di burro, a giudicare dalle piccole cartine aperte accanto alla sua tazza dipinta con buffi alieni, riempita fino all’orlo di latte e Nesquik. “Ah, ciao sapone!”

“Non c’è un po’ troppo cioccolato nel tuo latte?” gli fece notare Combeferre recuperando la scatola di fiocchi d’avena al centro del tavolo mentre guardava dritto nella tazza di Courfeyrac.

“Io direi che la vera domanda è: come accidenti fai a mangiare tutto quel burro?! Rischi di star male!” gli disse Joly inorridito, mentre puliva la maglietta che Bossuet aveva avuto cura di macchiarsi col caffè bollente.

“Ma lascialo fare! Si agita talmente tanto che lo smaltisce subito!” disse in sua difesa Bahorel, indicandolo con la tazza in mano.

“Tu, però, non hai la scusa che ti agiti…” fece notare Joly, fissando il piatto colmo di brioches e fette di pane e burro accanto al braccio di Bahorel. “Come mi giustifichi tutta quella… montagna di zuccheri e grassi che hai nel piatto?”

Bahorel gettò un’occhiata alla sua colazione, poi tornò a guardare Joly, fece spallucce e disse, piuttosto compiaciuto: “Io posso!”

Enjolras fu quasi sicuro di aver visto con la coda dell’occhio Marius fare un’espressione strana con la faccia mentre i suoi occhi scrutavano Bahorel, come a dire ‘beh non ha torto’. Joly lo guardò stupefatto e gli rispose: “Ma è come un suicidio in diretta! Esploderai a mangiare tutta quella roba!”

“Ma figurati! Io posso mangiare tutta questa roba esattamente come Jehan può bere tè allo zucchero!”

Joly, a quel punto, spostò gli occhi su Jehan, intento ancora a riempire la sua tazza di tè con cucchiaiate ricche di zucchero. Poi tornò a guardare Bahorel. “Gli farà male: non devi viziarlo!”

“Ma che viziarlo e viziarlo?!” disse Bahorel quasi ridendo. “Il mio ragionamento è semplice: se non ci si può nemmeno godere la colazione in santa pace allora siamo alla frutta!”

“Beh non fa una piega!” disse Courfeyrac addentando la sua fetta di pane piena di burro. Enjolras notò che durante la discussione, Courfeyrac ci aveva aggiunto della marmellata di fragola… molta marmellata di fragola.

“Onestamente sono preoccupato anch’io per il vostro fegato, ma direi che è un problema vostro, non mio.” Detto ciò, Combeferre riprese a mangiare lentamente i suoi fiocchi d’avena.

“Ma ascidenti come shiete noioshi voi futuri medisci!” disse Courfeyrac con la bocca piena. Poi deglutì faticosamente e aggiunse: “Tu che ne pensi, Enjolras?”

Enjolras rimase sorpreso che Courfeyrac avesse rivolto a lui quella domanda. Perché lo stava chiedendo proprio a lui? Era già un miracolo che quella mattina stesse riuscendo a finire il suo tè mangiando un paio di biscotti: come poteva dargli ragione? “Non mettermi in mezzo” si limitò a dire, tornando a sorseggiare il suo tè. “Non è un discorso che mi interessa.”

“Ma difensore della libertà del popolo! Non puoi abbandonarmi così!” Enjolras pensò che Courfeyrac doveva aver capito che per lui non era esattamente una buona giornata, perché non insistette oltre. I due ragazzi erano molto amici: ormai entrambi sapevano capire con una semplice occhiata che cosa stava passando l’altro. A quel punto, dopo che si furono guardati negli occhi per pochi secondi, Courfeyrac si rivolse a Marius: “Tu invece che ne pensi?”

Enjolras notò che Marius era parecchio sovrappensiero, perché continuava a girare il cucchiaio in senso orario nella ciotola piena di latte e non si accorse nemmeno che Courfeyrac stava parlando con lui. Lanciò un’occhiata a Combeferre e si rese conto che anche lui si era accorto che qualcosa non andava. Come sempre, non gli servì dire nulla: fecero entrambi un cenno con la testa all’altro e Combeferre guardò il suo orologio da polso, probabilmente pensando ad un modo per interrompere il discorso. Poi si rese conto dell’ora ed esclamò: “Accidenti che ora si è fatta!”

Enjolras gli prese il braccio e guardò l’ora: erano già le otto e un quarto. “Merda! Dobbiamo muoverci o faremo tardi!” disse alzandosi in piedi. Come si alzò, tutti lo seguirono e si diressero nelle loro stanze per recuperare borse e zaini per affrontare la giornata di scuola. Fu allora che Marius parve destarsi dal suo stato di trance e si guardò attorno confuso; Enjolras gli arrivò dietro e gli mise una mano sulla spalla, poi gli passò di fianco e gli sorrise. “Vieni?”

 

Il sole batteva forte in quella giornata di settembre e c’era molta vita nel piccolo comune a nord di Parigi: gli uccelli cinguettavano e si rincorrevano tra gli alberi dei giardini e molte persone affollavano marciapiedi e riempivano le strade con le loro auto, dirette al lavoro o a scuola.

Mentre camminavano verso scuola, Enjolras rimase a chiudere la fila assieme a Jehan e Marius. Dal fondo della fila riusciva a vedere Bossuet e Joly camminare mano nella mano, Bahorel e Grantaire parlare animatamente di qualcosa che non riusciva a sentire e Courfeyrac strattonare Combeferre, come se gli stesse chiedendo qualcosa; ogni tanto correva anche dagli altri, ma il biondo leader del gruppo non riusciva a capirne bene il motivo. Enjolras guardò Jehan camminare felice e osservare ora le poche nuvole bianche che correvano nel cielo ora le piante che spuntavano dai recinti; poi spostò lo sguardo su Marius e lo vide ancora distratto: non riusciva a capire se fosse semplice stanchezza oppure se ci fosse qualcosa che non andava.

“Allora Marius:” cominciò camminandogli accanto, “come hai passato la tua prima notte alla residenza?”

Marius si girò verso di lui e lo guardò con un’espressione tipica di chi non sa se ridere o piangere; Enjolras capì che non sapeva cosa rispondere; pensò che probabilmente fosse ancora un pochino a disagio con lui e non poteva certo biasimarlo: dopotutto si erano conosciuti solo la sera prima. Per cercare di farlo stare più tranquillo aggiunse, sorridendo: “Rispondi sinceramente! Nessuno si offende se dici che è andata male!”

Sembrò funzionare, perché poi Marius gli rispose: “Beh, emh… io pensavo che tu scherzassi quando ieri sera dicevi che Courfeyrac parla ogni minuto della giornata…”

Enjolras non ne era affatto sorpreso: iniziò già a ridacchiare, senza tuttavia nascondere un certo dispiacere per il povero Marius, e poi aggiunse: “Cos’ha fatto stavolta?”

Marius raccontò ad Enjolras e a Jehan che quella notte si era addormentato sereno nel silenzio della stanza, ma poi, nel cuore della notte, all’improvviso, si era svegliato di colpo perché aveva sentito Courfeyrac parlare: “Io non sono un Frankenstein… sono un Frankenstin!” Raccontò di essersi girato per vedere se stesse dormendo o se stesse semplicemente delirando o qualcosa del genere e, dopo qualche istante di silenzio, aveva sentito il suo compagno di stanza riprendere a voce più alta: “Non dite balle! Non ho mai creduto nel destino! Il destino… il destino!” Marius ricordava anche che mentre diceva queste parole Courfeyrac aveva iniziato ad agitarsi finché, all’improvviso, non aveva cominciato a sbattere il cuscino da una parte e dall’altra e a gridare: “IL DESTINO È QUEL CHE È! NON C’È SCAMPO PIÙ PER ME!!!” e poi *SBAM!*: Marius aveva sentito un fortissimo colpo secco dalla stanza comunicante col muro a cui si trovava poggiato il letto di Courfeyrac, e poi più nulla. Ammise, infine, di aver fatto fatica a riaddormentarsi, infatti quella mattina si sentiva un po’ assonnato.

“Ahahahahah! Non cambierà mai!” scoppiò a ridere Enjolras. “Mi spiace: avrei dovuto avvertirti!”

“Ah… non è qualcosa che capita occasionalmente, quindi…” disse Marius quasi sorridendo, come fosse stato contagiato dalla risata di Enjolras.

“Purtroppo capita tutte le notti… ci farai l’abitudine anche tu come ha fatto Feuilly!” lo dovette avvertire Enjolras. “Ma comunque non preoccuparti. La botta che hai sentito era sicuramente Bahorel: generalmente lo zittisce lui!”

“LUMACHEEEEEEE! SE NON VI MUOVETE DICO A FEUILLY DI CHIUDERE IL CANCELLOOOOO!!!” gridò Courfeyrac che era già nel giardino dietro alle inferiate dell’ingresso.

“E non gridare! Stiamo arrivando!” disse ad alta voce Enjolras. Una volta passato il portone, il biondo ragazzo disse: “Qui allora ci dividiamo: noi siamo al primo piano a quest’ora, Marius.”

“Ci vediamo a pranzo, ragazzi?” chiese arrossendo Jehan.

“Certamente!” rispose Enjolras salutandolo con la mano mentre lui e Marius salivano per la scala di servizio.

Arrivarono velocemente nell’aula della professoressa di matematica e si misero nella coppia di banchi in fondo alla classe, vicino alla finestra. Enjolras appoggiò lo zaino sul banco e tirò fuori il suo telefono per togliere la suoneria. “Giusto! Marius!” lo chiamò, girandosi verso di lui. Marius, intento a recuperare quaderno e astuccio dallo zaino che aveva poggiato sul pavimento, si tirò su e guardò Enjolras con occhi quasi interrogativi. “Dammi il tuo numero di telefono.”

Marius non se lo fece ripetere due volte e, dopo che si furono scambiati i rispettivi numeri, Enjolras iniziò a trafficare velocemente con il suo iPhone, prima che la professoressa di matematica entrasse in aula. Quando ebbe finito, il telefono di Marius suonò e quando il ragazzo guardò chi gli avesse scritto, Enjolras lo vide sorridere.

-Enjolras ti ha aggiunto al gruppo “Les Amis de la Saint-Denis[1] ”-: ecco quale scritta apparve sulla nuova chat che era stata aperta su Whatsapp nel telefono di Marius.

Enjolras sorrise nel vedere che Marius sembrava contento; poi, con la coda dell’occhio, vide il suo cellulare illuminarsi e aprì anche lui l’applicazione.

- Les Amis de la Saint-Denis  -:

- « 3 messaggi non letti »

-Grantaire: “We ke succede?”-

-Feuilly: “Ehi! Di chi è il nuovo numero, Enjolras?”-

-Jehan: “Sì! Hai aggiunto Marius! Che bello: così ci siamo tutti!”-

-Courfeyrac: “Mitico biondooooooooooooo! Ehilà Marius! Sn Courfeyrac!”-

-Feuilly: “Ah ma abbiamo un nuovo membro, quindi! Benvenuto, Marius. Io sono Feuilly! Presentarsi così non è il massimo: spero di poter fare le presentazioni di persona più tardi! ”-

-Marius: “Grazie mille! Lo spero anch’io! ”-

Continuavano ad arrivare notifiche dal gruppo dell’applicazione che condividevano con gli altri ragazzi: erano tutti entusiasti e davano il loro benvenuto a Marius.

“Io… io non so cosa dire…” confessò Marius ad Enjolras, senza smettere di sorridere.

Enjolras distolse un attimo lo sguardo da lui, rimase a pensare qualche secondo e poi gli disse:  “Beh… consideralo come una condanna a sopportarci!”

“Buongiorno, ragazzi.” L’insegnante di matematica entrò nella stanza e tutti gli alunni si alzarono in piedi. “Comodi, comodi. Iniziamo subito con l’appello che abbiamo molte cosa di cui parlare.”

Mentre la giovane professoressa chiamava a voce alta gli studenti uno per uno, Enjolras notò lo schermo del suo telefono illuminarsi di nuovo e, dopo aver confermato la sua presenza, aprì la chat, incuriosito dal messaggio che aveva letto prima nella tendina apertasi con Whatsapp.

- Les Amis de la Saint-Denis  -:

- « 5 messaggi non letti »

-Courfeyrac: “NOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!”

                     - “RAGAZZI!!!!!!!”

                     - “SE NON CI DOVESSIMO PIÙ VEDERE”

                     - “RICORDATEVI”

                     - “CHE VI HO VOLUTO BENE!!!!!!!!!!!!!!”



[1] Ovvio riferimento al nome dei rivoluzionari nel romanzo, “Les amis de l’ABC”.

   
 
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