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Autore: Stella Dark Star    17/11/2016    1 recensioni
Delfina, figlia del banchiere Andrea de' Pazzi, ha solo quindici anni e nessuna vita sociale quando viene incaricata dal padre di entrare nelle grazie di Rinaldo degli Albizzi per scoprire ogni suo segreto e sapere in anticipo ogni mossa che farà in campo politico. Lei accetta con riluttanza la missione, ma ancora non sa che il destino ha in serbo per lei molto di più. Quella che doveva essere una semplice e innocente conoscenza, diventa ben presto un'appassionata storia d'amore in cui non mancano gelosie, sofferenze e punizioni. Nonostante possa contare sull'aiuto della madre Caterina (donna dal doppio volto) e della fedele serva Isabella (innamorata senza speranze di Ormanno), Delfina si ritroverà lei stessa vittima dell'inganno architettato da suo padre e vedrà i propri sogni frantumarsi uno dopo l'altro.
PS: se volete un lieto fine per i protagonisti, non dimenticate di leggere il Finale Alternativo che ho aggiunto!
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Andrea&Lucrezia - Folle amore (da Pazzi, proprio!)" per vivere assieme ai protagonisti un amore impossibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo sei
Dolorosa e piacevole punizione
 
Era stata una lunga camminata non per la lontananza della Cattedrale, quanto più perché eravamo costrette ad evitare le strade più pericolose, quelle disseminate di corpi senza vita non ancora raccolti. La peste stava mietendo vittime molto rapidamente. Sia io che Isabella ci eravamo coperte con ampi mantelli neri e tenevamo i cappucci calati sugli occhi e i fazzoletti premuti contro labbra e naso. Era potenzialmente pericoloso stare fuori, ma io mi ero intestardita e volevo arrivare fino in fondo.
Nel vedere la Cattedrale, Isabella parlò attraverso la stoffa, il suo tono marcato di sollievo: “Finalmente! Dio ci terrà al sicuro all’interno di questo sacro luogo.”
Le lanciai un’occhiata poco convinta, ma non risposi. Una volta entrate, riponemmo i fazzoletti nelle maniche dei nostri abiti, però tenemmo le nostre identità ben nascoste sotto i cappucci. Ci inoltrammo all’interno fino ad arrivare al luogo dove era aperto il cantiere per la costruzione della Cupola. In quel momento gli operai erano riuniti e in ascolto, come dei fedeli durante la messa. Al centro del gruppo, con la sua voce possente e la figura imponente, Rinaldo stava facendo un discorso.
“E’ per lui che siamo qui?” La domanda di  Isabella risuonò più come un rimprovero e il suo sguardo di disapprovazione lo confermava.
Mi portai il dito indice alle labbra per suggerirle di tacere, volevo ascoltare bene ciò che Rinaldo aveva da dire. Le sue parole erano pesanti, la moralità brutale. Tutto l’odio che provava per Cosimo de’ Medici lo stava vomitando con le parole, incitando gli operai a distruggere la Cupola che stavano costruendo alle dipendenze di Cosimo.
E mentre la mia testa disapprovava quel metodo diffamatorio, i miei occhi scivolavano sulla figura di Rinaldo come una carezza.
“E’ bellissimo.” Sospirai sognante.
Isabella si voltò di scatto verso di me: “Ma alquanto severo, a mio parere.”
Un’occhiataccia da parte mia bastò a zittirla.
Rinaldo usò magnificamente la propria abilità di giocare con le parole e di puntare dritto alla credulità dei poveri ignoranti per ottenere quello che voleva, ovvero che gli operai distruggessero la Cupola. Ero così ammirata dalla sua orazione che mi resi conto troppo tardi del suo sguardo severo puntato su di me. Riabbassai il cappuccio sugli occhi e feci cenno ad Isabella di seguirmi velocemente. Purtroppo, poco prima che raggiungessimo l’uscita, la voce di Rinaldo tuonò alle nostre spalle: “Fermatevi entrambe!”
Giusto il tempo di voltarmi e Rinaldo arrivò a me. La prima cosa che fece fu quella di buttarmi il cappuccio all’indietro per guardarmi in viso e trasmettermi la rabbia che stava provando.
“Che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non uscire dal palazzo! Vuoi forse ammalarti andandotene a spasso per le vie appestate della città?”
“Volevo vedervi.” Dissi semplicemente, la voce dolce in netto contrasto con quella alterata di lui.
Proseguii: “Volevo solo vedere coi miei occhi il vostro modo di agire, ascoltare le vostre parole. Non avevo idea che foste così persuasivo. Mi siete parso imponente come un Imperatore che s’innalza sul popolo.”
Le mie parole funzionarono abbastanza bene, o almeno vidi il suo viso dapprima arrossato per la collera tornare ad un colorito normale. Sarebbe bastato chiedere perdono per aver disobbedito e tutto si sarebbe risolto. Se Ormanno non avesse deciso di comparire proprio in quel momento.
“Padre, cosa succede?”
Rinaldo si voltò di scatto, liberando così la visuale al figlio che mi vide e mi riconobbe.
“Delfina de’ Pazzi? Ma non è partita con la famiglia? E perché stai parlando con lei?” Non cercò nemmeno di nascondere il suo disappunto.
Rinaldo, abituato ad agire prontamente e ad avere sempre una risposta a tutto, spiegò: “Hai ragione, Ormanno, ho dimenticato di dirtelo. Messer Pazzi mi ha affidato sua figlia affinché le insegni a padroneggiare l’arte della conversazione. Vorrebbe farle frequentare la nobiltà, ma aimè Damigella Delfina non è ancora pronta.”
Ormanno sfoggiò una smorfia: “Conversazione. Durante la pestilenza. E ti aspetti che io ci creda?”
Rinaldo aggrottò le sopracciglia in quel modo inquietante che lo caratterizzava: “Osi mettere in dubbio la parola di tuo padre?”
Suo figlio, che conosceva bene la sua ira, non riuscì a nascondere il proprio disagio: “No, padre. Però…” Deglutì e riprese: “Però non capisco perché lei sia qui.”
“Per il semplice fatto che avevamo programmato un incontro e io l’ho dimenticato. Per questo è venuta fin qui, per ricordarmelo.”
Ormanno sfoggiò nuovamente la sua espressione scontrosa quando posò lo sguardo su di me, perciò il padre intervenne: “Io tornerò al nostro palazzo con Damigella Pazzi, per svolgere la lezione. E voglio che tu riaccompagni a casa Isabella, la sua dama.”
“Perché io?” Sbottò Ormanno.
Rinaldo lo afferrò per la spalla: “Perché te lo ordino.” Lasciò la presa e gli fece un cenno col capo verso l’uscita. Dopo di lui uscimmo anche noi tre.
All’esterno vi erano i cavalli ad attenderci. Uno per coppia. Rinaldo salì sul proprio e mi porse la mano gentilmente per aiutarmi a montare in sella di fronte a lui. Dovendo mantenere una posa aggraziata, montai all’amazzone, perciò lui pensò bene di cingermi il girovita con il braccio per non rischiare che io scivolassi già durante la galoppata. Ormanno invece fu più riluttante ad aiutare Isabella, per il semplice fatto che era una comune popolana, e in più la fece montare dietro. Vedendo la scena, Rinaldo tuonò: “Sarai così cortese da permetterle di aggrapparsi a te, mi auguro.”
Suo figlio si sforzò di non contrariarlo, così Rinaldo, soddisfatto, poté tirare le redini e dare il comando al cavallo. Dovendo fare lo stesso percorso, i cavalli galopparono quasi fianco a fianco durante il tragitto, poi quando arrivammo ad un incrocio in cui le nostre strade si separavano, Rinaldo aggiunse uno studiato: “Una volta arrivato entra a palazzo e assicurati che sia tutto a posto e che i servitori siano in salute. Ho promesso a Pazzi che sua figlia sarebbe stata al sicuro.” Subito spronò il cavallo a ripartire, ma io riuscii comunque a vedere l’espressione indignata di Ormanno per quell'ordine sgradito. Che avesse capito che suo padre non lo voleva tra i piedi?
In breve raggiungemmo Palazzo Albizzi e Rinaldo mi condusse nel proprio studio frettolosamente e guardandosi attorno furtivo. Mi venne spontaneo chiedermi se la moglie fosse in casa.
“Conversazione eh?” Chiesi con tono divertito, avvicinandomi a lui.
Contrariamente a quello che mi aspettavo, lui non condivise il mio buonumore e rispose secco: “E’ la prima cosa che mi è venuta in mente che potesse suonare realistica.” Mi schivò e andò dritto alla parte opposta della sala. Preoccupata, andai subito da lui.
“Mi dispiace avervi messo in difficoltà, Messere.”
“Lo spero bene! Ad ogni modo, dovrai pagare per il tuo errore.” Mi prese per un polso e mi portò fino ad una cassapanca posta in un angolo.
“Chinati. Le mani sul ripiano.”
“Come dite?” Chiesi intimorita.
“Fallo.” Mi lasciò il polso e incrociò le braccia al petto in attesa che io obbedissi.
Seppur timorosa, decisi di fare come aveva detto. Lui disse ancora: “Chiedi perdono a Dio.”
Mi schiarii la voce e dissi con tono fermo: “Dio misericordioso, chiedo perdono per il mio peccato.” Sapevo che era un uomo devoto, ma non credevo fino a quel punto.
“Bene così.” Con quelle parole mi illuse che fosse tutto risolto e invece l’attimo dopo mi ritrovai con l’orlo delle sottane sul capo. Ero così imbarazzata, così indignata. L’ultima volta che mi ero ritrovata in una posizione così era stato quando avevo sei anni. Quella volta ero entrata di nascosto nello studio di mio padre e giocando avevo rovesciato l’inchiostro su dei documenti importanti. Di conseguenza, lui mi aveva fatta stendere sulle sue ginocchia e mi aveva sculacciata fin che la forza del braccio glielo aveva consentito. Quel pensiero mi fece venire un terribile sospetto.
“Messer Rinaldo, non vorrete mica…” L’ultima parola morì in un gridolino di dolore. Il colpo era arrivato all’improvviso. Non poteva essere vero. Mi stava sculacciando come una bambina! Ad ogni colpo sentivo la rabbia salirmi sempre più alla testa e nella mia mente imprecai più volte contro il mio aguzzino a cui fino a poco fa volevo donare il mio cuore.
Dieci in tutto. Era questa la punizione. Dieci sculacciate che sentii bruciare una ad una sulle mie natiche offese. Gli occhi ancora stretti, non avevo il coraggio di muovere un muscolo.
“Puoi rialzarti, adesso.”
Il mio sguardo si aprì sul legno chiaro della cassapanca, mi diedi un piccolo slancio per rimettermi in posizione eretta e mi affrettai a riabbassare le gonne.
“Mi stai odiando, vero?”
La rabbia mi diede il coraggio di voltarmi e rispondergli a tono: “Sì. La cosa vi sorprende?”
Stranamente il suo sguardo ora era limpido, sembrava che la mia risposta ed i miei occhi infuocati non lo turbassero minimamente. Si fece avanti e mi sollevò tra le braccia, cogliendomi di sorpresa. Costretta dalla posizione, dovetti cingergli i fianchi con le gambe, in un modo totalmente disdicevole.
La curiosità mi fece dimenticare in un attimo quanto era appena accaduto.
Camminò fino al tavolo e lì mi posò delicatamente al centro, dove non vi erano carte o altri oggetti. L’impatto delle natiche doloranti con il legno mi causò un piccolo gemito di dolore, che però si placò quando Rinaldo mi fece distendere sulla schiena. Cominciai a realizzare la situazione, ovvero che ero distesa su un tavolo e avevo le gambe aperte di fronte ad un uomo. Non ero pronta.
Rinaldo rimase a guardarmi senza mostrare emozioni, sembrava solo concentrato su di me, sul mio viso che doveva essere diventato paonazzo, sui miei seni che si gonfiavano oltre la scollatura. Abbassò lo sguardo sulle mie gambe e con la mano prese a far risalire le gonne lentamente, lasciando così le mie cosce scoperte oltre il limite delle calze. Frantumando ogni mia aspettativa, prese posto sulla poltrona e si chinò fino ad arrivare con il viso alla mia… Un gemito di sorpresa per quel contatto inaspettato.
In principio pensai solo che si trattasse di una cosa bizzarra, poi però il mio corpo cominciò a mandarmi dei segnali. Una sensazione di pace e soddisfazione che lentamente andò ad espandersi su tutto il mio corpo. Quelle stesse labbra e quella stessa barba che mi avevano fatto scoprire nuove sensazioni quando erano entrate in contatto con il mio collo, ora mi stavano devastando agendo…da tutt’altra parte! Il mio sguardo all’apparenza puntato sul soffitto, in realtà stava vagando in un mondo astratto che mai in vita mia avevo esplorato. Più il piacere si faceva intenso e più sentivo il bisogno di inarcare i fianchi verso di lui, in una tacita preghiera a darmi di più. E quando finalmente raggiunsi il picco di quella montagna che oltrepassava le nuvole, dalle mie labbra si levò un grido estasiato: “Rinaldo!”
Ero dovuta impazzire per riuscire a dire il suo nome…
*
Ancora adirato per il modo in cui suo padre l’aveva trattato di fronte ad una smorfiosa e una serva, Ormanno era rincasato senza guardare in faccia a nessuno e perfino ignorando il saluto di sua madre che lo aveva visto passare per il corridoio. I suoi passi rabbiosi sbattevano per terra come un martello con l‘incudine.  Quando imboccò il corridoio che conduceva allo studio di suo padre, udì una sorta di grido che lo bloccò. Avanzò lentamente, prestando attenzione e, avvicinandosi, cominciò a capire di cosa si trattava. Arrivato di fronte alla porta dello studio, afferrò la maniglia e premette sperando che i cardini non cigolassero. Non appena poté, aguzzò la vista per sbirciare all’interno. E li vide.
Che i suoi genitori non erano mai stati una coppia affiatata lo aveva sempre saputo, trattandosi di un matrimonio di convenienza, ma quello che gli fece più male oltre al tradimento era il sospetto che ora lui fosse passato al secondo posto nel cuore di suo padre. Tutto a causa di quella sgualdrina.
Conversazione.” Ripeté amaramente tra i denti prima di andarsene e lasciare i due amanti ai loro sporchi piaceri.
  
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