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Autore: rossella0806    17/11/2016    3 recensioni
Regno di Sardegna, gennaio 1849.
Costanza Granieri si è svegliata per l'ennesima volta spaesata e affranta: da quando si è trasferita in città, lontano dalle sue abitudini e dai suoi affetti, la notte non riesce a dormire.
L'unica cosa che desidera è ritornare alla vita di prima, nel paese di montagna che l'ha vista crescere: la sua sola consolazione risiede nella corrispondenza epistolare che intesse con la nonna materna, influente donna della comunità che ha dovuto abbandonare.
Sullo sfondo delle vicende della famiglia Granieri e dei Caccia Dominioni, in mezzo a personalità nobili e giovani rivoluzionari, va in scena la battaglia della Bicocca, combattuta nelle campagne novaresi il 23 marzo 1849, tra lo schieramento dei piemontesi e quello degli austriaci, nemici giurati di un intero popolo.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Il perdono è il sentimento più difficile che ci hanno insegnato a provare.

(Anonimo, XX° secolo)


Dopo le opportune strette di mano e i convenevoli saluti, i tre attraversarono indisturbati l’ampio ingresso, luminosissimo grazie alla mezza dozzina di finestre lasciate aperte per fare entrare il caldo sole primaverile.

Costanza e Pietro accompagnarono Maffucci su per l’elegante scalinata di marmo, i volti impensieriti.
Con una mano, la giovane reggeva il lungo abito color crema, mentre con l’altra il corrimano di legno intarsiato, non riuscendo ad evitare quella sorta di tensione palpabile che gravava nell’aria: al timore per l’inconsapevole reazione che avrebbe potuto scatenarsi nel fratello, infatti, si aggiungevano gli sguardi affilati e titubanti che il trentenne dai baffetti si era premurato di rivolgere al cugino.
Era come se cercasse di leggergli l’anima, come se volesse, con la sola forza delle occhiate, comprendere a fondo i segreti che egli celava.
Finalmente in cima alla meta, la ragazza condusse l’ospite lungo un largo corridoio parzialmente al buio, le cui pareti erano tappezzate di quadri di antenati della famiglia Caccia e di fumosi paesaggi lacustri.
Si fermarono davanti ad una porta immacolata alla loro sinistra, completamente chiusa.
“Se attendete un minuto, vi annuncerò a Nicolò. Devo però chiedervi un favore: da quando è tornato, mio fratello è molto cambiato, non solo nel corpo, ma anche nella mente”
“Lo so” la interruppe
l’avvocato con un gesto di sufficienza della mano, accarezzando con gli occhi neri la figura di Costanza.
“Pietro mi ha già istruito sul comportamento che mi converrà tenere durante il nostro incontro, non temete”
La giovane Granieri rimase per qualche istante sorpresa dall’intonazione tagliente che il trentenne aveva utilizzato: certo, non era nuova allo stile provocatorio dell’uomo, tuttavia qualcosa dentro di lei le suggeriva che quelle parole avevano più il sapore di una presa in giro piuttosto che della semplice verità che racchiudevano in sé.
“Molto bene” tentò di riprendere le fila del discorso “potete stare tranquillo che qualunque cosa uscirà dalla bocca di Nicolò non sarà rivolta direttamente a voi, ma ai suoi incubi del passato…”
Maffucci annuì con aria greve, il cappello pece tra le mani, e la consolò rassicurandola che aveva capito: questa volta, inaspettatamente, il suo tono appariva sincero e per nulla canzonatorio.
Costanza annuì, gli angoli della bella bocca carnosa abbassati in un sorriso, quindi si decise a bussare leggermente al pannello davanti a loro e, senza attendere risposta, ad abbassare la maniglia, sparendo all’interno della stanza.
La camera da letto era ampia come il resto del palazzo e particolarmente luminosa: un piccolo tavolino decorativo di ciliegio era adagiato ai piedi di un vecchio baule da viaggio, circondato da un paio di poltroncine imbottite di velluto rosso; di fronte a lei, a fianco della parete su cui si apriva la finestra dalle spumose tende scure -ora accostate- era adagiato un grazioso scrittoio di mogano, con davanti un elegante scranno intarsiato.
Infine, alla sinistra di chi entrava, oltre un larghissimo tappeto dai colori sgargianti, svettava un altissimo armadio con le ante raffiguranti un paesaggio campestre e i grandi pomelli di madreperla.
“Nicolò, c’è una visita per te…”
Il giovane era mollemente disteso sull’infinito letto a baldacchino, dando le spalle alla sorella.
Era rannicchiato su un fianco, come un feto nel grembo materno, e sembrava dormire: non si mosse di un centimetro, ma Costanza sapeva che il fratello non stava affatto riposando.
Infatti, non appena gli ripeté la domanda, lui si mosse leggermente, mugugnando che non voleva vedere nessuno.
“Ho sonno, lasciami in pace” biascicò, sgusciando con il capo sotto il soffice guanciale.
“Non posso. Questa persona è venuta apposta per incontrarti: tiene molto a te, e sono sicura che è lo stesso sentimento che provi nei suoi confronti”
L’altro non ribatté, preferendo ritornare immobile, come se le fila invisibili che lo avevano mosso fino a quel momento si fossero improvvisamente spezzate, lasciandolo nuovamente inerme e privo di volontà propria.
La ragazza non aveva alcuna intenzione di demordere, non quando era ad un passo dalla meta, perciò fece finta di ignorare le deboli suppliche del fratello, spronandolo a sollevarsi e ad accogliere l’ospite nel migliore dei modi.
La figlia del notaio riaprì la porta e, con un gesto di incoraggiamento, diede il via libera a Maffucci per entrare.
“Bene, ora vi lascio soli… per qualsiasi cosa, io sono dabbasso”
Costanza uscì senza voltarsi, il cuore che voleva strariparle dal petto, speranzosa di aver compiuto la scelta più giusta.
Guardò Pietro, impeccabile nella sua redingote blu scuro, le mani dietro la schiena, e attese un cenno di incoraggiamento, che non attardò ad affiorare sul bel volto sbarbato.
Le offrì il braccio destro, gli occhi azzurrissimi che le infondevano una muta fiducia, quindi la invitò ad aspettare in biblioteca.
“Là staremo più comodi, venite”
I due si sorrisero e scesero senza fretta i gradini.


“Ciao, Nicolò. Come stai?”
All’udire il suono di quella voce che tanto aveva idolatrato, il giovane Granieri balzò a sedere, stando attento a non mostrare il volto.
Quel movimento repentino gli provocò l’ennesima fitta di dolore della giornata, bersaglio il braccio sinistro ormai guarito, la cui pelle però continuava ad apparire come un unico rattoppo di carne.
“Eugenio… che cosa ci fai qui? Chi ti ha chiamato?”
Maffucci si avvicinò di qualche passo, indeciso se proseguire o fermarsi.
Sorrise tristemente e scrollò le spalle, dicendogli che non importava chi lo avesse contattato.
“In questi giorni, non ho più avuto tue notizie, così ho chiesto ai nostri amici che ancora sono in città se qualcuno ti avesse visto, se sapevano dove ti eri cacciato. Sai, immaginavo che non saresti rimasto con le mani in mano: d’altronde, l’ultima volta che ci siamo salutati, ti ho lasciato proprio davanti all’albergo svizzero...”
Nicolò si agitò sul materasso, la schiena dritta e le mani in grembo: sollevò appena il mento, perdendosi a guardare oltre i pannelli della finestra.
“Deve fare piuttosto caldo, oggi: il tepore del sole riesce a filtrare persino dalle tende tirate. Dimmi, tu che vieni da fuori, è così?”
Il trentenne con i baffetti e il cappello ancora tra le mani fece qualche passo nella direzione del suo interlocutore, poi annuì.
“Sì, è vero, sembra quasi estate: sai, a volte credo che il tempo sia balordo come le persone, non lo pensi anche tu? Insomma, siamo solo a fine aprile! Certo è che se continueranno ad esserci queste temperature, tra un paio di mesi passeremo le nostre giornate a mollo nella vasca!”
Il nuovo venuto aprì la bocca per continuare, tuttavia, accorgendosi della mancanza di collaborazione da parte di Nicolò, preferì attendere una manciata di secondi prima di profferire alcunché.
Si guardò intorno, ammirando la fattura elegante degli arredi, quindi si decise a proseguire quello che aveva tutta l’aria di evolversi in un lungo ed estenuante monologo.
“Raccontami qualcosa, che ne dici? Anzi, ti faccio una proposta: perché non vieni a trovarmi a casa?” suggerì animandosi, avvicinandosi ulteriormente.
“Potremo trascorrere qualche ora in compagnia, solo tu ed io, o se preferisci potremo uscire a cena o andare a bere al circolo: a questo proposito, la mia bella Elettra mi chiede spesso di te, ed io sono quasi geloso di tutto questo interesse nei tuoi confronti!”
L’avvocato abbozzò una risatina che risuonasse il più naturale possibile, mentre continuava a tormentare il cappello che aveva tra le mani.
“Immaginavo facesse caldo… “
Nicolò, ora con le spalle incurvate rivolte all’amico, era come se non avesse sentito ciò che gli era stato detto: la voce risuonava monocorde, roca, quasi assonnata.
Un brivido freddo percorse la schiena di Eugenio, che improvvisamente si rese conto di non sapere come comportarsi: forse, intraprendere la strada dell’allegria forzata e delle battute goliardiche non rappresentava la soluzione più consona.
Non poteva uscire da quella stanza sconfitto, soprattutto non voleva: sebbene le divergenza del giorno precedente occorse con il conte Caccia a riguardo dei recenti fatti di Brescia, Pietro e la bella Costanza avevano riposto completa fiducia in lui, quindi era suo preciso dovere non deluderli.
Un pensiero fece capolino nella mente del trentenne, un pensiero tanto assurdo quanto sciocco, tanto che quasi si vergognò di averlo anche vagamente formulato: il suo affezionato e sincero amico riusciva ancora a sentire bene? Quel giovane patriota di cui tanto era stato orgoglioso aveva conservato il prezioso dono dell’udito? Certo, tale senso non doveva aver riportato alcun danno, si convinse il capo degli affiliati, altrimenti non lo avrebbe salutato con il proprio nome, quando era entrato nella stanza.
Allora perché non rispondeva a dovere alle sue domande, perché sembrava rifugiarsi in un mondo a lui solo famigliare? D’altronde, la sorella lo aveva avvisato che non era del tutto rinsavito…
“Se non hai voglia di parlare, ti capisco. Posso tornare più tardi, magari anche domani, o addirittura un altro giorno. Sempre che ti faccia piacere, è chiaro…”
Nicolò, la schiena ancora rivolta all’interlocutore, si animò nuovamente sul baldacchino: si morse con violenza il labbro inferiore e strinse con forza i pugni, facendo sbiancare le nocche, come gli capitava quando era nervoso, rabbioso, impotente, gli stessi sentimenti che avvertiva esplodergli nel petto.
Tutto il suo ardore e la speranza per le nascenti Repubbliche –quella veneta prima e quella romana poi-, la fuga del granduca Leopoldo dalla Toscana e del papa Pio IX, da febbraio rifugiato a Gaeta, che giovamento gli avevano arrecato? Nessun beneficio, si convinse.
Di nascosto, durante quei giorni di prigionia dorata, aveva colto i discorsi del padre e dello zio Aldo sulle rivolte di Brescia e di Genova, e nel suo cuore aveva cominciato a farsi strada la tristezza più cupa, per questo non riuscì a trattenersi oltre.
“Certo, vai pure! Dopotutto, tu sei stato capace solamente a nasconderti, a recitare la parte del valoroso eroe, non è forse vero? Peccato che quando è stato il momento di combattere, di metterci la faccia, ti sei rintanato chissà dove, hai fatto la parte del topo, il miglior ruolo che tu abbia mai interpretato! Ma voglio comunque farti vedere una cosa: guarda, guarda con i tuoi occhi da inetto quello che sono diventato!”

Solo a quel punto, infatti, il giovane Granieri balzò in piedi e si voltò, avvicinandosi furioso a Maffucci: si strappò la camicia di seta che aveva indosso, denudando il braccio sinistro, ferito durante la battaglia della Sforzesca.
“Guarda le cicatrici che adesso deturpano il mio corpo! Il dolore che provo la notte non è nemmeno lontanamente immaginabile! Guarda il mio viso, la mia fronte, i miei capelli! I miei occhi sono costantemente velati, quasi al buio! A malapena riesco a riconoscere le ombre che mi circondano, e tu mi vieni a parlare di quanto sia geloso che la tua Elettra chieda di me! Nessuna donna vorrà più avere a che fare con me, nessuna persona mi tratterà come prima, nessuno mi guarderà con la stessa naturalezza di prima! Avvicinati, non avere paura, guarda come mi sono ridotto, e dimmi: tu dov’eri quando ho sacrificato tutto per la nostra causa?! Dov’eri, Eugenio, dove sei stato, dove ti sei nascosto?! Dimmelo, maledizione, dimmelo adesso!”
Il trentenne arretrò di scatto, impaurito dalla follia che emanava il suo antico compare, in affanno davanti a lui, i ricci scomposti e gli occhi di bragia.
Che cosa gli è accaduto? si domandò, come ha fatto la guerra a cambiarlo tanto radicalmente, a sostituire la pazzia genuina che tutti noi provavamo con una rabbia atavica che lo divora dall’interno?
“Io… io ero nascosto, è vero, ma non è come pensi” riuscì a dire l’avvocato, lo sguardo basso e la voce simile ad un sussurro.
“Dopo che il 20 marzo ti ho accompagnato all’albergo svizzero per arruolarti, sono tornato a casa a prendere tutto il denaro e i preziosi che avevo, in modo da poterli vendere al mercato nero e acquistare più armi possibili con cui finanziare il nostro Esercito. Armi che ho fatto avere ad un mio amico ufficiale, Nicolò, credimi”
A sentir pronunciare il proprio nome, l’altro si animò nuovamente: arretrò di qualche passo, il respiro ancora alterato, e si abbandonò sul letto, il petto nudo.
“Non ho potuto arruolarmi, ma avrei voluto, e non è una bugia quella che ti sto raccontando: sei la prima persona a cui lo confesso, ma quando ero molto piccolo, avrò avuto due o tre anni, ho contratto la polmonite, una malattia che mi ha lasciato numerosi strascichi. Mi affatico appena cammino un po’ più a lungo del solito, i miei polmoni non riescono a supplire alla mancanza d’aria, e immaginare di combattere in mezzo alla polvere sollevata dagli zoccoli equivarrebbe a uccidermi! Anzi, ti dirò di più: la sera stessa in cui tu venisti a chiedermi aiuto, la sera del 19 marzo, non potevo accettare di non rendermi realmente utile dopo tutto ciò che avevo raccontato a voi, ai miei affiliati!”
Fece una breve pausa, deglutendo e ritornando a fissare gli occhi neri in quelli ambrati dell’amico.
“Quel pomeriggio, infatti, sebbene non ci speravo troppo, ero andato anch’io all’albergo svizzero per chiedere di potermi arruolare, ma venni scartato dal medico ufficiale, proprio a causa dei miei problemi di salute. Ebbene, se non ci credi, amico mio, vieni con me: a casa ti farò vedere il certificato che conferma le mie parole!”
Nicolò aprì la bocca, gli occhi colmi di lacrime che non avevano il coraggio di uscire, devastato come ogni volta che la rabbia e la desolazione prendevano il sopravvento sulla razionalità della mente.
“Ho dovuto nascondermi in soffitta perché la notte degli scontri in città, tra il 23 ed il 24 marzo, alcuni soldati si sono introdotti nel palazzo in cui vivo, con l’evidente intenzione di depredare qualsiasi forma di ricchezza sarebbero stati in grado di sgraffignare: non so di quale fazione fossero, se appartenessero al nostro Esercito o a quello degli Austriaci, perché le loro voci mi arrivavano attutite, e sicuramente non potevo permettermi che mi scoprissero, tanto più se si trattava di nemici, poiché l’identificazione del mio ruolo nel gruppo rivoluzionario avrebbe potuto mettere in grave pericolo noi tutti"
Deglutì ancora una volta, acquistando così una maggiore sicurezza.
"Io… io ti chiedo scusa, Nicolò, se non ho potuto affiancarti anche sul campo di battaglia, ti supplico di perdonarmi se, con le mie parole, ho rischiato di farti perdere la vita. Ti prego, lascia che continui ad incontrarti, per favore: non potrei sopportare di perderti, proprio adesso che ci siamo rincontrati”

All’improvviso, il giovane Granieri provò una vergogna che mai aveva avvertito in tutta la vita: si sentiva indebolito, sfibrato, stremato, quasi prosciugato, tuttavia non riusciva a pentirsi completamente per lo sfogo a cui aveva dato fiato pochissimi istanti prima.
Doveva ammettere di aver giudicato troppo in fretta, si era lasciato trasportare dai sentimenti di odio e vendetta che, nelle ultime settimane, erano ormai la sua unica vera compagnia, ma non poteva più convivere con quel macigno che gli opprimeva ogni singolo pensiero, con la frustrazione e l’invidia verso coloro che non avevano condiviso il destino suo e di Stefano.
Fissò con lo sguardo perso Maffucci e, non riuscendo più a trattenere le lacrime, scoppiò a piangere, nascondendosi il viso con le mani.
Si accasciò disperato sullo scendiletto, umiliato e folle al contempo.
Eugenio lasciò cadere il cappello sul lucido parquet, quindi si avvicinò senza remora al giovane: si abbassò al suo livello e lo abbracciò sinceramente, stringendogli con forza e riconoscenza le spalle, orgoglioso e ammirato dal sacrificio che aveva compiuto.



NOTA DELL'AUTRICE

Buon pomeriggio a tutti, carissimi e adorati lettori!
Vi è piaciuto il capitolo? E come vi sono sembrati il comportamento di Maffucci e di Nicolò? Spero che tutto sia stato verosimile e piacevole da seguire.
Se alla mia mente contorta non verranno in mente altre strane idee, non dovrebbero mancare più di sette capitoli alla fine di quest'opera (permettetemi di chiamarla così, data la lunghezza) a dir poco infinita!
Bene, allora vi ringrazio e vi auguro buon proseguimento di giornata!
A presto!
   
 
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