6° Capitolo
La vita trascorreva normalmente, tra una corsa
e l’altra per giungere nell’aula corretta all’orario più appropriato,
serpeggiando tra le fila di alunni che si accalcavano davanti agli armadietti e
chi periodicamente gli rubava minuti per due chiacchere.
Alla fine non era successo nulla, niente era
accaduto. Era stato momentaneamente dimenticato, permettendogli di prendere un
respiro d’aria pura e tirare un sospiro di sollievo. Non che avesse abbassato
la guardia o fosse diventato paranoico, ma forse perfino le ragazze di Derek
avevano un limite ed una perseveranza che diminuiva a poco a poco, lasciando
perdere l’interesse e dimenticando qualsiasi loro piano malefico. Ma era quasi
certo che se fosse avvenuto qualcosa di diverso, qualcosa di più, un semplice
nuovo contatto, l’incubo sarebbe ricominciato e non ci teneva particolarmente a
testarlo.
«Lo stai evitando?» domandò Lydia con un tono
non del tutto casuale, quando lo raggiunse nei corridoi, alla fine della
lezione appena conclusa.
«No» rispose senza nemmeno pensarci, schivando
un ragazzo con la testa tra le nuvole e cieco a chi gli si parava davanti.
La bionda fragola lo guardò dubbiosa,
accelerando il passo e portandosi immediatamente al suo fianco. «Non ho nemmeno
specificato di chi si trattasse».
«Non ce n’era bisogno» proferì il figlio dello
sceriffo con non curanza, girando l’angolo e percorrendo un nuovo corridoio.
Era passata una settimana, un’intera settimana
dalla sera della partita, da quando era andato a cercarlo spedito da Erica
senza nemmeno sapere il perché ed incastrandosi in una conversazione che
avrebbe soltanto dovuto aiutarlo, mettere le cose in chiaro e cessare quel loro
strano modo di fare, ma alla fine, quando aveva avuto la situazione sotto
controllo, e forse lo stava perfino rimproverando senza alcun motivo, era stato
lui stesso ad uscirne ferito e sconfitto, ma almeno quell’ambiente
irrespirabile era diventato più sopportabile.
«Sapevo che non saresti durato. È dura essere
scaricati da Derek Hale» subentrò una voce arcigna e malvagia, così carica di
veleno e compiacimento che avrebbe fatto raggelare chiunque si trovasse di
fronte alla sua presenza, portandolo ad allontanarsi da Kate Argent.
«E tu lo sai meglio di tutti» ma Stiles non
aveva mai fatto parte del gruppo dei chiunque,
non era qualcuno che si tirava indietro anche se professava il contrario e
sapeva mettersi contro chi non avrebbe dovuto. Aveva una tale capacità dell’uso
della parola che era quasi impossibile poterle usare contro di lui e chi ci
provava ne usciva totalmente sbaragliato.
Le spalle di Kate si irrigidirono ed uno
scintillio inquietante si rifletté nei suoi occhi freddi e omicida, piccata e
colpita fin nel profondo. «Non giocare con il fuoco, Stilinski».
«Buffo» le labbra di Stiles si curvarono in
quella piega sinistra che ricordava sempre un po’ troppo quella di una volpe
che stava giocando con la sua preda, pregustandosi una vittoria schiacciante.
«Mi hai rubato le parole di bocca, Argent».
Lydia assisté a tutta la scena impotente,
guardando sgomenta ed inorridita il capovolgimento delle parti e trovandosi uno
Stiles in testa ed una Kate Argent che non riuscì a reagire in tempo, prima che
il sedicenne la sorpassasse a testa alta senza dare alcun segno di averla
percepita, evitando con classe perfino di sfiorarla e la rossa dovette muoversi
in fretta per non perderlo e ritrovarlo chissà dove e quando. «Smettila».
Stiles si voltò appena verso la sua direzione,
lanciandogli un’occhiata interrogativa e dubbiosa. «Di fare cosa?».
«Di combattere per lui» rivelò a tutta voce,
nel modo più evidente che potesse, mettendo in vista i fatti.
Il figlio dello sceriffo si fermò a metà passo,
scrutandola come se improvvisamente fosse diventata pazza. «Non è quello che
faccio».
Lydia aveva tutto il diritto di sentirsi offesa
e provata in quel momento, Stiles non l’aveva mai guardata in quel modo e non
aveva mai dubitato di lei, soprattutto senza argomentare e vedere il punto di
vista dell’altro. Stiles era quello che la conosceva meglio, quello che
rimaneva in religioso silenzio – qualcosa di totalmente ostico per lui – a
studiarla ed ammirarla, memorizzando a pelle tutto quello che la riguardava e
rispettandolo sempre. Le cose potevano essere cambiate tra loro ed avevano
creato un rapporto d’amicizia di pari, ma l’amore che Stiles provava per lei
non era mai cessato e si era evoluto, cambiato. Ma fino a che punto era
cambiato? Chi aveva la priorità adesso per lui? «È esattamente quello che fai».
Stiles era totalmente girato verso di lei,
muovendo un passo impercettibile nella sua direzione. «Quindi lo starei
evitando e starei combattendo per lui allo stesso tempo, senza far niente per
me stesso» la minaccia e la brutalità non erano caratteristiche che gli
appartenevano, ma ognuno dentro di sé possedeva la sua buona dose di lato
oscuro che usciva quando più serviva, soprattutto se sott’attacco o mentre gli
stavano sottraendo qualcosa, e Stiles aveva il lato oscuro più misterioso di
tutti e che quasi nessuno riusciva a vedere, ma quando emergeva, erano guai per
tutti. «Credi che mi piaccia essere nel mirino di ragazze che si raccontano una
storia per non ammettere di essere state rifiutate senza mezze misure,
lasciando ricadere la colpa su qualcuno che non c’entra niente?».
«Non intendevo questo» l’istinto di retrocedere
era troppo forte, ma Lydia era troppo testarda ed orgogliosa per mostrare
cedimenti, mostrare che Stiles poteva vincere anche su di lei. Non l’avrebbe
aiutato, non in quel momento.
«È esattamente quello che intendevi,
soprattutto se credi a quella storia» la certezza nella voce del ragazzo era
inequivocabile e Lydia si sentì smascherata e senza via d’uscita per rivoltare
la situazione dalla sua parte.
Ed anche se ne avesse avuto l’opportunità non
significava che Stiles avrebbe aspettato che trovasse le parole. Lo capì nel
momento in cui le diede nuovamente le spalle, procedendo verso una nuova meta
che lei non seppe interpretare. «Dove stai andando?».
«A combattere per Derek Hale» rispose con
sarcasmo lascivo in una burla premente, colpendola in pieno petto.
Lydia rimase esattamente al centro del
corridoio, intralciando chiunque dovesse passare e portandoli a scansarla ed a
sbuffare scocciati della sua presenza non molto sveglia, richiamando tutto il
brusio che prese vita intorno a lei e che le fece presente di dove in realtà si
trovasse, riportandola indietro e suggerendole che non aveva alcuna idea con
chi si fosse confrontata fino a quel momento.
Poi sentì la suola di una scarpa posarsi sul
pavimento gremito di ragazzi, proprio dietro le sue spalle e spinta dalla
sensazione di riconoscere la presenza che sostava proprio lì, si girò
meccanicamente, incontrando due gemme di smeraldo completamente diverse dalle
proprie, ma che aveva cominciato ad individuare senza problemi.
Lei e Derek Hale si guardarono per un tempo
incalcolabile ed in entrambi era riflesso qualcosa a cui non poteva ancora
essere dato voce.
Se lei credeva a quella storia? Sì.
Aveva capito che non poteva essere ignorata e
che una base di fondo doveva essere reale, che era ben visibile e che si doveva
imparare a guardare nel modo e nel posto giusto.
Credeva a quella storia, ma nessuno aveva detto
che fosse scaturita dalla parte di Stiles.
Stiles stava pranzando ai tavoli all’aperto da
solo, a volte accadeva, se il suo umore era altalenante e la sua voglia di
relazionarsi fosse sotto zero, tendeva a mangiare isolato e lontano dagli
altri, non che Scott lo permettesse tanto spesso, perché la solitudine era
qualcosa con cui il figlio dello sceriffo doveva avere a che fare il meno
possibile, ma a volte nemmeno lui riusciva in quell’intento e Stiles era così
bravo da raggiungere la mensa troppo presto o ritardare di proposito. O andare
nei luoghi meno affollati.
Era inverno e solitamente era aperta soltanto
la mensa interna, ma era una gran bella giornata e la temperatura non era così terribile,
ma erano pochi coloro che si avventuravano fuori e lui ne faceva parte.
Lydia gli scivolò proprio di fronte,
depositando il vassoio pieno sul tavolo ed accomodandosi come se nulla fosse,
trascinando un piatto ricolmo di patatine fritte fumanti e calde accanto a lui,
dipingendosi addosso una maschera da cui non traspariva nulla se non la
nonchalance. Stiles guardò il piatto e poi lei, adocchiandola studiosamente.
«Credevo fossero terminate».
«Ho corrotto l’addetta alla mensa» sorrise
felina la bionda fragola, strizzandogli un occhio di complicità fraterna.
Le labbra del sedicenne si curvarono in
risposta, scuotendo la testa ed addentando una patatina. «Donna subdola» la
bionda fragola riusciva sempre ad ottenere quello che voleva, che fosse con la
sua aria da leader indiscussa o con quella con cui si mostrava caritatevole e gentile
con il mondo, mostrando un broncio ed un’afflizione impossibili da cancellare
se non veniva esaudita anche la sua più piccola richiesta. Sia quel suo modo
d’agire che il piatto fumante di patatine fritte erano la sua richiesta di pace
ed il tentativo di riconquistarlo, non che ce ne fosse davvero bisogno – anche
se nemmeno lei poteva fare magie per reperirgli della maionese.
La ragazza sembrò soddisfatta e compiaciuta,
svitando la sua bottiglietta d’acqua e procedendo per saziare l’appetito che
reclamava energicamente. «Stasera c’è il concerto, hai intenzione di
raggiungerci?».
Stiles le lanciò un’occhiata piena di domande e
quando inghiottì la terza patatina, il ricordo riaffiorò. «L’avevo
completamente rimosso» la professa Blake aveva avuto la brillante e fantasiosa
idea di dedicare un’intera serata ad un concerto di musica classica, la cui
orchestra era totalmente formata dagli alunni che frequentavano il corso di
musica, seguiti e diretti dai loro professori che li avevano accompagnati passo
dopo passo. La presenza degli altri studenti era quasi obbligatoria, come la
partecipazione dei rispettivi genitori. Stiles non ricordava nemmeno perché era
stata indetta – il raccogliere fondi per chissà quale progetto –, ma la riteneva
una seccatura, anche se poteva aiutarlo a distrarsi un po’ ed a non passare
l’ennesima serata a casa da solo.
«Stiles, dove sei stato in questi giorni? Mi
sei mancato così tanto» piagnucolò provata e sofferta la bella bionda che gli
si parò dinnanzi, poggiando i palmi aperti sul tavolo e mostrando le lunghe
unghia perfettamente laccate di nero.
C’era sempre qualcosa di animalesco in lei,
anche quando mostrava quel broncio che gli dedicava sempre quando non otteneva
quello che voleva o quando sembrava che avesse mancato un appuntamento – anche
se l’appuntamento non era esattamente con lei. «Sono stato impegnato».
La bugia era palpabile, benché lui fosse un
ottimo attore e la menzogna fosse il suo pane quotidiano, ma Erica sembrò
percepirlo ugualmente e nei suoi occhi castani prese vita una sfumatura più
oscura, irrigidendo appena i lineamenti del viso. «Ma tornerai, giusto? Perfino
Isaac ha avvertito la tua assenza».
«Ti ricordi che siamo nella stessa squadra di
lacrosse?» gli fece ben presente il sedicenne con la giusta dose di retorica ed
uno sbuffo di ironia, guardandola con aria bonaria.
«Ma è diverso» si intestardì la diciottenne,
sintetizzando tutto il suo modo di vedere con quelle poche parole che riteneva
indiscusse e difficili da ribattere.
Stiles tirò le labbra in una linea piatta,
sventolando appena un paio di dita e solleticando l’aria che si smosse
impercettibilmente. «Non lo so, Erica».
Erica capì subito che quella sarebbe stata
l’unica risposta che avrebbe avuto da lui, che assomigliava molto di più ad una
negazione totale che ad un ripensamento ed a lei non piaceva per niente.
«Qualcun altro ha avvertito la tua assenza, molto più di noi» se ne andò senza
aggiungere una parola in più, tamburellando con le unghie sul tavolo in un
ultimo saluto.
Stiles doveva scacciare in ogni modo possibile
il reale suono di quella frase, quello che gli urlava nelle orecchie e che
graffiava per prendere dominio: qualcun
altro ha sentito la tua mancanza; follia. E doveva ignorare che quel noi implicava semplicemente lei, Isaac e
Boyd, perché Derek prendeva uno spazio così enorme ed assoluto che niente
poteva contenerlo se unito a qualcos’altro. Era devastante e distruttivo.
«Avevi detto che non lo stavi evitando» lo
rimproverò caldamente la rossa che aveva taciuto nel momento in cui Erica si
era unita a loro, totalmente concentrata su Stiles e del tutto disinteressata a
lei.
Il figlio dello sceriffo fu subito risvegliato
e riportato alla realtà, aiutandolo per un momento a mandar via quei pensieri
molesti, ma Lydia sembrava davvero furiosa per quella mancanza di veridicità e
onestamente non sapeva bene quale delle due cose era meglio affrontare. «Ed è
così».
«Se fosse così, non avresti rinunciato a quel
posto. Nemmeno per Derek Hale» Lydia sapeva bene dove si rintanasse il
sedicenne tutte le volte che non si avevano notizie di lui, dove studiava
indisturbato e fuori dal mondo, il luogo che aveva tenuto segreto e che
conoscevano soltanto i membri della squadra di basket che poco si curavano di
lui, procedendo indisturbati nei loro allenamenti.
Stiles era iperattivo, rumoroso e con una
scarsa capacità di concentrazione – benché avesse dei voti ottimi quasi quanto
i suoi –, ma quando entrava nella palestra dedicata al basket, le cose
cambiavano e si attivava qualcosa che riusciva a far convivere tutti quegli
estremi. Stiles aveva bisogno di sentire il mondo e la vita intorno a sé, di
allontanare il silenzio e la solitudine, riempiendolo con il rumore ed un ritmo
costante e ripetitivo. La sua concentrazione aveva individuato un filtro che
poteva lavorare al posto suo, permettendogli di controllare la sua iperattività
e l’inutilità di creare nuovo caos da sé.
Con un mondo concentrato dentro un solo luogo,
con le varianti che voleva lui e le giuste porte lasciate aperte, Stiles poteva
quasi studiare senza stress ed ansia, prendendo un respiro dalla propria vita
priva di suoni. Sapere che si fosse rifiutato di tornare nella sua oasi
casinista personale per più di una settimana era impensabile.
Stiles sospirò amaramente, spostando il piatto
di lato ed allontanandosi dal tavolo in cerca di nuovo spazio, tamburellando
nervosamente le dita di una mano sulla superficie di legno. «Ho solo ritenuto
fosse la scelta migliore».
Lydia non capiva, proprio non riusciva ad
arrivarci ed era un affronto alla sua intelligenza caparbia; cos’era che stava
tenendo per sé? Quei due non riuscivano nemmeno più a guardarsi e l’abilità di
evitarsi non era tutta farina del sacco del sedicenne. «Migliore per chi?».
Le perle d’ambrosia si alzarono verso l’alto,
incontrando la distesa azzurra limpida e sgombra da qualsiasi filtro potesse
nasconderla, non vi era una sola nuvola in cielo, nemmeno la più piccola ed
innocua né uno sprazzo appena accennato ed in un angolo in disparte, misterioso
e fiero di sé, figurava l’unico satellite della Terra, completamente visibile
in piena luce solare. «C’è la luna piena».
La bionda fragola sbatté le palpebre con
confusione, disorientata da quel cambiamento di argomento. Non era qualcosa di
nuovo o a cui non era preparata, con Stiles era facile perdere il filo del
discorso, catturato da qualcos’altro che attirava la sua attenzione. Era facile
per lui disorientarsi o perdere interesse per ciò a cui si era precedentemente
dedicato, mettendolo nel dimenticatoio; proprio per questo chi gli girava
intorno doveva trascinarlo nelle direzioni giuste, ricordandogli dov’era
rimasto, il più delle volte, e doveva imparare ad avere tanta, ma tanta
pazienza. «Potrai giocare con i tuoi amici licantropi più tardi».
Uno sbuffo di risa uscì dalle labbra di Stiles,
rimanendo curvate all’insù e scuotendo appena la testa. «Potresti rimanerne
sorpresa».
«Stiles» lo richiamò all’attenti, esigente e
poco propensa ad addentrarsi nel suo mondo immaginario, popolato di creature
mitologiche e leggendarie. Voleva una risposta e la voleva subito.
«Avevi ragione» l’aria si fece pesante e carica
di tensione e Lydia rimase in ascolto come se fosse stata catturata; aveva
mille motivi per cui avrebbe dovuto avere ragione. «È turbato».
Il fiato le rimase incastrato in mezzo alla
gola e lo sguardo di Stiles era indecifrabile, non le fu nemmeno permesso di
prendere coscienza di sé e di interpretarlo, perché lui tamburellò un’ultima
volta sul tavolo, con un ritmo preciso e melodioso, in perfetta sincronia con
la campanella che annunciava la fine del tempo ricreativo e l’inizio delle
nuove lezioni, lasciandola da sola con i suoi pensieri.
E tu perché sei turbato?
L’aria circostante l’auditorium presentava
ancora poche figure che non vi erano entrate, parlottando tra loro o fumando
l’ultima sigaretta prima della pausa a metà concerto, gli altri erano tutti a
prendere posto, occupando il numero per ogni membro che contenesse un gruppo o
una coppia. Alcuni venivano fatti slittare con parole educate come potreste e per favore per rendere quell’operazione più facile ed altri non si
muovevano di un solo millimetro, rimanendo fermi nei posti che si erano
accuratamente scelti e che avevano preteso un orario anticipato e meticoloso,
un po’ come faceva lui durante le partite di basket, mentre gli altri si
accontentavano come potevano.
A lui non importava granché dove sarebbe
finito, tanto Lydia sarebbe riuscita a far smuovere l’intero auditorium se le
andava ed a Stiles importava soltanto sedersi e poter bisbigliare senza
interferenze; solo se si fosse annoiato avrebbe ascoltato il concerto.
Ma quando entrò, alla sua sinistra vi era Derek
Hale che veniva investito dal fiume di parole di Erica, che lo teneva per un
polso e lo tirava nella direzione opposta, mentre lui non muoveva un muscolo e
lei cercava rinforzi da un Boyd che scrollava le spalle e da un Isaac che se ne
lavava le mani. Erica era davvero agguerrita, ma anche scoraggiata e sembrava
essere prossima a cedere.
Stiles si bloccò appena proprio sull’uscio
dell’enorme portone, superato da Scott ed Allison che si guardavano intorno
mano nella mano, e Lydia, insieme a Jackson, che perlustrava l’ambiente in
cerca di posti quantomeno decenti.
Per un momento temette che Derek fosse riuscito
ad intercettarlo, e non sarebbe stato carino farsi trovare mentre lo osservava,
ed Erica si sarebbe girata per accoglierlo nel suo modo espansivo e malizioso,
ma nessuno dei due gli prestò attenzione e continuarono la loro discussione che
veniva portata avanti interamente dalla bionda ed a cui il capitano rispondeva
freddamente, poco propenso a collaborare. Erica lo scuoteva perfino – o almeno
ci provava – e lui rimaneva fermo ed immune a qualsiasi stimolo. La curiosità
di Stiles crebbe così tanto che mancava davvero poco che si intromettesse o si
avvicinasse per origliare. Derek gli avrebbe spezzato l’osso del collo,
assicurato.
E in più che diritto aveva adesso? Quando mai ne hai avuto? Stiles si
spaventò pericolosamente a quel pensiero e l’unico istinto che aveva era quello
di fuggire, anche se era pietrificato esattamente dove si trovava e non
riusciva a scollarsi da lì. Lydia fu una benedizione quando tornò indietro per
riprenderlo, ma non gli sfuggì l’occhiata che lanciò al diciottenne quando
giunse da lui e comprese perché non si fosse mosso.
Non parlò, non emise neppure un fiato, ma Lydia
lo guardò dritto nelle iridi ambrate con una consapevolezza e con un
significato così pieno che Stiles li soppresse con tutto se
stesso, lasciandosi guidare da lei che lo prese per mano, portandolo nel lungo
corridoio davanti a loro creato dalla posizione delle poltrone e facendolo
sedere tra lei e Scott.
Non si dissero nulla per minuti interi e
toccava a Scott ed Allison argomentare qualsiasi cosa gli passasse per la
testa, mentre Jackson sbuffava e proferiva parole infastidite, ma almeno
riempivano il vuoto.
Di tanto in tanto Stiles buttava un’occhiata
dietro di sé, superava le tre file che si frapponevano tra lui ed il suo
obbiettivo e sbirciava con moderazione; non era cambiato molto da quando si era
allontanato, Erica era ancora lì, che lo teneva più saldamente di prima e Derek
continuava imperterrito a non darle ascolto. L’unica cosa che era cambiata era
Isaac che si era allontanato per prendere tre posti, suo compreso.
Quando fu annunciato l’inizio del concerto, non
si trattenne per gettare un’ultima occhiata e vedere la bionda che si arrendeva
e lo lasciava, sembrava rammaricata e sconfitta, mentre una mano
dell’afroamericano le si poggiava su una spalla, spostandosi e scortandola
verso il corridoio per raggiungere gli unici posti liberi. Derek rimase
esattamente dove l’aveva visto per tutto il tempo, da solo e con le spalle al
muro, in posizione d’ascolto.
Poi le luci calarono e gli fu quasi difficile
poterlo scorgere, ma questo non fermò il pianoforte che aprì il concerto,
seguito dai violini e poi dalle trombe.
Stiles sapeva che avrebbe dovuto smettere di
guardare e dedicarsi ad altro, era lì proprio per quello, per staccare la mente
e passare qualche momento in compagnia; invece il suo cervello non smetteva di
lavorare e non faceva nemmeno caso a chi avesse intorno.
Ad un certo punto un nuovo strumento a corde si
insidiò nell’orchestra e lo identificò come un violoncello.
Non avrebbe dovuto, non aveva alcun motivo per
cui avrebbe dovuto girarsi e vedere cosa stesse facendo Derek lì in fondo tutto
da solo, il perché Erica avesse insistito tanto senza avere alcun risultato, ma
quando l’archetto premette contro le corde, una scarica che partì dall’anello
gli investì tutta la mano, attraversandogli la colonna vertebrale e gli occhi
d’ambrosia si posarono immediatamente sulla figura del capitano della squadra
di basket, trovandolo pallido e sgomento.
L’orchestra proseguì indisturbata e il
violoncello emergeva più di qualunque altro strumento. Derek apparve
completamente distrutto e sopraffatto, le spalle si irrigidirono e le braccia
si contrassero, portando le mani a pugno, stringendole così forte da farle
diventare completamente bianche.
Lo stomaco di Stiles ebbe un singulto e la
preoccupazione crebbe immediatamente, aveva così tanti pensieri nella testa che
non riuscì a focalizzarne nemmeno uno e con un blocco del genere non aveva alcuna
idea di come avrebbe dovuto agire.
Derek si morse le labbra a sangue e quando
premette maggiormente le unghie sul palmo della mano, si tirò indietro, aprendo
metà portellone ed uscendo dall’auditorium, lasciandolo chiudersi dietro di sé.
Che cos’era appena successo? Che cosa si era
perso?
Il nuovo accordo del violoncello echeggiò per
tutto l’ambiente e Stiles tremò appena.
Il violoncello. Non poteva essere casuale quel cambiamento con quella sincronia perfetta;
aveva visto esattamente quando l’espressione del playmaker era mutata, quanto
fosse peggiorata e quanto poco riuscisse a rimanere bloccato lì dentro in mezzo
a tutti loro.
Il violoncello. Il violoncello. Stiles sbarrò gli occhi e l’anello prese a
scottare. «Paige» realizzò soltanto in quel momento, con un turbine di emozioni
contrastanti che si abbatterono su di lui.
Non resistette nemmeno cinque secondi e già si
era alzato per superare i due posti che lo dividevano dall’accesso verso il
corridoio per correre verso l’uscita.
Lydia lo afferrò per un braccio, tirandolo
indietro e bloccando la sua corsa. «Dove stai andando?».
«Devo allontanarmi per cinque minuti» rispose
immediatamente, rifilandole l’unica scusa patetica che gli venne alla mente –
non che fosse esattamente una bugia.
La bionda fragola lo tenne più stretto,
guardandolo attentamente negli occhi per leggervi le sue intenzioni e la
veridicità di quell’affermazione, girando di poco la testa per occhieggiare la
posizione dov’era certa avrebbe trovato Derek Hale. Ma lui non era lì e Lydia
non impiegò molto per trarre le somme. «Stiles, cosa stai facendo?».
Il tono di Lydia era molto preciso e Stiles
sapeva interpretarlo molto bene, ma come aveva fatto prima, lo ingabbiò per
sopprimerlo; non aveva tempo per quello. Doveva soltanto seguire il suo
istinto, quella preoccupazione che gli tamburellava dentro le orecchie. Doveva
soltanto agire. «Devo prendere aria, Lyds. Devo
andare».
Erano due cose completamente diverse, la
sedicenne lo sapeva bene; sapeva anche quanta premura Stiles stesse
rilasciando, insieme a molte altre cose che si scontravano tra loro e che erano
quasi impossibili da catalogare e contare.
Lasciò la presa senza staccare gli occhi da lui
e Stiles non perse una frazione di tempo e si fiondò verso l’uscita,
accompagnando il portellone per non creare rumore, permettendo che il concerto
continuasse senza interruzioni o fastidi.
Lydia sperò che nessuno si fosse accorto di ciò
che era successo e della loro scomparsa simultanea.
Stiles si confrontò con la notte, il sole
completamente calato ed il tramonto un ricordo lontano, mentre il cielo scuro
dominava incontrastato, tempestato di piccoli vortici di luce brillante che
insieme ad una sfera perfetta, che viveva di puro riflesso, illuminavano il
pianeta sottostante.
Non aveva mai visto una luna piena come quella,
unica protagonista nell’enorme distesa blu scuro, completamente esposta senza
che nulla potesse mascherarla o coprirla, sfocandola anche per un solo secondo.
Era raggiante e suprema, attirava tutta l’attenzione su di sé ed era talmente
luminosa e grande che era impossibile cercare di distogliere lo sguardo da lei.
Ma Stiles aveva una missione e non poteva
contemplarla per tutta la vita.
Si guardò attorno per capire la situazione e
cercare di individuare dove fosse finito Derek, in che condizioni fosse e cosa
aleggiasse nella sua mente, ma di lui non vi era alcuna traccia. Ci aveva messo
troppo tempo, aveva perso minuti – secondi – preziosi e adesso non possedeva
alcun indizio che potesse suggerirgli dove potesse trovarsi, come trovarlo.
Ma doveva farlo? Ne aveva il diritto? Una volta
che si fosse presentato davanti a lui che cosa sarebbe successo? Come avrebbe
reagito? Tutto sommato avrebbe potuto sbranarlo senza problemi, ne aveva tutte
le ragioni, buone motivazioni e Derek era un tale lupo scorbutico, acido e
musone che non avrebbe sentito ragioni.
Era un lupo. Un lupo. Dove vanno i lupi?
Per quanto Stiles ci scherzasse sopra e lo
riempisse di ogni riferimento possibile, ci credeva davvero alla sua natura
canide, a quella parte animale che in lui sfociava incontrastata,
manifestandosi e rendendolo quello che era. Stiles l’aveva vista, l’aveva
percepita, aveva perfino notato come Derek rizzasse le orecchie, irrigidendo le
spalle e prodigandosi all’ascolto, mettendo in secondo piano ciò che gli girava
intorno e prestando attenzione a qualcos’altro. A qualcun altro. A chi?
Derek era un lupo e nel cielo c’era la luna
piena più maestosa che mai, all’interno dell’auditorium procedeva indisturbato
il concerto, quel concerto che aveva scombussolato il diciottenne; il
violoncello che l’aveva fatto tornare indietro.
Da dove si osserva la luna per maledirla,
continuando a prestare orecchio, torturandosi, e allontanandosi quanto basta
dalla presenza soffocante delle persone?
Poteva sbagliarsi o avere ragione, magari Derek
era tornato perfino a casa sua e volendo avrebbe potuto controllare se al
parcheggio vi era ancora l’adorata Camaro, ma poteva anche averla abbandonata,
proseguendo a piedi; per quanto Derek amasse la sua auto, non disdegnava le
lunghe camminate, quelle che facevano riflettere e stemperare i disordini
interni. E c’erano tante variabili, così tante che non avrebbe avuto il tempo
di calcolarle tutte, perché doveva darsi una mossa ed il suo istinto non
vacillava mai, era sicuro di sapere dove trovarlo, quindi alla fine non gli
importò molto delle variabili e si diresse verso l’entrata principale della
scuola, fiondandosi per le scale per raggiungere il tetto.
Il tetto era il posto giusto, nella giusta ubicazione
ed era perfetto per rintanarsi, aveva abbastanza esperienza sulla propria pelle
per poterlo ignorare.
Sbatté i piedi sull’ultimo gradino, spintonando
con forza la porta d’acciaio e trovandola stranamente, e incoraggiantemente,
aperta, sbucando energicamente ed ansiosamente dall’altra parte. La lastra di
metallo fece un tonfo e Stiles si sporse per rendersi reattivo ed individuare
la figura che cercava o qualunque cosa potesse aiutarlo.
Poi la sorpresa e lo sgomento si impadronirono
di lui, costringendolo a trattenere una nuova ondata di ossigeno a metà
trachea, suggerendogli di inghiottirlo e tentare di razionalizzare la cosa.
Stiles e la razionalità avevano un rapporto
strano e controverso, disambiguo e fuori dall’ordinario. La sua razionalità non
aveva nulla a che fare con quella classica ed era per quel motivo che riusciva
a pensare ed a metabolizzare le cose in modo diverso dal consueto.
Derek si trovava in fondo, nella parte più
scura del tetto, lì dove vi era un’ombra che lo riparava dalla luce del
plenilunio per quanto gli fosse possibile, di qualche centimetro alla sua
sinistra. Era rannicchiato, buttato per terra, si contorceva su se stesso e ringhiava piano, cercando di contenersi e
riprendere il controllo; quando il rumore scaturito dalla porta sbattuta dal
figlio dello sceriffo lo investì e la sua presenza si palesò, non ebbe modo di
impedirsi di alzare lo sguardo ed incontrare il suo.
Fu in quel momento che Stiles le vide, due
gemme fredde di un blu metallico, sferzare l’oscurità ed emergere; erano le
uniche cose che riusciva a mettere a fuoco.
La sua mente non impiegò molto ad assimilare la
stranezza che si trovava dinnanzi, a riprendere possesso di una buona
respirazione ed a raccogliere il coraggio per avvicinarsi e aiutarlo.
Derek ringhiò, questa volta in modo nitido ed
udibile, mostrando i denti appuntiti ed i canini notevoli, facendo brillare
maggiormente gli occhi azzurri. «Vattene via».
Era un’intimidazione, un’autentica
intimidazione, e Stiles poté comprendere quanto del vero Derek ci fosse lì in
quel momento, di quanto fosse dura quella battaglia contro se
stesso e di quanto si stesse sforzando di non balzargli addosso e strappargli
la carotide. «No» pessima idea, Stiles,
ma non era propriamente conosciuto per far funzionare il suo sorprendente
cervello nei momenti più disparati, quelli più critici. O meglio, funzionava
eccome, ma tendeva a mettersi nei guai comunque.
Le iridi blu brillarono rabbiose ed un nuovo
ringhio echeggiò nel vuoto dell’aria che li circondava, serrando le spalle e
stringendosi sempre di più su se stesso. «Ti
ucciderò».
Non che fosse una grande sorpresa, il figlio
dello sceriffo aveva fantasticato anche troppo su quell’eventualità; in realtà
si aspettava che Derek compisse quella deplorevole azione fin dal loro primo
ufficiale incontro, ma così non era stato. Fortuna,
immaginava. Ma adesso era diverso, adesso qualsiasi azione Derek avrebbe
commesso non se lo sarebbe perdonato mai, avrebbe continuato a reprimersi ed a
torturarsi, ad inveire contro di sé, odiandosi più di quanto non facesse già.
Ti ucciderò. Derek era un lupo, un lupo che si nascondeva dalla luce della luna piena,
un lupo che combatteva contro se stesso, usando tutte
le sue forze. Era un lupo che stava soffrendo, un lupo dagli occhi di un blu
metallico, freddo ed incandescente. Non erano gialli come quelli di un Beta e
non erano rossi come quelli di un Alpha, erano blu come quelli di un Beta che
aveva stroncato una vita innocente.
Una vita innocente. Quale vita poteva essere stata? Quale aveva strappato? Non aveva nessun
motivo per credere che il playmaker avesse messo fine ad una vita per
capriccio, per la sola voglia di sangue, per assecondare la sua natura di
primate e predatore.
Derek soffriva, con ogni particella del suo
essere, si malediceva e si nascondeva dalla luna odiandola, ma amandola sopra
ogni cosa. Reprimeva la sua natura per averne il controllo, un controllo che
aveva perso quando il violoncello aveva preso vita.
Il violoncello. La vita di un innocente.
Le immagini, i pezzi di un puzzle scoordinato e
privo di classificazione, le voci che si accalcarono tutte nella sua testa in
un nano secondo. L’autoflagellazione che Derek si imponeva e la scomparsa di
quello che era un tempo e che Stiles non aveva mai conosciuto.
Uccidere era già terrificante, distruttivo e
lacerante, soprattutto per un animo come quello di Derek tempestato dai sensi
di colpa. Soprattutto quando dentro di sé si possiede un’altra natura, un altro
aspetto di se stessi, l’anima di una creatura della
notte. Un’anima che aveva spezzato quella che amava.
Il violoncello l’aveva soltanto riportato
indietro, indietro ad un tempo in cui si era macchiato le mani del sangue della
ragazza che aveva amato. Perché? Perché avrebbe dovuto sporcarsi per sempre,
mettendo fine all’esistenza di qualcuno a cui teneva così tanto? Era perfino
rimasto con lei, con Paige, fino alla fine, fino al momento della sua
esalazione. Ne era uscito distrutto, devastato e rotto, frammentato in mille
pezzettini che nessuno riusciva a rimettere a posto.
Stiles si avvicinò lentamente, chinandosi e
portando le mani ai lati del suo viso, incorniciandolo ed obbligandolo a
guardarlo dritto nelle iridi d’ambra, mentre Derek latrava e mostrava i denti,
lamentandosi ed intimandogli ancora di andarsene, di star commettendo un
terribile errore. «Sono bellissimi» soffiò ad una spanna da lui, con tutta la
convinzione del mondo e la pura ed autentica sincerità. «Sono davvero
bellissimi, Der».
Derek sembrò quasi annaspare a quelle parole,
al loro significato, alla scoperta e rivelazione che Stiles conoscesse il reale
significato del colore dei suoi occhi, gli
occhi di un assassino, e si tirò indietro a quel contatto, dalle sue mani
che lo circondavano e che non ne volevano sapere di lasciarlo andare. «Non sei
al sicuro qui».
Il sedicenne abbozzò una piega saputa, che
assomigliava tanto ad un morbido sorriso. «Non lo sono mai» ma era palese che
quella frase conteneva un per te
specifico, oltre a tutti i guai in cui Stiles si andava a cacciare
quotidianamente e che attirava come un faro luminoso che segnalava la sua
ubicazione.
«Devi andare via di qui» sottolineò ancora il
lupo, come se non si fosse spiegato abbastanza e non fosse evidente in che
condizioni fossero, a che turbine folle e pazzesco corrispondesse la sua vita.
«Non riesco a controllarmi, non ho pieno controllo su di me, non oggi» le mani
erano chiuse in un pugno che si strinse ancora di più, conficcando maggiormente
gli artigli da licantropo che aveva in dotazione nel palmo, infierendo sulla
ferita già creata e facendo sgorgare nuovo sangue.
Stiles le aveva notate precedentemente, le
falangi erano fin dall’inizio sporche di liquido vermiglio quando era arrivato
da lui, le unghie erano già conficcate e Derek stava cercando di non farsi
sopraffare dalla sua parte animale. Il
dolore rende umani. «Lo so, non è un problema. Possiamo risolverlo» le mani
si separarono dal volto del mutaforma e si andarono a
dedicare alle sue, toccandole con un movimento soffice ed inserendosi tra loro
con le dita, trovando il modo di farle aprire lentamente, permettendo agli
artigli di liberarsi dalla carne e di non infierire più, facendo combaciare i
loro palmi ed intrecciando le falangi. Gli arti di Stiles erano tutti sporchi
del sangue di Derek.
«Perché devi sempre essere fuori
dall’ordinario?» la domanda di Derek era legittima e vera, sentiva davvero il
bisogno di chiederglielo, di avere una risposta, era qualcosa che sembrava
turbarlo nel profondo e da tempo.
Stiles lo guardò dubbioso, forse perché era
concentrato nel trovare una soluzione e perché dopotutto si trovava davanti ad
un lupo mannaro. Uno vero, con tanto di artigli e denti, pieno di peli e con il
ringhio facile. Uno vero che poteva toccare, con cui poteva conversare – anche
se non era proprio il momento più adatto – e da cui poteva apprendere molti
segreti; non uno di quelli che popolava i suoi libri, quelli da cui aveva
appreso tutto e che in quell’istante gli stava tornando stranamente utile,
anche se non sapeva quali delle tante cose che conosceva fossero veritiere.
Come poteva essere lui quello fuori dall’ordinario se si ritrovava davanti ad
un licantropo in carne ed ossa? «Per sorprenderti e conquistarti» ammiccò con
ironia melensa, regalandogli un occhiolino giocoso.
Le dita di Derek si strinsero alle sue e Stiles
sentì la pressione aumentare ed il dolore che lo attraversava, ma serrò forte
le palpebre, arricciando le labbra senza protestare. «Peggiorerà, Stiles» lo
stava rimproverando, era evidente, mettendolo allo stesso tempo in guardia,
rabbuiandosi per quello che gli stava provocando.
Il figlio dello sceriffo scosse la testa,
irremovibile sulle sue decisioni. «Devi solo concentrarti sulla tua àncora».
Le iridi di Derek si illuminarono come mai
quella sera e la stretta vacillò, si sarebbe disfatta se Stiles non l’avesse
tenuta in piedi. «Cosa credi che abbia fatto finora?» era spinoso ed irritato,
ma era chiaro che la domanda fosse un’altra, indelebile nei suoi occhi: come puoi saperlo?
«Sì, giusto, hai ragione. Ma non funziona»
l’occhiataccia che ricevette dal lupo fu eloquente ed infastidita, era ovvio
che non funzionasse, altrimenti sarebbe andato tutto bene.
Che cosa avevano? Cosa potevano usare che andasse
bene e potesse aiutarli?
Le dita si strinsero, legandosi ancora di più,
ma non avvertiva alcun dolore, perché Derek si stava reprimendo, di nuovo.
Poteva ancora sentire il sangue su di sé e le ferite che non sembravano
intenzionate a rimarginarsi. Non andava bene, per niente. Derek doveva
ritornare ad averne il controllo. «Concentrati su di me».
Il licantropo lo guardò come se lo incontrasse
per la prima volta e fosse un folle da cui era meglio tenersi alla larga. «Sei
un aspirante suicida?».
«So che puoi farlo» negò vistosamente il
sedicenne, avvicinandosi di un ulteriore centimetro, evidenziando quanto ci
credesse. «So che non mi toccherai, che non permetterai che mi accada nulla».
«Posso ucciderti, senza che tu te ne accorga»
era veritiero, i fatti dimostravano esattamente quella prospettiva, la mancanza
di padronanza dell’altro gli suggeriva allarmatamente di fuggire ed andare il
più lontano possibile.
«Non lo farai» ma era difficile avere la meglio
sulla testardaggine di Stiles, quasi impossibile.
«L’ho già fatto» il ringhio era impetuoso e
ridondante e la rabbia era funesta e spaventosa.
«Mi fido di te, Derek» proferì come unica
verità, ineguagliabile conoscenza. «Mi fido di te e non ti lascio» slegò la
mano destra, quella dove emergeva l’anello che li univa, e la poggiò sulla
guancia del lupo, con il metallo che veniva a contatto con la pelle,
concedendogli di avere una presa leggera su di lui che gli permettesse di far
congiungere le due fronti, di fargli sentire la sua completa presenza ed il
totale credo che gli riversava. «Non ti lascio».
Non fu una notte tranquilla, fu tortuosa e
senza fine, con alti e bassi continui; fu la notte più lunga che avesse mai
vissuto – e di notti orribili ne aveva conosciute tante –, rimanendo per quanto
ne avesse le facoltà in quella posizione, a sussurrare continue parole che
calmassero l’animo di Derek, a limitarsi semplicemente a fargli percepire tutto
se stesso, la sua persona. A non abbandonarlo mai.
Le ferite si rimarginarono sotto il suo tocco,
il sangue sparì completamente, rimanendo testimone solo nelle mani di Stiles e
dopo ore intere ed interminabili, crollò, esausto e con la mente completamente
devastata di pensieri.
Ebbe l’impressione che Derek l’avesse seguito,
ma la mattina, quando il sole era già alto e la sveglia era prossima a suonare,
si ritrovò disteso nel suo letto, perfettamente accomodato e rimboccato fino
alla punta del naso; le mani erano completamente pulite e l’odore del lupo era
tutto su di sé.
Più in là, alla sua destra, proprio dalla
finestra, era individuabile uno spiraglio lasciato aperto, un pollice di
differenza, ma Stiles era così protetto dalle folte coperte che lo riscaldavano
completamente, che non percepiva il piccolo soffio d’aria fredda che penetrava
nella camera.
Ma qualcosa lo disturbava e lo lasciava
inqueto.
Non era l’essere entrato a conoscenza della
vera natura di Derek, dell’esistenza del sovrannaturale e dei lupi mannari, ma,
come quando si rese conto che il mutaforma conosceva
il suo nome e le piccole cose che aleggiavano intorno a lui e che si lasciava
sfuggire, Derek Hale conosceva la perfetta ubicazione di casa sua. Derek Hale
sapeva dove abitava.
Sentì l’insano e rassicurante bisogno di
nascondersi radicalmente sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa per
sprofondarvi totalmente, fuggendo dalla luce solare e da tutto quello che
rappresentava, sospirando devastato e sopraffatto, avvertendo una fitta
all’altezza del petto ed ignorando la sveglia che prese a suonare
ossessivamente, bucandogli i timpani.
Gli diede le spalle, facendo scivolare il
cuscino al suo fianco e stringendoselo forte contro, portandosi in posizione
fetale e serrando le palpebre, divenendo sordo alla verità.
Ebbene sì, la vera natura di Derek, tanto
sospettata da Stiles, è stata svelata ed è reale.
Devono essere davvero poche le probabilità
in cui Stiles sia così fortunato da incontrare una delle creature di cui si
ciba con i suoi libri e immaginario ammesso; ottimo lavoro, Stiles. Forse,
però, un po’ te la sei cercata.
Tornando all’inizio del capitolo, sì, Stiles
è intrattabile e guerriero e questo spaventa parecchio Lydia, perché il lato
oscuro di Stiles esce soltanto in determinati momenti e in quelli più
inaspettati e certo, non avrebbe mai pensato che potesse mostrarsi proprio
nella direzione di Derek Hale. Il che ha una certa implicazione davanti ai suoi
occhi.
Di conseguenza tutto gira intorno al
malcontento ed a tutto quello che Stiles non esprime a voce e che Lydia
comprende e che Stiles non vede o non accetta.
Le sue ragazze preferite riescono a
conquistarlo in fretta, a loro modo, ma perdono nettamente davanti al mistero
che rappresenta Derek Hale e il cercare di accertarsi che tutto vada bene.
Forse per ricambiare il favore? O forse semplicemente perché quello è Stiles e,
in un modo o nell’altro, sia lui che Derek sono quasi costretti ad inseguirsi,
come se fosse un bisogno fisiologico. Mi chiedo dove potrebbe mai portarli
tutto questo e fin dove possa spingersi.
Ma la vera domanda è: quanto potrà incidere
la vera natura sovrumana di Derek nel loro rapporto?
A venerdì, nella speranza di avere qualche
delucidazione,
Antys