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Autore: Antys    18/11/2016    5 recensioni
Nel liceo di Beacon Hills si era sviluppata una strana mania, una tradizione, da diversi anni e quasi ogni studente tra quelle mura vi partecipava.
Tutto ruotava intorno agli anelli che si indossavano quotidianamente e, a seconda della loro collocazione, esprimevano un significato da trasmettere ai presenti ed era una continua caccia: tutti controllavano chi stava indossando quale anello su quale dito.
Ma l’ambizione consisteva nel riuscire a scambiarsi due anelli gemelli che comunicavano il significato di coppia e che autenticasse quel loro modo di essere.
Anche Stiles possedeva un anello, un anello che casualmente aveva il significato di single, ma che non era in alcuna maniera collegata a quella sciocca tradizione che non apprezzava. Quello che non sapeva, era che qualcun altro all’interno di quel liceo portava il suo stesso identico anello, nello stesso medesimo dito ed era la persona che meno si sarebbe mai aspettato.
[…]
«È come se non fosse il mio» strascicò il castano con voce profonda e rivelatrice, incredibilmente tradita. Quell’anello era troppo perfetto.
Scott si girò verso di lui dubbioso e la campanella che annunciava la fine di quell’ora riecheggiò in tutto l’edificio. «Forse l’hai scambiato».
Scambiato? Scambiato con chi?
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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6° Capitolo

 

La vita trascorreva normalmente, tra una corsa e l’altra per giungere nell’aula corretta all’orario più appropriato, serpeggiando tra le fila di alunni che si accalcavano davanti agli armadietti e chi periodicamente gli rubava minuti per due chiacchere.

Alla fine non era successo nulla, niente era accaduto. Era stato momentaneamente dimenticato, permettendogli di prendere un respiro d’aria pura e tirare un sospiro di sollievo. Non che avesse abbassato la guardia o fosse diventato paranoico, ma forse perfino le ragazze di Derek avevano un limite ed una perseveranza che diminuiva a poco a poco, lasciando perdere l’interesse e dimenticando qualsiasi loro piano malefico. Ma era quasi certo che se fosse avvenuto qualcosa di diverso, qualcosa di più, un semplice nuovo contatto, l’incubo sarebbe ricominciato e non ci teneva particolarmente a testarlo.

«Lo stai evitando?» domandò Lydia con un tono non del tutto casuale, quando lo raggiunse nei corridoi, alla fine della lezione appena conclusa.

«No» rispose senza nemmeno pensarci, schivando un ragazzo con la testa tra le nuvole e cieco a chi gli si parava davanti.

La bionda fragola lo guardò dubbiosa, accelerando il passo e portandosi immediatamente al suo fianco. «Non ho nemmeno specificato di chi si trattasse».

«Non ce n’era bisogno» proferì il figlio dello sceriffo con non curanza, girando l’angolo e percorrendo un nuovo corridoio.

Era passata una settimana, un’intera settimana dalla sera della partita, da quando era andato a cercarlo spedito da Erica senza nemmeno sapere il perché ed incastrandosi in una conversazione che avrebbe soltanto dovuto aiutarlo, mettere le cose in chiaro e cessare quel loro strano modo di fare, ma alla fine, quando aveva avuto la situazione sotto controllo, e forse lo stava perfino rimproverando senza alcun motivo, era stato lui stesso ad uscirne ferito e sconfitto, ma almeno quell’ambiente irrespirabile era diventato più sopportabile.

«Sapevo che non saresti durato. È dura essere scaricati da Derek Hale» subentrò una voce arcigna e malvagia, così carica di veleno e compiacimento che avrebbe fatto raggelare chiunque si trovasse di fronte alla sua presenza, portandolo ad allontanarsi da Kate Argent.

«E tu lo sai meglio di tutti» ma Stiles non aveva mai fatto parte del gruppo dei chiunque, non era qualcuno che si tirava indietro anche se professava il contrario e sapeva mettersi contro chi non avrebbe dovuto. Aveva una tale capacità dell’uso della parola che era quasi impossibile poterle usare contro di lui e chi ci provava ne usciva totalmente sbaragliato.

Le spalle di Kate si irrigidirono ed uno scintillio inquietante si rifletté nei suoi occhi freddi e omicida, piccata e colpita fin nel profondo. «Non giocare con il fuoco, Stilinski».

«Buffo» le labbra di Stiles si curvarono in quella piega sinistra che ricordava sempre un po’ troppo quella di una volpe che stava giocando con la sua preda, pregustandosi una vittoria schiacciante. «Mi hai rubato le parole di bocca, Argent».

Lydia assisté a tutta la scena impotente, guardando sgomenta ed inorridita il capovolgimento delle parti e trovandosi uno Stiles in testa ed una Kate Argent che non riuscì a reagire in tempo, prima che il sedicenne la sorpassasse a testa alta senza dare alcun segno di averla percepita, evitando con classe perfino di sfiorarla e la rossa dovette muoversi in fretta per non perderlo e ritrovarlo chissà dove e quando. «Smettila».

Stiles si voltò appena verso la sua direzione, lanciandogli un’occhiata interrogativa e dubbiosa. «Di fare cosa?».

«Di combattere per lui» rivelò a tutta voce, nel modo più evidente che potesse, mettendo in vista i fatti.

Il figlio dello sceriffo si fermò a metà passo, scrutandola come se improvvisamente fosse diventata pazza. «Non è quello che faccio».

Lydia aveva tutto il diritto di sentirsi offesa e provata in quel momento, Stiles non l’aveva mai guardata in quel modo e non aveva mai dubitato di lei, soprattutto senza argomentare e vedere il punto di vista dell’altro. Stiles era quello che la conosceva meglio, quello che rimaneva in religioso silenzio – qualcosa di totalmente ostico per lui – a studiarla ed ammirarla, memorizzando a pelle tutto quello che la riguardava e rispettandolo sempre. Le cose potevano essere cambiate tra loro ed avevano creato un rapporto d’amicizia di pari, ma l’amore che Stiles provava per lei non era mai cessato e si era evoluto, cambiato. Ma fino a che punto era cambiato? Chi aveva la priorità adesso per lui? «È esattamente quello che fai».

Stiles era totalmente girato verso di lei, muovendo un passo impercettibile nella sua direzione. «Quindi lo starei evitando e starei combattendo per lui allo stesso tempo, senza far niente per me stesso» la minaccia e la brutalità non erano caratteristiche che gli appartenevano, ma ognuno dentro di sé possedeva la sua buona dose di lato oscuro che usciva quando più serviva, soprattutto se sott’attacco o mentre gli stavano sottraendo qualcosa, e Stiles aveva il lato oscuro più misterioso di tutti e che quasi nessuno riusciva a vedere, ma quando emergeva, erano guai per tutti. «Credi che mi piaccia essere nel mirino di ragazze che si raccontano una storia per non ammettere di essere state rifiutate senza mezze misure, lasciando ricadere la colpa su qualcuno che non c’entra niente?».

«Non intendevo questo» l’istinto di retrocedere era troppo forte, ma Lydia era troppo testarda ed orgogliosa per mostrare cedimenti, mostrare che Stiles poteva vincere anche su di lei. Non l’avrebbe aiutato, non in quel momento.

«È esattamente quello che intendevi, soprattutto se credi a quella storia» la certezza nella voce del ragazzo era inequivocabile e Lydia si sentì smascherata e senza via d’uscita per rivoltare la situazione dalla sua parte.

Ed anche se ne avesse avuto l’opportunità non significava che Stiles avrebbe aspettato che trovasse le parole. Lo capì nel momento in cui le diede nuovamente le spalle, procedendo verso una nuova meta che lei non seppe interpretare. «Dove stai andando?».

«A combattere per Derek Hale» rispose con sarcasmo lascivo in una burla premente, colpendola in pieno petto.

Lydia rimase esattamente al centro del corridoio, intralciando chiunque dovesse passare e portandoli a scansarla ed a sbuffare scocciati della sua presenza non molto sveglia, richiamando tutto il brusio che prese vita intorno a lei e che le fece presente di dove in realtà si trovasse, riportandola indietro e suggerendole che non aveva alcuna idea con chi si fosse confrontata fino a quel momento.

Poi sentì la suola di una scarpa posarsi sul pavimento gremito di ragazzi, proprio dietro le sue spalle e spinta dalla sensazione di riconoscere la presenza che sostava proprio lì, si girò meccanicamente, incontrando due gemme di smeraldo completamente diverse dalle proprie, ma che aveva cominciato ad individuare senza problemi.

Lei e Derek Hale si guardarono per un tempo incalcolabile ed in entrambi era riflesso qualcosa a cui non poteva ancora essere dato voce.

Se lei credeva a quella storia? Sì.

Aveva capito che non poteva essere ignorata e che una base di fondo doveva essere reale, che era ben visibile e che si doveva imparare a guardare nel modo e nel posto giusto.

Credeva a quella storia, ma nessuno aveva detto che fosse scaturita dalla parte di Stiles.

 

Stiles stava pranzando ai tavoli all’aperto da solo, a volte accadeva, se il suo umore era altalenante e la sua voglia di relazionarsi fosse sotto zero, tendeva a mangiare isolato e lontano dagli altri, non che Scott lo permettesse tanto spesso, perché la solitudine era qualcosa con cui il figlio dello sceriffo doveva avere a che fare il meno possibile, ma a volte nemmeno lui riusciva in quell’intento e Stiles era così bravo da raggiungere la mensa troppo presto o ritardare di proposito. O andare nei luoghi meno affollati.

Era inverno e solitamente era aperta soltanto la mensa interna, ma era una gran bella giornata e la temperatura non era così terribile, ma erano pochi coloro che si avventuravano fuori e lui ne faceva parte.

Lydia gli scivolò proprio di fronte, depositando il vassoio pieno sul tavolo ed accomodandosi come se nulla fosse, trascinando un piatto ricolmo di patatine fritte fumanti e calde accanto a lui, dipingendosi addosso una maschera da cui non traspariva nulla se non la nonchalance. Stiles guardò il piatto e poi lei, adocchiandola studiosamente. «Credevo fossero terminate».

«Ho corrotto l’addetta alla mensa» sorrise felina la bionda fragola, strizzandogli un occhio di complicità fraterna.

Le labbra del sedicenne si curvarono in risposta, scuotendo la testa ed addentando una patatina. «Donna subdola» la bionda fragola riusciva sempre ad ottenere quello che voleva, che fosse con la sua aria da leader indiscussa o con quella con cui si mostrava caritatevole e gentile con il mondo, mostrando un broncio ed un’afflizione impossibili da cancellare se non veniva esaudita anche la sua più piccola richiesta. Sia quel suo modo d’agire che il piatto fumante di patatine fritte erano la sua richiesta di pace ed il tentativo di riconquistarlo, non che ce ne fosse davvero bisogno – anche se nemmeno lei poteva fare magie per reperirgli della maionese.

La ragazza sembrò soddisfatta e compiaciuta, svitando la sua bottiglietta d’acqua e procedendo per saziare l’appetito che reclamava energicamente. «Stasera c’è il concerto, hai intenzione di raggiungerci?».

Stiles le lanciò un’occhiata piena di domande e quando inghiottì la terza patatina, il ricordo riaffiorò. «L’avevo completamente rimosso» la professa Blake aveva avuto la brillante e fantasiosa idea di dedicare un’intera serata ad un concerto di musica classica, la cui orchestra era totalmente formata dagli alunni che frequentavano il corso di musica, seguiti e diretti dai loro professori che li avevano accompagnati passo dopo passo. La presenza degli altri studenti era quasi obbligatoria, come la partecipazione dei rispettivi genitori. Stiles non ricordava nemmeno perché era stata indetta – il raccogliere fondi per chissà quale progetto –, ma la riteneva una seccatura, anche se poteva aiutarlo a distrarsi un po’ ed a non passare l’ennesima serata a casa da solo.

«Stiles, dove sei stato in questi giorni? Mi sei mancato così tanto» piagnucolò provata e sofferta la bella bionda che gli si parò dinnanzi, poggiando i palmi aperti sul tavolo e mostrando le lunghe unghia perfettamente laccate di nero.

C’era sempre qualcosa di animalesco in lei, anche quando mostrava quel broncio che gli dedicava sempre quando non otteneva quello che voleva o quando sembrava che avesse mancato un appuntamento – anche se l’appuntamento non era esattamente con lei. «Sono stato impegnato».

La bugia era palpabile, benché lui fosse un ottimo attore e la menzogna fosse il suo pane quotidiano, ma Erica sembrò percepirlo ugualmente e nei suoi occhi castani prese vita una sfumatura più oscura, irrigidendo appena i lineamenti del viso. «Ma tornerai, giusto? Perfino Isaac ha avvertito la tua assenza».

«Ti ricordi che siamo nella stessa squadra di lacrosse?» gli fece ben presente il sedicenne con la giusta dose di retorica ed uno sbuffo di ironia, guardandola con aria bonaria.

«Ma è diverso» si intestardì la diciottenne, sintetizzando tutto il suo modo di vedere con quelle poche parole che riteneva indiscusse e difficili da ribattere.

Stiles tirò le labbra in una linea piatta, sventolando appena un paio di dita e solleticando l’aria che si smosse impercettibilmente. «Non lo so, Erica».

Erica capì subito che quella sarebbe stata l’unica risposta che avrebbe avuto da lui, che assomigliava molto di più ad una negazione totale che ad un ripensamento ed a lei non piaceva per niente. «Qualcun altro ha avvertito la tua assenza, molto più di noi» se ne andò senza aggiungere una parola in più, tamburellando con le unghie sul tavolo in un ultimo saluto.

Stiles doveva scacciare in ogni modo possibile il reale suono di quella frase, quello che gli urlava nelle orecchie e che graffiava per prendere dominio: qualcun altro ha sentito la tua mancanza; follia. E doveva ignorare che quel noi implicava semplicemente lei, Isaac e Boyd, perché Derek prendeva uno spazio così enorme ed assoluto che niente poteva contenerlo se unito a qualcos’altro. Era devastante e distruttivo.

«Avevi detto che non lo stavi evitando» lo rimproverò caldamente la rossa che aveva taciuto nel momento in cui Erica si era unita a loro, totalmente concentrata su Stiles e del tutto disinteressata a lei.

Il figlio dello sceriffo fu subito risvegliato e riportato alla realtà, aiutandolo per un momento a mandar via quei pensieri molesti, ma Lydia sembrava davvero furiosa per quella mancanza di veridicità e onestamente non sapeva bene quale delle due cose era meglio affrontare. «Ed è così».

«Se fosse così, non avresti rinunciato a quel posto. Nemmeno per Derek Hale» Lydia sapeva bene dove si rintanasse il sedicenne tutte le volte che non si avevano notizie di lui, dove studiava indisturbato e fuori dal mondo, il luogo che aveva tenuto segreto e che conoscevano soltanto i membri della squadra di basket che poco si curavano di lui, procedendo indisturbati nei loro allenamenti.

Stiles era iperattivo, rumoroso e con una scarsa capacità di concentrazione – benché avesse dei voti ottimi quasi quanto i suoi –, ma quando entrava nella palestra dedicata al basket, le cose cambiavano e si attivava qualcosa che riusciva a far convivere tutti quegli estremi. Stiles aveva bisogno di sentire il mondo e la vita intorno a sé, di allontanare il silenzio e la solitudine, riempiendolo con il rumore ed un ritmo costante e ripetitivo. La sua concentrazione aveva individuato un filtro che poteva lavorare al posto suo, permettendogli di controllare la sua iperattività e l’inutilità di creare nuovo caos da sé.

Con un mondo concentrato dentro un solo luogo, con le varianti che voleva lui e le giuste porte lasciate aperte, Stiles poteva quasi studiare senza stress ed ansia, prendendo un respiro dalla propria vita priva di suoni. Sapere che si fosse rifiutato di tornare nella sua oasi casinista personale per più di una settimana era impensabile.

Stiles sospirò amaramente, spostando il piatto di lato ed allontanandosi dal tavolo in cerca di nuovo spazio, tamburellando nervosamente le dita di una mano sulla superficie di legno. «Ho solo ritenuto fosse la scelta migliore».

Lydia non capiva, proprio non riusciva ad arrivarci ed era un affronto alla sua intelligenza caparbia; cos’era che stava tenendo per sé? Quei due non riuscivano nemmeno più a guardarsi e l’abilità di evitarsi non era tutta farina del sacco del sedicenne. «Migliore per chi?».

Le perle d’ambrosia si alzarono verso l’alto, incontrando la distesa azzurra limpida e sgombra da qualsiasi filtro potesse nasconderla, non vi era una sola nuvola in cielo, nemmeno la più piccola ed innocua né uno sprazzo appena accennato ed in un angolo in disparte, misterioso e fiero di sé, figurava l’unico satellite della Terra, completamente visibile in piena luce solare. «C’è la luna piena».

La bionda fragola sbatté le palpebre con confusione, disorientata da quel cambiamento di argomento. Non era qualcosa di nuovo o a cui non era preparata, con Stiles era facile perdere il filo del discorso, catturato da qualcos’altro che attirava la sua attenzione. Era facile per lui disorientarsi o perdere interesse per ciò a cui si era precedentemente dedicato, mettendolo nel dimenticatoio; proprio per questo chi gli girava intorno doveva trascinarlo nelle direzioni giuste, ricordandogli dov’era rimasto, il più delle volte, e doveva imparare ad avere tanta, ma tanta pazienza. «Potrai giocare con i tuoi amici licantropi più tardi».

Uno sbuffo di risa uscì dalle labbra di Stiles, rimanendo curvate all’insù e scuotendo appena la testa. «Potresti rimanerne sorpresa».

«Stiles» lo richiamò all’attenti, esigente e poco propensa ad addentrarsi nel suo mondo immaginario, popolato di creature mitologiche e leggendarie. Voleva una risposta e la voleva subito.

«Avevi ragione» l’aria si fece pesante e carica di tensione e Lydia rimase in ascolto come se fosse stata catturata; aveva mille motivi per cui avrebbe dovuto avere ragione. «È turbato».

Il fiato le rimase incastrato in mezzo alla gola e lo sguardo di Stiles era indecifrabile, non le fu nemmeno permesso di prendere coscienza di sé e di interpretarlo, perché lui tamburellò un’ultima volta sul tavolo, con un ritmo preciso e melodioso, in perfetta sincronia con la campanella che annunciava la fine del tempo ricreativo e l’inizio delle nuove lezioni, lasciandola da sola con i suoi pensieri.

E tu perché sei turbato?

 

L’aria circostante l’auditorium presentava ancora poche figure che non vi erano entrate, parlottando tra loro o fumando l’ultima sigaretta prima della pausa a metà concerto, gli altri erano tutti a prendere posto, occupando il numero per ogni membro che contenesse un gruppo o una coppia. Alcuni venivano fatti slittare con parole educate come potreste e per favore per rendere quell’operazione più facile ed altri non si muovevano di un solo millimetro, rimanendo fermi nei posti che si erano accuratamente scelti e che avevano preteso un orario anticipato e meticoloso, un po’ come faceva lui durante le partite di basket, mentre gli altri si accontentavano come potevano.

A lui non importava granché dove sarebbe finito, tanto Lydia sarebbe riuscita a far smuovere l’intero auditorium se le andava ed a Stiles importava soltanto sedersi e poter bisbigliare senza interferenze; solo se si fosse annoiato avrebbe ascoltato il concerto.

Ma quando entrò, alla sua sinistra vi era Derek Hale che veniva investito dal fiume di parole di Erica, che lo teneva per un polso e lo tirava nella direzione opposta, mentre lui non muoveva un muscolo e lei cercava rinforzi da un Boyd che scrollava le spalle e da un Isaac che se ne lavava le mani. Erica era davvero agguerrita, ma anche scoraggiata e sembrava essere prossima a cedere.

Stiles si bloccò appena proprio sull’uscio dell’enorme portone, superato da Scott ed Allison che si guardavano intorno mano nella mano, e Lydia, insieme a Jackson, che perlustrava l’ambiente in cerca di posti quantomeno decenti.

Per un momento temette che Derek fosse riuscito ad intercettarlo, e non sarebbe stato carino farsi trovare mentre lo osservava, ed Erica si sarebbe girata per accoglierlo nel suo modo espansivo e malizioso, ma nessuno dei due gli prestò attenzione e continuarono la loro discussione che veniva portata avanti interamente dalla bionda ed a cui il capitano rispondeva freddamente, poco propenso a collaborare. Erica lo scuoteva perfino – o almeno ci provava – e lui rimaneva fermo ed immune a qualsiasi stimolo. La curiosità di Stiles crebbe così tanto che mancava davvero poco che si intromettesse o si avvicinasse per origliare. Derek gli avrebbe spezzato l’osso del collo, assicurato.

E in più che diritto aveva adesso? Quando mai ne hai avuto? Stiles si spaventò pericolosamente a quel pensiero e l’unico istinto che aveva era quello di fuggire, anche se era pietrificato esattamente dove si trovava e non riusciva a scollarsi da lì. Lydia fu una benedizione quando tornò indietro per riprenderlo, ma non gli sfuggì l’occhiata che lanciò al diciottenne quando giunse da lui e comprese perché non si fosse mosso.

Non parlò, non emise neppure un fiato, ma Lydia lo guardò dritto nelle iridi ambrate con una consapevolezza e con un significato così pieno che Stiles li soppresse con tutto se stesso, lasciandosi guidare da lei che lo prese per mano, portandolo nel lungo corridoio davanti a loro creato dalla posizione delle poltrone e facendolo sedere tra lei e Scott.

Non si dissero nulla per minuti interi e toccava a Scott ed Allison argomentare qualsiasi cosa gli passasse per la testa, mentre Jackson sbuffava e proferiva parole infastidite, ma almeno riempivano il vuoto.

Di tanto in tanto Stiles buttava un’occhiata dietro di sé, superava le tre file che si frapponevano tra lui ed il suo obbiettivo e sbirciava con moderazione; non era cambiato molto da quando si era allontanato, Erica era ancora lì, che lo teneva più saldamente di prima e Derek continuava imperterrito a non darle ascolto. L’unica cosa che era cambiata era Isaac che si era allontanato per prendere tre posti, suo compreso.

Quando fu annunciato l’inizio del concerto, non si trattenne per gettare un’ultima occhiata e vedere la bionda che si arrendeva e lo lasciava, sembrava rammaricata e sconfitta, mentre una mano dell’afroamericano le si poggiava su una spalla, spostandosi e scortandola verso il corridoio per raggiungere gli unici posti liberi. Derek rimase esattamente dove l’aveva visto per tutto il tempo, da solo e con le spalle al muro, in posizione d’ascolto.

Poi le luci calarono e gli fu quasi difficile poterlo scorgere, ma questo non fermò il pianoforte che aprì il concerto, seguito dai violini e poi dalle trombe.

Stiles sapeva che avrebbe dovuto smettere di guardare e dedicarsi ad altro, era lì proprio per quello, per staccare la mente e passare qualche momento in compagnia; invece il suo cervello non smetteva di lavorare e non faceva nemmeno caso a chi avesse intorno.

Ad un certo punto un nuovo strumento a corde si insidiò nell’orchestra e lo identificò come un violoncello.

Non avrebbe dovuto, non aveva alcun motivo per cui avrebbe dovuto girarsi e vedere cosa stesse facendo Derek lì in fondo tutto da solo, il perché Erica avesse insistito tanto senza avere alcun risultato, ma quando l’archetto premette contro le corde, una scarica che partì dall’anello gli investì tutta la mano, attraversandogli la colonna vertebrale e gli occhi d’ambrosia si posarono immediatamente sulla figura del capitano della squadra di basket, trovandolo pallido e sgomento.

L’orchestra proseguì indisturbata e il violoncello emergeva più di qualunque altro strumento. Derek apparve completamente distrutto e sopraffatto, le spalle si irrigidirono e le braccia si contrassero, portando le mani a pugno, stringendole così forte da farle diventare completamente bianche.

Lo stomaco di Stiles ebbe un singulto e la preoccupazione crebbe immediatamente, aveva così tanti pensieri nella testa che non riuscì a focalizzarne nemmeno uno e con un blocco del genere non aveva alcuna idea di come avrebbe dovuto agire.

Derek si morse le labbra a sangue e quando premette maggiormente le unghie sul palmo della mano, si tirò indietro, aprendo metà portellone ed uscendo dall’auditorium, lasciandolo chiudersi dietro di sé.

Che cos’era appena successo? Che cosa si era perso?

Il nuovo accordo del violoncello echeggiò per tutto l’ambiente e Stiles tremò appena.

Il violoncello. Non poteva essere casuale quel cambiamento con quella sincronia perfetta; aveva visto esattamente quando l’espressione del playmaker era mutata, quanto fosse peggiorata e quanto poco riuscisse a rimanere bloccato lì dentro in mezzo a tutti loro.

Il violoncello. Il violoncello. Stiles sbarrò gli occhi e l’anello prese a scottare. «Paige» realizzò soltanto in quel momento, con un turbine di emozioni contrastanti che si abbatterono su di lui.

Non resistette nemmeno cinque secondi e già si era alzato per superare i due posti che lo dividevano dall’accesso verso il corridoio per correre verso l’uscita.

Lydia lo afferrò per un braccio, tirandolo indietro e bloccando la sua corsa. «Dove stai andando?».

«Devo allontanarmi per cinque minuti» rispose immediatamente, rifilandole l’unica scusa patetica che gli venne alla mente – non che fosse esattamente una bugia.

La bionda fragola lo tenne più stretto, guardandolo attentamente negli occhi per leggervi le sue intenzioni e la veridicità di quell’affermazione, girando di poco la testa per occhieggiare la posizione dov’era certa avrebbe trovato Derek Hale. Ma lui non era lì e Lydia non impiegò molto per trarre le somme. «Stiles, cosa stai facendo?».

Il tono di Lydia era molto preciso e Stiles sapeva interpretarlo molto bene, ma come aveva fatto prima, lo ingabbiò per sopprimerlo; non aveva tempo per quello. Doveva soltanto seguire il suo istinto, quella preoccupazione che gli tamburellava dentro le orecchie. Doveva soltanto agire. «Devo prendere aria, Lyds. Devo andare».

Erano due cose completamente diverse, la sedicenne lo sapeva bene; sapeva anche quanta premura Stiles stesse rilasciando, insieme a molte altre cose che si scontravano tra loro e che erano quasi impossibili da catalogare e contare.

Lasciò la presa senza staccare gli occhi da lui e Stiles non perse una frazione di tempo e si fiondò verso l’uscita, accompagnando il portellone per non creare rumore, permettendo che il concerto continuasse senza interruzioni o fastidi.

Lydia sperò che nessuno si fosse accorto di ciò che era successo e della loro scomparsa simultanea.

 

Stiles si confrontò con la notte, il sole completamente calato ed il tramonto un ricordo lontano, mentre il cielo scuro dominava incontrastato, tempestato di piccoli vortici di luce brillante che insieme ad una sfera perfetta, che viveva di puro riflesso, illuminavano il pianeta sottostante.

Non aveva mai visto una luna piena come quella, unica protagonista nell’enorme distesa blu scuro, completamente esposta senza che nulla potesse mascherarla o coprirla, sfocandola anche per un solo secondo. Era raggiante e suprema, attirava tutta l’attenzione su di sé ed era talmente luminosa e grande che era impossibile cercare di distogliere lo sguardo da lei.

Ma Stiles aveva una missione e non poteva contemplarla per tutta la vita.

Si guardò attorno per capire la situazione e cercare di individuare dove fosse finito Derek, in che condizioni fosse e cosa aleggiasse nella sua mente, ma di lui non vi era alcuna traccia. Ci aveva messo troppo tempo, aveva perso minuti – secondi – preziosi e adesso non possedeva alcun indizio che potesse suggerirgli dove potesse trovarsi, come trovarlo.

Ma doveva farlo? Ne aveva il diritto? Una volta che si fosse presentato davanti a lui che cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito? Tutto sommato avrebbe potuto sbranarlo senza problemi, ne aveva tutte le ragioni, buone motivazioni e Derek era un tale lupo scorbutico, acido e musone che non avrebbe sentito ragioni.

Era un lupo. Un lupo. Dove vanno i lupi?

Per quanto Stiles ci scherzasse sopra e lo riempisse di ogni riferimento possibile, ci credeva davvero alla sua natura canide, a quella parte animale che in lui sfociava incontrastata, manifestandosi e rendendolo quello che era. Stiles l’aveva vista, l’aveva percepita, aveva perfino notato come Derek rizzasse le orecchie, irrigidendo le spalle e prodigandosi all’ascolto, mettendo in secondo piano ciò che gli girava intorno e prestando attenzione a qualcos’altro. A qualcun altro. A chi?

Derek era un lupo e nel cielo c’era la luna piena più maestosa che mai, all’interno dell’auditorium procedeva indisturbato il concerto, quel concerto che aveva scombussolato il diciottenne; il violoncello che l’aveva fatto tornare indietro.

Da dove si osserva la luna per maledirla, continuando a prestare orecchio, torturandosi, e allontanandosi quanto basta dalla presenza soffocante delle persone?

Poteva sbagliarsi o avere ragione, magari Derek era tornato perfino a casa sua e volendo avrebbe potuto controllare se al parcheggio vi era ancora l’adorata Camaro, ma poteva anche averla abbandonata, proseguendo a piedi; per quanto Derek amasse la sua auto, non disdegnava le lunghe camminate, quelle che facevano riflettere e stemperare i disordini interni. E c’erano tante variabili, così tante che non avrebbe avuto il tempo di calcolarle tutte, perché doveva darsi una mossa ed il suo istinto non vacillava mai, era sicuro di sapere dove trovarlo, quindi alla fine non gli importò molto delle variabili e si diresse verso l’entrata principale della scuola, fiondandosi per le scale per raggiungere il tetto.

Il tetto era il posto giusto, nella giusta ubicazione ed era perfetto per rintanarsi, aveva abbastanza esperienza sulla propria pelle per poterlo ignorare.

Sbatté i piedi sull’ultimo gradino, spintonando con forza la porta d’acciaio e trovandola stranamente, e incoraggiantemente, aperta, sbucando energicamente ed ansiosamente dall’altra parte. La lastra di metallo fece un tonfo e Stiles si sporse per rendersi reattivo ed individuare la figura che cercava o qualunque cosa potesse aiutarlo.

Poi la sorpresa e lo sgomento si impadronirono di lui, costringendolo a trattenere una nuova ondata di ossigeno a metà trachea, suggerendogli di inghiottirlo e tentare di razionalizzare la cosa.

Stiles e la razionalità avevano un rapporto strano e controverso, disambiguo e fuori dall’ordinario. La sua razionalità non aveva nulla a che fare con quella classica ed era per quel motivo che riusciva a pensare ed a metabolizzare le cose in modo diverso dal consueto.

Derek si trovava in fondo, nella parte più scura del tetto, lì dove vi era un’ombra che lo riparava dalla luce del plenilunio per quanto gli fosse possibile, di qualche centimetro alla sua sinistra. Era rannicchiato, buttato per terra, si contorceva su se stesso e ringhiava piano, cercando di contenersi e riprendere il controllo; quando il rumore scaturito dalla porta sbattuta dal figlio dello sceriffo lo investì e la sua presenza si palesò, non ebbe modo di impedirsi di alzare lo sguardo ed incontrare il suo.

Fu in quel momento che Stiles le vide, due gemme fredde di un blu metallico, sferzare l’oscurità ed emergere; erano le uniche cose che riusciva a mettere a fuoco.

La sua mente non impiegò molto ad assimilare la stranezza che si trovava dinnanzi, a riprendere possesso di una buona respirazione ed a raccogliere il coraggio per avvicinarsi e aiutarlo.

Derek ringhiò, questa volta in modo nitido ed udibile, mostrando i denti appuntiti ed i canini notevoli, facendo brillare maggiormente gli occhi azzurri. «Vattene via».

Era un’intimidazione, un’autentica intimidazione, e Stiles poté comprendere quanto del vero Derek ci fosse lì in quel momento, di quanto fosse dura quella battaglia contro se stesso e di quanto si stesse sforzando di non balzargli addosso e strappargli la carotide. «No» pessima idea, Stiles, ma non era propriamente conosciuto per far funzionare il suo sorprendente cervello nei momenti più disparati, quelli più critici. O meglio, funzionava eccome, ma tendeva a mettersi nei guai comunque.

Le iridi blu brillarono rabbiose ed un nuovo ringhio echeggiò nel vuoto dell’aria che li circondava, serrando le spalle e stringendosi sempre di più su se stesso. «Ti ucciderò».

Non che fosse una grande sorpresa, il figlio dello sceriffo aveva fantasticato anche troppo su quell’eventualità; in realtà si aspettava che Derek compisse quella deplorevole azione fin dal loro primo ufficiale incontro, ma così non era stato. Fortuna, immaginava. Ma adesso era diverso, adesso qualsiasi azione Derek avrebbe commesso non se lo sarebbe perdonato mai, avrebbe continuato a reprimersi ed a torturarsi, ad inveire contro di sé, odiandosi più di quanto non facesse già.

Ti ucciderò. Derek era un lupo, un lupo che si nascondeva dalla luce della luna piena, un lupo che combatteva contro se stesso, usando tutte le sue forze. Era un lupo che stava soffrendo, un lupo dagli occhi di un blu metallico, freddo ed incandescente. Non erano gialli come quelli di un Beta e non erano rossi come quelli di un Alpha, erano blu come quelli di un Beta che aveva stroncato una vita innocente.

Una vita innocente. Quale vita poteva essere stata? Quale aveva strappato? Non aveva nessun motivo per credere che il playmaker avesse messo fine ad una vita per capriccio, per la sola voglia di sangue, per assecondare la sua natura di primate e predatore.

Derek soffriva, con ogni particella del suo essere, si malediceva e si nascondeva dalla luna odiandola, ma amandola sopra ogni cosa. Reprimeva la sua natura per averne il controllo, un controllo che aveva perso quando il violoncello aveva preso vita.

Il violoncello. La vita di un innocente.

Le immagini, i pezzi di un puzzle scoordinato e privo di classificazione, le voci che si accalcarono tutte nella sua testa in un nano secondo. L’autoflagellazione che Derek si imponeva e la scomparsa di quello che era un tempo e che Stiles non aveva mai conosciuto.

Uccidere era già terrificante, distruttivo e lacerante, soprattutto per un animo come quello di Derek tempestato dai sensi di colpa. Soprattutto quando dentro di sé si possiede un’altra natura, un altro aspetto di se stessi, l’anima di una creatura della notte. Un’anima che aveva spezzato quella che amava.

Il violoncello l’aveva soltanto riportato indietro, indietro ad un tempo in cui si era macchiato le mani del sangue della ragazza che aveva amato. Perché? Perché avrebbe dovuto sporcarsi per sempre, mettendo fine all’esistenza di qualcuno a cui teneva così tanto? Era perfino rimasto con lei, con Paige, fino alla fine, fino al momento della sua esalazione. Ne era uscito distrutto, devastato e rotto, frammentato in mille pezzettini che nessuno riusciva a rimettere a posto.

Stiles si avvicinò lentamente, chinandosi e portando le mani ai lati del suo viso, incorniciandolo ed obbligandolo a guardarlo dritto nelle iridi d’ambra, mentre Derek latrava e mostrava i denti, lamentandosi ed intimandogli ancora di andarsene, di star commettendo un terribile errore. «Sono bellissimi» soffiò ad una spanna da lui, con tutta la convinzione del mondo e la pura ed autentica sincerità. «Sono davvero bellissimi, Der».

Derek sembrò quasi annaspare a quelle parole, al loro significato, alla scoperta e rivelazione che Stiles conoscesse il reale significato del colore dei suoi occhi, gli occhi di un assassino, e si tirò indietro a quel contatto, dalle sue mani che lo circondavano e che non ne volevano sapere di lasciarlo andare. «Non sei al sicuro qui».

Il sedicenne abbozzò una piega saputa, che assomigliava tanto ad un morbido sorriso. «Non lo sono mai» ma era palese che quella frase conteneva un per te specifico, oltre a tutti i guai in cui Stiles si andava a cacciare quotidianamente e che attirava come un faro luminoso che segnalava la sua ubicazione.

«Devi andare via di qui» sottolineò ancora il lupo, come se non si fosse spiegato abbastanza e non fosse evidente in che condizioni fossero, a che turbine folle e pazzesco corrispondesse la sua vita. «Non riesco a controllarmi, non ho pieno controllo su di me, non oggi» le mani erano chiuse in un pugno che si strinse ancora di più, conficcando maggiormente gli artigli da licantropo che aveva in dotazione nel palmo, infierendo sulla ferita già creata e facendo sgorgare nuovo sangue.

Stiles le aveva notate precedentemente, le falangi erano fin dall’inizio sporche di liquido vermiglio quando era arrivato da lui, le unghie erano già conficcate e Derek stava cercando di non farsi sopraffare dalla sua parte animale. Il dolore rende umani. «Lo so, non è un problema. Possiamo risolverlo» le mani si separarono dal volto del mutaforma e si andarono a dedicare alle sue, toccandole con un movimento soffice ed inserendosi tra loro con le dita, trovando il modo di farle aprire lentamente, permettendo agli artigli di liberarsi dalla carne e di non infierire più, facendo combaciare i loro palmi ed intrecciando le falangi. Gli arti di Stiles erano tutti sporchi del sangue di Derek.

«Perché devi sempre essere fuori dall’ordinario?» la domanda di Derek era legittima e vera, sentiva davvero il bisogno di chiederglielo, di avere una risposta, era qualcosa che sembrava turbarlo nel profondo e da tempo.

Stiles lo guardò dubbioso, forse perché era concentrato nel trovare una soluzione e perché dopotutto si trovava davanti ad un lupo mannaro. Uno vero, con tanto di artigli e denti, pieno di peli e con il ringhio facile. Uno vero che poteva toccare, con cui poteva conversare – anche se non era proprio il momento più adatto – e da cui poteva apprendere molti segreti; non uno di quelli che popolava i suoi libri, quelli da cui aveva appreso tutto e che in quell’istante gli stava tornando stranamente utile, anche se non sapeva quali delle tante cose che conosceva fossero veritiere. Come poteva essere lui quello fuori dall’ordinario se si ritrovava davanti ad un licantropo in carne ed ossa? «Per sorprenderti e conquistarti» ammiccò con ironia melensa, regalandogli un occhiolino giocoso.

Le dita di Derek si strinsero alle sue e Stiles sentì la pressione aumentare ed il dolore che lo attraversava, ma serrò forte le palpebre, arricciando le labbra senza protestare. «Peggiorerà, Stiles» lo stava rimproverando, era evidente, mettendolo allo stesso tempo in guardia, rabbuiandosi per quello che gli stava provocando.

Il figlio dello sceriffo scosse la testa, irremovibile sulle sue decisioni. «Devi solo concentrarti sulla tua àncora».

Le iridi di Derek si illuminarono come mai quella sera e la stretta vacillò, si sarebbe disfatta se Stiles non l’avesse tenuta in piedi. «Cosa credi che abbia fatto finora?» era spinoso ed irritato, ma era chiaro che la domanda fosse un’altra, indelebile nei suoi occhi: come puoi saperlo?

«Sì, giusto, hai ragione. Ma non funziona» l’occhiataccia che ricevette dal lupo fu eloquente ed infastidita, era ovvio che non funzionasse, altrimenti sarebbe andato tutto bene.

Che cosa avevano? Cosa potevano usare che andasse bene e potesse aiutarli?

Le dita si strinsero, legandosi ancora di più, ma non avvertiva alcun dolore, perché Derek si stava reprimendo, di nuovo. Poteva ancora sentire il sangue su di sé e le ferite che non sembravano intenzionate a rimarginarsi. Non andava bene, per niente. Derek doveva ritornare ad averne il controllo. «Concentrati su di me».

Il licantropo lo guardò come se lo incontrasse per la prima volta e fosse un folle da cui era meglio tenersi alla larga. «Sei un aspirante suicida?».

«So che puoi farlo» negò vistosamente il sedicenne, avvicinandosi di un ulteriore centimetro, evidenziando quanto ci credesse. «So che non mi toccherai, che non permetterai che mi accada nulla».

«Posso ucciderti, senza che tu te ne accorga» era veritiero, i fatti dimostravano esattamente quella prospettiva, la mancanza di padronanza dell’altro gli suggeriva allarmatamente di fuggire ed andare il più lontano possibile.

«Non lo farai» ma era difficile avere la meglio sulla testardaggine di Stiles, quasi impossibile.

«L’ho già fatto» il ringhio era impetuoso e ridondante e la rabbia era funesta e spaventosa.

«Mi fido di te, Derek» proferì come unica verità, ineguagliabile conoscenza. «Mi fido di te e non ti lascio» slegò la mano destra, quella dove emergeva l’anello che li univa, e la poggiò sulla guancia del lupo, con il metallo che veniva a contatto con la pelle, concedendogli di avere una presa leggera su di lui che gli permettesse di far congiungere le due fronti, di fargli sentire la sua completa presenza ed il totale credo che gli riversava. «Non ti lascio».

Non fu una notte tranquilla, fu tortuosa e senza fine, con alti e bassi continui; fu la notte più lunga che avesse mai vissuto – e di notti orribili ne aveva conosciute tante –, rimanendo per quanto ne avesse le facoltà in quella posizione, a sussurrare continue parole che calmassero l’animo di Derek, a limitarsi semplicemente a fargli percepire tutto se stesso, la sua persona. A non abbandonarlo mai.

Le ferite si rimarginarono sotto il suo tocco, il sangue sparì completamente, rimanendo testimone solo nelle mani di Stiles e dopo ore intere ed interminabili, crollò, esausto e con la mente completamente devastata di pensieri.

Ebbe l’impressione che Derek l’avesse seguito, ma la mattina, quando il sole era già alto e la sveglia era prossima a suonare, si ritrovò disteso nel suo letto, perfettamente accomodato e rimboccato fino alla punta del naso; le mani erano completamente pulite e l’odore del lupo era tutto su di sé.

Più in là, alla sua destra, proprio dalla finestra, era individuabile uno spiraglio lasciato aperto, un pollice di differenza, ma Stiles era così protetto dalle folte coperte che lo riscaldavano completamente, che non percepiva il piccolo soffio d’aria fredda che penetrava nella camera.

Ma qualcosa lo disturbava e lo lasciava inqueto.

Non era l’essere entrato a conoscenza della vera natura di Derek, dell’esistenza del sovrannaturale e dei lupi mannari, ma, come quando si rese conto che il mutaforma conosceva il suo nome e le piccole cose che aleggiavano intorno a lui e che si lasciava sfuggire, Derek Hale conosceva la perfetta ubicazione di casa sua. Derek Hale sapeva dove abitava.

Sentì l’insano e rassicurante bisogno di nascondersi radicalmente sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa per sprofondarvi totalmente, fuggendo dalla luce solare e da tutto quello che rappresentava, sospirando devastato e sopraffatto, avvertendo una fitta all’altezza del petto ed ignorando la sveglia che prese a suonare ossessivamente, bucandogli i timpani.

Gli diede le spalle, facendo scivolare il cuscino al suo fianco e stringendoselo forte contro, portandosi in posizione fetale e serrando le palpebre, divenendo sordo alla verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ebbene sì, la vera natura di Derek, tanto sospettata da Stiles, è stata svelata ed è reale.

Devono essere davvero poche le probabilità in cui Stiles sia così fortunato da incontrare una delle creature di cui si ciba con i suoi libri e immaginario ammesso; ottimo lavoro, Stiles. Forse, però, un po’ te la sei cercata.

Tornando all’inizio del capitolo, sì, Stiles è intrattabile e guerriero e questo spaventa parecchio Lydia, perché il lato oscuro di Stiles esce soltanto in determinati momenti e in quelli più inaspettati e certo, non avrebbe mai pensato che potesse mostrarsi proprio nella direzione di Derek Hale. Il che ha una certa implicazione davanti ai suoi occhi.

Di conseguenza tutto gira intorno al malcontento ed a tutto quello che Stiles non esprime a voce e che Lydia comprende e che Stiles non vede o non accetta.

Le sue ragazze preferite riescono a conquistarlo in fretta, a loro modo, ma perdono nettamente davanti al mistero che rappresenta Derek Hale e il cercare di accertarsi che tutto vada bene. Forse per ricambiare il favore? O forse semplicemente perché quello è Stiles e, in un modo o nell’altro, sia lui che Derek sono quasi costretti ad inseguirsi, come se fosse un bisogno fisiologico. Mi chiedo dove potrebbe mai portarli tutto questo e fin dove possa spingersi.

Ma la vera domanda è: quanto potrà incidere la vera natura sovrumana di Derek nel loro rapporto?

A venerdì, nella speranza di avere qualche delucidazione,

Antys

 

   
 
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